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Eucaristia piccolo catechismo eucaristico di mons. Luciano Pascucci

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2017 14:20
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19/04/2017 14:15
 
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c. Riti di comunione

Sono riti che dispongono immediatamente i fedeli alla comunione.

La preghiera del Signore, (o ‘Padre nostro’)

E’ sempre stata considerata la preghiera classica di preparazione alla comunione. Tutti ‘osiamo’ rivolgerci a Dio chiamandolo Padre, perché il sacrificio di Gesù ci ha fatti figli di adozione. E’ la preghiera dell’amore e della nostra parentela con Dio. In quel momento ci sentiamo tutti fratelli intorno alla mensa dell’unico Padre. E la preghiera dei figli e dei fratelli.
La preghiera del “Padre nostro” è stata accolta nella celebrazione eucaristica prima della comunione perché considerata un’ottima preparazione alla comunione a causa di due delle sue domande: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, e “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. L’ultima richiesta: ‘liberaci dal male’, è sviluppata da una preghiera del celebrante (embolismo), che chiede per tutta l’assemblea dei fedeli la liberazione dal potere del male, cui l’assemblea si associa alla fine con un’antica acclamazione, che inneggia alla gloria di Cristo Re (dossologia).

Il rito della pace (che non è obbligatorio, leggere qui il Documento ufficiale della Chiesa)

Con questo rito i fedeli implorano la pace e l’unità per la Chiesa e per l’intera famiglia umana, ed esprimono fra di loro l’amore vicendevole, prima di partecipare all’unico pane. Ha lo scopo di significare l’unità dei cuori.
Prima del banchetto è buona norma dichiarare pace e amicizia, almeno ai vicini di tavola. Bisognerà preoccuparsi di renderlo autentico, eliminando tutti gli spazi di indifferenza che separano; facendo della vicinanza fisica, che ci pone nella chiesa gomito a gomito, un segno di unanimità spirituale.
Il rito della pace, posto in questo momento della Messa, deve essere considerato come l’ultima parte dell’atto penitenziale, quindi come necessità di riconciliazione visibile prima di mangiare il Corpo del Signore. Lo scambio della pace è posto qualche istante prima della comunione. Niente di più logico, perché come potremmo da una parte avvicinarci a Cristo e dirgli che lo amiamo, e dall’altra rifiutarci di voltarci verso questo nostro fratello o sorella che ci è a fianco?
La pace che ci si scambia è la pace di Cristo e non un semplice saluto tra amici; per questo, per vivere bene questo gesto basta scambiarlo con le persone più vicine. E’ un gesto molto esigente. Andare verso l’altro, mettersi a parlare con un estraneo non è cosa facile!
Non bisogna mai farlo scadere a gesto banale e senza convinzione. Nel compiere questo gesto occorre mantenere una compostezza, un ordine, affinché non sia turbato il clima che deve essere di attesa della partecipazione al banchetto. La pace di Cristo non può essere donata nel chiasso, nel disordine, o peggio ancora in un clima di comunicazione superficiale.
Celebrare l’Eucaristia vuol dire riscoprire la vocazione all’amore fraterno vissuto nei fatti. L’assemblea eucaristica è un vero evento di fraternità.
La dimensione comunitaria caratterizza naturalmente tutta la celebrazione eucaristica.


La frazione del pane

Essa non è un gesto funzionale, ma simbolico; ed è accompagnata dal suo canto proprio, l’Agnus Dei. La sua portata è tale che nell’epoca apostolica ha dato il nome a tutta l’azione liturgica: riproduce il gesto di Cristo che nella cena spezzò il pane, gesto al quale i discepoli di Emmaus riconobbero Cristo loro ospite la sera di Pasqua (cf. Lc 28, 35).
Esprime la profonda unità che ci amalgama insieme in un unico corpo, dal momento che comunichiamo a un unico pane. E’ qui che trova la sua radicazione soprannaturale quel senso di fraternità così acutamente vissuto e sofferto dalla nostra generazione, come la sua esigenza di tradursi in gesti concreti: ‘Poiché se comunichiamo al pane celeste, come non comunicheremo anche al pane terreno?’ (Didaché). Questi tre elementi preparatori significano dunque in modo convergente una realtà unica: la carità che ci vincola tra di noi, mentre ci unisce a Lui, e ci inserisce nel suo sacrificio. La comunione è una comune-unione a Cristo. E’ questo il frutto ultimo dell’Eucaristia, ed è l’anima stessa della Chiesa. Sì, ci vuole la Chiesa per fare l’Eucaristia, ma soprattutto ci vuole l’Eucaristia per la fare la Chiesa.
“Come questo pane spezzato era prima sparso qua e là per i colli, e, raccolto, diventa una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno…” (Dottrina dei Dodici apostoli).
Fin dai primi secoli i cristiani si dicevano anche che la frazione del pane era anche il simbolo della passione e della morte di Cristo. E’ vero! Il corpo di Cristo è stato spezzato come si spezza il pane; così dobbiamo fare anche noi per i fratelli! Spezzarci in quattro!
Spezzare il pane ci ricorda che anche noi stessi siamo persone ‘spezzate’ e ferite, ma anche che – al di là della nostra fragilità – c’è il Risorto che tutto ricompone e salva.

L’immixtio: il celebrante mette nel calice una piccola porzione dell’ostia. Vuole simboleggiare l’unità del corpo e del sangue nell’unico Cristo. Le specie eucaristiche, quella del pane e quella del vino, prima separate, vengono unite, mediante l’immistione, per significare l’integra e viva presenza in esse di Cristo glorioso. Quando il sangue non scorre più nelle vene di una persona, è la morte! Così si può dire che, quando il pane e il vino (corpo e sangue di Cristo) sono posti uno a fianco all’altro, abbiamo sotto gli occhi un segno di morte. Al contrario, se il pane e il vino sono riuniti, abbiamo un segno di vita. Il gesto di mettere un pezzetto di pane consacrato nel calice ha dunque per scopo di manifestare che Cristo che era morto, ora è vivo. E’ risuscitato!
Questo gesto, oltre a essere un segno di risurrezione, è anche un segno di vita eterna. Il sacerdote dice a voce bassa questa preghiera: “Il corpo e il sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna”. Il corpo e il sangue di Cristo sono sorgente e causa anche della nostra risurrezione. ‘Con l’Eucaristia si assimila, per così dire, il ‘segreto’ della risurrezione (Giovanni Paolo II).
Questo piccolo segno è bellissimo perché significa anche che le fratture della mia vita vengono sanate quando esse vengono intinte nell’amore di Cristo, di cui il calice è ricolmo. La mia vita riacquista la sua interezza se viene immersa nel sangue di Cristo, che è morto e risorto per me.
Da ultimo, il gesto vorrebbe anche richiamare il rito antico che indicava il senso di unità tra il presbitero celebrante e il Vescovo. Infatti, il frammento messo nel calice dal presbitero celebrante era stato inviato dal Vescovo per mezzo di accoliti, in segno di profonda unità sacramentale e dottrinale.

La preparazione personale del sacerdote: il sacerdote si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio. Quindi il celebrante mostra ai fedeli il pane eucaristico che sarà ricevuto nella comunione e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con essi esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle parole del Vangelo (Domine, non sum dignus…).

Agnus Dei:Gesù è l’agnello. Con la sua sofferenza, la sua agonia, la sua pazienza e la sua morte, vissute in un amore immenso, egli è diventato l’agnello che ci salva. Credere all’agnello è credere alla salvezza. Acclamare e cantare il salvatore. Accogliere l’agnello è accogliere la salvezza.


La comunione

Mentre i fedeli si recano processionalmente alla mensa eucaristica, si esegue un canto che vuole esprimere l’unità dei cuori traboccanti di gioia, attraverso l’unità delle voci.
L’antifona alla comunione è un elemento prezioso che illustra il dinamismo che anima parola e sacramento. Specialmente nei tempi forti, questa antifona riprende letteralmente un versetto del Vangelo per significare che quanto è stato proclamato è dato adesso in partecipazione, nel senso che la Parola si è fatta carne. L’antifona manifesta l’unione molto stretta che esiste tra le due mense dell’Eucaristia: quella della Parola e quella del Pane. Ciò che la Parola proclama, il Pane ce lo dona.

La processione alla comunione è il movimento verso l’altare della comunità che partecipa al dono più grande, il Corpo di Cristo. Deve essere una processione ordinata per custodire il raccoglimento. L’ordine serve perché l’attenzione sia diretta all’Eucaristia.
E’ desiderabile che le ostie a cui ci si comunica siano consacrate nella stessa Messa, ‘affinché la comunione appaia meglio, anche attraverso i segni, come partecipazione al sacrificio che si sta attualmente celebrando’. Il ministro pronuncia solo le parole: “Il Corpo di Cristo”, tenendo nel frattempo l’ostia un po’ sollevata. Egli attende poi che il comunicando dica:“Amen”, prima di dargli l’ostia. Il fedele con l’Amen professa apertamente la sua fede nella presenza reale di Cristo. Amen! Vuol dire: “Sì, Signore, riconosco che vieni verso di me e ti doni a me sotto il segno del pane”.
Amen! Vuol dire: “Sì, Signore, ti accolgo dicendoti che voglio amarti con tutto me stesso”.
Amen! Vuol dire: “Sì, voglio essere tuo discepolo e donarti la mia vita, come hai fatto tu”.

Il silenzio.

Poi l’azione si arresta. Ci si siede (o in ginocchio) e si rimane in silenzio. E’ un silenzio carico di tensione spirituale, perché segna il momento personale dell’incontro con il Salvatore. Il silenzio dopo la comunione favorisce la preghiera interiore di lode e di ringraziamento.
Dopo la comunione è bene mantenere un po’ di silenzio affinché l’unione con Cristo possa arrivare al cuore e compiersi in tutti i sensi. Il silenzio può fare spazio a un dialogo personale con Cristo che ora è in noi. Il silenzio può anche essere semplicemente l’eco di ciò che abbiamo celebrato: corpo e sangue di Cristo penetrano in tutto il mio corpo e negli abissi della mia anima. Si tratta di un attento inoltrarsi nel mistero della comunione: ora, Dio e la sua creatura sono diventati, inscindibilmente, una cosa sola. Ciò che Dio ha operato in me, io lo devo realizzare per me nella mia vita. Se Dio è diventato una cosa sola con me, posso essere in accordo e in armonia con me stesso e con la mia vita. E, se Cristo è in tutti noi, devo cercare nel mio intimo di diventare benevolo nei confronti di tutti gli altri e di sentirmi una sola cosa con loro.
E’ un silenzio di adorazione, un silenzio in cui tutti devono essere coscienti di essere il corpo del Signore. E’ questo il momento di percepire che la comunione eucaristica è fonte della comunione ecclesiale.

- Il corpo e il sangue di Cristo non sono ‘cose sacre’, che appartengono a Cristo, che si assumono e si adorano come cose esterne a lui (vado a prendere l’ostia!), ma sono il Signore stesso, in persona, vivo e vero, di cui diventiamo consorti. “Ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, tu diventi con-corporeo e con-sanguineo di Cristo” (S. Cirillo di Alessandria). Il tuo legame con Cristo diventa più forte di quello che tu hai con i tuoi congiunti.

- Fare la comunione significa assimilare il dono di Dio e permettere a questo dono di plasmare la nostra esistenza umana trasmettendole la sua forma, la forma dell’amore che si mette in gioco per la vita degli altri. Se dimoriamo in Gesù, il senso è che viviamo entro lo spazio che Gesù ha creato con la sua vita e il suo amore. Continuiamo a vivere nel mondo, certo, ma lo stile, la logica, i desideri non sono più quelli appresi dal mondo, ma quelli che lo Spirito di Gesù suscita in noi. Non sono più i modelli mondani che dirigono le nostre scelte, ma i modelli evangelici. I modelli mondani pongono come obiettivo il successo in tutte le sue forme (ricchezza, potere, godimento); i modelli evangelici pongono come obiettivo l’amore (“Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”).
La comunione ha una dimensione essenzialmente sociale e dobbiamo renderla esplicita. Scrivendo ai Corinzi, Paolo invita i credenti a evitare ogni forma di idolatria e porta una motivazione tipicamente cristiana: non si può mettere insieme la comunione con Cristo e la comunione con gli idoli:“Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico; il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10,15-17). Non siamo soli ad accostarci all’Eucaristia; siamo mescolati con tutta l’assemblea, con tutti i discepoli. Ci accostiamo all’altare per mangiare e per bere; per entrare in comunione col Signore vivente. E siccome il Signore nel quale l’eucaristia c’introduce è l’unico Signore, aderendo a lui veniamo a costituire un’unica realtà, un unico corpo.
‘Quando riceviamo Cristo, l’amore di Dio si espande nel nostro intimo, modifica radicalmente il nostro cuore e ci rende capaci di gesti che, per la forza diffusiva del bene, possono trasformare la vita di coloro che ci sono accanto’ (Benedetto XVI).

- I fedeli non prendono da soli il pane consacrato, ma lo ricevono dal sacerdote (eccezionalmente dal ministro straordinario dell’Eucaristia o dall‘accolito). L’Eucaristia è un dono. Non lo si prende da se stessi, lo si riceve da un altro. E’ un bene divino, al quale nessuna persona ha diritto e sul quale nessuno può disporre.

COME RICEVERE L'EUCARISTIA, CLICCARE QUI  

- Ricevendo l’Eucaristia, non solo riceviamo il corpo eucaristico di Cristo, ma anche il ‘corpo mistico’ di Cristo. E dicendo ‘Amen’, lo diciamo non solo a Cristo, ma anche alla Chiesa, a cominciare dalla mia ‘chiesa domestica’, che è la mia famiglia.

PICCOLA PARENTESI IMPORTANTE - NOSTRA - 

Il blog Radicati nella fede, fece tempo fa un bellissimo articolo dal titolo interessante: “La messa dell’assemblea culla l’agnosticismo” clicca qui, vi invitiamo davvero a leggerlo e a meditare… “Ciò che non c’è più nella Messa, scompare inevitabilmente anche dalla vita cristiana. È solo questione di tempo, e nemmeno molto. Così è stato con l’ultima riforma liturgica: i “vuoti” del rito sono diventati “vuoti” del nuovo cristianesimo…

cliccare qui per l'articolo integrale

CHIUSA PARENTESI....


Conclusione.

L’orazione dopo la comunione. Il rito della comunione termina con una preghiera del celebrante a nome di tutti. Esprime l’azione di grazie per il dono ricevuto, chiede i frutti del mistero celebrato, e proietta la luce dell’Eucaristia sulla vita quotidiana, che ne deve essere lievitata e trasfigurata.

RITI CONCLUSIVI


Sono semplicissimi: un saluto e una benedizione del celebrante, e il congedo dell’assemblea.

a. Saluto

E’ naturale che il sacerdote, al termine della Messa, rivolga il suo saluto al popolo.

La benedizione. Con essa il sacerdote augura che le tre Persone divine vogliono “dire bene”, compiacersi di coloro che hanno partecipato alla celebrazione. La benedizione finale della messa implora la protezione del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo su quelli che stanno per allontanarsi. Domanda che rimangano in loro i doni che hanno ricevuto, perché continuino a vivere secondo lo spirito dell’Eucaristia che hanno appena celebrato.


b. Il congedo

‘La Messa è finita; andate in pace’. E’ come se dicesse: il rito è concluso, ma ora comincia un’altra celebrazione, in cui è impegnata tutta la vostra vita. Andate, per le strade del mondo, e siate in mezzo ai fratelli ‘i testimoni della morte e della risurrezione di Cristo’ con la parola, con l’azione e con la vita. Ite, missa est! La messa non è fine e sosta, piuttosto è un cammino. Un riposarsi per via e poi di nuovo un incamminarsi. Per questo la santa Messa termina con l’espressione che le dà il nome: Ite, missa est! ‘Missa’ è la forma tardo latina per missio o dimissio (= congedo). Il servizio divino non si esaurisce in se stesso, ma è ‘Missa’ subordinata alla missione che ci disperde per il mondo. Non andiamo alla Messa per guadagnarci un pezzetto di Paradiso, bensì per il rafforzamento della nostra missione. Andate! La Messa in chiesa è terminata. Ora comincia la messa nel cuore del mondo. Dunque, il congedo non chiude la celebrazione eucaristica quasi fosse una parentesi nella nostra giornata, ma la immette, come una sorgente pura, nel fiume della vita che da essa deve venire rinnovata.
- Molto opportunamente il congedo sottolinea l’irrinunciabile dimensione missionaria della celebrazione eucaristica.
Alla formula di congedo pronunziata dal ministro il popolo risponde dicendo:“Rendiamo grazie a Dio”. Acclamazione spontanea che vuole manifestare i ricchi, profondi sentimenti che pervadono lo spirito di quanti hanno avuto la fortuna e la gioia di partecipare all’Eucaristia. Essa mette il suggello a tutta la celebrazione eucaristica, vero rendimento di grazie a Dio per Cristo nella virtù dello Spirito Santo.
Il sacerdote bacia ancora una volta l’altare per portare con sé la sua forza e per congedarsi con amore da Cristo: l’amore di Gesù celebrato sull’altare deve ora improntare il suo dire e il suo agire e deve scorrere in tutti i suoi incontri.
La comunità si congeda eseguendo un canto oppure ascoltando il suono dell’organo, mentre esce. E’ bene recuperare lo spazio sacro evitando di fare della chiesa una piazza. A questo serve il sagrato della Chiesa stessa.
Ciò che è veramente importante è che il mistero della sacra celebrazione permei il corpo e l’anima dei fedeli, per poter uscire dalla chiesa veramente diversi da come sono entrati e per poter trasformare, ora che sono stati trasformati, anche la loro vita di tutti i giorni.
Quando siamo andati alla messa domenicale e torniamo a casa, non dovremmo essere accompagnati dalla coscienza un poco farisaica di aver fatto il nostro dovere. Veniamo fuori dalla Messa forse più buoni e cresciuti nella fede, ma certamente più responsabili.

Una preghiera per ringraziare


Al termine delle nostre considerazioni, ridiamo voce alla grande e santa tradizione liturgica della Chiesa e facciamo nostra la preghiera con la quale la Didachè invita a rendere grazie dopo aver consumato il sacrificio eucaristico:

Dopo aver mangiato, ringraziate così:
Ti ringraziamo Padre santo,
per il tuo santo nome
che hai fatto abitare nei nostri cuori
e per l’amore, la fede e l’immortalità,
che ci hai rivelato per mezzo
di Gesù, tuo Servo.
A Te gloria nei secoli!

Tu, Signore onnipotente,
hai creato l’universo a gloria del tuo nome;
hai dato cibo e bevanda agli uomini,
perché possano goderne
e così ti rendano grazie.
Ma a noi hai dato un cibo
e bevanda spirituali
e la vita eterna
per mezzo del tuo Servo.
Ti ringraziamo, soprattutto,
perché sei la nostra forza.
A Te gloria nei secoli!

Ricordati, Signore, della tua Chiesa,
liberala dal male
e rendila perfetta nel tuo amore;
purificata, raccoglila insieme
dai quattro venti nel Regno,
che per lei hai preparato.
Poiché tua è la potenza
e la gloria nei secoli!

Passi questo mondo di violenza
e venga la tua grazia!
Osanna al Figlio di Davide!
Chi è santo, si avvicini:
chi non lo è si converta.
Maranà tha: vieni, o Signore!
Amen
     

 

[Modificato da Caterina63 19/04/2017 14:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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