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Cari Vescovi, vi supplichiamo, non tacete più, gridate dai tetti la Verità (6)

Ultimo Aggiornamento: 20/12/2017 09:55
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17/11/2017 12:03
 
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Cari Vescovi: attenzione allo spettro dell’accanimento terapeutico!

Ci risiamo! Lo spettro dell’accanimento terapeutico torna prepotentemente ad ingannare i Pastori della santa Chiesa, specialmente torna a far confondere le buone intenzioni del santo Padre Francesco. Non siamo “tuttologi” ma non ci vuole neppure una laurea in medicina o alla Pico de Paperis per capire che, periodicamente, la giustificazione del concetto di “accanimento”, viene usato per aprire porte pericolose e, soprattutto, senza mai arrivare a specificare cosa loro stessi vogliono intendere con tale termine.

Ne ha parlato la Nuova Bussola, vedi qui, un articolo che condividiamo integralmente perché ha colto magnificamente i punti centrali – purtroppo anche i più critici – delle parole del Discorso ufficiale del santo Padre, leggi qui, attraverso i quali seppur viene spiegato – a grandi linee – in cosa consisterebbe “l’accanimento terapeutico”, dall’altra parte si offrono però degli spunti – involontari – verso l’eutanasia giustificata, specialmente se i Media interpretano in questo modo le sue parole e il Papa non smentisce e non chiarisce…

Il Denzinger afferma che: “Un decreto dottrinale che può sembrare ad alcuni dubbio, deve essere sempre compreso nel senso secondo cui l’asserto è vero..“, offrendo a noi tutti una specie di cartina tornasole per poter interpretare correttamente le parole, ufficiali, del Pontefice. Tuttavia è anche salutare e un bene rimarcare alcuni punti come ha offerto la Nuova Bussola, attraverso i quali capire ciò che è vero da ciò che è falso.

La storia di Victoria, tanto per fare un esempio concreto, vedi qui: Dallo “stato vegetativo” al ballo dopo un lento miracolo … ce la dice lunga di cosa sarebbe stato di lei se, confondendo gli aiuti ricevuti si fosse solo pensato ad un accanimento terapeutico… vedi anche qui, Victoria sarebbe morta sentendo tutto, ascoltando tutto, come dimostrano tanti altri episodi di persone che, uscendo dal coma, hanno poi detto che sentivano tutto e vedevano… Persone che escono dal coma dopo 4 anni, anche 10 anni, non sono affatto una rarità, una vittoria contro i sostenitori di un accanimento terapeutico che li avrebbe portati a morte certa.

Così giustamente sottolinea l’editoriale di La Bussola: “Il Papa da una parte afferma che vivere più a lungo è un bene, ma vivere più a lungo in condizioni di salute critica non lo è. Occorre a questo proposito ricordare che curare un paziente permettendogli di vivere più a lungo, sebbene con una qualità di vita non elevata perché affetto da gravi disabilità, patologie croniche severe, etc., non configura accanimento terapeutico. L’accanimento terapeutico infatti, come ricorda correttamente il Pontefice, è una sproporzione tra trattamenti e risultati sperati. Se grazie alla tecnologia oggi disponibile posso mantenere in vita per lungo tempo una persona affetta da sindrome della veglia aresponsiva (il cd paziente in stato vegetativo) ciò non configura accanimento terapeutico, ma in realtà è un obbligo morale in capo al medico e al paziente. La proporzione, in questi casi, deve guardare all’effetto positivo “vita”, non al “benessere”…

E allora, si chiede il Papa: Chi deve decidere se c’è o meno accanimento terapeutico? Francesco risponde usando, parzialmente, il Catechismo lasciando così quel dubbio e quella criticità nell’interpretazione delle sue parole.

«Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità» (CCC n. 2278), cita Papa Francesco, ma il Catechismo dice molto di più… quel di più che egli o lascia intendere dandolo per scontato – e qui vale l’insegnamento del Denzinger sopra riportato – oppure lo si ritiene scartato o inutile da coloro che, delle parole del Pontefice, devono trarre l’insegnamento e i punti fermi.

Detto in soldoni – spiega la Bussola -: se una paziente dichiarasse che non vuole più nutrirsi con le peg perché a suo insindacabile giudizio la nutrizione assistita configura accanimento terapeutico, questa volontà sarebbe irragionevole e quindi non da rispettare. L’ultima parola spetta alla valutazione del bene oggettivo della persona, bene oggettivo spesso non riconosciuto dalla persona stessa. Di contro, rispettare sempre e comunque il giudizio del paziente su cosa è o non è accanimento terapeutico aprirebbe la porta all’eutanasia. Quella stessa porta che il Santo Padre, nel messaggio inviato ai partecipanti del convegno che si sta svolgendo in Vaticano, vorrebbe che rimanesse sempre chiusa…

Quindi attenzione ai titoli dei Media e alle dispute sui Social…. Papa Francesco NON VUOLE APRIRE QUELLA PORTA. “Il messaggio del Papa – conclude La Bussola – è incentrato per buona parte sull’accanimento terapeutico perché «oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo». Parrebbe quindi che il vero pericolo oggi nelle corsie di ospedale sia l’accanimento terapeutico e non l’eutanasia. Ma così non è…”

_0019 NO eutanasia 2L’allarme che anche noi abbiamo colto dalle conclusioni – omesse – del Papa è proprio in questa diffusa errata concezione che si persista, cioè, su un “accanimento terapeutico”, mentre al Papa sfugge (sfugge?) la conoscenza, o la competenza, oppure è malamente informato, che esistono le “cliniche per la dolce morte” e che le leggi delle Nazioni e degli Stati hanno optato da anni per “uccidere” le persone non solo in stato terminale, non solo a prescindere da ciò che essi chiedono o non chiedono, non solo contro il parere stesso dei genitori, non solo anziani diventati inutili per la società… Ciò che il Papa omette di discutere o di correggere, o persino di condannare come dovrebbe fare con “sì, sì – no, no” (Mt.5,37) è proprio quell’ UCCIDERE che è diventato invece legge degli uomini, questa chiarezza manca al suo Discorso.

Del resto Papa Francesco, a riguardo della PENA DI MORTE è stato così categorico e così chiaro nel dire che essa è INACCETTABILE, senza sé e senza ma. Tuttavia si dimostra eccessivamente prudente laddove dovrebbe dire con assoluta determinatezza quel che dice lo stesso Catechismo a riguardo dell’eutanasia: “Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile…”(CCC.n.2277)

E’ per questa ragione dottrinale che riteniamo, l’uso della questione e del termine “accanimento terapeutico” la chiave che apre all’eutanasia legalizzata… una chiave che se Papa Francesco da una parte chiede, effettivamente, di non usare e di non aprire quella “porta”, dall’altra parte però… lascia alla libera comprensione o interpretazione… Per questo è fondamentale ricordare a tutti noi, come insegna il Donzinger, che laddove l’incomprensione dilaga, il pensiero di un Pontefice deve essere interpretato “…nel senso secondo cui l’asserto è vero..“, e il Catechismo è chiaro!

Laudetur Jesus Christus


 


Editto di Modena. Ucci, ucci, sento odor di Tirannucci

La pagina con la lettera contro la Bussola

Il vescovo si sente attaccato da un giornale che lo critica per i suoi metodi stalinisti? Allora offende privatamente il giornalista “reo” delle accuse e costringe un’associazione di laici ritenuta “amica” della testata incriminata a dissociarsi pubblicamente. Sembrerebbe una storia d’altri tempi, invece succede oggi: protagonisti l’arcivescovo di Modena, monsignor Erio Castellucci, la nostra testata, La Nuova Bussola Quotidiana, e un Centro culturale modenese, Il Faro.

Come si ricorderà, avevamo scritto un commento a proposito di un inquietante editoriale dell’arcivescovo sul settimanale diocesano (Il Nostro Tempo, ora venduto come dorso domenicale del quotidiano Avvenire): «Discernere per essere veramente Ecclesia», era il titolo, e dava disposizione di vietare le strutture ecclesiali non solo a «veggenti e carismatici» ma anche a «giornalisti e intellettuali che manifestano un dissenso ‘sottile o aperto’ verso la Chiesa ufficiale e soprattutto verso papa Francesco». Un vero e proprio linguaggio da soviet, che avevamo stigmatizzato con un articolo di Andrea Zambrano, soprattutto perché esemplare del periodo che stiamo vivendo nella Chiesa: purghe a Roma e liste di proscrizione in periferia. Non contro eretici manifesti, ma contro chi osa soltanto fare domande o esprimere perplessità su alcune scelte pastorali o esprimere disagio per certe ambiguità dottrinali: tutte cose peraltro che non mettono in discussione la comunione con Pietro, e sono tutelate dal diritto canonico.

Del resto monsignor Castellucci ha avuto il coraggio – o l’ingenuità o l’impudenza - di mettere per iscritto ciò che altri fanno senza dirlo. Per questo riteniamo preoccupante l’«editto di Modena», che oltretutto non è rimasto lettera morta. Subito dopo la pubblicazione infatti, su richiesta del vescovo è stato annullato a Modena il previsto incontro pubblico con monsignor Antonio Livi, la cui preparazione teologica e fedeltà a Pietro è indiscutibile, ma che avendo posto delle motivate critiche all'esortazione apostolica Amoris Laetitia ora è bandito da tutte le parrocchie di Modena (e non solo). 

Non pago, monsignor Castellucci ha voluto confermare ulteriormente le critiche avanzate dalla Nuova BQ. Così, non avendo digerito il nostro articolo ha dapprima pensato bene di offendere e minacciare il collega Zambrano via sms (avviso per la Curia di Modena: li abbiamo conservati tutti); poi se l’è presa con un centro culturale modenese, Il Faro. Motivo? È considerato "fiancheggiatore" della Nuova BQ. In realtà non c’è nessun tipo di collegamento né formale né informale tra Nuova BQ e Il Faro, ma il centro culturale modenese ha messo per iscritto nel suo statuto la sua vicinanza ideale al mensile Il Timone, e siccome il sottoscritto è al momento direttore responsabile anche del Timone e Zambrano ne è redattore, ecco che il vescovo ha tratto le sue conclusioni. Per chiarezza bisogna sapere però che il collegamento tra Il Faro e Il Timone si è limitato finora all’organizzazione di un solo evento culturale all’anno, e non c’è quindi nessun tipo di coinvolgimento diretto o indiretto nelle scelte redazionali. Men che meno con la Bussola.

Fatto sta che monsignor Castellucci ha preteso dal Faro, sotto ricatto, una pubblica dissociazione dalla Bussola, pena il ritiro dell’assistente spirituale e, quindi, del riconoscimento ecclesiale. Sia stato per convinzione, per debolezza o per viltà, il consiglio direttivo del Faro ha obbedito e ha spedito al sottoscritto una lettera surreale in cui si condanna l’articolo di Zambrano e «si schiera in favore del pastore della diocesi». Infine la lettera ieri è stata pubblicata dal settimanale diocesano, con il titolo: «Il Faro, un contributo alla comunione», un titolo dall’umorismo involontario visto che ci si preoccupa anche di spiegare il ricatto che sta dietro alla stesura della lettera. Nella “nuova Chiesa” evidentemente si scambia facilmente la comunione – che è l’unità dei fedeli in Cristo – con l’obbedienza supina al tiranno di turno.

Sicuramente si possono avere giudizi diversi, perfino opposti, sull’articolo incriminato, per quanto il giudizio che vi era contenuto sia stato più che confermato a posteriori. Ma qui non è in discussione il gradimento o meno di un articolo da parte di un vescovo, del direttivo di un centro culturale o di chiunque altro. Oltretutto noi non abbiamo nessuna sfida in corso con l’arcivescovo di Modena tale che sia richiesto schierarsi da una parte o dall’altra: siamo giornalisti che, nel rispetto dei fatti e delle persone, siamo liberi di esprimere giudizi e critiche sui fatti che riteniamo rilevanti. E chiunque può esprimere giudizi e critiche sui nostri articoli.

Se un vescovo ritiene di essere stato frainteso o di essere vittima di un ingiusto attacco, come ogni altro cittadino italiano può chiedere di pubblicare una replica al giornale in questione; oppure, visto che è anche editore, può usare le colonne del suo settimanale.

È invece gravissimo che un vescovo possa costringere un’associazione di fedeli a fare pubblica denuncia di giornalisti “amici”, in perfetto stile mafioso. Ad essere messo in discussione non è il nostro lavoro, ma è la stessa immagine della Chiesa, con alcuni pastori che hanno perso il senso del limite e pensano di potere impunemente dettare legge a chiunque. Si riempiono la bocca di Concilio Vaticano II e trattano i laici come i loro servi. Si vantano di dialogare con i lontani e disprezzano i fedeli. Mettono sul pulpito eretici e scomunicati e scacciano dalle parrocchie quanti vogliono testimoniare la fede. Fanno la voce grossa con i cattolici e scodinzolano ai potenti del mondo.

Come Lutero: pensano di essere grandi riformatori, produrranno solo macerie.



Definitività delle sentenze


La Chiesa Romana celebra oggi la memoria liturgica di San Gelasio I, Papa (secolo V). Originario dell’Africa, fu eletto al supremo pontificato nel 492. È ricordato principalmente per la ferma opposizione allo scisma acaciano e per la strenua difesa del primato della sede romana contro le pretese, civili ed ecclesiastiche, di Costantinopoli. Morí il 21 novembre del 496 e fu seppellito nella basilica vaticana. La sua celebrazione liturgica viene anticipata a oggi per la coincidenza con la memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria.

Riportiamo, per la sua attualità, un brano tratto da una lunga lettera da lui scritta ai Vescovi della Dardania (regione corrispondente all’attuale Macedonia e Serbia meridionale), con la quale dimostra che Acacio, Patriarca di Costantinopoli dal 471 al 489, era stato giustamente condannato con sentenza definitiva della Sede Apostolica.

"Occorre che voi, cominciando fin dagli Apostoli, ricordiate che i nostri padri nel Cattolicesimo, gli illuminati e dotti pontefici, man mano che sorgevano eresie raccoglievano sinodi; in quella sede stabilivano la vera dottrina e precisavano l’ambito della comunione cattolica e apostolica in conformità con la Scrittura e con la predicazione degli antenati. Ma volevano che la cosa finisse lì, che la si ritenesse definitiva per sempre. Né ammettevano che quanto si era deciso venisse ancora posto in discussione al sorgere di una novità qualsiasi; saggiamente prevedevano che, qualora lo si fosse permesso, nessun decreto della Chiesa contro qualsivoglia errore sarebbe restato saldo, e che, rispuntando piú volte gli stessi errori, si sarebbe stati sempre da capo.

Infatti, se vediamo che, nonostante questo carattere definitivo delle decisioni sinodali, le deviazioni già colpite riprendono lena, si levano di nuovo contro la verità e turbano le anime semplici, cosa accadrebbe se i perfidi potessero di tanto in tanto far indire un concilio? Per quanto chiara fosse la verità, mai verrebbe meno la triste fecondità dell’errore, che, pur scadendo sempre piú di prestigio, per puntiglio mai cederebbe.

I nostri ispirati predecessori, ben vedendo tutto ciò, e proprio per non offrire ai maligni opportunità di indebolire o annullare salutari provvedimenti, vigilarono che non si permettesse di togliere alcunché a quanto contro qualsiasi eresia fosse stato deciso da un sinodo riguardo alla vera dottrina e all’ambito della comunione cattolica e apostolica; ma ritennero che, una volta condannati e l’autore di qualsiasi vaneggiamento e il suo errore, fosse sufficiente quella prima sentenza perché chi si fosse fatto maestro di errore risultasse ben identificato quanto a dottrina e a comunione."

(Lettera ai Vescovi della Dardania: Patrologia Latina, 59, 61-62 [e 77-78]; Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 35, 370-371. Traduzione italiana: Liturgia delle ore, Proprio della Diocesi di Roma, Città del Vaticano, 1976, pp. 52-53)





[Modificato da Caterina63 20/11/2017 23:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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