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LA VERA STORIA SULLA SCHIAVITU' E LA CHIESA CATTOLICA

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2017 09:53
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18/05/2017 09:00
 
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UNA LETTURA DEL DISCORSO DEL PAPA
 

La Chiesa ha mai davvero difeso la schiavitù, ed ha mai sostenuto che gli schiavi "non hanno anima", come sembra di evincere da un discorso di Papa Francesco? Non abbiamo un solo documento della Chiesa di alcun genere, in duemila anni di storia, in cui si sostiene che esistano uomini senz' anima.

di Francesco Agnoli

Il notiziario di radio Vaticana dell'11 maggio riporta un'omelia di Bergoglio incentrata su questo concetto: che la fede e la morale vengono comprese "sempre più in cammino". Recita il notiziario:

"Questo cammino è per capire, per approfondire la persona di Gesù, per approfondire la fede e anche per capire la morale, i Comandamenti. E una cosa che un tempo sembrava normale, che non era peccato, oggi è peccato mortale: pensiamo alla schiavitù: quando andavamo a scuola ci raccontavano cosa facevano con gli schiavi, li portavano da un posto, li vendevano in un altro, in America Latina si vendevano, si compravano … E’ peccato mortale. Oggi diciamo questo. Lì si diceva: ‘No’. Anzi, alcuni dicevano che si poteva fare questo, perché questa gente non aveva anima! Ma si doveva andare avanti per capire meglio la fede, per capire meglio la morale. ‘Ah, Padre, grazie a Dio che oggi non ci sono schiavi!’. Ce ne sono di più! ... ma almeno sappiamo che è peccato mortale. Siamo andati avanti… ”.

Devo ammettere che nel leggere simili affermazioni ho avuto un senso di sgomento. Perchè non sembra possibile che un cattolico, non dico il pontefice, possa fare simili affermazioni. Partiamo anzitutto da una premessa: che parli di storia, di ambiente, di clima, di politica, delle sue idee personali, nessun pontefice gode dell'infallibilità. L'idea che il pontefice sia sempre infallibile non appartiene nè alla Chiesa nè al Vangelo, visto che Pietro tradisce Gesù, viene apostrofato con un poco gentile "Vade retro Satana", viene corretto da Paolo...

Pietro è il custode della Fede, colui che deve trasmettere il depositum fidei, sul quale non ha alcun potere. "Vi ho trasmesso, diceva san Paolo, ciò che anche io ho ricevuto". Tutta la teologia cattolica ricorda che ogni potere, da quello del padre di famiglia, a quello del re, a quello del papa, deriva da Dio, anche nel senso che non è mai assoluto, ma sempre relativo. Nelle vecchie spiegazioni del catechismo, commentando il IV comandamento si leggevano frasi del genere: "bisogna onorare il padre e la madre, e obbedire a loro, salvo quando ordinino qualcosa contro la legge di Dio, ad esempio di rubare. Lo stesso nei riguardi dello Stato e degli uomini di Chiesa, papa compreso".

Detto questo, vediamo di analizzare il discorso di Bergoglio da un punto di vista storico, chiedendoci anzitutto: la Chiesa ha mai davvero difeso la schiavitù, ed ha mai sostenuto che gli schiavi "non hanno anima", come sembra di evincere dal discorso, confuso, di Francesco?

La risposta è secca: no. Non abbiamo un solo documento della Chiesa di alcun genere, in duemila anni di storia, in cui si sostiene che esistano uomini senz' anima. Tantomeno che giustifichino la schiavitù con simili argomentazioni. E' uscito, recentemente, nel 2016, un testo a cura di Roberto Reggi e Filippo Zanini, per le edizioni dehoniane, in cui vengono raccolti tutti i documenti e le dichiarazioni sulla schiavitù della tradizione cristiana. Nel testo, intitolato "La Chiesa e gli schiavi", si parte dalla celebre lettera a Filemone di san Paolo e dal suo Non esiste più nè giudeo nè greco, nè schiavo nè libero , per proseguire con passi di papa Clemente e di Ignazio di Antiochia, del I secolo dopo Cristo, della Didachè, del II secolo ecc…

Ebbene, in nessuno di essi traspare mai il menchè minimo dubbio: gli schiavi hanno l’anima, come tutti gli altri uomini; sono stati redenti dal sangue di Cristo, e per loro, lo scrive già Clemente, quarto papa, si può arrivare a straordinarie opere di carità. Scrive infatti Clemente, in una lettera ai Corinzi: “Sappiamo che molti tra noi si offrirono alle catene per liberare gli altri; molti si offrirono alla schiavitù e con il prezzo ricavato davano da mangiare agli altri".

Si dirà: ma se è vero che nessun padre della Chiesa, nessun papa, nessun concilio ha mai negato l’anima agli schiavi, qualcuno lo ha fatto. Certamente, ma sempre rifacendosi ad altre tradizioni e religioni, non certo alla fede e alla tradizione cattolica. E' celeberrimo lo scontro tra il frate Bartolomeo de las Casas, che la Chiesa volle vescovo, e Juan Ginès de Sepùlveda, negli anni seguenti alla scoperta delle Americhe: era quest’ultimo, chiamando in suo sostengno l’autorità di Aristotele, cioè di un pagano, ad affermare la giustezza della schiavitù per i popoli barbari, mentre il domenicano, appoggiato dai confratelli e da illustri cardinali, lottava per il riconoscimento della dignità degli indios (Marianne Mahn Lot, Bartolomeo de Las Casas e i diritti degli indiani, Jaka Book, Milano, 1985).

Se torniamo ai primi secoli, durante i quali la schiavitù era diffusa perchè legittima secondo il diritto romano, troviamo l’attività di sant’Agostino, che in Africa lotta perchè gli schiavi non vengano maltrattati, perchè possano sposarsi, e si adopera per favorirne l’emancipazione. In una sua lettera testimonia di una ragazza rapita ai suoi genitori, fatta schiava e riscattata dalla Chiesa, mentre in un altro sermone ci tramanda il cerimoniale di affrancamento, reso più facile dall’imperatore Costantino: “Tu vuoi affrancare il tuo schiavo. Conducilo per mano in chiesa. Si fa silenzio. Viene letto il tuo atto di affrancamento oppure tu esprimi la tua intenzione in altro modo. Tu affermi di dare la libertà perché si è dimostrato fedele in tutto nei tuoi confronti. Egli poi straccia l’atto d’acquisto” (Adalbert G. Hamman, La vita quotidiana nell’Africa di Sant’Agostino, Jaka Book, Milano, 1989).

Se dall’Africa ci spostiamo in Italia, ecco il grande Ambrogio che all’indomani della sconfitta di Adrianopoli (9 agosto 378), “per venire in aiuto ai numerosi prigionieri caduti nelle mani del nemico e procurarsi le somme ingenti necessarie per riscattarli (dalla schiavitù certa, o dalla morte, ndr)…per raggiungere lo scopo non esitò a spezzare i vasi sacri e a vendere il metallo prezioso così ricavato”, esattamente come previsto dai Concili Aghatense e Matisconense (Cesare Pasini, Ambrogio di Milano, San Paolo, 1996, Milano).

E' oggi opinione comune degli storici e degli storici del diritto che già la Chiesa dei primi secoli abbia combattuto contro i maltrattamenti verso gli schiavi, non proclamando improvvise sommosse o rivoluzioni sociali, neppure arrivando sempre subito ad un'idea piena di libertà, ma aprendo sin dal principio a loro le chiese, l’accesso al battesimo, al matrimonio e allo stesso papato (sono almeno due gli schiavi divenuti papi, San Pio I, del II sec. e san Callisto, del III) e imponendo così gradualmente la libertà spirituale e quella fisica come un valore che non è ancora oggi proprio di tutte le civiltà nè di tutte le religioni (si vedano Harold J. Barman, in Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, Il Mulino, Bologna, 2006).

Ciò avvenne anche attraverso la lotta contro i giochi gladiatorii, la condanna delle atroci pene per gli schiavi (vedi crocifissione), e la lotta contro l‘esposizione dei neonati, destinati ad alimentare la schiavitù quando le guerre non bastavano (J. Andreau, R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino, Bologna, 2006).

Si potrebbe continuare a lungo, ma preme soltanto concludere affrontando un punto essenziale: la Chiesa nel suo cammino capisce meglio la morale e i comandamenti, come sostiene Francesco? Bisogna vedere cosa ciò significa.

Certamente ogni epoca ha la sua sensibilità; certamente nella storia gli uomini di Chiesa hanno posto l’accento più su un aspetto o più sull’altro, ma la sostanza del discorso morale non è affatto mutata. Ciò che era peccato mortale ieri, lo è anche oggi. L’aborto, condannato già nei primi secoli, lo è tutt’oggi; ogni forma di suicidio volontario è sempre stata considerata un male dalla Chiesa, da duemila anni in qua; così, per concludere, l’adulterio.

Esso è un peccato sia nel Nuovo Testamento, sia in tutti i documenti della Chiesa sino a Benedetto XVI. E' vero che oggi illustri cardinali, da Kasper a Marx, da Coccopalmerio a Farrell, vogliono far passare, appoggiandosi alle ambiguità evidenti e volute di Amoris laetitia, una nuova lettura dell’adulterio stesso; ma è anche vero che non solo i cardinali dei Dubia, ma anche migliaia di sacerdoti e milioni di fedeli trovano questo insegnamento scandaloso e sacrilego.

Perchè nel Vangelo è detto chiaramente che "passeranno i cieli e la terra“ ma non muterà uno iota della legge di Dio. Ciò che era vero in passato, lo è anche nel presente: questa è una certezza assoluta per un cattolico, che crede che Dio non possa cambiar parere, e non possa ingannare il suo popolo, insegnando oggi qualcosa di diverso da ciò che ha insegnato ieri. Sì, la Chiesa è in cammino, può capire sempre più a fondo alcune verità, ma comprendere di più, esplicitare ciò che era implicito, non significa mai negare o stravolgere o capovolgere. Nella storia della Chiesa i papi non hanno mai innovato, e quando hanno proclamato nuovi dogmi, come l’Immacolata Concezione, ne hanno sempre cercato le radici nel Vangelo, nei Padri e nella Tradizione della Chiesa. Mentre quando un padre Antonio Spadaro ha cercato di trovare in un Padre della Chiesa una giustificazione alle sue convinzioni, si è rivelato solamente incapace di comprendere il testo latino addotto erroneamente a suo sostegno.

Infine, è falso dire che, poichè qualcosa che non era dichiarato peccato un tempo, lo è stato poi (esempio, errato, della schiavitù), così qualcosa che era peccato ostativo rispetto all'Eucaristia ieri (l'adulterio), non lo è più oggi: infatti comprendere l'esistenza di un nuovo peccato mortale è davvero comprendere meglio (comprendere meglio la gravità di un atto di cui non era chiara la gravità), mentre negare che ciò che è sempre stato esplicitamente peccato lo sia ancora, è stravolgere completamente, negare in toto, la comprensione precedente. E' affermare non che si è compreso meglio, ma che prima si era compreso il contrario della verità. Nello stesso senso, l'espresione di Francesco, "in cammino“ non può significare, per la Chiesa, negare il cammino precedente, per ricominciare, ma solo proseguire un cammino bimillenario.

   si legga anche qui: Gesù e la dignità della Donna nella storia e nella Chiesa. La vera schiavitù della Donna oggi

e si legga anche qui.... il percorso storico della schiavitù che fu abolita proprio dalla Chiesa e sempre condannata dai Pontefici!





 

[Modificato da Caterina63 18/05/2017 09:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/05/2017 09:26
 
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  Il magistero ecclesiale contiene numerosi pronunciamenti che intendono mitigare o abolire ("manomissione") del tutto la schiavitù, segno sia dell'attenzione della Chiesa a questo ingiusto istituto, sia dell'effettiva inefficacia delle condanne.

Può stupire una certa tiepidezza che segna i pronunciamenti ecclesiali fino all'epoca moderna, che sembrano limitarsi ad accettare tacitamente la schiavitù condannandone le deviazioni più estreme (abusi sugli schiavi, riasservimento dopo la manomissione), con l'implicito comandamento di considerare lo schiavo come un fratello.

Va però considerato come questo istituto economico-sociale rappresentava una colonna portante delle società greco-romane e barbariche, e come notava Gregorio XVI, fu solo "col trascorrere del tempo, essendosi dissipata più ampiamente la caligine delle superstizioni barbariche ed essendosi mitigati i costumi anche dei popoli più selvaggi sotto l'influsso della carità cristiana, che si arrivò al punto che da diversi secoli non ci sono più schiavi presso moltissimi popoli cristiani" (In Supremo Apostolatus Fastigio, 1839).





Nel Concilio di Agde (506), tenuto nel sud della Francia, si afferma (cann. 7; 29) che gli schiavi della Chiesa (cioè di persone o enti ecclesiastici) una volta liberati mantengono questo stato, e impone che al momento della liberazione ricevano anche una somma di denaro per iniziare un'attività economica autonoma.

Similmente il Quinto concilio di Orleans (549), circa gli schiavi della Chiesa manomessi, afferma l'irrevocabilità della libertà raggiunta (can. 7). Circa gli schiavi in generale (non solo della Chiesa) che sono stati manomessi e hanno scelto di rimanere col padrone, qualora questo volesse punirli per un qualche motivo e fuggono in una chiesa, viene garantito loro il diritto d'asilo, e viene imposta la scomunica al padrone che volesse ritrattare il giuramento di manomissione (can. 22).

Un concilio tenuto in una località non precisata nel nord della Francia, attorno al 615, stabilisce che (can. 14) chi è diventato schiavo per motivi economici riacquista immediatamente la libertà non appena riesce a pagare il debito. Viene ammesso il matrimonio tra il servo e una donna libera o la serva e un uomo libero, e i figli avuti durante la servitù sono da considerare liberi.

Il Quarto concilio di Toledo (633)dedica alla schiavitù diversi canoni. Viene vietato agli ebrei di possedere schiavi cristiani (66); gli schiavi della Chiesa liberati devono rimanere liberi, e così anche i loro figli (70); i liberti possono essere ordinati (73); gli schiavi della Chiesa possono essere ordinati presbiteri e diaconi e con questo acquistano la libertà (74).

Gregorio III, scrivendo al vescovo di Magonza nel 731, rimprovera l'uso di vendere ai pagani dei cristiani come schiavi per immolazioni rituali, e auspica che la pena sia la stessa dell'omicidio.

Il Concilio di Worms (868) impone la scomunica o una penitenza pubblica di 2 anni al padrone che uccide uno schiavo (can. 38), e nel caso di una padrona che colpisce una schiava per gelosia facendola morire, la penitenza pubblica è di 5 anni, 7 anni se la morte era voluta (c. 39).

Giovanni VIII con la lettera Unum Est (ca. 873) rivolta ai principi di Sardegna, chiede che venissero liberati schiavi pagani che erano stati venduti da mercanti greci: "È bene e santo, come conviene a cristiani, che voi, se li avete comprati dai greci, li lasciate andare liberi per amore di Cristo e ne riceviate il prezzo non da uomini, ma dallo stesso Signore Gesù Cristo. Vi esortiamo e comandiamo con paterno amore che, se avete comprato da loro qualche prigioniero, lo lasciate andare libero per la salvezza della vostra anima".

Il Concilio di Coblenza (922) equipara la tratta di cristiani all'omicidio (can. 7).

Il Concilio di Londra (1102) rappresenta la prima esplicita condanna in blocco della schiavitù: "Nessuno voglia entrare nel nefasto commercio, che era in uso qui in Anglia, per cui si solevano vendere uomini come se fossero bruti animali" (can. 27).

Il Concilio di Armagh (Irlanda, 1171)riconduce alla vendetta divina la schiavitù nella quale erano incorsi degli Angli razziati da pirati, rimproverando agli stessi Angli l'uso di vendere i figli come schiavi, e viene comunque stabilito che tutti gli Angli che si trovano come schiavi in Irlanda possano riacquistare la libertà.

Il Terzo concilio lateranense (1179), condannando gli eretici, esorta affinché "siano confiscati i loro beni e i principi siano liberi di assogettarli in servitù" (can. 27). Il canone però non può essere assunto come indicazione di liceità della schiavitù. All'epoca il nord della Spagna e il sud della Francia erano devastati dai catari o patari, i quali "facevano crudeltà contro i cristiani, senza rispetto per chiese e monasteri, né vedove e ragazze, né anziani e bambini, né qualunque età e sesso, ma alla maniera dei pagani devastano e distruggono ogni cosa" (ib.), e l'esortazione al loro asservimento va inteso come un'eccezionale concessione ai regnanti per fronteggiare la situazione.


Alle soglie dell'era moderna la schiavitù nell'occidente cristiano era finalmente scemata d'intensità. Tuttavia le esplorazioni verso l'Africa e l'America portarono popolazioni inermi a essere oggetto di sfruttamento da parte di schiavisti "cristiani": "Ci furono perfino dal numero stesso dei fedeli alcuni che, accecati in modo turpe dalla cupidigia di un sordido guadagno, in lontane e remore tere, ridussero in schiavitù indiani, negri e altri miseri, ovvero con un commercio istituito e allargato di coloro che erano stati fatti prigionieri da altri, non esitarono a favorire l'indegno misfatto di costoro" (Gregorio XVI, In Supremo, 1839). Nei secoli della cosiddetta tratta atlantica furono numerose le condanne papali.

Papa Eugenio IV con una bolla, indicata come Creator Omnium (con data 17 dicembre 1434) o Sicut Dudum (con data 13 gennaio 1435), prende le difese dei nativi (battezzati, neofiti e pagani) delle isole Canarie, da poco scoperte dagli iberici, che avevano iniziato a ridurli in schiavitù, e impone la liberazione degli schiavi pena la scomunica entro 15 giorni dalla conoscenza della lettera.

Le bolle di Papa Niccolò V Dum Diversas (16 giugno 1452) e Romanus Pontifex (8 gennaio 1454) rivolte al re del Portogallo Alfonso V (1438-1481) autorizzano il sovrano a ridurre in "perpetua schiavitù" le popolazioni pagane e saracene contro le quali i portoghesi si stavano battendo in Africa. Queste indicazioni sono in evidente contrasto con lo spirito evangelico e l'insegnamento cattolico precedente e successivo, ma vanno contestualizzate con l'energetica espansione islamica dell'epoca (cf. la caduta di Costantinopoli nel 1453).

La bolla Illud Reputantes (1° ottobre 1456) di Callisto III, come la precedente Creator Omnium (1434), condanna la riduzione in schiavitù di cristiani (ortodossi orientali) da parte di altri cristiani (occidentali, nella fattispecie genovesi), e similmente la bolla di Pio II Pastor Bonus (7 ottobre 1462) tutela i neofiti cristiani, ma anche gli infedeli, di Canarie e Guinea dai soprusi dei trafficanti portoghesi.

La bolla di donazione Ineffabilis et Summi Patris (1 giugno 1497) di Alessandro VI rappresenta un ridimensionamento della licenza già offerta alla riduzione in "perpetua schiavitù" delle popolazione incontrate dai portoghesi: viene ammesso l'assoggettamento (non la schiavitù) ma solo se queste lo vogliono.

Papa Paolo III col breve Pastorale Officium rivolto all'arcivescovo di Toledo Giovanni de Tavera (29 maggio 1537), condanna la riduzione in schiavitù degli amerindi da parte degli spagnoli, pena la scomunica:
« Prestando attenzione a che gli stessi Indiani, anche se sono al di fuori del grembo della Chiesa, non siano stati privati o non stiano per essere privati della loro libertà o del dominio sulle loro cose, poiché sono uomini e per questo capaci di fede e di salvezza, o a che non stiano per essere ridotti in schiavitù, [...] desiderando reprimere tanto infami misfatti di empi di tal fatta, [...] diamo mandato [...] affinché [...] sotto pena di scomunica come da sentenza pronunciata [...], con più grande severità tu impedisca che in nessun modo presumano di ridurre in qualsiasi modo in schiavitù gli Indiani di cui sopra, o di spogliarli dei loro beni»

Contemporanea a questa bolla è la Sublimis Deus (o Veritas Ipsa, Paolo III, 2 giugno 1537), e dopo questi documenti sono stati molti i pronunciamenti pontifici che impongono la scomunica ai commercianti di schiavi, cristiani e non, la cui ricorrenza e numerosità è segno della effettiva scarsa efficacia delle condanne:
Licet Omnibus (Pio V, 25 dicembre 1570);
Postquam Nuper (Pio V, 21 dicembre 1571);
Cum Sicuti (Gregorio XIV, 18 aprile 1591);
Clemente VIII, 1605; Commissum Nobis (Urbano VIII, 22 aprile 1639);
Istruzione 230 (Innocenzo XI , 20 marzo 1686);
Immensa Pastorum Principis (Benedetto XIV, 20 dicembre 1741);
Istruzione 515 (Pio VI, 12 settembre 1776);
In Supremo Apostolatus (Gregorio XVI, 3 dicembre 1839);
Istruzione 1293 (Pio IX, 20 giugno 1866);
In Plurimis (Leone XIII, 5 maggio 1888);
Catholicae Ecclesiae (Leone XIII, 20 novembre 1890);
Lacrimabili Statu (Pio X, 7 giugno 1912).


Epoca contemporanea

Il Codice di Diritto Canonico del 1917 puniva la schiavitù includendola nei delitti "contro la vita, la libertà, la proprità, la buona fama e i buoni costumi". I laici che sono stati legittimamente condannati per omicidio, "rapimento di bambini di ambo i sessi, vendita di uomini in schiavitù" (can. 2354 §1) e altre azioni malvage, "devono essere automaticamente esclusi da qualunque azione ecclesiale e qualunque stipendio, qualora lo avessero nella Chiesa, con l'obbligo di riparare i danni". I chierici che hanno commesso gli stessi delitti (can. 2354 §2) devono essere puniti da un tribunale ecclesiastico "a seconda della diversa gravità del reato, con penitenze, censure, privazioni di uffici e benefici, titoli, e se il caso lo comporta, anche con la riduzione allo stato laicale".

Nel Codice di Diritto Canonico vigente (1983) si trova un accenno implicito alla schiavitù nella sezione dei "delitti contro la vita e la libertà umana": can. 1397:
« Chi commette omicidio, rapisce oppure detiene con la violenza o la frode una persona, o la mutila o la ferisce gravemente, sia punito a seconda della gravità del delitto con le privazioni e le proibizioni di cui nel can. 1336. »

Il can. 1336 stabilisce le pene che possono essere inflitte:
« 1) la proibizione o l'ingiunzione di dimorare in un determinato luogo o territorio; 2) la privazione della potestà, dell'ufficio, dell'incarico, di un diritto, di un privilegio, di una facoltà, di una grazia, di un titolo, di un'insegna, anche se semplicemente onorifica; 3) la proibizione di esercitare quanto si dice al n. 2, o di farlo in un determinato luogo o fuori di esso; queste proibizioni non sono mai sotto pena di nullità; 4) il trasferimento penale ad altro ufficio; 5) la dimissione dallo stato clericale. »

Nel Concilio Vaticano II si trova un accenno alla schiavitù in un lungo elenco di pratiche "vergognose" che ledono la dignità umana:

« Scendendo a conseguenze pratiche di maggiore urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso l'uomo: ciascuno consideri il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro «se stesso», tenendo conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per viverla degnamente, per non imitare quel ricco che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro. Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un'unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando la voce del Signore: «Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l'onore del Creatore. »
(GS 27, DS 4327)

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1994) condanna la schiavitù nella sezione sul settimo comandamento, "non rubare":
« Il settimo comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione, egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all'asservimento di esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a venderli e a scambiarli come se fossero merci. Ridurre le persone, con la violenza, ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro la loro dignità e i loro diritti fondamentali. San Paolo ordinava ad un padrone cristiano di trattare il suo schiavo cristiano "non più come schiavo, ma [...] come un fratello carissimo [...], come uomo, nel Signore" (Fm 16) »
(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2414 )


Sintesi teologica

Questi gli elementi teologici contro la schiavitù che possono essere colti nei vari pronunciamenti patristici ed ecclesiali:

- in origine Dio è il creatore di tutti gli uomini, che godono di pari capacità e dignità;
- il dominio dell'uomo sull'altro è conseguenza del peccato degli uomini;
- il sacrificio di Cristo ha liberato in egual misura tutti gli uomini dalla schiavitù del male;
- tutti gli uomini, anche gli infedeli, sono capaci della fede in Cristo;
- la schiavitù è un ostacolo alla conversione a Dio per la testimonianza negativa dei cristiani che offre.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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di Giuseppe Brienza

Secondo i media più diffusi, dovremmo attribuire al Cristianesimo la maggior parte delle sventure e delle calamità che hanno contraddistinto gli ultimi due millenni della storia occidentale e privarlo dei "meriti storici" che, almeno fino a qualche tempo fa, gli erano comunemente riconosciuti. Uno di questi è l'opera di elevazione culturale e spirituale che ha permesso all'uomo di liberarsi dalla schiavitù. Infatti, l'insegnamento evangelico ha avuto sulla società e sulla vita concreta degli antichi una notevole ricaduta, anche per quanto riguarda questa pratica di asservimento; già molto prima del Cristianesimo la schiavitù si praticava nell'Egitto dei faraoni e nell'antica Mesopotamia.

Come ha documentato lo storico francese Pétré-Grenouilleau, la schiavitù era presente in modo capillare in tutta l'Africa e la Grecia, potendo tranquillamente divenire schiavi anche i bambini abbandonati «secondo una politica corrente nelle civiltà antiche». Qui, infatti, a differenza che nell'antica Roma, la schiavitù era da tutti vista come un istituto di diritto naturale. Per i Romani, invece, l'uomo non era schiavo "per natura" ma lo poteva diventare se la legge positiva l'avesse, per motivi di opportunità politica, deciso. Quindi, poiché non nasceva schiavo, a differenza che in Grecia, lo schiavo romano poteva essere liberato e ottenere la cittadinanza. Questa era la situazione del mondo pagano quando il Cristianesimo cominciò a diffondersi e a operare per superare la schiavitù contribuendo a modificare, nel giro di pochi secoli, una mentalità presente da sempre.

In verità, il Nuovo Testamento non fa un cenno diretto al problema della schiavitù, perché l'insegnamento di Cristo per l'edificazione, da parte di ciascuno, di un uomo nuovo, avrebbe automaticamente fatto cadere tale indegna realtà sociale. Nella Lettera a Filemone, nella quale san Paolo intercede per lo schiavo convertito Onesimo, fuggito dal suo padrone, egli non predica al suo destinatario, Filemone, un cristiano di Colossi, la libertà del suo schiavo, ma gli ricorda i suoi doveri di umanità e raccomanda il rispetto e l'amore al precetto evangelico, che era concetto totalmente nuovo per l'antichità, della comune fratellanza e dell'uguaglianza di tutti gli uomini innanzi a Dio.

I Cristiani, dal canto loro, davano il buon esempio perché, nella Chiesa primitiva, gli schiavi godevano di tutti i diritti, privilegi e facoltà degli altri fedeli liberi. Quindi partecipavano senza discriminazioni alle assemblee liturgiche e, una volta liberati, potevano anche divenire vescovi. Persine un pontefice, san Callista I, che ha regnato dal 217 al 222, portava le stimmate di schiavo fuggitivo.

La Chiesa cercò di risolvere anche sul piano civile e politico il problema della schiavitù, adoperandosi in tutti i tempi per emancipare coloro che per diritto di guerra o per altri motivi erano divenuti schiavi. Così, con Costantino il Grande (274-337), non solo ottenne di far vietare il marchio a fuoco per gli schiavi ma, sempre in ossequio alle nuove idee evangeliche, lo convinse a ostacolare, con leggi contro l'infanticidio e l'abbandono e con aiuti fiscali alle famiglie bisognose (del 315 e 318), l'antica usanza dei padri romani di esporre i propri figli o di venderli, trasformandoli così in schiavi.

Vi furono poi durante l'età medievale diversi concili, sia universali sia locali, che adottarono numerose misure in favore degli schiavi, come il divieto per i padroni di infliggere loro pene troppo severe (ad es., la mutuazione o la requisizione dei loro risparmi), di usare le schiave come concubine, e per imporre la necessaria liberazione dal servaggio degli schiavi divenuti monaci o preti.

In questo modo la schiavitù come fenomeno di massa e con le terribili caratteristiche che aveva nel mondo pagano scomparve gradualmente, per ricomparire però all'alba dell'età moderna. Ma non per colpa dei Papi del XV e XVI secolo, come vorrebbero alcuni! Infatti, leggendo alcuni quotidiani o navigando su internet ci si imbatte in articoli e commenti nei quali si afferma che la schiavitù è stata teorizzata e legittimata dalla Chiesa con la bolla di Papa Niccolo V (1447-1455) Dum diversas del 1452. Scorrendo solo il web italiano si trovano lunghi saggi che attestano tali corbellerie come «Fu Il cristianesimo ad abolire la schiavitù?» oppure, per criticare addirittura Benedetto XVI, «Le amnesie angolane di Ratzinger a proposito di schiavismo».

È vero che il passaggio fra 1400 e 1500 fu uno dei periodi più difficili per la Chiesa, perché gli Stati nazionali presero a rivendicare la massima autonomia e talvolta, con offerte e minacce più o meno dirette, cercarono di piegarla ai loro voleri. Soprattutto all'epoca della scoperta dell'America, vi furono sovrani e notabili che tentarono con tutti i mezzi di allentare il martellamento di religiosi, Papi e vescovi per il rispetto della dignità degli indigeni che vietava il ricorso al loro asservimento e lo sfruttamento delle loro terre. Ma l'opposizione della Chiesa allo schiavismo e alle disumanità, nonostante la vulgata corrente, non è mai venuta meno, soprattutto per l'azione e il Magistero dei pontefici.

Si può menzionare a questo proposito anzitutto la bolla Sicut dudum di Eugenio IV del 1435, con la quale si intimava agli spagnoli giunti nelle Canarie di «riportare alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i sessi una volta residenti delle dette isole Canarie», sotto pena di scomunica. Poi la lettera di Pio II Rubicensem, del 1492, in cui il Papa condannava il vescovo della Guinea portoghese reo di aver commesso il "magnum scelus", cioè il grande crimine, di aver fatto schiavi centinaia di neri. Infine, la bolla di Paolo III del 1537 contro la schiavitù nel Nuovo Mondo Sublimis Deus, nella quale il Papa ricordava a quanti negavano l'umanità degli indigeni, sostenendo tale tesi con la bestialità dei loro sacrifici umani e del cannibalismo, che gli «indiani in verità sono uomini autentici», e che non è lecito a nessuno privare della libertà e delle proprietà «gli stessi indiani e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla nostra religione».

Ritornando alla citata Dum diversas, occorrerebbe prima di tutto inquadrarne il concetto-base di "giusta schiavitù", contestualizzandone la promulgazione. Infatti, come ha ricordato lo storico Francesco Pappalardo, tale bolla si rivolge unicamente al Re di Portogallo Alfonso V, che era allora a capo di un popolo artefice di «un'attività evangelizzatrice così intensa e feconda rispetto alla sua modesta consistenza come quello portoghese, che ha meritato da Papa Pio XII l'appellativo di "popolo crociato e missionario"». All'origine della Dum diversas vi fu quindi il riconoscimento da parte della Santa Sede del coraggioso impegno missionario dei portoghesi in tre continenti che si realizzava accordando al loro Re il possesso della costa occidentale africana e delle isole adiacenti, anche per il tributo di sangue pagato per strappare quelle terre agli islamici.

I musulmani, dal canto loro, come ha riconosciuto il sociologo protestante Rodney Stark, qui «raccoglievano un gran numero di schiavi [...] presi prigionieri in battaglia o catturati dai pirati». Quello che va rimarcato con la massima chiarezza, è che la bolla di Niccolo V non costituì una "autorizzazione i generale" alla schiavitù, ma un provvedimento concesso esclusivamente al Re e all'aristocrazia portoghese del tempo per i loro meriti storici nella difesa della Chiesa e del popolo cristiano.

Quello decisivo fra i documenti della Chiesa sulla schiavitù, in quanto arriva fino ai tempi attuali, è la citata bolla Sublimis Deus che, indirizzata a tutto il mondo cristiano e non a un Re o a un vescovo di una zona, ha annullato tutte le opinioni precedenti in materia, compresa quella tanto contestata ancora oggi del suo predecessore Niccolo V. Sentenziò quindi una volta per tutte Papa Paolo III: «indios veros homines esse» («gli indiani sono veri uomini»).

Nota di BastaBugie: per difendere le ragioni della fede, sono molto utili i Quaderni del Timone. Il primo della serie "La vera Chiesa è quella Cattolica", tratta un argomento classico dell’apologetica. Vengono qui offerte alcune prove per dimostrare che soltanto la Chiesa cattolica è la vera Chiesa edificata da Gesù Cristo. Ortodossi, protestanti, anglicani, valdesi e testimoni di Geova non possono fare altrettanto. Scritto con linguaggio chiaro e a tutti accessibile, il quaderno è utile per chi voglia consolidare le ragioni della sua appartenenza alla Chiesa cattolica, che ha come capo visibile il Romano Pontefice. Guarda il video di presentazione cliccando qui sotto:

http://www.youtube.com/watch?v=n3iPMwe4RbY 



Alcune considerazioni su Chiesa e schiavitù

Pubblicato 10 giugno 2013 | Da Francesco Agnoli

Per tanto tempo la storiografia sulla schiavitù è stata, per lo più, parziale e incompleta. Per due motivi. Da una parte perché si è privilegiato lo studio dello schiavitù praticata dagli europei e dai coloni americani in età moderna, ingenerando così in molti la convinzione che lo schiavismo sia stato un vizio tipicamente nostrano, una colpa limitata ad una sola epoca e ad alcuni singoli popoli.

Dall’altra perché gli stessi storici che, per motivi ideologici, hanno puntato i riflettori solamente sullo schiavismo europeo, nell’ambito della stessa forma mentis hanno privilegiato, rispetto ad una visione d’insieme, la ricerca di eventuali omissioni della Chiesa cattolica, sovente accusata di non essere stata “sufficientemente” contraria allo schiavismo stesso.

Per questo mi sembra necessario salutare con riconoscenza l’ennesima fatica di Rodney Stark, “A Gloria di Dio” (Lindau), che tra le altre cose tenta di proporre una visione globale dello schiavismo nella storia. Stark, sviscerando e comparando una sterminata quantità di studi famosi, con una lucidità e una capacità di sintesi straordinarie, riassume dunque alcuni fatti fondamentali. La constatazione basilare di Stark è che lo schiavismo “è stata una caratteristica quasi universale della ‘civiltà’, ma era anche comune in un certo numero di società aborigene sufficientemente ricche da potersela permettere”.

Anche Roma e la Grecia antiche prevedevano “un uso estensivo del lavoro degli schiavi”, considerati oggetti, beni di proprietà, e come tali privi di qualsiasi diritto e sottoposti all’arbitrio più totale da parte dei padroni. Si può aggiungere, come ampiamente dimostrato da Aldo Schiavone in “Spartaco. Le armi e l’uomo”, che in epoca pagana non esisteva neppure il sospetto che la schiavitù in quanto tale fosse iniqua: i ribelli come Spartaco miravano alla propria liberazione, non certo alla condanna della schiavitù medesima, che anzi praticarono in prima persona nel breve periodo della loro libertà.

Se dalla Roma e dalla Grecia pagane ci spostiamo nell’Islam, scopriamo che i “musulmani raccoglievano un gran numero di schiavi nelle regioni slave dell’Europa, come pure europei presi prigionieri in battaglia o catturati dai pirati”; inoltre catturarono sempre grandi quantità di schiavi africani, prediligendo la cattura di donne, per gli harem e la servitù domestica, di bambini e di adulti maschi che però spesso venivano “evirati al momento della cattura o dell’acquisto”.

Anche l’Islam, come pure i popoli politeisti, non ha mai conosciuto alcun movimento abolizionista, ma ha subito, al contrario, l’abolizionismo europeo dell’Ottocento, ad opera di schiere di missionari e della marina britannica. Se ci spostiamo poi nell’ Africa animista, i fatti sono ben conosciuti dagli esperti, ma piuttosto ignoti al grande pubblico: “molte delle società africane precoloniali, se non tutte, si reggevano su sistemi schiavistici”, ed anzi, lo schiavismo europeo si innestò sempre su quello islamico ed interafricano.

Solo dopo questo sguardo d’insieme, sostiene Stark, possiamo contestualizzare e comprendere le specificità dello schiavismo europeo moderno.

Riguardo al quale si può sostenere, in sintesi, che le condizioni peggiori furono vissute dagli schiavi dei britannici “anglicani”, dal momento che gli inglesi non solo erano ferocemente sfruttatori, ma non battezzavano neppure i loro schiavi, né cercavano di convertirli, perché, in fondo, così facendo, impedivano che fossero in qualche modo accomunabili, almeno di fronte a Dio, a loro stessi.

Al contrario, ad “avere la legge schiavista più umana” era la Spagna, “seguita dalla Francia”: questo a causa della influenza esercitata dalla Chiesa cattolica, in prima linea, in generale se non sempre in particolare, nella difendere la natura umana e di creature di Dio anche degli schiavi.

Stark si sofferma su alcune bolle papali spesso trascurate, dalla Sicut Dudum di Eugenio IV (1431-1447), a quelle di Pio II, Sisto IV e Paolo III (1534-1549), in cui lo schiavismo appare una colpa suggerita agli uomini da Satana stesso, il “nemico del genere umano”. “Il problema non era che la Chiesa non condannava la schiavitù, quanto piuttosto che erano in pochi ad ascoltarla”, e che questa condanna, assente nel resto del mondo, anche dall’Inghilterra anglicana o dalla Danimarca protestante, scatenò spesso le ire e le persecuzioni nei confronti dei cattolici più coraggiosi nel difendere il diritto alla libertà.

Stark conclude analizzando con cura il movimento abolizionista ottocentesco: mette in luce la sua unicità (non è nato mai nulla di simile in nessun’altra cultura), la sua carica di idealismo e la sua origine prettamente religiosa (si pensi solo al Wilberforce- http://it.wikipedia.org/wiki/William_Wilberforce, padre di quel vescovo Samuel Wilberforce, che si oppose al mastino di Darwin, T. Huxley). Tutto i leader abolizionisti ottocenteschi, americani ed inglesi in particolare, erano credenti e fondarono le loro argomentazioni su categorie evangeliche (Dio, Creazione, peccato…), e non su motivazioni filosofiche di altro tipo (si veda al riguardo Domenico Losurdo, Controstoria del liberalismo). Un’unica lacuna, nel preziosissimo testo di Stark: manca un’ analisi dell’ “abolizionismo” cristiano di età alto medievale, che, pur diverso da quello ottocentesco, fu però fenomeno di portata storica ben più rilevante Ne parleremo la volta prossima. continua (da Il Foglio, 7 luglio, 2011)

Commentavo, la volta scorsa, un capolavoro di Rodney Stark, “A Gloria di Dio”, e in particolare il capitolo sullo schiavismo. Notavo però la mancanza di una parte dedicata all’ “abolizionismo” dei primi secoli del cristianesimo. Stark non ha forse affrontato l’argomento per un motivo: è la storiografia contemporanea che, faticando a comprendere le categorie religiose, trascura da anni questo tema.

L’abolizionismo ottocentesco, infatti, procedette per petizioni pubbliche, pressioni politiche, leggi, addirittura guerre (la guerra civile americana e le guerra della marina britannica e francese contro schiavismo islamico): fu dunque un fenomeno ben comprensibile alla mentalità occidentale di oggi.

Al contrario, l’ “abolizionismo” dei primi secoli si concretizzò nel cambiamento, graduale, di concezione teologica ed antropologica, senza guerre, né petizioni, né coinvolgimento, se non secondario, di governi. Per questo diversi storici contemporanei mettono tutti in luce la novità portata dal cristianesimo riguardo alla schiavitù, sottolineano la grandezza del messaggio paolino (“Non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero”), talora elencano anche i singoli aspetti benefici che derivarono agli schiavi dall’azione della Chiesa, ma concludono, erroneamente, che la Chiesa accettò in qualche modo la schiavitù, benché moderata, mutata, corretta.

Una simile lettura storica nasce della incapacità del pensiero moderno, abituato alle rivoluzioni politiche, di intendere una “rivoluzione” religiosa. Quando san Paolo o alcuni uomini di Chiesa invitavano i padroni a rispettare i loro schiavi, e gli schiavi ad obbedire ai loro padroni, questo non significa che riconoscessero, in qualche modo, la schiavitù, ma che perseguirono uno svuotamento dall’interno di questa istituzione, attraverso la trasformazione del cuore e della mente dei loro contemporanei. Il primo atto di “abolizionismo” cristiano non fu la “lotta di classe” (da cui sono sorti solo gulag e schiavismo di Stato), bensì la proclamazione di una verità di fede, contenuta nella preghiera stessa di Cristo: il Padre Nostro.

Se infatti siamo tutti figli dello stesso Padre, è giocoforza riconoscere la nostra uguaglianza dinnanzi a Lui. Per questo Marc Bloch nota giustamente che il solo sedere accanto, durante la liturgia divina, di padrone e schiavo cristiani, fu una rivoluzione culturale immensa. Lo schiavo, figlio anche lui del “Padre Nostro”, non era più da meno di una porta (Plutarco), neppure un mero instrumentum vocale (Catone), ma era, appunto nientemeno che figlio di Dio.

Così nella Lettera di Barnaba si poteva leggere: “Non comandare amaramente alla schiava o allo schiavo tuo che sperano nello stesso Dio, onde non ti avvenga di non temere Dio che è sopra te e sopra loro”; analogamente Lattanzio affermava che padroni e servi “sono pari” perché “fratelli”, mentre Clemente Alessandrino insegnava: “Gli schiavi debbonsi adoperare come noi adoperiamo noi stessi, giacché sono uomini come noi, e Dio è eguale per tutti, liberi e schiavi”.

Dal canto suo Cirillo Alessandrino ricordava che “in Cristo Gesù non c’è né servo né libero”, mentre sulle iscrizioni funerarie cristiane se è raro il caso che venga espressa la condizione di liberto, non si è mai trovata quella di schiavo. Come dimenticare, poi, che Cristo stesso morì sulla croce, cioè con la terribile pena destinata, allora, solamente agli schiavi?

Fu dalla visione teologica cristiana, dunque, che derivò il progressivo sgretolarsi dello schiavismo romano, che era sì già in crisi, ma non certo defunto; fu per questa stessa fede che Costantino vietò la crocifissione, i giochi gladiatorii negli stadi, dove gli schiavi venivano divorati dalle belve, il marchio a fuoco sugli schiavi stessi e la vendita dei bambini esposti.

Mentre l’imperatore legiferava, e i sinodi riconoscevano agli schiavi sempre più diritti -al matrimonio, all’asilo ecclesiastico, alla domenica libera, ecc.- Agostino, Ambrogio e tanti altri invitavano i cristiani ad affrancare i loro servi; ne riscattavo loro stessi, vendendo beni ecclesiastici; ammonivano a non utilizzare le serve, come avveniva nei tempi del paganesimo, come puri strumenti di piacere, a non arricchirsi a danno degli altri, a non disprezzare il lavoro manuale (sino ad allora prerogativa, appunto, degli schiavi); ricordavano i detti evangelici, così poco conformi alla mentalità schiavista pagana: “Guai a voi ricchi”; “Beati voi poveri, perché vostro è il regno dei cieli”…

Fu così che si sgretolò il sistema schiavistico antico, e che non solo si liberarono migliaia di schiavi, ma si introdusse l’idea stessa, del tutto nuova, secondo cui la schiavitù è una istituzione ingiusta, perché negatrice di una verità ontologica. Il cristianesimo non fu dunque un messaggio sociale, e solo poi religioso; non fu neppure la promessa di liberazione solo nell’aldilà, come scrisse Engels.

Fu la proposta di una teologia che portò, con sé, inevitabilmente, un effetto sociale: la liberazione di molti dalla schiavitù del peccato fu anche, per molti altri, la liberazione dalla schiavitù fisica, perché è la prima che causa la seconda, e non viceversa. Il Foglio, 14 luglio 2011

 

Documenti:

Per il ruolo, evidente, della Chiesa nella sconfitta della schiavitù e nella diffusione dell’idea di uguaglianza in età imperiale e medievale: Guido Clemente, Guida alla storia romana; J.Andreau e R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, 2006; U. Paoli, Vita romana,1982; March Bloch, La servitù nella società medievale, 1993;H.J. Barman,Diritto e rivoluzione, 2006; Marta Sordi, Paolo a Fimenone…).


Su sant’Agostino e la schiavitù:

CLICCARE QUI

 

Documenti papali:

1) La Sicut dudum in inglese: http://www.papalencyclicals.net/Eugene04/eugene04sicut.htm

2) La Sublimis Deus

 

Testo latino

Indos in servitutem redigere prohibetur

Christus missionarios suos ad omnes gentes mittit. Omnes dixit, absque omni delectu, cum omnes fidei disciplinae capaces existant. Diabolus modum excogitavit hactenus inauditum, quo impediret ne verbum Dei Indis praedicaretur, commovens quosdam suos satellites ut eos in servitutem redigant quia homines non sint sed bruta animalia. Summus Pontifex declarat Indos veros homines et fidei christianae capaces esse, immo ad fidem ipsam promptissime currere et prohibet eos libertate ac rerum suarum dominio privare et in servitutem redigere, etiamsi extra fidem existant. Infine Summus Pontifex decernit Indos et alias gentes ad fidem convertere.

Paulus III

 

Universis christifidelibus praesentes litteras inspecturis salutem et apostolicam benedictionem. Veritas ipsa [Cfr. BM XXIV 9: haec bulla ab aliis citatur verbis Sublims Deus vel Excelsus Deus, cum diversis quoque diebus. – Exemplum huius bullae exstat: Sevilla, Archivo General de Indias, Patronato, legajo 1, ramo 38.], quae nec falli, nec fallare potest, cum Praedicatores fidei ad officium praedicationis destinaret, dixisse dignoscitur: euntes, docete omnes gentes, omnes dixit absque omni delectu, cum omnes fidei disciplinae capaces existant quod videns et invidens ipsius generis humani aemulus, qui bonis operibus, ut pereant semper adversatur, modum excogitavit hactenus inauditum, quo impediret, ne verbum Dei gentibus ut salvae fierent, praedicaretur; ac quosdam suos satellites commovit, qui suam cupiditatem adimplere cupientes occidentales et meridionales Indos et alias gentes quae temporibus istis ad notitiam nostram pervenerunt, sub praetextu, quod fidei catholicae expertes existant, uti bruta animalia ad nostra obsequia dirigendos esse, passim asserere praesumant et eos in servitutem redigunt tantis afflictionibus illos urgentes quantis vix bruta animalia illis servientia urgeant. Nos igitur, qui eiusdem Domini nostri vices, licet indigni gerimus in terris et oves gregis sui nobis commissas, quae extra eius ovile sunt, ad ipsum ovile toto nixu exquirimus, attendentes Indos ipsos, ut pote veros homines, non solum christianae fidei capaces existere, sed ut nobis innotuit ad fidem ipsam promptissime currere, ac volentes super his congruis remediis providere, predictos Indos et omnes alias gentes ad notitiam christianorum in posterum deventuras, licet extra fidem christianam existant, sua libertate ac rerum suarum dominio huiusmodi uti et potiri et gaudere libere et licite posse, nec in servitutem redigi debere, ac quidquid secus fieri contigerit irritum et inane, ipsosque Indos et alias gentes verbi Dei praedicatione et exemplo bonae vitae ad dictam fidem Christi invitandos fore, auctoritate Apostolica per praesentes litteras decernimus et declaramus, non obstantibus praemissis caeterisque contrariis quibuscumque.

datum Romae anno 1537, quarto nonas iunii, pontificatus nostri anno 3°.

 

Testo italiano

 

A tutti i fedeli cristiani che leggeranno questa lettera salute e benedizione apostolica. Il Dio sublime tanto amò la razza umana che creò l’uomo in maniera tale che non solamente potesse partecipare del bene di cui godono le altre creature, ma fosse anche dotato della capacità di arrivare a raggiungere il bene supremo invisibile ed inaccessibile e di contemplarlo faccia a faccia; e per quanto l’uomo, in accordo con la testimonianza delle Sacre Scritture, sia stato creato per godere della felicità della vita eterna che nessuno può conseguire se non attraverso la fede in Nostro Signore Gesù Cristo, è necessario che possieda le doti naturali e la capacità per ricevere questa fede; e chiunque di tali doti sia provvisto deve essere capace di ricevere la stessa fede. Né è credibile che esista alcuno con così poco intendimento da desiderare la fede e tuttavia essere privo delle facoltà necessarie per ottenerla. Dunque Gesù Cristo, che è la verità stessa che non ha mai errato né può errare, disse ai predicatori della fede da lui prescelti per quel compito :”Andate ed insegnate a tutte le genti”.
A tutti, disse, senza eccezione, posto che tutti sono capaci di essere istruiti nella fede; la qual cosa vedendo il nemico del genere umano, che si oppone sempre alle buone opere per portare gli uomini alla distruzione, provando invidia verso il genere umano, inventò un metodo fino ad allora inaudito per impedire che la parola divina di salvezza fosse predicata alle genti per la loro salvezza e incitò alcuni dei suoi accoliti, che per compiacerlo si trovarono ad affermare che gli indios occidentali e meridionali ed altre genti di cui abbiamo recente conoscenza, con il pretesto che ignorano la fede cattolica, debbono essere sottoposti alla nostra obbedienza come se fossero animali e li ridussero in servitù, obbligandoli con tante sofferenze come quelle che si usano con le bestie.

Noi che, sebbene indegni, esercitiamo sulla terra le veci di Nostro Signore e che con tutte le forse cerchiamo di portare all’ovile del suo gregge quanti ci sono stati affidati e che sono fuori dal riparo affidato alla nostra cura, consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all’autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore; [allo stesso modo dichiariamo] che i detti indios ed altre genti debbono essere invitati ad abbracciare la fede in Cristo a mezzo della predicazione della parola di Dio e con l’esempio di una vita edificante, senza che alcunché possa essere di ostacolo.

 

Data in Roma, l’anno 1537, anno III del nostro pontificato

3)La Commissum nobis di Urbano VIII

http://it.wikipedia.org/wiki/Commissum_Nobis_(bolla)

4) La Quoniam africanarum di Bendetto XV:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xv/letters/documents/hf_ben-xv_let_19160202_quoniam-africanarum_it.html

5) In supremo apostolatus di Gregorio XVI:

http://it.wikipedia.org/wiki/In_Supremo_Apostolatus

6) La In plurimis di Leone XII

http://www.vatican.va/holy_father/leo_xiii/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_05051888_in-plurimis_it.html

7) La Mit Brennender sorge di Pio XI (contro il neopaganesimo nazista e la sua visione razzista):

http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_14031937_mit-brennender-sorge_it.html

(un passo: “…Questo Dio ha dato i suoi comandamenti in maniera sovrana: comandamenti indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza. Come il sole di Dio splende indistintamente su tutto il genere umano, così la sua legge non conosce privilegi né eccezioni. Governanti e governati, coronati e non coronati, grandi e piccoli, ricchi e poveri dipendono ugualmente dalla sua parola. Dalla totalità dei suoi diritti di Creatore promana essenzialmente la sua esigenza ad un’ubbidienza assoluta da parte degli individui e di qualsiasi società. E tale esigenza all’ubbidienza si estende a tutte le sfere della vita, nelle quali le questioni morali richiedono l’accordo con la legge divina e con ciò stesso l’armonizzazione dei mutevoli ordinamenti umani col complesso degli immutabili ordinamenti divini.

Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, re e legislatore dei popoli, davanti alla cui grandezza le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua…”)

Ce ne sono molte altre che testimoniano quello che gli storici del tema hanno ben chiaro: l’Europa cristiana vide una abrogazione quasi totale della schiavitù, propria di tutto il mondo antico, per alcuni secoli; poi conobbe un ritorno, ma mentre in tutte le altre società e civiltà (Islam, Africa, Cina…) la schiavitù era normale, e non si levavano voci contro di essa, in Europa il dibattito fu sempre vivo, tanto che sempre dall’Europa viene l’abolizionismo, quello di missionari e pontefici, ma anche quello dei movimenti evangelici di Wilberforce ecc…




[Modificato da Caterina63 18/05/2017 09:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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18/05/2017 09:50
 
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  Il Cristianesimo abolì la schiavitù

Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,28)

Natalia Ginzbur, ebrea e atea, dalle colonne dell'Unità il 22 Ottobre 1988, disse:
"Il crocifisso non genera alcuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana che ha sparso per il mondo l’idea di eguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. Il crocifisso rappresenta tutti perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono eguali e fratelli di tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi".

Non ci può essere dubbio che l'idea di eguaglianza essenziale tra tutti gli esseri umani è una idea essenzialmente e originalmente cristiana: chiamando Dio col nome di Padre, tutti i suoi figli sono fratelli, quindi non ci può essere disuguaglianza. 
Il cardine fondamentale della legge morale cristiana è infatti l'amore del prossimo: amare gli altri, senza distinzione di ceto, sesso o razza, come sé stessi. 

La sparizione della schiavitù è una della più clamorose e stupefacenti rivoluzioni. Un evento unico in quanto la schiavitù esisteva da sempre, tanto da essere ritenuta naturale, un “diritto”. 

  1. Gustave Bardy (uno dei più grandi e recenti studiosi di Patrologia) descrive la situazione di Roma, patria del diritto, prima dell’arrivo del Cristianesimo:
    “All’ultimo posto della società e, almeno in alcuni casi, più vicini agli animali che all’uomo, ci sono gli schiavi. 
    Essi non sono persone, ma cose, beni di proprietà che si acquistano e vendono, che si utilizzano a discrezione e da cui ci si separa una volta che si cessa di averne bisogno. La legge riconosce agli schiavi alcun diritto civile, così come lo schiavo non è autorizzato a fondare una famiglia, altrettanto è impedito dall’accedere ai culti nazionali"

    (La conversione al cristianesimo nei primi secoli, Jaca Book 2002, pag. 19-20)

La Chiesa primitiva sosteneva che lo schiavo fosse uguale all'uomo libero, poichè anch'esso figlio di Dio. Ma i primi cristiani non avevano ancora il potere per stravolgere l’ordine sociale vigente e poterono limitarsi solo a raccomandare il buon trattamento degli schiavi, e ad essi chiedevano di non odiare, e rispettare i loro padroni poiché anch'essi figli di Dio e in questo modo diventare più "liberi" degli stessi uomini romani. Insomma, come si vede dalle lettere di san Paolo, era chiesto di seguire l'insegnamento di Gesù: amare gli altri come sè stessi, perfino i propri nemici (1 Timoteo 6,1). 

Via via che il Cristianesimo dilagò per il mondo potè cominciare, attraverso i suoi valori morali nel magistero pontificio e nei catechismi, ad attenuare le dure leggi e le abitudini severe del mondo romano per migliorare successivamente le condizioni degli schiavi, che ottennero nel tempo una certa dignità morale, fino allo smantellamento della condizione di schiavitù. Tutto questo senza "colpi di stato" o manifestazioni di piazza, ma dimostrando quanto fosse più umano imitare l'esempio di comportamento di Gesù Cristo.

  1. Nel suo testo, il grande filosofo, critico letterario e antropologo René Girard, mostra come tutte le civiltà precristiane si fondavano sul rito sacrificale del capro espiatorio e sulla pratica culturale dei “sacrifici umani” (nelle religioni pagane, e come meccanismo sociale e politico nello schiavismo o nella pratica di guerra). 
    E afferma: "I Vangeli si riveleranno da sé potenza universale, demitizzando e distruggendo i meccanismi della persecuzione e della colpevolizzazione della vittima. Tutto questo è stato spazzato via e che lo si sappia o no, responsabili di questo crollo sono i Vangeli" 
    (Girard, Il capro espiatorio, Adelphi 1999, pag. 164-165).
  1. Anche il filosofo tedesco Immanuel Kant era convinto che "il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra cultura, tutto ciò che noi chiamiamo la civliltà".

La sparizione della schiavitù non segue una riforma sociale o politica, non proviene dall’eredità della cultura classica (infatti teorizzavano lo schiavismo sia i filosofi greci che il diritto romano), né era patrimonio della tradizione ebraica, tantomeno apparteneva alla cultura islamica, non è stato l’esito di un progresso civile, di un’evoluzione storica, bensì  all’origine del concetto di libertà c'è un uomo: Gesù di Nazareth.

Con l’avvento del cristianesimo fu infatti proclamata la totale uguaglianza –in forza di Cristo- di ebrei e pagani, uomini e donne, schiavi e liberi. Questo annuncio di liberazione raggiunse il mondo intero grazie alla missione della Chiesa. L'esempio di Gesù irrompe nella storia e attraverso i cristiani si fa scudo degli uomini indifesi, da origine a comunità dentro le quali, e per la prima volta, non c'è lo schiavo ma la persona umana avente gli stessi diritti degli altri nella comunità, a cominciare dai Sacramenti e persino nel ruolo di presbitero e vescovo, ruoli che nelle religioni pagane erano affidati alle caste.

E’ particolarmente significativo nel XV° secolo l’impegno dei Trinitari, sorti nel 1198 con l’approvazione di Innocenzo III°, che liberarono, nel periodo della loro attività circa 900.000 schiavi cristiani, lasciando se stessi in cambio. Persino Voltaire riconosceva la bellezza di questa storia esaltante.

  1. Leon Bloy, scrittore e saggista storico francese, afferma: "Gesù sta al centro di tutto, assume tutto e si fa carico di tutto, tutto soffre. E’ impossibile oggi colpire un qualunque essere senza colpire lui, è impossibile umiliare qualcuno o annientarlo, senza umiliare lui, maledire o assassinare uno qualsiasi, senza maledire o uccidere Lui". 
    (Josè Descalzo, Gesù di Nazareth, pag. 25-26).

Dopo la scoperta dell'America si ripropose il problema della schiavitù, Papa Paolo III non esitò a condannare chiunque usasse violenza sugli Indios colonizzati (vedi qui). 

Giuristi e filosofi, nel XV° secolo, dichiararono legale la schiavitù dei neri. La Chiesa, da sola, si oppose nuovamente condannando la schiavitù: papa Urbano IIX, con la bolla del 22 aprile 1639 e in modo definitivo da Gregorio XVI° con la lettera “In supremo” del 1839, affermarono: "In virtù della nostra autorità riproviamo il traffico dei negri come indegno del nome Cristiano. In virtù di questa stessa autorità proibiamo e interdiciamo ad ogni ecclesiastico o laico di considerare il traffico dei negri come lecito e sotto qualsiasi pretesto di predicare o insegnare in pubblico o in qualunque altro modo una dottrina in contrasto con quella apostolica" (Gregorio XVI, In Supremo).

Durante il Concilio Vaticano I° (1870) il vescovo Daniele Comboni si battè contro la schiavitù ed il mercato degli schiavi in Egitto.
Era convinto che non si poteva eliminare lo schiavismo a base di trattati come pensavano di fare le nazioni europee e scrisse: "l’abolizione della schiavitù decisa dalle potenze europee a Parigi nel 1856 è lettera morta per l’Africa centrale, propongo la scomunica ai cristiani che cooperano alla tratta degli schiavi, di non restituire gli schiavi che fuggono e che si rifugiano nelle missioni cristiane e di fronte alle proteste dei padroni, di andare in tribunale forti della legge abrogazionista egiziana".

In occasione dei 500 anni dall’invasione dell’America, Giovanni Paolo II°, durante la visita all’isola di Gorè, in Senegal, uno dei porti dove gli schiavi erano venduti all’asta, volle, nonstante tutto l'impegno della Chiesa nei secoli, chiedere agli africani di perdonare il crimine inumano commesso da coloro che si dicevano cristiani, ma che erano lontani dall'insegnamento di Cristo e della Chiesa.

    1. Queste evidenze storiche hanno permesso all'atea Margherita Hack di affermare: "Gesù è stato certamente la maggior personalità della storia. Il suo insegnamento, se è resistito per 2000 anni, significa che aveva davvero qualcosa di eccezionale: ha trasmesso valori che sono essenziali anche per un non credente". (Dove nascono le stelle, Sperling & Kupfer, Milano 2004, pag. 198).

    2. Il grande storico e politico Benedetto Croce affermò: "Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo"
      (Dialogo su Dio: Carteggio, 1941-1952)
    3. .

  1. Anche l'ateo Albert Camus affermò:"Io non credo nella resurrezione però non posso nascondere l’emozione che sento di fronte a Cristo e al suo insegnamento. Di fronte a lui e di fronte alla sua storia non provo che rispetto e venerazione".

Questa messa al bando della logica dei “sacrifici umani” (a cui apparteneva lo schiavismo) non solo non fece decadere la società, come riteneva Nietzsche (una frase è rimasta famosa: "L'abolizione della schiavitù, presunto contributo alla "dignità dell'uomo", è in realtà l'annientamento di una stirpe profondamente diversa, mediante l'affossamento dei suoi valori e della sua felicità"qui un articolo interessante in merito), 
ma fece fare un balzo a tutto lo sviluppo tecnologico. (Vedi qui). 

  1. Chiudiamo con una frase del grande stoico e filosofo francese Leon Poliakov: "Purtroppo con la frattura protestante, l’avvento della cultura laica, illuminista [l'inizio dell'ateismo] e l’indebolimento della Chiesa, tornerà purtroppo a dominare l’ideologia razziale della diseguaglianza tra gli esseri umani. Addirittura giustificata con teorie scientifiche"(Leon Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999).

Riferimenti:
  1. Enciclopedia online Treccani (sotto la voce "decadenza della schiavitù tradizionale").
  1. Sito interessantissimo dal punto di vista della verità storica: Culturanuova.
  1. Indagine su Gesù, Antonio Socci, Rizzoli 2008.

SI LEGGA ANCHE QUI




La Chiesa accettò o si oppose alla schiavitù?

Pubblichiamo la conclusione del libro La Chiesa e gli schiavi (EDB 2016), ampliamento della tesi di laurea in Antropologia (UniBo 2015, col medievista prof. Leardo Mascanzoni, che ha curato la prefazione) del nostro articolista Roberto Reggi, realizzato con l’aiuto del latinista Filippo Zanini e dell’antichista Gian Battista Cairo. Il testo raccoglie tutte le fonti (circa 250) del magistero ecclesiale sul tema della schiavitù, di cui ci siamo più volte occupati, evidenziando l’efficacia della dottrina cristiana nell’abolizione di questo istituto altrimenti universale.

Quanto al rapporto tra schiavitù e Chiesa cattolica, la storiografia sembra in definitiva risentire di una certa polarizzazione ideologica. Da un lato, documenti ecclesiali e monografie apologetiche e filocattoliche tendono a presentare la Chiesa come integerrima paladina della libertà, dato che fin dai suoi esordi si è battuta per la mitigazione della schiavitù, l’emancipazione degli schiavi, e poi l’abolizione vera e propria, sia nel medioevo che nell’età moderna. Dal lato opposto, testi di stampo anticlericale la presentano come pienamente connivente con la schiavitù, dato che ha più volte condannato la liberazione generalizzata e ha tratto sostentamento dal lavoro di schiavi impiegati in fondi ecclesiastici del medioevo e oltre.

Ma in estrema sintesi come stanno le cose? La Chiesa cattolica fu schiavista o antischiavista? Dati e fonti alla mano, la risposta giusta è: dipende da cosa si intende per schiavitù. Anche se le fonti occidentali usano prevalentemente il termine servus, troppo facilmente fatto corrispondere al moderno «schiavo», la servitù non è mai stata socialmente, dottrinalmente e pastoralmente intesa come un’unica e monolitica istituzione.

È infatti doverosa la distinzione teorica tra:
‒ schiavitù ingiusta: cioè l’asservimento di civili innocenti, catturati, deportati, comprati e venduti, usati e abusati. Questa non è mai stata giustificata e incoraggiata dall’insegnamento cattolico ma, anzi, è stata ripetutamente condannata, in particolare in occasione della tratta mediterranea e soprattutto della tratta atlantica;
‒ servitù giusta, ripartita tra: servitù penale, cioè la privazione della libertà come conseguenza di crimini, quando non esisteva ancora l’istituto carcerario; servitù bellica per i prigionieri che non venivano uccisi, quando non esistevano ancora campi di internamento per prigionieri, in particolare i nemici pagani e saraceni incontrati nell’esplorazione dell’Africa atlantica; servitù economica e volontaria, cioè il rapporto subordinato e a tempo indeterminato tra un sottoposto e un padrone che gli doveva garantire tutela giuridica, protezione militare, mezzi di produzione (in essa va inclusa la categoria storiografica dei «servi della Chiesa», che non erano affatto una forma di schiavitù, ma durante i secoli feudali hanno garantito il sostentamento a persone ed enti ecclesiali, in maniera analoga a quanto avveniva in ambito secolare).

La schiavitù ingiusta è stata considerata illegittima dall’insegnamento cattolico principalmente sulla base di alcuni temi teologici: la naturale uguaglianza degli uomini derivati da un unico creatore; lo stato di originaria e naturale libertà; la redenzione e liberazione operata da Cristo; nonché per motivi di compassione morale che si potrebbero definire caritatevoli o filantropici.

In questo senso la prima condanna contro l’ingiusta schiavitù di persone libere, cristiani o meno, può essere trovata già nel Nuovo Testamento, con la condanna paolina dei «mercanti di uomini» (1Tm 1,10); tra i padri, prima l’orientale Gregorio di Nissa († 394), poi l’occidentale Agostino († 430). Tra i concili ecclesiali la prima esplicita condanna si ha col concilio di Reims (625), tra i papi con Giovanni VIII (†882), ma per una condanna solenne, autorevole, universale, fondata sui temi antropologici e teologici suddetti, occorre attendere la Creator omnium di papa Eugenio IV (17 dicembre 1434).

Invece la servitù giusta è stata variamente legittimata (inevitabile conseguenza, male minore, provvidenziale disposizione divina) come derivata dal peccato originale e dai peccati personali degli uomini, inclusi crimini, guerre e ingiustizie sociali; ritenuta appropriata e legittima non sul piano giuridico del diritto naturale (assoluto, originale e voluto da Dio), ma su quello del diritto delle genti (relativo, contingente e voluto dagli uomini). Questa convinzione cristiana ha segnato un radicale distacco dalla concezione classica sintetizzata da Aristotele, il quale intendeva la schiavitù (con la considerazione dello schiavo come un mero «strumento animato») come logica e naturale. Circa la servitù giusta può essere utile precisare che, pur con le debite differenze storicamente contingenti, a livello assoluto e teoretico anche le società contemporanee presentano istituzioni affini: la privazione di libertà dei criminali, eventualmente da impiegare in lavori forzati; la riduzione in prigionia di aggressori e nemici esterni alla nazione; la sottoscrizione di un contratto lavorativo a tempo indeterminato, dove il «padrone» fornisce mezzi di produzione per il mantenimento dei sottoposti.

In entrambi i casi (schiavitù ingiusta e servitù giusta), l’insegnamento cattolico ha frequentemente esortato i sottoposti all’accettazione della condizione acquisita, i superiori al trattamento fraterno e non violento dei sottoposti, e ripetutamente valorizzato la meritoria azione di liberazione. Se non si riconosce questa distinzione tra schiavitù ingiusta e servitù giusta, non si capisce come mai in molti concili e autori sono presenti riflessioni e disposizioni al contempo sia favorevoli che contrarie alla servitù: ad esempio Agostino, Gregorio Magno, Tommaso, e i papi Alessandro III, Callisto III, Sisto IV, Paolo III, Pio V, Urbano VIII, Innocenzo XI, Pio VI, Pio IX.

Questa conclusione lascia spazio a due domande non indifferenti, per le quali un’esaustiva risposta meriterebbe molte altre pagine di discussione.
Prima domanda: se il cristianesimo ha considerato ingiusto l’asservimento di persone innocenti sulla base dei principi della comune natura e originaria libertà, perché anche l’Islam (che condivide gli stessi principi) non è riuscito a produrre simili anticorpi teorici contro la schiavitù? Nello specifico, perché per secoli truppe e flotte islamiche hanno liberamente razziato e asservito pagani e cristiani, mentre i tentativi opposti da parte di potenze cristiane sono andati incontro a (fattivamente inutili) condanne religiose? Perché sono stati presenti dal medioevo istituti di redenzione cattolici che hanno fatto la spola con le coste nordafricane per redimere centinaia di migliaia di cristiani, mentre lo stesso non è avvenuto da parte islamica? Perché sono stati moschetti e fregate occidentali a porre fine alla tratta islamica nell’oceano Indiano, mentre il contrario non è accaduto con la tratta atlantica «cristiana»?

Una possibile risposta. È vero che le tre religioni monoteiste condividono la fede in un unico Creatore, per il quale tutti gli uomini sono naturalmente uguali. È vero anche che per esse la liberazione di uno schiavo è considerata un’azione moralmente meritoria, al pari dell’elemosina ai poveri. Ma è vero soprattutto che ad esempio Gesù, Pietro, Paolo, non possedettero schiavi, né esortarono a farlo per il presente o l’avvenire. Lo stesso non vale per Maometto e per gli insegnamenti contenuti nel Corano, i quali costituiscono l’unico piano normativo legittimo: la legge islamica (sharī’a) ha valore sia religioso che civile, è impensabile una scissione (come per la tradizione cristiana) tra diritto naturale e diritto positivo.

Seconda domanda: se il cattolicesimo ha continuamente riprovato la schiavitù ingiusta, cioè tratta, deportazione e asservimento di uomini donne e bambini innocenti, come mai in epoca moderna questa è stata la fisiologica costante dei possedimenti oltremare delle potenze cattoliche, nello specifico la nuova Spagna e soprattutto il Brasile portoghese?

Il motivo può essere cercato nelle pressioni per il mantenimento della schiavitù esercitate dalle autorità civili sulla Chiesa, la quale nei secoli è stata di fatto tutt’altro che autonoma e potente. In tal senso possono essere citati tre casi paradigmatici. L’anglosassone concilio di Berkhamsted (697), unico pronunciamento ecclesiale nel quale viene accettata (non legittimata, né esortata) la tratta -cioè che un servo sia rapito e rivenduto o venduto oltremare-, precisa che questa prassi «piacerà al re» (regi placuerit). Espressione anomala nei pronunciamenti conciliari: quando in essi viene citata un’auctoritas si legge piuttosto «in questo sacrosanto concilio decretiamo e stabiliamo che…», o simili. Quasi a dire che quei vescovi legittimarono la tratta schiavista, ma obtorto collo e a compiacimento del re. Ancora, nella Roma rinascimentale, che aveva da poco patito il «protestante» sacco del 1527, papa Paolo III con la Pastorale officium (1537) condannava con scomunica la schiavitù degli amerindi. Condanna che lo stesso papa dovette revocare l’anno seguente (Non indecens videtur, 1538) per la protesta dello spagnolo Carlo I.

Dello stesso papa, che evidentemente non era padrone neanche in casa sua, va ricordato il decreto di liberazione degli schiavi dell’urbe (Novimus quod, 1535), che fu poi costretto a ritrattare (1548) per le pressioni dei conservatori (governatori). Rodney Stark così commenta le ripetute e inconcludenti condanne: «Ciò dimostra chiaramente la debolezza dell’autorità papale in quell’epoca, non l’indifferenza della Chiesa di fronte al peccato della schiavitù». Le pressioni esercitate sui papi, che promulgarono comunque ripetuti divieti e ricorrenti condanne anche con scomunica, dovevano essere molto più forti ed efficaci sui vescovi locali che dovevano applicare tali provvedimenti, questo perché per secoli nella nomina e nel mantenimento della carica dei pastori locali un ruolo preponderante era giocato dai regnanti e dalle autorità civili (cf. la quarta delle piaghe della Chiesa descritte da Rosmini). Così i vescovi furono più attenti alle pressioni di latifondisti, fazendeiros terrieri e governatori locali, invece che alle condanne teologiche e morali del lontano vescovo di Roma. Non a caso, nel nuovo mondo i più fermi avversari di schiavitù e tratta non furono chierici diocesani ma esponenti di ordini religiosi, in primis domenicani (come Bartolomeo de las Casas) e gesuiti, legati in misura minore alle logiche secolari.


Qui l’articolo originale: Aleteia.org



 

[Modificato da Caterina63 18/05/2017 11:04]
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CATHOLICAE ECCLESIAE


LETTERA ENCICLICA 
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

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Ad ogni Vescovo del mondo cattolico.
Il Papa Leone XIII. Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.

La Chiesa cattolica, che abbraccia tutti gli uomini con carità di madre, quasi nulla ebbe più a cuore, fin dalle sue origini, come tu sai, Venerabile Fratello, che di vedere abolita e totalmente eliminata la schiavitù, che sotto un giogo crudele teneva moltissimi fra i mortali. Infatti, diligente custode della dottrina del suo Fondatore, che personalmente e con la parola degli Apostoli aveva insegnato agli uomini la fratellanza che li stringe tutti insieme, come coloro che hanno una medesima origine, sono redenti con lo stesso prezzo, e sono chiamati alla medesima eterna beatitudine, la Chiesa prese nelle proprie mani la causa negletta degli schiavi, e fu la garante imperterrita della libertà, sebbene, come richiedevano le circostanze e i tempi, si impegnasse nel suo scopo gradualmente e con moderazione. Cioè, procedeva con prudenza e discrezione, domandando costantemente ciò che desiderava nel nome della religione, della giustizia e della umanità; con ciò fu grandemente benemerita della prosperità e della civiltà delle nazioni.

Nel corso dei secoli non rallentò mai la sollecitudine della Chiesa nel ridonare la libertà agli schiavi; anzi, quanto più fruttuosa era di giorno in giorno la sua azione, tanto più aumentava nel suo zelo. Lo attestano documenti inconfutabili della storia, la quale per tale motivo designò all’ammirazione dei posteri parecchi Nostri antecessori, fra i quali primeggiano San Gregorio Magno, Adriano I, Alessandro III, Innocenzo III, Gregorio IX, Pio II, Leone X, Paolo III, Urbano VIII, Benedetto XIV, Pio VII, Gregorio XVI, i quali posero in opera ogni cura perché l’istituzione della schiavitù, dove esisteva, venisse estirpata, e là dove era stata sterminata non rivivessero più i suoi germi.

Una così gloriosa eredità, lasciataci dai Nostri predecessori, non poteva essere ripudiata da Noi, per cui non abbiamo tralasciato alcuna occasione che Ci si offrisse di biasimare apertamente e di condannare questo flagello della schiavitù; espressamente ne abbiamo trattato nella epistola scritta il 5 maggio 1888 ai Vescovi del Brasile, con la quale Ci siamo congratulati per quanto essi avevano con lodevole esempio operato pubblicamente in quel paese per la libertà degli schiavi, e insieme abbiamo dimostrato quanto la schiavitù si opponga alla religione ed alla dignità dell’uomo.

Invero, quando scrivevamo tali cose, Ci sentivamo fortemente commossi per la condizione di coloro che sono soggetti all’altrui dominio; e molto più raccapriccio provammo al racconto delle tribolazioni da cui sono oppressi tutti gli abitanti di alcune regioni del centro dell’Africa. È cosa dolorosa ed orrenda constatare, come abbiamo saputo da sicure informazioni, che quasi quattrocentomila Africani, senza distinzione di età e di sesso, ogni anno sono violentemente rapiti dai loro miseri villaggi, dai quali, legati con catene e percossi con bastoni durante il lungo viaggio, sono portati ai mercati dove, come bestie, sono messi in mostra e venduti.

Di fronte alle testimonianze di coloro che videro queste cose e alle recenti conferme di esploratori dell’Africa equatoriale, Ci siamo accesi dal vivo desiderio di venire, secondo le Nostre forze, in aiuto di quegli infelici e di recare sollievo alla loro sventura. Perciò, senza indugio, abbiamo incaricato il diletto Nostro figlio Cardinale Carlo Marziale Lavigerie, di cui Ci sono noti l’energia e lo zelo Apostolico, di andare per le principali città dell’Europa a far conoscere l’ignominia di questo turpissimo mercato e ad indurre i Principi e i cittadini a portare soccorso a quelle infelicissime popolazioni.

Noi dobbiamo rendere grazie a Cristo Signore, Redentore amantissimo di tutte le genti, il quale nella sua benignità non permise che le Nostre sollecitudini andassero perdute, ma volle che riuscissero quasi come seme affidato a suolo fecondo, che promette una copiosa raccolta. Infatti i Reggitori dei popoli e i cattolici di tutto il mondo, e tutti coloro che rispettano i diritti delle genti e della natura, gareggiarono nell’indagare quali mezzi soprattutto siano necessari per sradicare del tutto quel commercio inumano. Un solenne Congresso tenuto testé a Bruxelles, al quale convennero i Legati dei Principi d’Europa, e una recente assemblea di privati, che col medesimo intento e con generosi propositi si radunarono a Parigi, dimostrano chiaramente che la causa dei Negri sarà difesa con quella energia e quella costanza che richiede la mole delle sciagure da cui quei miseri sono oppressi. È per questo che non vogliamo trascurare la nuova occasione che si presenta di rendere le meritate lodi e i ringraziamenti ai Principi d’Europa e agli altri personaggi di buona volontà: al sommo Dio domandiamo fervidamente che voglia dare felice riuscita ai loro disegni ed all’impianto di una così grande impresa.

Ma, oltre alla cura di difendere la libertà, un’altra cura più grave, più da vicino riguarda il Nostro ministero Apostolico, quella cioè che impone di adoperarci perché nelle regioni dell’Africa si propaghi la dottrina del Vangelo, che con la luce della verità divina illumini quelle popolazioni giacenti nelle tenebre e oppresse da cieca superstizione, affinché diventino con noi partecipi dell’eredità del regno di Dio. Questo impegno poi lo curiamo con tanto maggior zelo, in quanto quei popoli, ricevuta la luce evangelica, scuoteranno da sé il giogo della schiavitù umana. Infatti, dove sono in vigore i costumi e le leggi cristiane; dove la religione insegna agli uomini a rispettare la giustizia e a onorare la dignità umana; dove ampiamente si diffuse quello spirito di carità fraterna, che Cristo c’insegnò, quivi non può esistere né schiavitù, né ferocia, né barbarie; ma fioriscono la soavità dei costumi e la libertà cristiana accompagnata dalla civiltà.

Già parecchi uomini Apostolici, quasi avanguardia di Cristo, sono andati in quelle regioni dove, per la salute dei fratelli, diedero non solo il sudore, ma anche la vita. Tuttavia la messe è molta, ma gli operai sono pochi; per cui è necessario che moltissimi altri, animati dallo stesso spirito di Dio, senza timore alcuno né di pericoli, né di disagi, né di fatiche, vadano in quelle regioni dove si esercita quel vergognoso commercio, per recare ai loro abitanti la dottrina di Cristo congiunta alla vera libertà.

Però un’impresa di tanta gravità domanda mezzi pari alla sua ampiezza. Infatti non si può provvedere senza grandi disponibilità all’Istituto dei missionari, ai lunghi viaggi, alla costruzione delle residenze, alla erezione e alla dotazione delle chiese e ad altre simili cose necessarie: dovremo sostenere tali spese per alcuni anni, finché, in quei luoghi dove si saranno fissati, i predicatori del Vangelo possano provvedere autonomamente. Dio volesse che Noi avessimo i mezzi con cui poter sostenere questo peso! Ma ostando ai Nostri voti le gravi angustie nelle quali Ci troviamo, con paterna voce Ci appelliamo a te, Venerabile Fratello, a tutti gli altri Vescovi e a tutti i cattolici, e raccomandiamo alla vostra e alla loro carità una così santa e salutare opera. Infatti desideriamo che tutti partecipino, anche con una piccola offerta, affinché il peso, diviso fra molti, diventi più leggero e tollerabile da tutti, e perché in tutti si diffonda la grazia di Cristo, trattandosi della propagazione del suo regno, e a tutti arrechi la pace, il perdono dei peccati e qualunque dono più prezioso.

Decidiamo pertanto che ogni anno, nel giorno e dove si celebrano i misteri dell’Epifania, venga raccolto denaro come offerte a favore dell’Opera ora ricordata. Scegliamo questo giorno solenne a preferenza degli altri, perché, come bene intendi, Venerabile Fratello, in quel giorno il Figlio di Dio per la prima volta si palesò alle genti, mentre si fece conoscere ai Magi, i quali perciò da San Leone Magno, Nostro antecessore, sono appunto chiamati le primizie della nostra vocazione e della fede. Speriamo pertanto che Cristo Signore, commosso dalla carità e dalle preci dei figli, i quali ricevettero la luce della verità con la rivelazione della sua divinità, illumini pure quella infelicissima parte del genere umano e la tolga dal fango della superstizione e dalla dolorosa condizione, in cui da tanto tempo giace avvilita e trascurata.

Vogliamo poi che il denaro raccolto in detto giorno nelle chiese e nelle cappelle soggette alla tua giurisdizione, sia trasmesso a Roma alla Sacra Congregazione di Propaganda. Sarà poi compito di essa ripartire questo denaro tra le Missioni che esistono o verranno istituite nelle regioni Africane, soprattutto per estirpare la schiavitù; il riparto sarà fatto in modo che le somme di denaro provenienti dalle nazioni che hanno proprie Missioni cattoliche per redimere gli schiavi, come ricordammo, vengano assegnate a mantenere e a promuovere le stesse. La rimanente elemosina sia poi ripartita con prudente criterio fra le più bisognose dalla stessa Sacra Congregazione, la quale conosce i bisogni delle Missioni.

Non dubitiamo che Dio, ricco in misericordia, accolga benignamente i voti che formuliamo per gli infelici Africani, e che tu, Venerabile Fratello, ti adopererai spontaneamente con la volontà e con il tuo lavoro perché siano abbondantemente soddisfatti questi propositi. Confidiamo inoltre che con questo temporaneo e speciale soccorso, che i fedeli daranno per abolire la piaga del traffico disumano e per sostentare i banditori del Vangelo nei luoghi dove essa esiste, non diminuirà la liberalità con la quale si sogliono promuovere le Missioni cattoliche con l’elemosina raccolta dall’Istituto che, fondato a Lione, fu detto della Propagazione della Fede. Quest’opera salutare, che già raccomandammo ai fedeli, presentandosene l’opportunità elogiamo nuovamente, desiderando che largamente estenda i suoi benefici e fiorisca in lieta prosperità.

Intanto, Venerabile Fratello, a te, al clero e ai fedeli affidati alla tua pastorale vigilanza, affettuosissimamente impartiamo la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 novembre 1890, anno decimoterzo del Nostro Pontificato.

 

LEONE PP.XIII



[Modificato da Caterina63 18/05/2017 13:28]
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  • STORIA


La lotta dei Pontefici contro la schiavitù, la verità negata






Nave negriera

“Tutti voi siete infatti figli di Dio. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (San Paolo, Gal 3,26-28).


È con simili affermazioni che il Cristianesimo irrompe nel mondo antico condannando istituzioni millenarie e universali, tra cui la schiavitù che, da allora, non ha mai smesso di combattere.


La Chiesa cattolica, in particolare, ha svolto un ruolo fondamentale nel denunciare e contrastare la tratta degli schiavi africani. Fin dalla creazione delle prime enclave europee nel continente africano, la Chiesa ammonisce a non privare gli africani della libertà nonostante che essi stessi pratichino la schiavitù. Risale al 1492 una lettera di Papa Pio II in cui il Pontefice ricorda a un vescovo della Guinea portoghese (l’attuale Guinea Bissau) che la schiavitù dei neri è “magnum scelus”, un grande crimine. Dopo di lui altri Pontefici intervengono per condannare sia la riduzione in schiavitù degli indiani d’America sia la tratta degli schiavi africani. Papa Paolo III nel 1537 afferma che non è lecito privare della libertà e delle proprietà “gli stessi indiani e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla nostra religione” e impone la scomunica a coloro che collaborano con la tratta degli schiavi. La scomunica è ribadita da Papa Urbano VIII nel 1639 e da Papa Benedetto XIV nel 1741. Papa Pio VII ai partecipanti al Congresso di Vienna del 1815 – in cui i paesi europei decisero come spartirsi il continente africano – chiede di proibire il commercio degli schiavi e nel 1839 Papa Gregorio XVI riassume i pronunciamenti di condanna dei suoi predecessori in una bolla in cui “ammonisce e scongiura” i cristiani a non macchiarsi più della “così grande infamia” della schiavitù, “quell’inumano commercio con il quale i negri… sono comprati, venduti e costretti talvolta a eseguire durissimi lavori”.


Finora non sembravano poter sussistere dubbi sull’impegno della Chiesacontro la tratta degli schiavi africani, talmente tanti sono i documenti e le testimonianze che lo provano. Ma un libro, appena pubblicato, adesso sostiene che invece, lungi dal combattere la tratta, la Chiesa di Roma l’ha autorizzata, usando il racconto biblico su come Cam fu maledetto da Noè per giustificare l’asservimento dei suoi discendenti, vi ha partecipato attivamente, in tutte le sue fasi, e ne ha tratto profitti economici. Il libro si intitola “I Papi, la Chiesa cattolica e la tratta atlantica dei neri africani 1418-1839”. L’autore è un sacerdote nigeriano residente in Germania, Pius Adiele Onyemechi.


Le prime recensioni del libro elogiano tutte la precisione e la costanza “teutonica” nella ricerca e consultazione di fonti originali, tra cui l’Archivio segreto del Vaticano, che hanno consentito a don Pius di fornire “un contributo duraturo alla ricerca della verità storica”. Senza aver ancora letto il libro, si può tuttavia azzardare che precisione e costanza in realtà siano state impiegate selettivamente, alla ricerca di qualsiasi elemento utile ad accusare la Chiesa, con l’intenzione di dimostrarne la corruzione: questo se le quasi 600 pagine del libro riportano solo, unicamente esempi di connivenza e coinvolgimento nella tratta mentre tanti sono gli esempi di condanna rigorosa in cui l’autore dovrebbe essersi imbattuto, lui come gli altri storici che hanno studiato il fenomeno. Senza averlo letto, si può dire inoltre con certezza che il libro contiene almeno un falso madornale, grossolano: l’affermazione che “solo nel 1839 la Chiesa ha riconosciuto gli africani come esseri umani al pari di tutti gli altri” (nella bolla di Papa Gregorio XVI).


Questa affermazione insostenibile viene attribuita a don Pius da Rita Monaldi e Francesco Sorti, autori di una recensione pubblicata sul quotidiano La Stampa, intitolata “Quando la Chiesa amava tutti gli uomini esclusi gli africani”. Monaldi e Sorti hanno scritto insieme dei romanzi storici a lungo censurati in Italia, dicono, perché nei loro libri rivelano verità scomode, soprattutto su pontefici e cardinali del passato. Si qualificano come “storici non accademici”. Più che altro sono storici approssimativi, poco documentati. Basta dire che attribuiscono forte attendibilità a don Pius perché è nigeriano e perché è un sacerdote cattolico. All’inizio della recensione inoltre citano “il grande scrittore danese Thorkild Hansen” che nella sua “classica trilogia sullo schiavismo” valuta in 80 milioni i morti provocati dalla tratta. Hansen ha scritto i suoi libri negli anni 60 del secolo scorso. Tra gli anni 70 e 80 le cifre della tratta sono state ricalcolate grazie a ricerche condotte su diverse fonti, inclusi i registri dei porti americani destinazione delle navi negriere, le dimensioni delle imbarcazioni e il numero dei loro viaggi dall’Africa alle Americhe. La tratta atlantica degli schiavi, a cui hanno partecipato i trafficanti europei, tra il XVI e il XIX secolo ha deportato quasi 12 milioni di persone, vive, con un tasso di mortalità durante le traversate del 13% circa. Altri due milioni di africani potrebbero essere morti in seguito alla tratta, soprattutto a causa di guerre e razzie per catturare schiavi da vendere. Più elevato – oltre 15 milioni di persone deportate – è il bilancio della tratta araba, sahariana e orientale, tra l’VIII e il XIX secolo.


Approssimativi, poco documentati e inoltre tendenziosi. Il rapporto – commentano Monaldi e Sorti – consente un “regolamento di conti con il passato proprio nel momento in cui la Chiesa di Roma, nella sua tradizione secolare di sostegno ai più deboli, chiama alla solidarietà verso i migranti”; per questo “a Roma non dovrebbe riuscire sgradito, vista l’attenzione di Papa Francesco – anche lui gesuita – per i popoli dell’Africa”.









Santità, sulla schiavitù, se non il magistero, almeno studi la storia!



Si suggerisca al Papa — con tutto il dovuto rispetto — di non parlare di storia o di cambiare “spacciatore”.

Anche se la questione delle Apparizioni mariane, malamente affrontate dal Pontefice, resta per noi uno degli avvenimenti più importanti per la nostra fede, non da meno è il metodo attraverso il quale, Papa Francesco, da mesi continua ad impartire lezioni di storia sulla Chiesa fondate però sull’ignoranza dei fatti, qui un esempio da noi affrontato.

Oggi è il caso della schiavitù storica trattata dal Papa con le sue solite due battutine, buttate nella pastura mediatica, apparentemente prive di valore che contengono non solo delle falsità storiche e l’ignoranza di un vastissimo magistero papale precedente, ma anche una accusa inaccettabile contro la Chiesa del passato. Ad accorgersi del fatto è stato La Nuova Bussola Quotidiana che ha fatto un bellissimo e breve articolo che vi invitiamo a leggere qui.

In sostanza Papa Francesco, ha specificato che la schiavitù “E’ peccato mortale… Oggi diciamo questo. Lì si diceva: ‘No’. Anzi, alcuni dicevano che si poteva fare questo, perché questa gente non aveva anima! Ma si doveva andare avanti per capire meglio la fede, per capire meglio la morale. ‘Ah, Padre, grazie a Dio che oggi non ci sono schiavi!’. Ce ne sono di più! … ma almeno sappiamo che è peccato mortale. Siamo andati avanti… ”.

Non possiamo che fare nostre le tristi sensazioni di Francesco Agnoli da La Bussola: “Devo ammettere che nel leggere simili affermazioni ho avuto un senso di sgomento. Perchè non sembra possibile che un cattolico, non dico il pontefice, possa fare simili affermazioni…”, ci aggiungiamo che a noi sembra invece impossibile che un pontefice possa cadere in simili trappole tese dai nemici della Chiesa, quando tra il 1700 e il 1800 seminarono una contro-informazione storica atta a screditare la Chiesa proprio nella sua gestione sociale e culturale. Papa Francesco sembra aver fatta propria la storia riscritta dai nemici della Chiesa, e allora Santità! o si rimette a studiare la vera storia, con umiltà e verità, o tace sui fatti che non conosce con la supplica di cambiare il suo suggeritore!!

Per non perderci in chiacchiere vi offriamo qui una breve cronistoria sugli interventi più significativi e magisteriali contro la schiavitù.

Nel Concilio di Agde (506), tenuto nel sud della Francia, si afferma (cann. 7; 29) che gli schiavi della Chiesa (cioè di persone o enti ecclesiastici) una volta liberati mantengono questo stato, e impone che al momento della liberazione ricevano anche una somma di denaro per iniziare un’attività economica autonoma.

Nel Quinto concilio di Orleans (549), circa gli schiavi della Chiesa manomessi, afferma l’irrevocabilità della libertà raggiunta (can. 7). Circa gli schiavi in generale (non solo della Chiesa) che sono stati manomessi e hanno scelto di rimanere col padrone, qualora questo volesse punirli per un qualche motivo e fuggono in una chiesa, viene garantito loro il diritto d’asilo, e viene imposta la scomunica al padrone che volesse ritrattare il giuramento di manomissione (can. 22).

Il Quarto concilio di Toledo (633)dedica alla schiavitù diversi canoni. Viene vietato agli ebrei di possedere schiavi cristiani (66); gli schiavi della Chiesa liberati devono rimanere liberi, e così anche i loro figli (70); i liberti possono essere ordinati (73); gli schiavi della Chiesa possono essere ordinati presbiteri e diaconi e con questo acquistano la libertà (74).

Papa Gregorio III, scrivendo al vescovo di Magonza nel 731, rimprovera l’uso di vendere ai pagani dei cristiani come schiavi per immolazioni rituali, e auspica che la pena sia la stessa dell’omicidio.

Il Concilio di Worms (868) impone la scomunica o una penitenza pubblica di 2 anni al padrone che uccide uno schiavo (can. 38), e nel caso di una padrona che colpisce una schiava per gelosia facendola morire, la penitenza pubblica è di 5 anni, 7 anni se la morte era voluta (c. 39).

Papa Giovanni VIII con la lettera Unum Est (ca. 873) rivolta ai principi di Sardegna, chiede che venissero liberati schiavi pagani che erano stati venduti da mercanti greci: “È bene e santo, come conviene a cristiani, che voi, se li avete comprati dai greci, li lasciate andare liberi per amore di Cristo e ne riceviate il prezzo non da uomini, ma dallo stesso Signore Gesù Cristo. Vi esortiamo e comandiamo con paterno amore che, se avete comprato da loro qualche prigioniero, lo lasciate andare libero per la salvezza della vostra anima”.

Il Concilio di Coblenza (922) equipara la tratta di cristiani all’omicidio (can. 7).

Il Concilio di Londra (1102) rappresenta la prima esplicita condanna in blocco della schiavitù: “Nessuno voglia entrare nel nefasto commercio, che era in uso qui in Anglia, per cui si solevano vendere uomini come se fossero bruti animali” (can. 27).

Il Concilio di Armagh (Irlanda, 1171)riconduce alla vendetta divina la schiavitù nella quale erano incorsi degli Angli razziati da pirati, rimproverando agli stessi Angli l’uso di vendere i figli come schiavi, e viene comunque stabilito che tutti gli Angli che si trovano come schiavi in Irlanda possano riacquistare la libertà.

Papa Eugenio IV con una bolla, indicata come Creator Omnium (con data 17 dicembre 1434) o Sicut Dudum (con data 13 gennaio 1435), prende le difese dei nativi (battezzati, neofiti e pagani) delle isole Canarie, da poco scoperte dagli iberici, che avevano iniziato a ridurli in schiavitù, e impone la liberazione degli schiavi pena la scomunica entro 15 giorni dalla conoscenza della lettera.

A dimostrazione di come si deve leggere integralmente la storia, segnaliamo le bolle di Papa Niccolò V Dum Diversas (16 giugno 1452) e Romanus Pontifex (8 gennaio 1454) che rivolte al re del Portogallo Alfonso V (1438-1481) autorizzano il sovrano a ridurre in “perpetua schiavitù” le popolazioni pagane e saracene contro le quali i portoghesi si stavano battendo in Africa. Ma queste indicazioni in evidente contrasto con lo spirito evangelico e l’insegnamento cattolico precedente e successivo, vanno contestualizzate con l’energetica espansione islamica dell’epoca (cf. la caduta di Costantinopoli nel 1453).

Non dimentichiamo poi l’Ordine dei Mercedari, l’Ordine di Santa Maria della Mercede per la liberazione degli schiavi, fondato in Ispana nel 1218 da San Pietro Nolasco e dal Re Giacomo I d’Aragona, riconosciuto l’anno stesso dal Pontefice Onorio III, e nel 1235 da Gregorio IX. Ebbe da principio carattere religioso e cavalleresco insieme, ed i primi sette Maestri generali furono cavalieri laici.

E andiamo avanti con la bolla Illud Reputantes (1° ottobre 1456) di Callisto III, come la precedente Creator Omnium (1434), condanna la riduzione in schiavitù di cristiani (ortodossi orientali) da parte di altri cristiani (occidentali, nella fattispecie genovesi), e similmente la bolla di Pio II Pastor Bonus (7 ottobre 1462) per la tutela non solo dei neofiti cristiani, ma anche gli infedeli, di Canarie e Guinea dai soprusi dei trafficanti portoghesi.

La bolla di donazione Ineffabilis et Summi Patris (1 giugno 1497) di Alessandro VIrappresenta un ridimensionamento della licenza già offerta alla riduzione in “perpetua schiavitù” delle popolazione incontrate dai portoghesi: viene ammesso l’assoggettamento al servizio (non la schiavitù) ma solo se queste lo vogliono, cominciano a cambiare i toni. Papa Paolo III col breve Pastorale Officium rivolto all’arcivescovo di Toledo Giovanni de Tavera (29 maggio 1537), condanna la riduzione in schiavitù degli amerindi da parte degli spagnoli, pena la scomunica… Contemporanea a questa bolla è la Sublimis Deus (o Veritas Ipsa, Paolo III, 2 giugno 1537), e dopo questi documenti sono stati molti i pronunciamenti pontifici che impongono la scomunica ai commercianti di schiavi, cristiani e non, la cui ricorrenza e numerosità è segno della effettiva scarsa efficacia delle condanne, ma anche del costante impegno nelle denunce ufficiali:

  • Licet Omnibus (Pio V, 25 dicembre 1570);
  • Postquam Nuper (Pio V, 21 dicembre 1571);
  • Cum Sicuti (Gregorio XIV, 18 aprile 1591);
  • Clemente VIII, 1605; Commissum Nobis (Urbano VIII, 22 aprile 1639);
  • Istruzione 230 (Innocenzo XI , 20 marzo 1686);
  • Immensa Pastorum Principis (Benedetto XIV, 20 dicembre 1741);
  • Istruzione 515 (Pio VI, 12 settembre 1776);
  • In Supremo Apostolatus (Gregorio XVI, 3 dicembre 1839);
  • Istruzione 1293 (Pio IX, 20 giugno 1866);
  • In Plurimis (Leone XIII, 5 maggio 1888);
  • Catholicae Ecclesiae (Leone XIII, 20 novembre 1890);
  • Lacrimabili Statu (Pio X, 7 giugno 1912).

La lista continua e ci chiediamo: ma che cosa legge Papa Francesco quando avesse il tempo di leggere? Possibile che non abbia accanto a sé alcun saggio cardinale a ricordargli questa documentazione? Dobbiamo forse pensare che il Papa è circondato da inetti e carrieristi, ignoranti ed affaroni privi di una minima cultura cattolica, o forse dobbiamo pensare che l’autodemolizione della Chiesa passata, descritta come matrigna, cattiva, insensibile, sta continuando attraverso un vero progetto diabolico?

Ai posteri la sentenza, noi le prove che il Papa sbaglia, ve le abbiamo portate. Via via che il Cristianesimo dilagò per il mondo poté cominciare, attraverso i suoi valori morali nel magistero pontificio e nei catechismi, ad attenuare le dure leggi e le abitudini severe del mondo romano per migliorare successivamente le condizioni degli schiavi, che ottennero nel tempo una certa dignità morale, fino allo smantellamento della condizione di schiavitù. Tutto questo senza “colpi di stato” o manifestazioni di piazza, o rivoluzioni ideologiche, ma dimostrando quanto fosse più umano imitare l’esempio di comportamento di Gesù Cristo, naturalmente convertendosi al Cristianesimo. Questo annuncio di liberazione raggiunse il mondo intero grazie alla missione della Chiesa. L’esempio di Gesù irrompe nella storia e attraverso i cristiani si fa scudo per gli uomini indifesi, dà origine a comunità dentro le quali, e per la prima volta, non c’è lo schiavo ma la persona umana avente gli stessi diritti degli altri nella comunità, a cominciare dai Sacramenti e persino nel ruolo di presbitero e vescovo, ruoli che nelle religioni pagane erano affidati alle caste.

Concludiamo con le parole di Leone XIII, che Papa Francesco farebbe bene a studiare: “…la Chiesa prese nelle proprie mani la causa negletta degli schiavi, e fu la garante imperterrita della libertà, sebbene, come richiedevano le circostanze e i tempi, si impegnasse nel suo scopo gradualmente e con moderazione. Cioè, procedeva con prudenza e discrezione, domandando costantemente ciò che desiderava nel nome della religione, della giustizia e della umanità; con ciò fu grandemente benemerita della prosperità e della civiltà delle nazioni.” (Catholicae Ecclesiae del 20.11.1890).








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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