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La Gnosi luterana e la Dottrina del potere politico

Ultimo Aggiornamento: 01/06/2017 22:12
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La Gnosi luterana e la Dottrina del potere politico. Modena,11 marzo 2017

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Il 500mo anniversario della Riforma e i cattolici

Il mondo cattolico sta affrontando questo 500mo anniversario della Riforma luterana (1517-2017) privilegiando due punti di vista. Ciò è evidente dal posizionamento di molti esponenti della gerarchia ecclesiastica e di molti teologi.

Il primo di questi punti di vista consiste nel concentrarsi sulle “intenzioni” di Lutero, su cosa egli soggettivamente volesse fare. In genere si sostiene che egli non voleva una rivoluzione nella Chiesa ma una riforma. Da questo punto di vista si tende quindi a capovolgere la linea tenuta finora dalla teologia e dalla cultura cattolica in genere, che sempre si è impegnata a mostrare come non si fosse trattato di una “riforma” ma di una rivoluzione. Interpretando oggi le intenzioni di Martin Lutero, si tende invece a dire che è stata una riforma e non una rivoluzione. Un’altra conseguenza di questa impostazione consiste nello spiegare gli eventi di cinquecento anni fa come una serie di inconvenienti storici, soprattutto di tipo comunicativo, dovuti alla situazione del tempo e per i quali la stessa Chiesa cattolica non è esente da responsabilità[1]. Le intenzioni di Lutero erano quindi buone, ma la situazione storica si incaricò di intralciarle e complicarle. Basterebbe togliere di mezzo questi intralci storicamente sedimentati e ricongiungersi alle intenzioni originarie di Lutero per ritrovare l’unità.

La tesi secondo cui Lutero non voleva una rivoluzione ma una riforma non è illegittima ed è stata autorevolmente sostenuta. Per esempio, Jean Guitton scriveva che “Né Erasmo, né Lutero, né Calvino hanno immaginato la metamorfosi che stavano per provocare”[2]. Il cardinale Kasper l’ha da tempo fatta propria e di recente, tornando sull’argomento, ne ha fatto il punto di forza per una rivalutazione aperta e completa di Lutero, la cui volontà sarebbe stata solo quella di ribadire la centralità della grazia divina nella salvezza[3]. Secondo il cardinale «Lutero era un uomo desideroso di rinnovamento, non un Riformatore. Con questa istanza evangelica Lutero si poneva nella lunga tradizione dei rinnovatori cattolici che lo avevano preceduto. Si pensi soprattutto a Francesco d’Assisi»[4]. L’accostamento tra Lutero e San Francesco ci dice tutta la pericolosità della tendenza a concentrarsi sulle intenzioni di Lutero, questo infatti non può essere né l’unico né il principale aspetto della questione. L’aspetto centrale è quello dogmatico e da questo punto di vista la Riforma è stata una rivoluzione e non solo una riforma, nonostante le intenzioni soggettive di Lutero.

Non voglio negare il rapporto esistente tra la riforma e la soggettività di Lutero. Questo rapporto è stato giustamente messo in evidenza da molti, come per esempio da Jacques Maritain[5] o, più recentemente, dal Padre Roberto Coggi[6]. Angela Pellicciari pure insiste sul temperamento di Martin Lutero ponendolo in relazione con la rivoluzione – e non con la riforma – da lui attuata[7]. Tutto questo serve per capire. Però l’insistenza sulle intenzioni soggettive di Lutero distoglie l’attenzione dai contenuti dottrinali della Riforma, che passano in secondo piano, mentre quando si valuta una eresia meritano il primo piano. Del resto, se Lutero viene assunto come un “testimone”, bisogna precisare che l’autorevolezza del testimone è data non solo dalla sua buona fede soggettiva – appunto le sue intenzioni – ma anche dal contenuto oggettivo delle presunte verità che egli ci comunica[8]. La fede è sia fides qua che fides quae. Un aspetto è l’atto di fede e altro aspetto è il contenuto dell’atto di fede. Da un punto di vista cattolico i due elementi devono esserci entrambi, ma dal punto di vista luterano è sufficiente l’atto di fede perché Lutero propone una «fede senza dogmi»[9]. Incentrarsi quindi solo su questo punto è già una importante concessione all’impostazione protestante.

Il secondo punto di vista assunto da parte cattolica è di “fare un tratto di strada insieme”, come si sente ripetere. Anche questa prospettiva ha lo stesso esito della precedente: mette in secondo piano i contenuti dottrinali. Essa presuppone che si possano fare delle cose insieme prima di esserci chiariti chi si è. Come se le questioni cosiddette “pratiche” nel senso delle questioni di etica filosofica o di etica naturale fossero indipendenti dalle convinzioni dottrinali e dogmatiche. La cosa è particolarmente difficile da sostenere nel caso del Luteranesimo che nega l’esistenza di una filosofia pratica come pure di un’etica naturale. Le diverse visioni dottrinali[10] dei Cattolici e dei Protestanti motivano diverse scelte pratiche e non si può passare alle seconde senza tener conto anche delle prime. Altrimenti sarebbe come dire che è possibile vivere indifferentemente alla propria fede religiosa o in modo da essa indipendente. Oppure mettendola da parte. Si percepisce qui una visione della dottrina intesa solo come teoria astratta. Non è difficile riscontrare, nel dialogo ecumenico una notevole difficoltà a trovare accordi pratici per esempio sulle questioni di bioetica e biopolitica e sui cosiddetti “nuovi diritti”, il che dimostra come sia impossibile “camminare insieme” senza i dovuti chiarimenti dottrinali. E’ la vecchia illusione di Maritain a proposito della convergenza pratica sui diritti umani indipendentemente dalle visioni del mondo che continua in altro contesto.

La centralità delle intenzioni è un tema tipicamente luterano. La Riforma, come si sa, pone al centro la coscienza soggettiva. La Riforma, secondo Maritain, «ha sbrigliato l’io umano nell’ordine spirituale e religioso»[11]. Il primato della prassi sulla dottrina è pure un tema tipicamente luterano: «L’istanza luterana è eminentemente pratica»[12]. Se il problema è “sentirsi” (in coscienza) in stato di grazia allora per riuscirci balzano in primo piano le nostre azioni; se poi le nostre azioni sono ritenute incapaci e insufficienti di provocare questo sentimento e si pensa che quindi non abbiano nessun rapporto con la grazia, ugualmente la prassi balza in primo piano come un ordine autonomo e indipendente dalla fede.

E’ mia convinzione che, privilegiando questi due punti di vista, i cattolici accolgano già in partenza importanti posizioni luterane.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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