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Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (6)

Ultimo Aggiornamento: 20/12/2017 09:55
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25/10/2017 21:43
 
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Dalla prua del Titanic che cola a picco, giunge l’ultima sviolinata di Nunzio Galantino: «La riforma di Lutero è stata un dono dello Spirito Santo»


di isoladipatmos



Lutero ispirato dallo Spirito Santo? Padre Ariel a Padre Giovanni: «Se io fossi un membro della Conferenza Episcopale Italiana, non esiterei a strappargli il fiasco di mano, ed a mandarlo in un centro di recupero per alcolisti anonimi, fin quando durante una delle sedute collettive non dirà: "Ciao a tutti, mi chiamo Nunzio, ed è una settimana che non bevo più"».

Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P - Ariel S. Levi di Gualdo

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Nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana, ma mossi dallo Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio [I Pt, 1,20-21]

Chi ascolta voi, ascolta me [Lc 10,16]

 

Numerosi Lettori ci hanno subissati di lettere per chiederci lumi sulle affermazioni fatte da S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, ad un simposio tenutosi alla Pontificia Università Lateranense il 18-19 ottobre [vedere locandina QUI]. Possiamo anzitutto dire che da oggi, la Lateranese, può essere ragionevolmente rinominata Luteranense, dopo che il numero due della Conferenza Episcopale Italiana ha dichiarato che la “riforma” di Lutero è stata un «dono dello Spirito Santo» ...

... è accaduto che un vescovo italiano, in stretti rapporti col Padre Ariel S. Levi di Gualdo, in un momento di sconforto gli ha rivolto, dinanzi a questa esternazione, la seguente domanda in privato: «Ma insomma, di fronte a cose di questo genere, che cosa possiamo fare?». L'interpellato ha risposto: «E lo domanda Vostra Eccellenza a me? Io non sono membro della Conferenza Episcopale Italiana, mentre Vostra Eccellenza, sì. Pertanto, ciò che posso dirle è che se io fossi un membro della Conferenza Episcopale Italiana, non esiterei a strappargli in fiasco di mano, ed a mandarlo in un centro di recupero per alcolisti anonimi, fin quando durante una delle sedute collettive non dirà: "Ciao a tutti, mi chiamo Nunzio, ed è una settimana che non bevo più"».

la collisione del Titanic con l'iceberg ...

Dalle battute, siamo poi passati a cose serie, andando a consultare le guide cliniche che specificano le specialità della specialità, verificando che all'interno della psichiatria esistono più branche: psichiatria infantile, psichiatria dell'adolescenza, psichiatria dell'adulto, psichiatria psico-geriatrica, psichiatria consultivo-relazionale, psichiatria delle dipendenze. Non abbiamo trovano, perché al momento non esiste, la psichiatria episcopale, ma certi casi potrebbero rientrare nella psichiatria delle dipendenze, perché certi soggetti dipendono ormai dalle stoltezze che dicono, professano e diffondono. 

Avere affermato nell'università del Romano Pontefice, tale è la Lateranense, che la «riforma» di Lutero è stata un «dono dello Spirito Santo», da parte di S.E. Mons. Nunzio Galantino, più che una imprudenza, è stata una empietà. E detto questo chiariamo bene: i decreti contro Lutero del Concilio di Trento sono stati elaborati con l’assistenza dello Spirito Santo. Pertanto: o lo Spirito Santo si è smentito per bocca di Nunzio Galantino ― cosa impensabile ― oppure lo Spirito Santo è stato assente dal Concilio di Trento, per cui, le censure dei questo grande Concilio contro Lutero, si possono considerare ingiuste. Cosa parimenti impensabile. C’è anche un’altra possibilità sulla quale non vogliamo troppo addentrarci: qual è il livello di conoscenza della pneumatologia di Nunzio Galantino?

 

A noi non resta che riconoscere, come richiede la fede cattolica, che il Concilio di Trento è stato assistito dallo Spirito Santo e che le sue censure sono valide. Se quindi qualcuno si è sbagliato ed ha esternato in modo improvvido giudicando la «riforma di Lutero» come un «dono dello Spirito Santo», questi è Nunzio Galantino, che non gode della medesima assistenza di cui hanno goduto i Padri riuniti in assise nel Concilio di Trento.

Ciò non significa che il pensiero di Lutero non contenga anche degli aspetti validi, l’ecumenismo di questi ultimi cinquant’anni ha messo in luce come non mai le verità di fede che uniscono noi cattolici ai fratelli luterani sulla base di comuni radici cristiane.

Riguardo il vero ecumenismo, il decreto conciliare sull'ecumenismo Unitatis Redintegratio ricorda che i fratelli che nel passato si sono separati dalla Chiesa cattolica, pur conservando alcune verità di fede, si trovano con la Chiesa in una «comunione imperfetta» [n. 3], afflitta da «lacune» ed «ostacoli» [n. 3], che impediscono a questi fratelli di realizzare una piena comunione con la Chiesa Cattolica Romana.

affondamento del piroscafo ...

Il Concilio Vaticano II prescrive a noi cattolici di adoperarci con ogni mezzo lecito, invocando lo Spirito Santo, per persuadere questi fratelli a rimuovere gli «ostacoli» e a colmare le «lacune», che impediscono la piena comunione con la Chiesa, affinché, «superati gli ostacoli che impediscono la perfetta comunione ecclesiastica» [n. 4], «siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» [n. 3].

Il vero ecumenismo consiste non solo nel ritrovarci con gioia assieme in quelle medesime verità che sono rimaste intatte, nonostante la separazione, superando e dimenticando le reciproche mancanze di carità e di giustizia che ci sono state nel passato, perdonandoci a vicenda, ma anche ― e questo è lo scopo ultimo ― nell'adoperarci indefessamente nel senso suddetto, con ogni carità, umiltà, competenza, prudenza, mitezza, coraggio, franchezza, delicatezza, pazienza e speranza, nell'attesa dell’ora di Dio, invocato in una continua e costante preghiera ed implorato con l’offerta di sacrifici e nell'esecuzione di opere buone fatte assieme.

I fratelli separati devono essere amati, ma anche corretti, se davvero amati. Esiste infatti un ecumenismo sbagliato e ambiguo che non porta a niente, troppo riguardoso ed opportunista, non frutto di vera carità, per il quale c’è il rischio che invece di essere i luterani a rivedere le loro posizioni, siano i cattolici a lasciarsi influenzare dagli errori di Lutero, per cui gira la falsa opinione che la Chiesa abbia sbagliato nel suo giudizio su Lutero o lo abbia frainteso e che quindi non valgano più le passate condanne.

Abbiamo per ciò ritenuto bene fare qui un elenco di carattere divulgativo degli errori di Lutero, ormai noti da cinque secoli, esposti per tesi, che rispecchiano il suo pensiero senza la pretesa di riportare sempre gli ipsissima verba. Tali errori vanno riconosciuti e giudicati alla luce del Magistero della Chiesa, soprattutto la BollaExsurge Domine del Sommo Pontefice Leone X e decreti del Concilio di Trento.

Errori di ascendenza luterana sono condannati anche da altri importanti documenti della Chiesa, come quelli del Concilio Vaticano I, il Catechismo e l’enciclica Pascendi Dominici Gregis di San Pio X, ma anche dallo stesso Concilio Vaticano II, soprattutto i documenti Sacrosanctum ConciliumLumen GentiumDei VerbumPresbyterorum Ordinis,Perfectae Caritatis e Christus Dominus ; e chi oggi, dalle cattedre accademiche ecclesiastiche e dai pulpiti delle chiese, vi dice che il Concilio Vaticano II ha aperto a Lutero ed al Protestantesimo facendo proprie le loro istanze, vi mente in modo pericoloso e pernicioso.

Grandi anche gli interventi di Pio XII sulla Liturgia o sulla Chiesa o sugli errori moderni impressi nella Enciclica Humani Generis, del Beato Paolo VI sull'Eucaristia, o sul linguaggio teologico, di San Giovanni Paolo II, sul sacerdozio, sulla vita religiosa, sulla morale o sul rapporto fede-ragione, tutti atti di magistero che correggono gli errori luterani. Molti anche gli interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede di questi ultimi cinquant'anni hanno riferimenti a Lutero, anche se non viene nominato, od a conseguenze dannose del suo pensiero, dallaRedemptionis Sacramentum alla Dominus Jesus. Ma il punto di riferimento più importante ed attuale è il Catechismo della Chiesa Cattolica.

Come e perché è nata la "riforma" luterana? Che  cosa si propose di fare Lutero? La “riforma” è nata dall'esperienza tormentosa di Lutero della propria peccaminosità, della propria difficoltà ad obbedire alla legge divina, dal timore che Dio lo riprovasse e dal desiderio spasmodico e sempre insoddisfatto di averlo amico [1].

Un sentirsi sempre in colpa ed accusato senza riuscire a chiarire e venirne fuori, nonostante ogni sforzo, quindi un Dio sempre corrucciato, ma senza sapere perchè. La sensazione di essere un ipocrita ma senza esserne certo [2]. Un sentirsi allo stesso tempo colpevole e innocente. Nella famosa “esperienza della torre” [Turmerlebnis] del 1515 egli però si convinse improvvisamente di aver scoperto la misericordia di Dio e si sentì sollevato e liberato dal suo terribile tormento [«mi si aprirono le porte del paradiso»]. Ma Papa Leone X gli ricordò nella Bolla Exsurge Domine del 1520 che per ottenere la misericordia di Dio occorre essere pentiti e fare penitenza. Ma questo Lutero non lo accettò, perché gli sembrava una cosa impossibile, e si fissò nell’idea che il Papa falsasse il Vangelo e stesse guidando la Chiesa fuori e contro la linea del Vangelo.  Egli allora perse la fiducia nel Papa come interprete del Vangelo e come guida della Chiesa, per cui il modo per ottenere la riforma della Chiesa, della quale sentiva il bisogno, doveva basarsi su di un’interpretazione personale della Scrittura [«libero esame»], su di un contatto diretto con la Scrittura. Lutero si dette allora a questo lavoro, in base al quale egli tolse dalla dottrina cattolica molte verità, che egli giudicava falsità aggiunte dal Papa al Vangelo, tra le quali l’ufficio del Papa come interprete del Vangelo.

S.E. Mons. Nunzio Galantino, comandante in seconda della Conferenza Episcopale Italia

È chiaro a questo punto che Lutero, inorgoglito e ostinato nell'errore, senza negare che agli inizi egli abbia proposto qualche spunto buono di riforma che gli ha procurato il titolo di ”riformatore”, cadde nell'eresia e si separò adirato dalla Chiesa, fondando una comunità ribelle ed ereticale e trascinando con sé molti  seguaci, fino ai nostri giorni. Pertanto egli è chiamato giustamente anche ”eresiarca”, fondatore di un insieme disordinato e incoerente di comunità senza coesione interna, seppur non senza alcuni punti in comune, che caratterizzano il luteranesimo come tale, dalle più fondamentaliste alle più liberali, in continuo contrasto fra di loro, come notò già a suo tempo il Bossuet, e tutto ciò per il fatto che in esse manca il principio di unità nella verità, che è il Papa. Come Lutero si ribellò al Papa, così facilmente il luterano si ribella a Lutero.

La “riforma” di Lutero finì dunque non in una vera riforma,in una purificazione, un progresso o un miglioramento della Chiesa, ma in una deformazione della Chiesa. Infatti, la vera riforma, è il riportare una cosa alla sua forma originaria o è lo svilupparla nella sua forma, distinguendo l’autentico dallo spurio. è chiaro allora che in queste operazioni, affinché la riforma riesca, bisogna tener d’occhio la forma della cosa, perché è tenendo presente questa forma che la riforma può riuscire. Ma se invece si cambia o si corrompe la forma, non nasce una riforma, ma una deformazione. Questo purtroppo è stato il risultato finale dell’opera di Lutero. E qui dobbiamo proprio dire che ― con buona pace di Nunzio Galantino ― che lo Spirito Santo c’entra per nulla.

ciò che rimarrò della barca della Chiesa dopo le traversate guidate dai vari Nunzio Galantino ...

L’esigenza originaria di Lutero non fu quindi la riforma morale, quanto piuttosto di ritrovare la verità del Vangelo, che secondo lui il Papa aveva perduto. La riforma è una conseguenza di ciò, ma il punto di partenza di Lutero fu l’improvvisa e beatificante certezza ― così almeno a lui sembrò ― di essere stato illuminato dalla verità: l’ «esperienza della torre» o, come la intese lui, della misericordia di Dio. Questa certezza divenne per lui un punto irrinunciabile e ragione di vita, certezza di salvarsi, e obbligo di annunciarla come il vero Vangelo, anche a costo di andare contro il Papa. Da ciò individuiamo la scaturigine morale originaria degli errori di Lutero che gli fu contestata dal Concilio di Tento: la presunzione di salvarsi senza merito come rimedio alla disperazione di salvarsi con le opere. Lutero non sopportava che Dio lo punisse per aver disobbedito alla sua legge. Lo vedeva come un Dio crudele. Egli, agli inizi, fraintendeva la giustizia divina e credette che Dio gli chiedesse di più di quanto poteva fare.

D’altra parte, aveva una concezione esagerata e troppo pessimista della corruzione della natura umana e della concupiscenza conseguenti al peccato originale, scambiando quest’ultima col peccato, come gli rimproverò il Concilio di Trento [Denz. 1515], per cui, siccome essa è permanente anche nel giusto, credeva che anche il peccato fosse permanente [peccatum permanens] anche nel giusto, sicché si bloccò su queste ben note idee [3]:

  1. il giusto pecca in ogni opera buona [Denz. 1525];
  2. A seguito del peccato originale la concupiscenza è invincibile, per cui è impossibile anche per chi è in grazia osservare i comandamenti [Denz. 1521, 1568];
  3. Se Dio punisse per aver disobbedito alla sua legge, sarebbe ingiusto e crudele, perché obbedirle è impossibile [Denz. 1568];
  4. Dunque Dio, se vuole essere misericordioso, deve accettare il peccato e perdonarlo senza condizioni [Denz. 1570], ossia senza opere di penitenza [Denz. 1579, 1692, 1693,1713, 1715] e senza meriti, perché non ci si salva con le opere, ma con la fede di salvarsi [Denz. 1559, 1580];
  5. Il vero Dio non è il Dio della ragione, inaccessibile, lontano, astratto, ma il Dio concreto, vicino, accessibile, sensibile, incarnato in Gesù Cristo. Il primo è terrificante e dispotico; il secondo è benevolo e misericordioso [Denz.3016, 3019];
  6. La vera teologia non è la teologia speculativa, ma la Teologia della Croce [Denz. 3016];
  7. Cristo ha preso il nostro peccato per darci la sua giustizia [Denz. 1529];
  8. La fede è certezza, speranza e confidenza di salvarsi indipendentemente dalle opere [Denz. 1533, 1534, 1535, 1562, 1570];
  9. È impossibile la fede senza la carità [Denz.1578];
  10. Il timore dell’inferno è mancanza di fiducia nella misericordia di Dio [Denz. 1526, 1534, 1541, 1558];
  11. Chi crede di essersi sinceramente pentito è un ipocrita [Denz. 1705];
  12. Chi pretende di aver fatto una buona confessione e di essersi purificato dai peccati, non dà spazio alla divina misericordia [Denz.1459];
  13. Dio non castiga i peccati di chi ha fede di salvarsi, ma li perdona anche se pecca. Castiga solo chi non ha fede di salvarsi, perché vuol dire che costui non confida nella sua misericordia [Denz. 1560];
  14. Per essere perdonato da Dio basta credere di essere perdonato [Denz. 1563, 1564, 1570];
  15. Non dobbiamo preoccuparci se pecchiamo; il peccare è inevitabile: basta aver fede di essere perdonati e siamo perdonati [Denz. 1563, 1564, 1570];
  16. L’annuncio evangelico non è che possiamo essere perdonati, ma che siamo già perdonati. Basta aver fede in questo. Questa è la fede [Denz. 1563, 1564, 1570];
  17. Oggetto della fede non sono idee astratte, ma la mia e la tua salvezza [Denz. 3016];
  18. La salvezza non è effetto delle opere, ma è puro dono della grazia [Denz. 1531, 1545];
  19. Non ci si salva col merito, ma per sola grazia. Se esistesse il merito, la grazia non sarebbe gratuita [Denz. 1546, 1548, 1582];
  1. Il desiderio del cristiano non è vedere Dio, ma salvarsi [Denz. 1000];
  2. I doveri verso il prossimo si riassumono nella misericordia, non nel

      guidarlo alla visione beatifica [Denz. 1000];

  1. Il paradiso non è premio delle opere, ma dono della grazia [Denz. 1576; 1581];
  2. La pretesa di farsi dei meriti per il paradiso è presunzione [Denz. 1538, 1545];
  3. Dio giustifica il peccatore senza togliere il peccato [Denz. 1547];
  4. Nella giustificazione non diventiamo giusti, ma restiamo nel peccato. Tuttavia il Padre ci attribuisce la giustizia di Cristo, che non diventa nostra, ma resta di Cristo [Denz. 1529];
  5. Il giusto è simultaneamente in grazia e in peccato [Denz. 1529, 1544];
  6. La grazia non toglie il peccato, ma lo copre e non lo imputa [Denz. 1547];
  7. Noi siamo salvati per fede indipendentemente dall’obbedienza ai comandamenti [Denz. 1531, 1545];
  8. Per il giusto i comandamenti non sono obbligatori, ma facoltativi [Denz. 1560];
  9. Il libero arbitrio è guasto, per cui non coopera all’opera della grazia [Denz. 1521, 1525, 1554, 1582];
  10. La libertà cristiana non è l’esercizio del libero arbitrio, ma la giustificazione ad opera della grazia [Denz. 1555];
  1. La ragione è cieca e ribelle alla verità di fede [Denz. 2811, 3016, 3019];
  2. La verità di fede è scandalo per la ragione [Denz. 3017, 3019];
  3. Nella fede Dio, in Cristo crocifisso, appare in modo contrario [sub contraria specie] a come appare alla ragione [Denz. 3017, 3019];
  4. È impossibile dimostrare razionalmente che Dio esiste [Denz. 2765, 2751, 2780, 2812, 3026];
  5. Credere in Dio non è richiesto dalla ragione, ma dalla stessa fede [Denz. 1637, 1638, 2755, 2768, 2780, 2813, 3026];
  6. Non si può dimostrare con la ragione l’esistenza della legge naturale [Denz. 3015];
  7. La filosofia è inganno e non serve ad interpretare la Scrittura [Denz. 3016];
  8. La teologia speculativa è vana presunzione [Denz. 3016];
  9. La Scrittura non contiene teorie metafisiche, ma narrazioni di fatti storici [Denz. 3016];
  10. La fede si fonda sulla sola Scrittura senza bisogno dell’aggiunta di alcuna ”Tradizione”, che non sia tratta dalla stessa Scrittura [n. 80, 81, 82];
  11. Il Papa non può definire gli articoli della fede [n. 88, 882, 2034, 2035, 2036];
  12. Il Papa non è il Vicario di Cristo [n. 882, 2034, 2035, 2036];
  13. La coscienza di ogni cristiano, illuminata dallo Spirito Santo, è sufficientemente abilitata all’interpretazione della Scrittura [n.84, 85, 86, 87];
  14. Il cristiano, nel suo rapporto con Dio, non ha bisogno della mediazione del Papa [n. 882];
  15. Quella che il Papa considera “Sacra Tradizione” come fonte della Rivelazione, è in realtà un insieme di aggiunte umane al Vangelo, avvenute nel corso del passato, arbitrarie e posticce, che offuscano e falsificano il Vangelo nella sua autenticità e purezza [nn. 75-83] ;
  16. La riforma della Chiesa esige la liberazione da queste scorie consacrate dal Papa, affinchè il Vangelo risplenda nella sua purezza [idem come sopra];
  17. Ogni cristiano ha la facoltà di respingere i decreti dei Concili, se essi non si accordano con la sua coscienza [n. 85,86,87];
  18. Cristo non ha istituto i Sette Sacramenti [Denz. 1601];
  19. La Chiesa non è governata dal Papa, ma da Cristo nei suoi pastori (n.882, 981, 982);
  20. La Chiesa del Papa è contraria al Vangelo [n.882];
  21. La vera Chiesa è il popolo di Dio sotto la guida della Paola di Dio e dello Spirito Santo [nn. 771-801];
  22. Non esiste una “successione apostolica”. Spetta alla comunità eleggere il suo pastore [Denz. 1767-1770, nn. 857-887];
  23. Il Papa può essere eretico [n. 88; 3074];
  24. Il sacerdozio non è un sacramento riservato ad alcuni. L’unico sacerdozio è il sacerdozio dei battezzati [Denz. 1764, 1766];
  25. Per predicare il Vangelo non c’è bisogno di alcuna ordinazione sacerdotale, ma basta studiare la Scrittura [idem come sopra];
  26. La Messa non è sacrificio, ma idolatria [Denz. 1740, 1751];
  27. Nella Cena del Signore avviene la consustanziazione o impanazione [Cristo nel pane], non la transustanziazione [Cristo sotto le specie del pane], [Denz.1642, 1652];
  28. L’adorazione eucaristica è idolatria [Denz. 1643, 1654, 1656];
  29. Il matrimonio è cosa profana e può essere sciolto [Denz. 1801];
  30. La verginità non è superiore al matrimonio ed è contro natura [Denz. 1810];
  31. I voti religiosi sono contro la libertà cristiana [Denz. 1810];
  32. Le indulgenze sono una frode e un abuso introdotto dal Papa [nn.1471-1473];
  33. Il culto dei Santi e della Madonna deroga all’unica mediazione di Cristo [Denz. 1821, 1822];
  34. I santi non sono esempi dai imitare o intercessori, perché sono peccatori come noi [idem come sopra; nn. 946-959]
  35. Il purgatorio non esiste, perché non risulta dalla Scrittura [Denz. 1580, 1820].

Ecc .. ecc ...

A fronte di tutto questo, S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, ha affermato che «la riforma di Lutero è stata un dono dello Spirito Santo». Riteniamo superfluo qualsiasi ulteriore commento, ed a tal proposito rimandiamo ad un nostro vecchio articolo di due anni fa [cf. QUI]

da L'Isola di Patmos, 24 ottobre 2017

NOTE

[1] La Sorge, direbbe Heidegger. La traduzione corrente con“cura” è troppo mite. In realtà, come fa notare lo stesso Heidegger, la Sorge è una preoccupazione ansiosa ed angosciosa.

[2] I drammi di Franz Kafka riflettono in qualche modo questi stati d’animo luterani degli anni in monastero.

[3] I numeri tra parentesi corrispondono  a quelli del Denzinger (Denz.), relativi al Concilio  di Trento ed al Catechismo della Chiesa Cattolica (per es. n.882), dove il Lettore troverà la corrispondente correzione  fatta dl Magistero della Chiesa.

Nell'archivio de L'Isola di Patmos, sul problema Lutero sono disponibili i seguenti articoli:

http://isoladipatmos.com/il-rifiuto-luterano-della-vita-religiosa-nato-dal-dramma-interiore-di-lutero/

http://isoladipatmos.com/dal-conflitto-alla-confusione-una-breve-analisi-critica-del-documento-congiunto-cattolico-luterano/

http://isoladipatmos.com/il-concetto-luterano-della-giustificazione-in-preparazione-alle-celebrazioni-luterane-del-2017-per-le-quali-nulla-i-cattolici-avrebbero-da-festeggiare/

http://isoladipatmos.com/un-caso-serio-da-lutero-a-rahner-attraverso-hegel-giochi-di-prestigio-e-salti-mortali/

http://isoladipatmos.com/il-santo-padre-francesco-in-visita-dai-luterani-e-la-commemorazione-della-cena-del-signore/


 

La lotta contro le eresie di san Domenico di Guzmán

(di Cristina Siccardi) Ottocento anni fa avvenne un fatto fondamentale per la vita della Chiesa, che andò a sommarsi all’operato dei Frati minori di san Francesco di Assisi: era il 1217 quando san Domenico di Guzmán (Caleruega 1170/1175-Bologna 6 agosto 1221) inviò nelle città europee, dove si trovavano le principali sedi universitarie (Bologna, Parigi, Madrid…), i membri dell’Ordine dei Predicatori da lui fondato al fine di renderli dotti per risanare il tessuto cattolico.

I due ordini mendicanti, mendichi per volontà di san Francesco e di san Domenico della sola Provvidenza, risollevarono le sorti di una Chiesa piena di boria, moralmente corrotta, avente parroci spesso ignoranti e fedeli imbevuti di errori diffusi da movimenti pauperisti.

La vita di san Domenico di Guzmán è meno nota rispetto a quella del suo contemporaneo san Francesco di Assisi (1181/1182-1226), in quanto il fondatore dei Predicatori si identifica per lo più con la sua opera, a differenza di san Francesco, il cui percorso terreno fu caratterizzato dalla sua stessa originale personalità. Proprio per tale ragione la figura di san Domenico ha subito meno stravolgimenti e profanazioni rispetto a quella del poverello di Assisi, in quanto l’icona del santo spagnolo è stata associata più che altro alla sua fondazione.

Ma c’è anche un altro dato che non può essere sottovalutato: Francesco era l’uomo di Dio che apriva il suo santo animo alla singola creatura, dunque la devozione che scaturì fu di carattere personale, un po’ come accadrà per san Pio da Pietrelcina: ognuno, anche il laico, sente un richiamo magnetico per san Francesco (da qui la più agevole strumentalizzazione da parte delle diverse ideologie: gnostica, comunista, relativista…); mentre la devozione per san Domenico non assume questo carattere di empatia personale, bensì si confonde nella sfera del suo Istituto, creato ad hoc contro le eresie, utilizzando un metodo preciso: formare predicatori di elevata qualità per essere in grado di confutare gli errori.

L’azione catechetica e di evangelizzazione che adottò san Domenico era per l’appunto focalizzata sulla predicazione con lo scopo precipuo di debellare le eresie, in particolare puntò la sua attenzione sui càtari, che si consideravano puri, detti anche albigesi, dal nome della cittadina francese di Albi, altresì dalla locuzione latina in albis (in [vesti] bianche), come ha ricordato il professor Dario Pasero, filologo, linguista e glottologo che negli scorsi giorni ha tenuto una splendida lezione, all’interno di un incontro organizzato dall’Associazione John Henry Newman di Rivarolo Canavese, sulla figura di san Domenico tratteggiata da Dante nel XII canto del Paradiso, dove la terzina 72 così lo dipinge: «Domenico fu detto; e io ne parlo/sì come de l’agricola che Cristo/elesse a l’orto suo per aiutarlo».

I càtari si diffusero nella Linguadoca, nella Provenza, nella Lombardia, in Bosnia, in Bulgaria, nell’Impero bizantino. La tolleranza praticata dai signori di Provenza, come il conte di Tolosa, da alcuni ecclesiastici, come i vescovi di Tolosa e Carcassonne, e dall’Arcivescovo di Narbonne, nei confronti dei predicatori eretici, permise che quest’ultimi non solo circolassero indisturbati nei villaggi e ricevessero lasciti cospicui, ma venissero posti a capo di istituti religiosi.

I sacerdoti locali si disinteressavano degli eretici proprio perché, essendo intellettualmente impreparati, non avevano mezzi per controbatterli. Fu così che i Domenicani, formati nei migliori atenei, acquisirono gli strumenti adeguati per compiere la loro missione in funzione della ragione e della Fede contro menzogne ed inganni.

Domenico apparteneva alla nobile famiglia dei Guzmán della Castiglia e sostenuto da uno zio sacerdote aveva studiato in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse alla Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, tanto da vendere i suoi libri manoscritti di grande valore (all’epoca non esisteva ancora la stampa) per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.

Nel 1196 fu eletto canonico del capitolo cattedrale di Osma. Il Vescovo del luogo, Diego de Acevedo, lo chiamò al suo fianco e nel 1203, divenuto sottopriore dello stesso capitolo, lo accompagnò in una missione diplomatica, per conto del Re di Castiglia, da espletare nella Germania del Nord. Giunti a destinazione constatarono le devastazioni morali prodotte in Turingia da una popolazione pagana dell’Europa centrale, i Cumani. Da questo istante fino al termine della sua vita Domenico sarà animato dal desiderio di convertire.

Sulla strada per la Germania, il Vescovo e il suo collaboratore avevano soggiornato nella contea di Tolosa, prendendo così coscienza del successo che qui aveva riscosso il catarismo. Tale termine deriva dal latino medievale catharus (a sua volta dal greco καϑαρός «puro»), con il quale si autodefinirono per primi i seguaci del Vescovo Novaziano elettosi antipapa dal 251 al 258; per questa ragione il termine katharoi fu citato per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa nei canoni del Concilio di Nicea del 325. Con la definizione di càtari sono indicati gli eretici dualisti medievali (albigesi, manichei, publicani o pauliciani, ariani, bulgari, bogomili… e in Italia patarini), che ebbero terreno fertile dal IV fino al XIV secolo.

Fu proprio per contenere l’estendersi dei càtari che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, Padre Domenico concepì un nuovo metodo di predicazione: per combatterli bisognava usare i loro stessi mezzi, vale a dire operare in povertà, umiltà e carità. Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.

Per loro Cristo aveva avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo) e la dottrina si fondava essenzialmente sul rapporto oppositivo fra materia e spirito di derivazione gnostica e manichea. Le opposizioni erano irriducibili (Spirito-Materia, Luce-Tenebre, Bene-Male), all’interno delle quali tutto il creato era una sorta di grande tranello di Satana (Anti-Dio), il quale irretiva lo spirito umano contro le sue rette inclinazioni.

Lo stesso Dio dell’Antico Testamento corrispondeva ad un dio malefico. Basandosi su questi principi divennero vegani ante litteram, rifiutando il consumo di carne, latte, uova e dei loro derivati (ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale). Consideravano peccaminoso persino il matrimonio, poiché serviva ad accrescere il numero degli schiavi di Satana. La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del male comportava il rifiuto dei sacramenti. La perfezione per il càtaro si raggiungeva quando non si possedevano beni materiali e, attraverso un percorso “ascetico”, ci si lasciava morire di fame e di sete (pratica dell’endura).

Nel terzo Concilio Lateranense, convocato da papa Alessandro III a Roma nel marzo 1179, il catarismo venne condannato. Dopo l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, la Chiesa reagì con decisione all’eresia con l’indizione nel 1208 della Crociata albigese (1209-1229), mentre papa Gregorio IX istituirà il Tribunale dell’Inquisizione, che impiegherà settant’anni per estirpare la malapianta dal Sud della Francia.

In questa drammatica situazione per la Chiesa, La Divina Provvidenza chiama Domenico di Guzmán, con la povertà, lo studio approfondito, la predicazione, e san Francesco di Assisi, con la povertà, l’immolazione, l’esempio di vita per ristabilire la verità e l’ordine.

Il primo successore nella guida dei Domenicani, il beato Giordano di Sassonia (1190-1237), autore del Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, un testo che propone la prima biografia di san Domenico (canonizzato nel 1234) e la storia degli anni iniziali dell’Ordine, scrive: «Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole… Viceversa di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Il giorno lo dedicava al prossimo, ma la notte la dava a Dio» (in P. Lippini OP, San Domenico visto dai suoi contemporaneiI più antichi documenti relativi al Santo e alle origini dell’Ordine Domenicano, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1982, p. 133). I testimoni affermano che «egli parlava sempre con Dio o di Dio». Non ha lasciato scritti sulla preghiera, ma la tradizione domenicana continua a tramandare un’opera dal titolo Le nove maniere di pregare di San Domenico, che venne redatta fra il 1260 e il 1288 da un frate domenicano.

Ogni preghiera viene sempre svolta da Padre Domenico di fronte a Gesù Crocifisso. I primi sette modi seguono una linea ascendente, come i passi di un cammino, verso la comunione con la Trinità: Domenico prega in piedi inchinato per esprimere l’umiltà; steso a terra per chiedere perdono dei peccati; in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze di Cristo; con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore; con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato verso il Regno di Dio.

L’ottava pratica consiste nella meditazione personale, quella che conduce alla dimensione intima, fervorosa, rasserenante. Al termine della Liturgia delle Ore e dopo la celebrazione della Santa Messa, egli prolunga il colloquio con Dio, senza porsi limiti di tempo: tranquillamente seduto, si raccoglie in sé e in ascolto, leggendo un libro o fissando il Crocifisso. I testimoni raccontano che, a volte, entrava in estasi con il volto trasfigurato, e dopo riprendeva le sue attività come niente fosse, corroborato dalla forza acquisita dalla preghiera.

Infine c’è l’orazione che svolge durante i viaggi da un convento all’altro: recita le Lodi, l’Ora Media, il Vespro con i confratelli e, percorrendo valli e colline, contempla la bellezza della creazione, mentre dal cuore gli sgorga sovente un canto di lode e di ringraziamento a Dio per tutti i doni, soprattutto per il più grande: la Redenzione operata da Cristo.

Nel 1212, durante la sua permanenza a Tolosa, narra il beato Alano della Rupe, ebbe una visione della Vergine Maria, che gli consegnò il Rosario, come richiesta a una sua preghiera per combattere l’eresia albigese. Secondo il racconto del beato, nel 1213-1214 san Domenico, mentre predicava in Spagna con il confratello Fra’ Bernardo, venne rapito dai pirati.

La notte dell’Annunciazione di Maria (25 marzo) una tempesta stava facendo naufragare la nave su cui si trovavano, quando la Madonna disse a Domenico che l’unica salvezza dalla morte per l’equipaggio era dire sì alla sua Confraternita del Rosario: furono dunque i pirati con i Domenicani a bordo ad esserne i primi membri. Da allora il Rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie e, con il passare dei decenni, una delle più tradizionali preghiere cattoliche.

In occasione di un viaggio a Roma, nell’ottobre 1215, per accompagnare il Vescovo Folchetto, che doveva partecipare al Concilio Laterano IV, Domenico avanzò la proposta a Innocenzo III di un nuovo ordine monastico e mendicante dedicato alla predicazione. Il Papa l’approvò verbalmente, così come aveva fatto con san Francesco nel 1209.

Ma seguendo i canoni conciliari, da lui stesso promulgati (Conc. Laterano IV can. 13), propose di non fare una nuova regola, bensì prenderne una già approvata poiché i tempi erano troppo travagliati per la Chiesa. Seguendo il consiglio, san Domenico con i suoi sedici seguaci, scelse la Regola di Sant’Agostino, corredata da Costituzioni idonee alla loro missione. «San Domenico fu un uomo di preghiera. Innamorato di Dio, non ebbe altra aspirazione che la salvezza delle anime, in particolare di quelle cadute nelle reti delle eresie del suo tempo; imitatore di Cristo […] sotto la guida dello Spirito Santo, progredì sulla via della perfezione cristiana. In ogni momento, la preghiera fu la forza che rinnovò e rese più feconde le sue opere apostoliche», così affermò Benedetto XVI nell’Udienza generale di cinque anni fa, tenuta a Castel Gandolfo (8 agosto 2012).

Chi, oggi, si preoccupa con umiltà, serenità, santità delle anime «cadute nelle reti delle eresie» del nostro tempo? Anche noi, vittime di una funesta carestia di vita interiore e oranti con il Santo Rosario – insistentemente raccomandato cento anni fa da Nostra Signora di Fatima – siamo mendichi, sull’esempio di san Domenico e di san Francesco, della Divina Provvidenza. (Cristina Siccardi)


[Modificato da Caterina63 26/10/2017 10:17]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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