A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Una provocazione ma anche uno studio sulla scelta di Paolo VI per la messa moderna

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2019 22:51
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
14/10/2017 22:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

DI DON ANTONY CEKADA DALLA RIVISTA SODALITIUM, 51- 2000.


La Fraternità San Pio X e una leggenda popolare tra i tradizionalisti.

La maggior parte dei cattolici che abbandonano la Nuova Messa lo fanno perché la trovano cattiva, irrispettosa o non-cattolica.
Istintivamente, tuttavia, il cattolico sa che la Chiesa di Gesù Cristo non può darci qualcosa di dannoso, perché in tal caso la Chiesa ci condurrebbe all’inferno piuttosto che in cielo.
Infatti i teologi cattolici insegnano che le leggi universali che riguardano la disciplina della Chiesa, a cui appartengono le leggi che regolano la sacra liturgia, sono infallibili. Ecco una spiegazione classica del teologo Hermann: “La Chiesa è infallibile nella sua disciplina universale. Con l’espressione disciplina universale si intendono le leggi e gli usi che appartengono all’ordine esterno di tutta la Chiesa. Si tratta qui di tutto ciò che concerne il culto esterno, come la liturgia e le rubriche, o la amministrazione dei sacramenti...
Se [la Chiesa] fosse capace di consigliare, ordinare o tollerare nella sua disciplina qualcosa contro la fede e la morale, o qualcosa che possa nuocere alla Chiesa stessa o ai fedeli, essa si allontanerebbe dalla sua missione divina, il che è impossibile”. (1)
Il cattolico si trova quindi, prima o poi, di fronte ad un dilemma: la Nuova Messa è cattiva, ma si presume che coloro che ci hanno ordinato di assistervi (Paolo VI e i suoi successori), fossero investiti dell’autorità stessa di Gesù Cristo. Che fare dunque? Accettare un male per obbedienza all’autorità, o rifiutare l’autorità a causa del male che ci ordina di fare? Scegliere il sacrilegio, o scegliere lo scisma?
Come può un cattolico risolvere questo apparente dilemma, cioè che l’autorità della Chiesa possa comandare di fare il male?
Nel corso di questi anni soltanto due spiegazioni, in sostanza, sono state proposte:

1. Paolo VI, che promulgò la Nuova Messa, perse l’autorità papale.
Lo si prova in questo modo: se riconosciamo che la Nuova Messa è cattiva, o nociva alle anime, o che distrugge la fede, allora riconosciamo implicitamente un’altra cosa: che Paolo VI, che promulgò (impose) quel rito cattivo nel 1969, quando lo fece non poteva essere investito della vera autorità nella Chiesa. Egli aveva in un modo o nell’altro perso l’autorità papale, se mai l’aveva posseduta prima.
Come può essere successo? Secondo l’insegnamento di almeno due papi (Innocenzo III e Paolo IV) e di quasi tutti i canonisti e teologi cattolici, la perdita della fede causa automaticamente la perdita dell’autorità pontificia.
Secondo questa tesi il carattere cattivo della Nuova Messa è come una freccia luminosa e gigantesca puntata verso i papi posteriori al Vaticano II, e sulla quale lampeggerebbe il seguente Messaggio: “Nessuna autorità papale. Hanno abbandonato la fede cattolica”
  • .

    2. Paolo VI possedeva l’autorità papale ma non promulgò la Nuova Messa legalmente.
    Secondo questa posizione, Paolo VI non rispettò esattamente le procedure legali quando promulgò la Nuova Messa. Di conseguenza, la Nuova Messa, non è in realtà una legge universale, e noi quindi non siamo tenuti ad obbedire alla legislazione che presumibilmente l’ha imposta; così l’infallibilità della Chiesa è “salva”. Questa teoria era molto diffusa nel movimento tradizionalista fin dai suoi inizi, negli anni sessanta.
    La tesi, bisogna riconoscerlo, è di quelle che cercano di “salvare capra e cavoli”. Essa permette di “riconoscere” il Papa ma d’ignorare le sue leggi, di denunciare la sua Nuova Messa e di conservare quella vecchia. Dà alle anime semplici, che temono lo scisma, la sicurezza di essere ancora, malgrado le apparenze, “fedeli al Santo Padre”.
    Ho esaminato la prima posizione nel mio studio Tradizionalisti, l’Infallibilità e il Papa. (2) Qui tratterò della seconda posizione, e metterò in evidenza le grosse difficoltà che essa presenta rispetto alla logica, all’autorità della Chiesa e al diritto canonico.

    La Fraternità sacerdotale San Pio X e la teoria della “promulgazione illegale”


    Molti cattolici aderiscono alla posizione secondo la quale la Nuova Messa fu promulgata illegalmente, ma il maggior numero dei sostenitori si trova fra i membri e i simpatizzanti della Fraternità sacerdotale San Pio X (FSSPX) di monsignor Marcel Lefebvre.
    Questa teoria corrisponde esattamente a quello che si può definire come il concetto giansenista-gallicano della Fraternità circa il papato: il Papa viene “riconosciuto” ma le sue leggi e i suoi insegnamenti devono essere “passati al setaccio”. Così voi conservate i vantaggi sentimentali di avere teoricamente un Papa, ma nessuno degli inconvenienti pratici di dovergli obbedire.
    (Durante tutti questi anni, il fascino emotivo che questa posizione ha esercitato sui laici, ha costituito per la FSSPX un’inesauribile miniera d’oro. Questa vecchia gallina gallicana depone davvero uova d’oro).

    Gli argomenti abituali

    Per spiegare la seconda posizione, ci riportiamo quindi a due articoli dell’ex superiore del distretto della Fraternità per gli Stati Uniti, il reverendo François Laisney.
    Il reverendo Laisnay definisce la Nuova Messa “cattiva in se stessa” (3), e pericolosa per la fede cattolica (4). Egli riconosce, in linea di massima, il principio sul quale si fonda la prima posizione, cioè che la Chiesa non può promulgare una legge universale che sia cattiva o dannosa per le anime.
    Ma, afferma, “nella promulgazione della Nuova Messa non era impegnata in pieno l’autorità papale” (5) e “Papa Paolo VI non obbligò ad adottare la [Nuova] Messa, ma la permise soltanto... Non vi è nessun ordine, obbligo o precetto chiaro che l’impone ad ogni sacerdote!” (6).
    Egli sostiene i seguenti argomenti, che sono tipici di quelli che sostengono questa posizione, contro la promulgazione illegale della Nuova Messa da parte di Paolo VI:
    “Il Novus Ordo Missæ non è stato promulgato dalla Sacra Congregazione dei Riti secondo la procedura canonica corretta”.
    “Negli Acta Apostolicæ Sedis (l’organo ufficiale della Chiesa Cattolica che annuncia le nuove leggi per tutta la Chiesa) non appare nessun decreto della Sacra Congregazione dei Riti che imponga la Nuova Messa”.
    Nelle edizioni successive della Nuova Messa, [quel decreto del 1969] è sostituito da un secondo decreto (26 Marzo 1970) che si limita a permettere l’uso della Nuova Messa. Questo secondo decreto, che permette soltanto il suo uso, senza renderlo obbligatorio, figura negli Acta Apostolicæ Sedis.
    Una Nota del 1971 della Congregazione per il Culto Divino concernente la Nuova Messa, dice che “non si può trovare in questo testo nessuna proibizione esplicita per nessun sacerdote di celebrare la Messa tradizionale, né alcun obbligo di celebrare esclusivamente la Nuova Messa”.
    Un’altra Nota del 1974, dice il reverendo Laisney, impone sì un obbligo, ma non appare negli Acta, e non dice che Paolo VI l’abbia approvata, per cui non ha forza cogente.
    - La caratteristica di queste riforme è la loro “confusa legislazione”. “È Proprio in questo che si vede l’assistenza dello Spirito Santo nella Chiesa, che non ha permesso che i modernisti promulgassero le loro riforme correttamente, con una perfetta forza legale”.
    Don Laisnay presenta quindi la sua conclusione: “Il Novus Ordo Missæ è stato promulgato da papa Paolo VI con un tale numero di irregolarità - in particolare l’assenza totale dei termini giuridici corretti necessari per obbligare tutti i sacerdoti e i fedeli - che non si può affermare che esso sia coperto dall’infallibilità di cui gode il Papa nelle leggi universali” (7).
    Per valutare le affermazioni di don Laisney, noi daremo per scontato, come fa lui, il fatto che Paolo VI fosse realmente un vero Papa e che, come tale, fosse investito della piena potestà legislativa sulla Chiesa. Questo ci permetterà di costringere il Reverendo a tener conto dei criteri oggettivi, tratti dal diritto canonico, che ne conseguono a partire da questa tesi.
    Dimostreremo allora, esaminando i principi generali del diritto canonico e i testi legislativi specifici alla questione, che gli argomenti e le conclusioni del reverendo Laisney sono falsi su ogni punto.

    Che cosa è la “Promulgazione”?

    “Promulgare” una legge significa nient’altro che annunciarla pubblicamente.
    L’essenza della promulgazione è di far conoscere pubblicamente una legge alla comunità, o da parte dello stesso legislatore o sotto la sua autorità, cosicché la volontà del legislatore d’imporre un’obbligo venga ad essere conosciuta dai soggetti (8).
    Il Codice di Diritto Canonico dice semplicemente: “Le leggi emanate dalla Santa Sede sono promulgate a partire dalla loro pubblicazione nella raccolta ufficiale degli Acta Apostolicæ Sedis, salvo che in casi particolari sia prescritto un altro modo di promulgazione” (9).
    Questo è tutto quello che il Codice prescrive, e che è sufficiente per far conoscere la volontà del legislatore, cioè il Papa.
    A meno che un’altra disposizione sia stata espressa in una legge particolare, una legge diventa effettiva (e obbligatoria) tre mesi dopo la data di pubblicazione ufficiale negli Acta (10). Il periodo intermedio prima dell’entrata in vigore si chiama vacatio legis.

    Un Decreto che non esiste?

    La Nuova Messa (Novus Ordo Missæ) è apparsa poco a poco.
    Il Vaticano per prima cosa pubblicò il nuovo Ordinario in un libretto del 1969, insieme all’Istruzione Generale sul Messale Romano (una prefazione che precisa la dottrina e le rubriche) (11).
    All’inizio di questo libretto appare la lunga Costituzione Apostolica sulla Nuova Messa, Missale Romanum, di Paolo VI, e il 6 aprile 1969 il decreto Ordine Missæ della Sacra Congregazione dei Riti (Consilium). Questo decreto, a firma del Cardinale Benno Gut, afferma che Paolo VI approvò l’allegato Ordinario della Messa, e che la Congregazione l’aveva promulgato per speciale mandato del Papa. Esso stabilisce il 30 novembre 1969 come data di entrata in vigore della legge.
    Tuttavia, per delle ragioni sconosciute, questo decreto non venne mai pubblicato negli Acta. E così don Laisney e moltissimi altri sostengono che questa omissione significa che la Nuova Messa non è stata mai “debitamente promulgata” e quindi non obbliga nessuno.
    Ma la tesi che si fonda su questa svista burocratica è improponibile. Nel diritto canonico il punto chiave riguardo alla promulgazione di qualsiasi legge sta nella volontà del legislatore. In questo caso, manifestò Paolo VI la volontà di imporre ai suoi soggetti un obbligo (cioè la Nuova Messa)? E lo fece, per di più, negli Acta?

    La Costituzione Apostolica di Paolo VI

    È facile rispondere a questa domanda. Negli Acta Apostolicæ Sedis del 30 aprile 1969 troviamo la Costituzione Apostolica Missale Romanum, che porta la firma di Paolo VI. È intitolata: “Costituzione Apostolica. Per la quale il Messale Romano, restaurato con decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II, viene promulgato. Paolo, Vescovo, Servo dei Servi di Dio, a Perpetua Memoria” (12).
    La legge rispetta, ovviamente, la semplice norma canonica per la promulgazione. Il Legislatore Supremo non ha bisogno del Decreto di un Cardinale perché la sua legge abbia effetto. La Nuova Messa è promulgata, e la legge è obbligatoria.
    Inoltre nel testo della Costituzione, Paolo VI mostra ben chiaramente che la sua volontà è di imporre l’obbligo di una legge ai soggetti. Da notare in particolare il suo linguaggio nei passaggi seguenti.
    L’Istruzione Generale che precede il Nuovo Ordinario della Messa “impone nuove norme per celebrare il sacrificio Eucaristico” (13).
    “Abbiamo decretato che tre nuovi Canoni siano aggiunti a questa Preghiera [il Canone Romano]” (14).
    “Abbiamo ordinato che le parole di Nostro Signore siano un’unica e stessa formula in ciascun Canone” (15).
    “E così è Nostra volontà che queste parole siano dette in questo modo in ogni Preghiera Eucaristica” (16).
    “Tutte le cose che abbiamo prescritte con questa Nostra Costituzione, cominceranno ad avere effetto dal 30 novembre di quest’anno” (17).
    “È nostra volontà che queste leggi e prescrizioni siano ora e in futuro stabili ed effettive” (18).
    I termini canonici latini che un Papa impiega abitualmente per fare una legge, sono tutti presenti qui: normæ, præscripta, statuta, proponimus, statuimus, jussimus, volumus, præscripsimus, ecc.

    Gli stessi termini usati nella Quo Primum

    Questo linguaggio è importante per un’altra ragione: alcune di quelle parole appaiono anche nella Quo primum, la Bolla del 1570 con cui il Papa san Pio V promulgava il Messale Tridentino.
    Il rev. Laisney, come molti altri, pretende che la legge di Paolo VI non impose un obbligo; piuttosto Paolo VI “presentò” o “permise” semplicemente la Nuova Messa (19).
    Questo è falso. Sia Quo Primum che Paolo VI usano gli stessi termini “legislativi” nei passaggi chiave: norma, statuimus e volumus.
    Il canonista benedettino Oppenheim dice che questi sono termini “precettivi” che “indicano chiaramente un obbligo stretto” (20).
    Se questo tipo di parole ha reso obbligatoria la Quo Primum di Pio V, produce lo stesso effetto per il Missale Romanum di Paolo VI.

    “È nostra volontà...”

    Abbiamo citato più sopra il seguente passaggio com prova che Paolo VI intendeva promulgare una legge che obbligasse i suoi sudditi:
    “È nostra volontà [volumus] che queste leggi e prescrizioni siano, ora e in futuro, stabili ed effettive” (21).
    Le prime traduzioni in inglese rendevano il verbo latino volumus con “Noi desideriamo che”. Alcuni sacerdoti e scrittori ne arguirono che Paolo VI avesse solo un vago “desiderio” che i cattolici usassero la Nuova Messa, e che egli avesse tuttalpiù espresso un pio augurio.
    Ma nella Quo Primum S. Pio V usa gli stessi identici verbi per imporre la Messa tridentina:
    “È nostra volontà [volumus] poi - e lo decretiamo con la stessa autorità - che dopo la pubblicazione di questa nostra Costituzione e del Messale, i sacerdoti della Curia romana... siano obbligati a cantare o a leggere la Messa secondo questo Messale” (22).
    In entrambi i casi il verbo volumus esprime l’essenza della legislazione della Chiesa: la volontà del legislatore di imporre un obbligo ai suoi sudditi (23).

    Paolo VI abroga Quo Primum

    Il rev. Laisney tira fuori un’altra frottola (24): si tratta della favola secondo la quale Paolo VI non avrebbe abrogato (revocato) la bolla Quo Primum di san Pio V (25).
    I sostenitori di questa posizione citano talvolta un passaggio del Codice che stabilisce che “una legge più recente, emanata dall’autorità competente, abroga la legge precedente se l’abrogazione è espressa esplicitamente” (26).

    L’argomento è dunque che Paolo VI non menzionò Quo Primum per nome, quindi non l’abrogò esplicitamente. Quo primum, di conseguenza, non ha mai perso la sua forza di legge, e noi siamo ancora liberi di celebrare la vecchia Messa (27).
    Ma i fautori di questa idea scambiano per realtà i loro desideri. Nella norma citata sopra, esplicitamente non significa solo “nominatamente” (28). Un legislatore può revocare “esplicitamente” una legge in un altro modo - ed è quello che succede qui, quando Paolo VI, dopo aver dichiarato il suo volumus alla Nuova Messa, aggiunse la clausola seguente: “Nonostante, nella misura necessaria, le Costituzioni Apostoliche e le ordinanze dei Nostri Predecessori, e le altre prescrizioni, anche quelle degne di speciale menzione o emendamento” (29).
    Questa clausola abroga esplicitamente Quo Primum.
    Prima di tutto la bolla Quo Primum rientra fra gli atti pontifici più solenni, come la Costituzione Papale o Apostolica (30). E nel passaggio tratto dalla Costituzione Apostolica di Paolo VI, egli revoca precisamente le “Costituzioni Apostoliche” dei suoi predecessori.
    In secondo luogo, per abrogare esplicitamente una legge, un Papa non ha bisogno di citarla nominatamente. Secondo il canonista Cicognani, c’è abrogazione esplicita anche se il legislatore inserisce “delle clausole abrogative o derogative, come è abituale nei decreti, rescritti, e altri atti pontifici: nonostante qualsiasi cosa in contrario, nonostante qualsiasi cosa in contrario di qualunque genere, per quanto degne di una menzione speciale” (31).
    Paolo VI, in altre parole, usò l’esatto tipo di linguaggio richiesto per abrogare esplicitamente una legge precedente.
    E facendo questo, Paolo VI usò ancora alcune delle stesse frasi usate da S. Pio V nella Quo Primum per revocare le leggi liturgiche dei suoi precedessori: “Nonostante le precedenti costituzioni Apostoliche e ordinanze… e qualunque legge e consuetudine contraria vi possa essere” (32).
    Ancora una volta, se questo linguaggio valeva nel 1570, vale anche nel 1969 (33).
    Alla luce di quanto sopra, non è possibile continuare a sostenere la leggenda secondo la quale la legge di Paolo VI non abrogò esplicitamente Quo primum.
    Quanto alle altre opinioni errate che circolano sulla Quo Primum, saranno trattate in un prossimo articolo. 

    Conclusione evidente

    Paolo VI pone qui una legge. Tutto lo dimostra in modo chiaro: il linguaggio legislativo tecnico, l’enumerazione di leggi specifiche, il fissare una data di entrata in vigore, il linguaggio che revoca le Costituzioni Apostoliche dei suoi predecessori, e l’espressione esplicita del legislatore indicante la sua volontà di imporre queste leggi.
    Tutto questo don Laisney non lo capisce. “Non c’è, egli dice, un ordine chiaro, un comando, o un precetto che lo renda obbligatorio per tutti i sacerdoti”, e aggiunge che Paolo VI “non dice” quello che un sacerdote deve fare alla data di entrata in vigore della legge (34).
    Ebbene, se il linguaggio della Costituzione di Paolo VI non è abbastanza “chiaro”, riferiamoci all’ulteriore legislazione pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis.
    Ancora una volta Paolo VI manifesta chiaramente la sua volontà, non solo di imporre la sua Nuova Messa, ma anche di proibire specificatamente il vecchio rito. 

    L’Istruzione dell’ottobre 1969

    L’Istruzione Constitutione Apostolica (20 ottobre 1969) porta il titolo: “Sull’applicazione progressiva della Costituzione Apostolica Missale Romanum” (35).
    Lo scopo generale del documento era di risolvere certi problemi pratici: le conferenze episcopali non erano in grado di completare la traduzione in vernacolare del nuovo rito in tempo per il 30 novembre, data che Paolo VI aveva stabilito per l’entrata in vigore della Nuova Messa.
    L’Istruzione comincia con enumerare le tre parti del nuovo Messale già approvato da Paolo VI: l’Ordo Missæ, l’Istruzione Generale e il nuovo Lezionario, e poi stabilisce: “I documenti precedenti decretarono che, a partire dal 30 novembre di quest’anno, Prima Domenica d’Avvento, siano adottati il nuovo rito e il nuovo testo” (36).
    Per far fronte ai problemi pratici che ne derivavano, la Congregazione per il Culto Divino, “con l’approvazione del Sommo Pontefice, stabilisce le regole seguenti” (37).
    Fra le diverse norme vi sono le seguenti: - “Ciascuna conferenza episcopale stabilirà anche il giorno a partire dal quale (eccetto nei casi citati ai paragrafi 19-20) diventerà obbligatorio adottare il [Nuovo] Ordinario della Messa. Tale data, tuttavia, non dovrà essere procrastinata oltre il 28 novembre 1971” (38).
    “Ciascuna conferenza episcopale stabilirà il giorno a partire dal quale sarà obbligatorio l’uso dei testi del nuovo Messale Romano (eccetto i casi indicati ai paragrafi 19-20)” (39).
    Le eccezioni valevano per i sacerdoti anziani che celebravano delle Messe in privato e che avevano incontrato delle difficoltà con i testi o i riti nuovi. Col permesso dell’Ordinario avrebbero potuto continuare a usare il vecchio rito.
    L’Istruzione terminava con la seguente dichiarazione:
    “Il 18 ottobre 1969 il Sommo Pontefice, Papa Paolo VI, approvò questa Istruzione e ordinò che diventasse legge pubblica, affinché potesse essere osservata fedelmente da tutti quelli a cui si riferisce” (40).
    Troviamo qui ancora una volta i termini “precettivi” della Chiesa che legifera; questi termini, come dice Oppenheim, indicano chiaramente un’obbligazione stretta di usare, nel nostro caso, il Nuovo Ordinario della Messa non più tardi del 28 novembre 1971.

    Il Decreto del marzo 1970

    Il Decreto Celebrationis Eucharistiæ (26 marzo 1970) è intitolato: “La nuova edizione del Messale Romano è promulgata e dichiarata editio typica” (41).
    Questo Decreto accompagnava la pubblicazione del nuovo Messale di Paolo VI, che conteneva il Nuovo Ordinario della Messa approvato precedentemente, un’Istruzione Generale riveduta e tutte le nuove Orazioni per l’intero anno liturgico.
    Anche il decreto usa il linguaggio precettivo della legislazione pontificia: “Questa Sacra Congregazione per il Culto Divino, per mandato dello stesso Sommo Pontefice, promulga questa nuova edizione del Messale Romano, fatta secondo i decreti del Vaticano II, e la dichiara edizione tipica” (42).
    C’è bisogno di ribadire ciò che è evidente? Il Nuovo Messale è la legge, per ordine di Paolo VI.

    La Notifica del giugno 1971

    La Notifica Instructione de Constitutione (14 giugno 1971) è intitolata “Sull’uso e sull’inizio dell’obbligo del nuovo Messale Romano, [del Breviario], e del Calendario” (43).
    Questa Notifica, come l’Istruzione dell’ottobre 1969, affronta alcune delle difficoltà pratiche che avevano ritardato l’attuazione della nuova legislazione liturgica.
    “Avendo attentamente considerato queste cose, la sacra Congregazione per il Culto Divino, con l’approvazione del Sommo Pontefice, pone le seguenti regole sull’uso del Messale Romano” (44).
    Essa ordina che in tutti i paesi “dal giorno in cui i testi tradotti saranno usati per le celebrazioni in lingua vernacolare, sarà permessa soltanto la forma riveduta della Messa e [del breviario], anche per coloro che continuano ad usare il Latino” (45).
    Il senso piano del testo è che deve essere usato il nuovo rito, e che il rito tradizionale è proibito; il Papa lo vuole e tutti devono obbedire.

    La Notifica dell’ottobre 1974


    Infine c’è la Notifica Conferentia Episcopalium (28 ottobre 1974) (46).
    Essa specifica ancora che quando una conferenza episcopale decreta che una traduzione del nuovo rito è obbligatoria, “la Messa, sia in Latino che in vernacolare, secondo la legge deve essere celebrata soltanto nel rito del Messale Romano promulgato il 3 aprile 1969 dall’autorità del Papa Paolo VI” (47). L’accento sulla parola “soltanto” (tantummodo) si trova nell’originale.
    Gli Ordinari devono assicurarsi che tutti i sacerdoti e i fedeli di Rito Romano “nonostante il pretesto di una qualche consuetudine, anche di lunga data, accettino rigorosamente l’Ordinario della Messa nel Messale Romano” (48).
    Ancora una volta è evidente che la Nuova Messa è stata debitamente promulgata ed è obbligatoria: non ci sono eccezioni.
    Il rev. Laisney ammette che questa Notificazione impone l’obbligo di celebrare la Nuova Messa. Tuttavia nega che abbia effetto legale perché non venne pubblicata negli Acta Apostolicæ Sedis e perché non specifica che fu ratificata dal Sommo Pontefice (49).
    Don Laisney, ahimè, ha frainteso ancora un altro principio del Codice in materia di promulgazione.
    In primo luogo, la Notifica non è una nuova legge. È quello che i canonisti definiscono una “interpretazione autorevole e dichiarativa” di una legge precedente. Essa, secondo il Codice, “indica semplicemente il significato delle parole della legge, già certe di per sé”. In tal caso “l’interpretazione non ha bisogno di essere promulgata, ed ha effetto retroattivo” (50). In altre parole, essa ha forza di legge anche senza la pubblicazione negli Acta.
    In secondo luogo, anche se strettamente parlando, tale dichiarazione non avesse bisogno del consenso esplicito del Papa, Paolo VI approvò comunque il testo finale della notifica (51).




  • Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 22:24
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota



    Nessuna consuetudine immemorabile

    La Notifica affronta un aspetto secondario interessante: un certo numero di scrittori tradizionalisti che volevano ad ogni costo riconoscere l’autorità di Paolo VI, pretendevano tuttavia che “la consuetudine immemorabile” permetteva loro di conservare il vecchio rito e di rifiutare la Nuova Messa di Paolo VI.
    A prima vista questa affermazione non ha senso. I sacerdoti celebravano la Messa tradizionale perchè un Papa aveva promulgato una legge scritta che ordinava di farlo. La consuetudine è semplicemente un uso, oppure una legge non scritta, che può essere o in accordo con la legge scritta, o contraria ad essa, o al di fuori di essa.
    la Notifica, in ogni caso, afferma che la Nuova Messa è obbligatoria “nonostante il pretesto di una consuetudine qualunque, anche di lunga data”.
    Secondo il Codice, “una legge non revoca le consuetudini centenarie o immemorabili, a meno che non ne faccia espressa menzione” (52).
    Ma i canonisti dicono che una clausola “nonostante” (nonobstante), come quella che abbiamo vista, revoca veramente ed esplicitamente una consuetudine immmemorabile (53). Quindi, anche se la vecchia Messa costituisse una consuetudine immemorabile, la Notifica la revoca debitamente, liquidando in più la questione come un “pretesto”.
    Ma questo ci porta semplicemente alla vera questione che si nasconde, in effetti, dietro la discussione sulla promulgazione “illegale” o meno del Novus Ordo da parte di Paolo VI.

    Chi interpreta le leggi del Papa?


    Per la FSSPX e per molti altri, ahimè, la risposta è “ognuno, tranne il Papa”.
    Don Laisney ci informa, per esempio, che Paolo VI non impegnò nella sua Costituzione Apostolica “la medesima pienezza di potere” che impegnò Pio V nella sua. Paolo VI non menzionò la “natura di un obbligo”, i relativi “soggetti”, la sua “solennità” (54).
    L’affermazione di Don Laisney non dà nessuna riferimento. Per cui siamo nell’impossibilità di trovare i canonisti che propongono questi criteri di distinzione, ai quali ogni cattolico, laico o chierico, possa far ricorso per decidere da solo se è tenuto ad osservare una Costituzione Apostolica firmata dal Sommo Pontefice della Chiesa Universale.
    Vogliono farci credere che la miriade di giuristi esperti di diritto canonico della Curia Romana, incaricati di preparare i decreti del Papa, non sarebbero stati capaci di redigere un testo giuridico adeguato al facile compito di preparare un nuovo rito della Messa, obbligatorio. E ciò, addirittura, neppure dopo cinque tentativi: una CostituzioneApostolica e quattro (le ho contate!) dichiarazioni per l’attuazione della Costituzione.
    Invece qualche polemista incompetente e il basso clero del mondo intero sono liberi di giudicare che il Supremo legislatore è giuridicamente incapace di promulgare le proprie leggi, e quindi di rifiutargli la propria sottomissione per decenni e decenni.

    Dei protestanti del diritto Canonico?

    L’approccio alle leggi pontificie di don Laisney e degli altri sostenitori di questa teoria, è infatti “un Protestantesimo del diritto canonico”: voi interpretate i passaggi scelti come fa comodo a voi, e che nessun Papa venga mai a dirvi come devono essere interpretati. E se non trovate la formula magica che secondo voi è “richiesta” per costringervi a obbedire, bene, tanto peggio per il Vicario di Cristo sulla terra. Questa è la mentalità delle sètte: Giansenisti, Gallicani, discepoli di Feeney. A parole dicono di riconoscere il Vicario di Cristo, ma nei fatti rifiutano di sottomettersi: è proprio la precisa e classica definizione dello scisma.

    Il Papa o la Curia?

    Al contrario, il Codice stabilisce in poche parole quale deve essere l’approccio del Cattolico all’interpretazione delle leggi pontificie:
    “Le leggi sono autorevolmente interpretate dal legislatore e dal suo successore, e da coloro a cui il legislatore conferisce il potere di interpretare le leggi” (55).
    A parte il Papa, chi possiede questo potere di interpretare le sue leggi con autorità? “Le sacre Congregazioni nelle materie che sono loro proprie,” dice il canonista Coronata. Le loro interpretazioni vengono pubblicate “a mo’ di legge” (56).
    Nel caso della Nuova Messa, Paolo VI delegò il potere di interpretare la nuova legislazione liturgica alla Congregazione per il Culto Divino.
    La Congregazione pubblicò tre documenti, un’Istruzione, un Decreto, e una Notificazione: essi stabiliscono chiaramente che la legge originale che promulga la Nuova Messa è obbligatoria.
    Tali documenti sono classificati tra “le interpretazioni generali autentiche” della legge (57), e spesso sono genericamente indicate come “decreti generali”. La Congregazione promulgò inoltre questi tre documenti negli Acta Apostolicæ Sedis, come è richiesto dal Codice.
    Uno di questi documenti, l’Istruzione dell’ottobre 1969, ci interessa qui particolarmente. Essa cita la Costituzione Apostolica di Paolo VI, l’Istruzione Generale del Messale Romano, il Nuovo Ordinario della Messa, il Decreto del 6 aprile 1969, e l’Ordinario per il nuovo Lezionario, e poi stabilisce: “I citati documenti decretano che dal 30 novembre di quest’anno, Prima Domenica di Avvento, siano usati il nuovo rito e il nuovo testo” (58).
    Anche se la legge originale fosse stata in qualche modo difettosa o dubbia, questo passaggio (e quelli simili negli altri documenti) risolverebbe il problema: infatti corrisponde ai criteri del Codice per dare, ad una legge che in precedenza era dubbia, un’interpretazione autentica. Il rappresentante del legislatore, cioè la Congregazione per il Culto Divino, dice che la legge precedente “decreta... che siano usati il nuovo rito e il nuovo testo”.
    Quindi, qualsiasi dubbio possiate aver avuto, è risolto. Questa interpretazione autentica, dice il Codice, “ha la medesima forza della legge stessa” (59).
    Consideratevi perciò obbligati dalla legge, dal momento che i responsabili della sua interpretazione, ve lo hanno detto. Sottomettetevi quindi alla legge del Papa. È quanto dovrebbe fare un vero Cattolico, cioè uno per cui il Papa non è solo un ritratto da appendere al muro, o una frase vuota nel Te igitur! 

    Non è una Legge Universale?

    Come abbiamo notato sopra, don Laisney credeva che le “deficienze legali”, che egli pretendeva di trovare riguardo al Novus Ordo, impedissero di porre la nuova legge sotto l’infallibilità delle leggi universali (60).
    A questo argomento il rev. Peter Scott, successore di don Laisney come Superiore del Distretto degli Stati Uniti della FSSPX, aggiungeva un altro travisamento.
    In un dibattito con lo scrittore inglese Michael Davies, il rev. Scott affermava: “Sarebbe un insulto grave e inammissibile per i Cattolici di rito orientale (molti dei quali sono tradizionalisti) se voi affermaste [come fa il signor Davies] che “il rito Romano... è equivalente... a quello della Chiesa universale”, semplicemente a causa della preponderanza numerica. Un decreto per il Rito Romano, anche promulgato correttamente, non vale per la Chiesa universale” (61).
    Altri hanno fatto essenzialmente lo stesso ragionamento: la legislazione di Paolo VI sulla Nuova Messa non è veramente “universale”, perché non si applica ai Cattolici di Rito Orientale.
    Il reverendo Scott, ahimé, ha confuso alcuni termini legali e abituali del diritto canonico.
    La legge ecclesiastica è divisa effettivamente quanto al rito in occidentale e orientale, ma questo non ha niente a che fare con il problema che trattiamo.
    Quando un canonista definisce “universale” una legge, non si riferisce alla sua applicazione ad entrambi i riti Latino e Orientale. Piuttosto si riferisce all’estensione della legge, cioè al territorio sul quale ha forza.
    Perciò una legge particolare obbliga solo entro un certo determinato territorio. Una legge universale, invece, “obbliga in tutto il mondo cristiano” (62).
    La legislazione che ha promulgato la Nuova Messa voleva, ovviamente, essere obbligatoria nel mondo intero.
    Lo stesso principio vale per le varie Dichiarazioni, Direttive, Istruzioni, Notifiche, Risposte, ecc. della Sacra Congregazione dei Riti (Culto Divino).
    Nessuno dubita, dice il canonista Oppenheim, che tutti questi decreti per la Chiesa Universale (conosciuti talvolta nel loro insieme come “decreti generali”... abbiano il carattere di vera legge (63). Infatti “i decreti generali che sono rivolti alla Chiesa universale (di Rito Romano) hanno la forza di legge universale” (64). In più, in base al Decreto della S. Congregazione dei Riti, essi hanno la stessa autorità che se fossero emanati direttamente dal Romano Pontefice (65).
    È quindi impossibile affermare che la legislazione liturgica di Paolo VI non possa essere definita una legge disciplinare universale. 



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 22:26
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota

      In breve

    Dopo quanto abbiamo detto circa la legislazione di Paolo VI sulla Nuova Messa, vorremmo, per concludere, fare un riassunto di ciò che è stato detto, e poi insistere su di un punto in particolare (66).
    Abbiamo esaminato l’affermazione, portata avanti dal rev. Laisney e da numerosissimi altri scrittori tradizionalisti, secondo la quale Paolo VI impose “illegalmente” il Novus Ordo, e abbiamo dimostrato i punti seguenti:

    1)Il fine della promulgazione di una legge è di manifestare che il legislatore vuole imporre un obbligo ai soggetti.
    2) Nella Costituzione Apostolica Missale Romanum, Paolo VI manifestò la volontà di imporre la Nuova Messa come un obbligo. Ciò risulta evidente da:
    a) Almeno sei passaggi particolari.
    b) Vocabolario legislativo tipico del diritto canonico.
    c) Parallelismo con la Quo Primum.
    d) Promulgazione negli Acta Apostolicæ Sedis.
    3) La Costituzione Apostolica di Paolo VI abrogò (revocò) la Quo Primum usando una formula tipica utilizzata abitualmente a questo scopo.
    4)La Congregazione per il Culto Divino (CCD) promulgò successivamente tre documenti (che sono infatti dei “decreti generali”... che attuano la Costituzione di Paolo VI.
    Questi documenti:
    a) Impongono la Nuova Messa come obbligatoria.
    b) Proibiscono (salvo alcuni casi) la vecchia Messa.
    c) Fanno uso del vocabolario legislativo tipico.
    d) Dicono espressamente di avere l’approvazione di Paolo VI.
    e) Furono pubblicati regolarmente negli Acta.
    5) La CCD pubblicò anche una Notifica del 1974 che ripeteva che soltanto la Nuova Messa poteva essere celebrata e che la vecchia Messa era proibita. Respingeva come “un pretesto” la formula della “consuetudine immemorabile”. Questo documento era un’interpretazione dichiarativa della legge, e come tale non doveva essere promulgata negli Acta per avere forza di legge.
    6)I documenti pubblicati dalla CCD erano “un’interpretazione autorevole della legge” che, secondo il Codice, avevano “la stessa forza della legge”, poiché erano pubblicati da una congregazione Romana “alla quale il legislatore aveva delegato il potere di interpretare le leggi”.
    7)L’obiezione che rifiuta di considerare la legislazione di Paolo VI come disciplina universale, perché non obbliga i riti orientali, è basata sull'incomprensione del termine “universale”. Il termine non si riferisce al rito, ma all'estensione territoriale della legge.

    Le conseguenze inevitabili

    Per tutte le suddette ragioni, quindi, se voi insistete nel dire che Paolo VI era veramente Papa, in possesso del pieno potere legislativo come Vicario di Cristo, dovete anche accettarne la conseguenza inevitabile, che è l’esercizio dell’autorità pontificia:
    1) La Nuova Messa fu promulgata legalmente.
    2) La Nuova Messa è obbligatoria.
    3) La Messa tradizionale fu vietata.
    Se insistete ancora dicendo che la Nuova Messa è cattiva [**], la logica vuole che arriviate alla conclusione, che la fede e le promesse di Cristo vi vietano di trarre: la Chiesa di Cristo è venuta meno. Infatti il Successore di Pietro, che possiede l’autorità di Cristo, ha usato questa stessa autorità per distruggere la fede di Cristo, imponendo una Messa che è cattiva. Dunque, per voi la promessa di Cristo a Pietro e ai suoi successori è una menzogna e un inganno: le porte dell’Inferno hanno prevalso.



    *******************************************



    TUTTO QUESTO CI RICONDUCE al punto di partenza del nostro studio: la Nuova Messa è cattiva [**], e il principio per cui la Chiesa non può fare qualcosa di male.
    Paolo VI rispettò tutte le forme legali che ogni vera autorità pontificia impiega normalmente, per imporre le leggi disciplinari universali. Canonicamente, egli rispettò la procedura alla lettera.
    Ma ciò che Paolo VI impose era cattivo, sacrilego, distruttore della fede. È per questo che noi, in quanto cattolici, la rifiutiamo.
    Poiché sappiamo che l’autorità della Chiesa è incapace d’imporre delle leggi universali cattive, noi dobbiamo di conseguenza concludere che Paolo VI, che ha promulgato delle leggi cattive, non possedeva in realtà l’autorità pontificia.
    Perchè, se è impossibile che la Chiesa stessa venga meno, è possibile invece - come insegnano i papi, i canonisti e i teologi - che un Papa, in quanto individuo, perda la fede e automaticamente perda l’incarico e l’autorità pontificia.
    In una parola, una volta che noi riconosciamo che la Nuova Messa non è cattolica, riconosciamo anche che il suo promulgatore, Paolo VI, non era né un vero cattolico né un vero Papa 
  • .

    Chi è l’autore

    Il Rev. Anthony Cekada fu ordintato nel 1977 da Mons. Marcel Lefebvre, e celebra la Messa tradizionale. Ha scritto molti articoli sui problemi dottrinali, in opposizione alle nuove riforme del Concilio Vaticano II, tra i quali l’opuscolo: “Non si prega più come prima. Le preghiere della nuova Messa ed i problemi che pongono ai cattolici”, tradotto in italiano dal nostro centro librario e sempre diponibile presso la nostra redazione. Risiede a Cincinnati (Ohio), negli Stati Uniti, e insegna Diritto Canonico e Liturgia al seminario della SS. Trinità a Warren, nel Michigan.


    ******************************************


    Bibliografia


    Abbo, J. & Hannon, J. The Sacred Canons, 2a ed. St Louis, Herder, 1960, 2 volumi. 
    Bugnini, A. La Riforma Liturgica (1948-1975), Roma, CLV-Edizioni Liturgiche, 1983. 
    Cekada, A. Traditionalists, Infallibility and the Pope, Cincinnati, St Gertrude the Great Church, 1995. 
    Cicognani, A. Canon Law, 2a ed, Westmin-ster MD, Newman, 1934. 
    Codex Juris Canonici 1917. Coronata, M. Institutiones Juris Canonici, 4e ed., Torino, Marietti, 1950, 3 volumi. 
    Culto Divino, Congregazione del, Decreto Celebrationis Eucharistiæ (26 marzo 1970), AAS 62 (1970) 554.
    Notifica Conferentia Episcopalium (28 octobre 1974), Notitiæ 10 (1974) 353. 
    Istruzione Constitutione Apostolica (20 octobre 1969), AAS 61 (1969) 749-753. 
    Notifica Instructione de Constitutione (14 juin 1971), AAS 712-715. 
    Hermann, P. Institutiones Theologiæ Dog-maticæ, Roma, Della Pace, 1904, 2 volumi 
    Laisney, F. “Was the Perpetual Indult Ac-corded by St Pius V Abrogated?”, Angelus, 22 (dicembre 1999)
    Lewis & Short, A New Latin Dictionary, 2a ed., New York, 1907.
    Lohmuller, M. Promulgation of Law. Washington, CUA Press, 1947.
    Michiels, G. Normæ Generales Juris Canonici, 2a ed., Paris, Desclée, 1949, 2 volumi.
    Oppenheim, P. Tractatus de Jure Liturgico, Torino, Marietti, 1939, 2 volumi.
    Ordo Missæ, Editio Typica, Typis Polyglottis Vaticanis, 1969.
    Paolo VI, Costituzione Apostolica Missale Romanum (3 aprile 1969), AAS 61 (1969) 217-222.
    Pio V, (San). Bolla Quo Primum Tempore (19 luglio 1570).
    Prummer, D. Manuale Juris Canonici, Freiburg, Herder, 1927.
    Sacra Congregazione dei Riti, Decreto Ordinis Prædicatorum (23 maggio 1846) 2916.
    Scott, P. “Debate over New Order Mass Status Continues,” Remnant, 31 maggio 1997, 1ff.

  • Nota di Sodalitium: l’autore segue la posizione “sedevacantista”. Sodalitium accetta la conclusione dell’autore (“Paolo VI non era un vero Papa”... ma stima non dimostrato il motivo della perdita dell’autorità (“non era un vero cattolico”....“Where is the True Catholic Faith ? Is the Novus Ordo Missæ Evil ?”, Angelus, 20 (marzo 1997).

      [**] Nota di don Camillo: 


    Come ho ripetuto più e più volte nei blog tradizionalisti che mi hanno accolto, non è possibile affermare che la nuova Messa sia “in sè” cattiva, giacchè in sé essa, il suo nudo testo, non è altro che in buona sostanza il recupero di testi più antichi e il rimaneggiamento di essi. Se è “cattiva” la nuova Messa, allora furono cattive anche le liturgie antiche da dove i testi della nuova Messa sono stati tratti (ivi compresa la sacra scrittura, giacchè le nuove parole della consacrazione sono prese da san Paolo). Ciò che rende la Messa cattiva “per accidens” è la volontà eretica e scismatica del movimento liturgico e del gruppo dei riformatori, di mettere mano alla liturgia per ottenere un prodotto che potesse essere utilizzato al fine di veicolare una idea di Chiesa diversa da quella tradizionale, e una idea di religione diversa da quella tradizionale.

    E' quindi doveroso associare alla nuda lettera, la volontà perversa e l'eresia privata dei soggetti riformatori. Tuttavia va specificato che in sé, la preghiera eucaristica II, ha semmai il difetto della artificiosità e della bruttezza, della disarmonia, ma non dell'eresia; e come per questa preghiera, così anche le altre parti della nuova liturgia non sono “in sè” false, ma semmai discutibili storicamente, filologicamente, criticamente. Tutte riserve che però non intaccano minimamente la validità del rito.

    La “cattiveria” della nuova Messa deriva dall'uso cattivo che se ne può fare, unitamente alla formazione modernista che i nuovi cattolici, preti e laici ricevono. Tuttavia, sebbene sia assolutamente riscontrabile questa direzione dall'alto da parte dei vertici della Chiesa nel deragliare la religione trasformandola in una cosa differente, in un'altra religione e un altro culto, non è possibile rintracciare una volontà ufficiale, un ordine solennemente imposto, un obbligo a rinnegare la fede. Né ufficialmente si è negata validità al tomismo, al magistero precedente, e a quant'altro costituiva la religione cattolica.

    Le armi utilizzate, se si nota, sono state piuttosto la desuetudine, la prevaricazione (abusiva), l'avanzamento di carriera degli eterodossi, la persecuzione degli ortodossi, la prassi. Non è possibile affermare che la Chiesa abbia costretto le persone ad andare all'inferno o a credere il male, ma certamente ci sono delle colpe nel Papa e nella gerarchia. Colpe soprattutto di omissione, giacchè potendo vigilare e reprimere non lo hanno fatto. Potendo insegnare, non hanno insegnato abbastanza. Potendo essere chiari, sono stati equivoci volutamente. Inoltre vi sono state anche delle colpe in alcuni Papi, che hanno contribuito insegnando errori, e confermando errori già creduti (vedasi papi in sinagoga, ecc.).

    La Messa nuova è un rito che pur non essendo assolutamente falso in sé (poiché è potenzialmente valido), a causa della sua ambiguità voluta e ricercata dai suoi ideatori, va inteso comunque come intrinsecamente perverso. Ossia pur non essendo necessariamente dannoso, è stato studiato dai suoi ideatori per esserlo. Il fine primario secondo la mens degli ideatori, è quello di costruire una religione alternativa a quella cattolica tradizionale. Pertanto, il fine intrinseco di questa nuova liturgia (e non dico estrinseco, giacchè se la riforma è stata fatta, è perché c'era un motivo, altrimenti se è come dicono tutti in questo periodo, che la Messa nuova è uguale alla vecchia, che la teologia è la stessa, che le intenzioni sono uguali, che la ermeneutica è in continuità, che il concilio non ha cambiato niente, che tutto il cambiamento stonato è in realtà abusivo e nessuno voleva realmente cambiare nulla, allora qualcuno dovrebbe avere la cortesia di spiegare a cosa ca...spita (!) sono serviti il concilio epocale e la riforma liturgica epocale, se tutto doveva restare identico; quindi intrinseco, se fosse stato estrinseco sarebbe da intenderci nel senso di Ratzinger: la riforma intrinsecamente ha il fine tradizionale, ma estrinsecamente “taluni”, “alcuni” che non hanno capito, la usano abusivamente per sostenere le loro idee private) è perverso, ossia “deviato” rispetto a quello suo proprio, per come la Tradizione ha sempre indicato.

    Si potrebbe al massimo obiettare se la volontà dei riformatori (ipotizzando una buona fede di Paolo VI nel promulgare, buona fede che estenderebbe alla liturgia stessa, rendendola intrinseca al rito, così), intendendo Bugnini & co. vada considerata come intrinseca al rito, oppure se essa sia estrinseca. Allora, se è vero che il rito in sé può essere analizzato nella sua nuda lettera (così come il concilio, la bibbia e qualsiasi altra cosa), va anche detto che il criterio di analisi letterale può servire solo per verificare la formale possibilità per il rito di essere valido e validamente utilizzato. Un rito, essendo una creazione umana, non può essere svincolato dalle intenzioni, dalle volontà e dalle intelligenze delle persone che lo hanno posto in essere, e che per così dire ne determinano l'intrinseco indirizzo, ossia il fine.

    Si può dire allora che chi applica le intenzioni tradizionali alla liturgia riformata, tradisca in realtà l'intenzione autentica dei riformatori, i quali hanno riformato la liturgia non perché essa rimanesse sostanzialmente identica a quella di prima, ma perché evolvesse nei significati. Ovviamente diversi riformatori hanno applicato diverse intenzioni, e in grado di eresia differente.

    Accanto a chi pensava di superare la transustanziazione, la Presenza Realeil Sacrificio, l'efficacia sacramentale come azione della grazia santificante, c'era chi volendo caricare i sacramenti di nuovi significati conservava anche i vecchi, e chi semplicemente pensava di migliorare la comprensione dei simboli liturgici, lasciando intatti gli effetti. Ma se fosse anche solo questa ultima eventualità, che potremmo definire “pacelliana” (la volontà di chi “restaura” i riti della settimana santa per dare ad essi nuovi simboli più comprensibili dal popolo), sarebbe comunque un tradimento della Tradizione, e un ribaltamento del fine della liturgia (o dei fini della liturgia). Se la prima finalità è la perfezione del culto, mediante la rappresentazione sacra del mistero, l'edificazione partecipativa del popolo rimane un effetto collaterale e nemmeno necessario. Simpatico, importante, ma non “necessario”, ossia non indispensabile, pena la nullità della liturgia. Una Messa privata, ad esempio non edifica e non insegna niente a nessuno. Sarà per questo motivo, che si è abbastanza chiaramente vietata la celebrazione di Messe private, e nelle stesse rubriche del nuovo Messale, si dice che essa è ideologicamente errata, in quanto si illustra la partecipazione del fedele come una delle finalità principali. Non è quindi intrinsecamente ordinata, ma perversa, anche se la si prende con le pinze e la si celebra bene bene.

    Ora, il fatto che comunque sia intrinsecamente perversa non significa che essa sia blasfema o che comporti peccato mortale o veniale il celebrarla. Semplicemente si deve riflettere che anche nelle migliori intenzioni, la Messa nuova non può essere intesa come teologicamente identica alla Messa di sempre, che l'intenzione personale può influire e rendere perfetta la celebrazione individuale, ma non può sanare il difetto che a monte è presente nel rito, per volontà di chi lo ha scritto.

    Quindi io opto per considerare la volontà dei compilatori come un fattore intrinseco, e non estrinseco, perché sebbene non fossero i legislatori, hanno comunque costruito l'impianto ideologico della nuova liturgia, e come tale lo hanno presentato al Papa, che lo ha approvato.

    Quindi nemmeno lui ha proprio questa completa “buona fede”. Ha voluto certamente, e consapevolmente promulgare la nuova liturgia anche perché avesse questi nuovi fini, non ci è dato di sapere se per errore personale (preterintenzionale) o se per convinta volontà. Né abbiamo possibilità di sapere se volesse fare del bene alla Chiesa o del male alla Chiesa (i verruisti dicono che aveva l'intenzione “oggettiva” di fare il male della Chiesa: beati loro che sono in grado di conoscere le intenzioni che sono nel foro interno degli altri).

    Né abbiamo la possibilità di sapere se nell'approvare questi nuovi “fini”, fosse della scuola di pensiero “minimalista-pacelliana” (nuovi simboli per aiutare a capire di più e a vivere meglio il mistero) o“massimalista-bugniniana” (sostituzione hegeliana di una religione con un'altra). E' semplicemente impossibile pensare che non sapesse, che non abbia fatto alcuna legge cattiva, che fosse neutro, o che non abbia validamente imposto o abrogato la legge. Si deve arrivare, sebbene anche in minima parte, ad ammettere che il Papa ha fatto una cosa negativa, sbagliata. Che disobbedire a questa cosa sbagliata è giusto e doveroso, proprio perché essa è un errore, e che in questa erroneità di un atto del legislatore, risiede il grosso della crisi della Chiesa, che comunque è storicamente, filosoficamente, sociologicamente molto complessa e secolarmente più antica del concilio e della riforma liturgica.


    Quindi è possibile rispettare lo spirito della legge liturgica (che è la teologia Tradizionale dei Sacramenti ben espresso nel Culto Tradizionale integro e omogeneo) in epikeia anche violando la lettera delle leggi (a cui è legata indissolubilmente la volontà perversa e l'eresia privata dei soggetti riformatori, così come abbiamo spiegato sopra), nella fattispecie delle riforme degli anni 50-70.

    L’Epikeia infatti è un principio giuridico “di un’azione virtuosa, e quindi eccellente” [GAETANO, Commento quaestio 120 della Secunda Secundae Summa Theologiae, Typographia Poliglotta S.C. De Propaganda Fide, Roma 1891.] che interviene solo in foro interno per scusare dall'obbligo di una legge in tale caso particolare. È quindi un giudizio prudente con il quale, a motivo della volontà del legislatore rettamente conosciuta, stabiliamo che la legge non obbliga in qualche caso particolare. Oppure una benigna interpretazione delle leggi in conformità al giusto e al bene, dichiarante che qualche caso particolare, secondo la ragionevole e umana intenzione del legislatore, per le sue circostanze speciali, che giustamente si ritiene non avesse voluto comprendere nella legge universale, non è contemplato dalla legge. (Cfr. E. HAMEL, Epicheia, in Dizionario enciclopedico di teologia morale, ed. Paoline, Roma 1973 ed. 2a, 332-339). 

    Quindi difronte alla confusione che si è generata con "l'abrogazione" della vigenza, della norma giuridica liturgiche posteriore a quella vigente, che viene dichiarata, ma non dimostrata canonicamente - dal Sommo Legislatore - "mai abrogata", chi ha il dovere di celebrare, vedrà di esercitare l'epikeia secondo coscienza e secondo quella che sarà l'opportunità del caso concreto, ricordandosi anche il dovere della prudenza e di evitare gli scandali, anche per evitare di finire di fare dei danni dicendo la verità. Sarà quindi legittimato a celebrare il nuovo rito se obbligato dai superiori, ovviamente perfezionando le singole celebrazioni, con quel supplemento di intenzione che non è richiesto né più di moda, ma che è quanto disposto dalla Tradizione per essere conforme alla Tradizione stessa nonostante questo culto perverso. Sapendo però come stanno le cose, dovrà cercare quanto meno di rifiutare lo spirito e la lettera delle riforme per quanto gli sia possibile, ad esempio celebrando con la liturgia di sempre le Messe non comandate, educando alla teologia di sempre i propri sudditi e sottoposti, migliorando la liturgia nuova con qualche accorgimento d'emergenza tratto dalla Tradizione liturgica. [Come per esempio utilizzare SOLO il Canone Romano e il sostituire all'offertorio nuovo - l'offertorio tradizionale, il tutto pronunciato sottovoce, così come le norme nuove e tradizionali comunque prescrivono, (così anche da non farsi sgamare da improvvisati neo-liturgisti, pronti a denunciarti, così per farsi belli) aspettando tempi migliori].

    Considerandosi in stato di necessità permanente, e in stato di crisi, come se fosse in tempo di guerra, permanentemente sempre avendo la consapevolezza di sforzarsi il più possibile per tendere verso l'optimum del culto, rifiutando quindi tutte quelle riforme liturgiche artificiali che han inquinato il Messale Tridentino operate dal Mons. Bugnini negli anni '54-'62-'65-'69 adottando senza riserve il Messale del 1952. Questo implica necessariamente la consapevolezza della crisi della Chiesa, per come è stata esposta, e la consapevolezza di agire secondo epikeia a causa dello stato di necessità.

    Diversamente credo che sia quantomeno illecita la posizione tanto di chi celebrasse la Messa nuova credendo ingenuamente nell'ermeneutica della continuità tra prima e dopo e decisamente illecita la posizione di chi celebrasse la Messa Tradizionale usufruendo del Motu Proprio, sostenendo che le due forme di liturgia si equivalgono e che non esiste in alcun modo una intrinsecità della crisi della Chiesa.

    Fatta salva l'ignoranza e la buona fede, da cui derivano certamente errori che sanano la posizione dei più (che manco vanno a pensare a crisi e non crisi), meno felice è secondo me la posizione dei sacerdoti “conservatori” come quelli dell'Opus Dei (che hanno capito talmente bene che la Messa nuova è uguale alla vecchia, che infatti non se ne vede la differenza...) o dei “tradizionalisti dal volto umano” convinti biritualisti, alla Bux, magari propugnatori di una autodemolizione e ricostituzione della liturgia, mediante la riforma della riforma una liturgia romana latina 2.0 o di questa sorta di indefinita e stupefacente (e a me sembra anche un po' porcareccia) "fecondazione".

    Pertanto concludendo la nota che rettifica la posizione di Cekada, non si può dire che sia venuta meno la “Chiesa di cristo”, ma piuttosto che sia venuta meno la Chiesa cattolica estrinsecamente intesa. Fermo restando quanto si può dire sul fatto che la Chiesa di Cristo sussista realmente anche al di fuori della giurisdizione papista (gli ortodossi, guardando il panorama chiesastico odierno, checchè se ne dica, sembran proprio più "cattolici" di certi latini super approvati e pompati: cfr. neocatecumenali), così come che la Chiesa “cattolica” sopravviva nei vari rimasugli dei piccoli resti, le famose persone consapevoli, vigili sentinelle formate, che hanno aperto gli occhi, consci della crisi, ecc. l'istituzione gerarchica è comunque compromessa, così come l'apparato educativo, il collegio cardinalizio, l'episcopato, il laicato, ecc.

    Pressochè impossibile ipotizzare una “restaurazione”. Non so come valutare le promesse di Cristo sull'indefettibilità. Potrebbe essere che il piccolo resto prosegua per secoli, diventando sempre più esiguo, lasciando cani e porci in cabina di pilotaggio: sarebbe comunque rispettata l'indefettibilità (e non è il Papa che fa la Chiesa, giacchè non è il capo, ma il vicario del Capo). Potrebbe tornare un nuovo san Pio X. Non ne ho idea.

    Fatto sta che nella finzione scemica dei sedevacantisti, ciò che è in cancrena non è la “Chiesa” (sono solo loro la "chiesa", e loro sono a posto), per cui salvano l'indefettibilità, ricamata attorno ad un concetto idolatrico di Papato e di Chiesa, in questo modo. Per i non sedevacantisti, basta guardare fuori dalla finestra per rendersi conto che ciò che doveva essere indefettibile (in teoria), la cosa che doveva resistere immutabile agli attacchi diabolici, sembra morta da 60 anni, e sembra anche putrefatta alla svelta [e c'è qualcuno che dice che ancora deve venire la "grande Apostasia", quando è proprio per colpa di questa ben profondamente radicata, che c'è stato tutto questo sfascio]. E' evidente, che se non si vuole dare del bugiardo a Cristo, e non si vuole passare per deficienti negando l'evidenza, occorre guardare il concetto di “indefettibilità” e di “infallibilità”, smarcandosi dai modelli classici trionfalistici "regali" di un passato purtroppo già tramontato all'indomani del CVI.

    Di certo una esaltazione del Papa-re, come ne fanno i tradizionalisti, magari rileggendola con le categorie del fascismo, sognando un Papa-duce che torni e tutto comandi e controlli è (auspicabile ma ben credo solo nei miei sogni ma) improponibile, irrealizzabile, forse mostruosa e assolutamente incompatibile con qualsivoglia intento ecumenico odierno (ossia di riunificazione delle due chiese, non di dialogo). Se c'è un senso nella storia, la crisi, chissà,  potrebbe avere il significato di spingere al ricentramento, al ricompattamento della teologia sul primato, dopo secoli di deriva (secoli di deriva che hanno causato, in buona sostanza, la crisi stessa).

    Umanamente tutto sembra perduto, ma sappiamo che proprio quando tutto sembra perduto, il Signore ci invita a guardare in alto per scorgere tra le nubi oscure, proprio il suo ritorno! Allora Maranatha!


    [Modificato da Caterina63 14/10/2017 22:30]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 22:29
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota

    Note

    1)P. Hermann, Institutiones Theol. Dogm., Roma, 1904, estratto 1:258. Altri teologi come Van Noort, Dorsch, Schultes, Zubizarreta, Irragui e Salaverri definiscono più o meno allo stesso modo la missione della Chiesa. Per i riferimenti e le citazioni, occorre rifarsi al mio studio: Traditionalists, Infallibility and the Pope.
    2) Per averne una copia gratuita potete rivolgersi a: Saint Gertrude the Great Church, 11144 Reading Road, Cincinnati OH 45241, 513-769-5211, www.sgg.org
    3) “Where is the True Catholic Faith ? Is the Novus Ordo Missæ Evil?” Angelus 20 (marzo 1997) 38.
    4) “Was the Perpetual Indult Accorded by Saint Pius V Abrogated?” Angelus 22 (Dicembre1999) 30-31.
    5) “Where is...?” 34. La sottolineatura è dell’autore
    6) “Where is... ?” 35.
    7) “Where is... ?” 35-36. La sottolineatura è nostra.
    8) M. Lohmuller, Promulgation of Law (Washington: CUA Press 1947), 4.
    9) Canone 9. “Leges ab Apostolica Sede latæ pro-mulgantur per editionem in Actorum Apostolicæ Sedis commentario officiali, nisi in casibus particularibus alius promulgandi modus fuerit præscriptus”.
    10) Canone 9. “Et vim suam exserunt tantum exple-tis tribus mensibus a die qui Actorum numero appositus est, nisi ex natura rei illico ligent aut in ipsa lege brevior vel longior vacatio specialiter et expresse fuerit statuta”.
    11) Ordo Missæ: Editio Typica (Typis Polyglottis Vaticanis: 1969). Il nuovo ordine delle Sacre Scritture (lezionario) apparve nel maggio 1969. Il Messale completo, contenente le nuove orazioni per le domeniche, i tempi liturgici e le feste, appare soltanto nel 1970.
    12) AAS 61 (1969) 217-222.
    13) “... novas normas... proponi”. Il verbo adoperato (proponi) è usato nel significato post-classico di “imporre” come ad esempio “imporre una legge”. Vedi Lewis & Short, A New Latin Dictionary 2a ed. (New York: 1907) 1471, col. 2.
    14) “Ut eidem Precationi tres novi Canones adde-rentur statuimus.” “Statuo” con “ut” o col “ne” possiede il senso di “decretare, ordinare”. Vedi Lewis & Short, 1753, col. 3
    15) “jussimus”.
    16) “volumus”.
    17) “Quæ Constitutione hac Nostra præscripsimus vigere incipient.”
    18)“Nostra hæc autem statuta et præscripta nunc et in posterum firma et efficacia esse et fore volumus”.
    19) “Indulto Perpetuo”, 30.
    20) P. Oppenheim, Tractatus de Iure Liturgico (Torino Marietti 1939). 2:56. “verba autem...’statuit’,... ‘præcepit’, ‘jussit’, et similia, manifeste strictam obligationem denotat”. La sottolineatura è dell’autore.
    21) Per timore che qualcuno dica che il riferimento non è chiaro, è da notare che fra gli “statuta et præscripta” precedenti, c’erano le “nuove regole imposte” dall’Istruzione Generale (“novas normas... proponi”... per la celebrazione della Messa.
    22)“Volumus autem et eadem auctoritate decernimus, ut post hujus Nostræ constitutionis, ac missalis editionem, qui in Romana adsunt Curia Presbyteri, post mensem... juxta illud Missam decantare, vel legere teneantur”.
    23) Vedi Lewis & Short, A New Latin Dictionary, 2004, col. 1; 2006, col. 2. “of the wishes of those that have a right to command… it is my will” [“Per volere di coloro che hanno il diritto di comandare... è mia volontà”. Will in inglese, ha il senso molto forte di volere. NDT].
    24) [Nel testo inglese letteralmente: canard (in italiano anatra), dove canard è sinonimo di scherzo, burla; in effetti in francese canard significa “frottola” “falsa notizia”. L’autore aggiunge che “canard” è anche la traduzione della parola inglese “duck” (il maschio dell’anatra) e qui il riferimento è particolarmente appropriato, perché questa particolare anatra, come il gallo-banderuola che sta sui campanili, non tiene mai a lungo la stessa direzione. Ndt.]
    25)“Indulto Perpetuo”, 28-29.
    26) Canone 22. “Lex posterior, a competenti auctoritate lata, obrogat priori, si id expresse edicat, aut sit illi directe contraria, aut totam de integro ordinet legis prioris materiam; sed firmo præscripto...” La sottolineatura è nostra.
    27) La discussione verteva spesso sui diversi termini tecnici del diritto canonico, come abrogazione, proposta di modifica, deroga e surrogazione. Generalmente i partecipanti non avevano la minima idea di quello che si stava trattando; il che era abbastanza comprensibile. Persino esperti commentatori del Codice non sono sempre coerenti con l’uso di questi termini.
    28) Se questa fosse stata l’intenzione del legislatore, avrebbe potuto usare il termine latino per “nominatamente” (nominatim) anziché il termine “esplicitamente” (expresse).
    29) “...non obstantibus, quatenus opus sit, Constitu-tionibus et Ordinationibus Apostolicis a Decessoribus Nostris editis, ceterisque præscriptionibus etiam peculiari mentione et derogatione dignis”.
    30) Vedi A. Cicognani, Canon Law, 2a ed. (West-minster MD: Newman 1934) 81ff. “Le costituzioni papali sono degli Atti Pontifici che hanno le seguenti caratteristiche: 1- Sono emanate direttamente dal Sommo Pontefice, 2- sono presentate motu proprio, - 3- presentano la forma solenne di una Bolla, 4- riguardano materie di grande importanza come principalmente il bene della Chiesa”.
    31) Canon Law, 629. La sottolineatura è dell’autore.
    32) “Non obstantibus præmissis, ac constitutioni-bus, et ordinationibus Apostolicis… statutis et consuetudinibus contrariis quibuscumque”.
    33) Negli anni ‘80, la Fraternità diffondeva la tipica storia romana: un gruppo di canonisti convocati dal Vaticano, avrebbe studiato la posizione legale della vecchia Messa e avrebbe concluso che Quo Primum non era mai stata abrogata. Anche se il fatto fosse vero, la questione è discutibile: 1) Il legislatore non pubblicò nessun decreto autorevole e interpretativo, a questo scopo. 2) L’abrogazione è l’unica conclusione possibile dopo aver esaminato i decreti promulgati dal Vaticano. 3) Il legislatore (cioè il Vaticano modernista) permette la Messa tradizionale solo con l’indulto: una facoltà o un favore accordati temporaneamente, sia in contrasto con la legge, sia al di fuori di essa. Se la vecchia legge non era stata abrogata, non sarebbe stato necessario l’indulto.
    34) “Where is… ?” 35 et alii.
    35) AAS 61 (1969) 749-753 “gradatim ad effectum deducenda”.
    36) “statuitur ut… adhibeantur”.
    37) “approbante Summo Pontifice, eas quae sequuntur statuit normas.”
    38) “diem… constituant”. “necesse erit usurpare”.
    39) “decernant.” “adhiberi jubebuntur.” Per paura che qualcuno dica che questi paragrafi significano che le conferenze episcopali, e non Paolo VI, “promulgarono” la Nuova Messa, facciamo notare: questi provvedimenti delegavano semplicemente il potere di prolungare la vacatio legis, che è, ripetiamo, il periodo tra la promulgazione di una legge e la sua entrata in vigore.
    40) “Præsentem Instructionem Summus Pontifex Paulus Pp. VI die 18 mensis octobris 1969 approbavit, et publici juris fierit jussit, ut ab omnibus ad quos spectat accurate servetur”.
    41) AAS 62 (1970), 554.
    42) “de mandato ejusdem Summi Pontificis… pro-mulgat”.
    43) AAS 63 (1971) 712-715.
    44) “approbante Summo Pontifice, quæ sequuntur statuit normas”. In latino “norma” significa: legge, regola, precetto, perciò il primo libro del Codice di diritto canonico è detto “Normæ generales”..
    45) “assumi debebunt, tum iis etiam qui lingua latina uti pergunt, instaurata tantum Missæ et Liturgiæ Ho-rarum forma adhidenda erit”.
    46) Notitiæ 10 (1974), 353.
    47) “tunc sive lingua latina sive lingua vernacula missam celebrare licet tantummodo juxta ritum Missalis Romani auctoritate Pauli VI promulgati, die 3 mensis Aprilis 1969”. Sottolineatura nell’originale.
    48) “et nonosbtante prætextu cujusvis consuetudinis etiam immemoriabilis”.
    49) “Where is… ?” 36.
    50) Canone 17.2. “et si verba legis in se certa declaret tantum, promulgatione non eget et valet retrorsum”.
    51) A. Bugnini, La Riforma Liturgica (1948-1975), (Roma: CLV-Edizioni Liturgiche 1983) 298: “Il testo definitivo fu approvato dal Santo Padre, il 28 ottobre 1974, con le parole “Sta bene. P.”
    52) Canone 30: “…consuetudo contra legem vel præter legem per contrariam consuetudinem aut legem revocatur; nisi expressam de iisdem mentionem fecerit, lex non revocat consuetudines centenarias aut immemorabiles”.
    53) Vedi Cicognani, 662-3.
    54) “Indulto Perpetuo”, 30-31.
    55) Canone 17.1. “Leges authentice interpretatur legislator ejusve successor et is cui potestas interpretandi fuerit ab eisdem commissa”.
    56) M. Coronata, Institutiones Juris Canonici 4a ed. (Torino: Marietti 1950 ) 1: 24: “Quis interpretari possit… per modum legis ecclesiasticæ leges interpretan-tur: Romanus Pontifex, Sacræ Congregationes pro sua quæquæ provincia”.
    57) Vedi Abbo & Hannon, The Sacred Canons, 2a ed. (St Louis: Herder 1960) 1:34.
    58) “Præfatis autem documentis, statuitur ut… adhibeantur”.
    59) Canone 17.2. “Interpretatio authentica, per mo-dum legis exhibita, eandem vim habet ac lex ipsa”.
    60) “Where is…?” 36.
    61) “Debate over New Order Mass Status Conti-nues”, Remnant, 31 maggio 1997, 1.
    62) Vedi D. Prümmer, Manuale Juris Canonici (Freiburg: Herder 1927) 4. “b) Ratione extensionis jus ecclesiasticum dividitur: a. in jus universale, quod obligat in toto orbe christiano, et jus particulare, quod viget tantum in aliquo territorio determinato… e) Ratione ritus jus distinguitur in jus Ecclesiæ occidentalis et jus Ecclesiæ orientalis.” La sottolineatura è dell’autore. Vedi anche G. Michiels, Normæ Generales Juris Canonici 2a ed. (Paris, Desclée 1949) 1:14.
    63) Oppenheim 2:54 “Quæ decreta pro universa Ecclesia… rationem veræ legis habere, nemo est qui dubitet”. La sottolineatura è dell’autore.
    64)Oppenheim 2:63. “Decreta generalia quæ ad universam Ecclesiam (ritus romani) diriguntur, vim legis habent universalis.” La sottolineatura è dell’autore.
    65) SRC Decr. 2916, 23 maggio 1846. “An Decreta a Sacra Rituum Congregatione emanata et responsiones quæcumquæ ab ipsa propositis dubiis scripto formiter editæ, eamdem habeant auctoritatem ac si immediate ab ipso Summo Pontifice promanarent, quamvis nulla facta fuerit de iisdem relatio Sanctitati Suæ ?… Affirmative”.
    66) “…quiddam nunc cogere et efficere placet”.


    [Modificato da Caterina63 14/10/2017 22:30]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 22:40
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    IL MANIFESTO di don Camillo

     

    Il MESSALE TRIDENTINO È STATO ABROGATO? "IL NOVUS ORDO È STATO IMPOSTO ILLEGALMENTE DA PAOLO VI?" interessante studio del Reverendo don Antony Cekada. Via Media: sedevacantismo ben amministrato?

    MAI ABROGATO!?

    premessa di don Camillo

    Il Messale in uso prima del 1970, non è stato mai abrogato (o meglio si dovrebbe parlare più di vigenza, di norma giuridica liturgiche che di Messale Tridentino tout court) . 7 Luglio 2007: Papa Benedetto XVI precisa che la forma antica del Rito Romano non è mai stata abrogata, e dichiara che essa, «per il suo uso venerabile e antico»dev'essere tenuta da tutti «nel debito onore». Ma se il Messale Ordinario per la Chiesa fino al 1970 (che ora è Straordinario) non è stato "mai abrogato", perchè il Papa ha fissato una data 14 settembre 2007 affinché potesse essere di nuovo utilizzato senza la pena canonica che pesava sul sacerdote che utilizzava il Messale Tridentino, che in realtà non è stato mai abrogato?  E poi, Benedetto XVI dichiara solennemente che non è stato abrogato, ma come spiegarlo al Papa Paolo VI che in più riprese ha detto che in realtà è stato abrogato? Come interpretare questa sua dichiarazione, per esempio, con la famosa allocuzione al Concistoro Segreto del 24 maggio 1976 secondo la quale il Papa Paolo VI afferma: «Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II», e rafforza questa affermazione precisando che: «L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo.»?
    Chi ha ragione Paolo VI o Benedetto XVI? Di per se Benedetto XVI dichiara il "non abrogato" ma non dimostra la sua non abrogazione. Sembra un po' come coloro che dichiarano i Documenti dell'ultimo Concilio in continuità con i precedenti (ma che in realtà non lo sono) ma non si dimostrano con documenti alla mano. Dichiarare la non abrogazione presuppone che il Papa Paolo VI non fosse Papa, e non fosse in grado di legiferare. Prima di leggere l'interessante studio del rev.don Antony Cekada vorrei fare una premessa che spero non vi annoi.


     
    Vorrei sempre che d'ora in avanti si tenesse valido questo principio di analisi scientifica. Quando si parla di validità di un rito, di un sacramento, di una cosa qualsiasi, io mi riferirò (e sarebbe bene che anche i credenti vi si riferissero così) a tali concetti, in termini di coerenza interna, e non in termini di verità ontologica o di fede personale. Infatti ritengo che sia indispensabile, per un qualsivoglia approccio scientifico alla materia, anzitutto scindere quello che è il dato personale-privato. Credere o non credere, stimare o non stimare, avere simpatia o antipatia per qualsiasi argomento, non deve pregiudicare l'indifferenza metodologica nei confronti dell'analisi dell'argomento medesimo. Sostenere (per fare un esempio), che la Messa nuova sia invalida, perché ad uno non piace, è una idiozia. Sia perché si proietta quello che è un dato personale-privato, che è ininfluente ai fini della determinazione di una realtà che sussiste in sè, e non mediante colui che la pensa, sia perché fondamentalmente la realtà ontologica non è dimostrabile.

    Questo è fondamentale da considerare (e da tenere presente per tutte le volte che si parlerà di Dio, di grazia, di validità, di efficacia, e di tutte quelle belle cose invisibili che non si sa se esistono oppure no, e se agiscono, non si sa dove, come e quando): non è possibile discettare sulla validità di un sacramento o l'efficacia di una grazia, se non in termini di coerenza interna con il sistema/paradigma di riferimento. Cioè dire, "secondo i criteri, le norme, i principi, le regole, della religione, se sussistono tali condizioni, SI DICE che avvengano tali effetti". Lo dico perchè potrà essere che per brevità, in futuro possa parlare con un linguaggio semplificato su sacramenti validi, Presenza Reale, e cose di questo tipo. Peraltro è un criterio che consiglierei anche ad un certo tipo di Tradizionalismo che ama parlare di "Messe invalide" per mancanze di "intenzioni", come prassi, nell'ambito del rito nuovo (ossia sempre, in pratica). 
     
    Non è materialmente (umanamente) possibile stabilire se un'ostia è abitata dalla divinità o meno, nè distinguerla da un'ostia di semplice pane, nè prima, nè durante, nè dopo la consacrazione. Dio non si vede. Non si vede nè con il rito vecchio, nè con il rito nuovo. Pertanto, se è vero che uno può dire che in teoria, secondo i criteri di coerenza interna, qualora manchi l'intenzione del ministro, il sacramento non si produce, non è possibile in nessun modo stabilire dove, come e quando questa fattispecie si realizzi. Sicuramente, va considerata risibile la pretesa di immunizzarsi dal difetto di intenzione, bisbigliando SOLO prima della "prima Messa" una formula di "intenzione per tutte le Messe a venire". 
     
    Tale mente riflette una mentalità giuridicista tipicamente degenerata. Il tridentinismo è vittima di una visione giuridicista fortemente farisaica, e non ho problemi ad affermare che tale visione, deriva in qualche modo dal tomismo. Infatti la scolastica in sè, è un modo sano di usare la ragione e di addivenire ad un sapere metafisico che sia complementare al sapere fisico. Purtroppo però ingenera spiacevolmente una tentazione razionalista, ossia di riuscire a inquadrare tutta la realtà incasellandola in una, due, tre, cento, mille, centomila, centomilamilioni di categorie. Purtroppo non è possibile avere questo dominio totalizzante sul reale, perchè qualche aspetto comunque sfuggirà. Tuttavia, il razionalismo, come forma mentis degenerata, prende le mosse dalla scolastica, e con la sua mania di voler definire e regolare tutto, dà origine da un lato, al giuridicismo ; dall'altro dà origine all'illuminismo, e a Kant, giacchè è proprio la perdita di vista del principio base della metafisica (esiste una realtà spirituale, e lo spirito è MISTERIOSO e come tale va considerato, SACRALE) ha lasciato scoperto un metodo nudo e crudo. Se tutto si può misurare e incasellare, se anche lo spirito può essere incasellato, allora lo spirito viene sottovalutato, parificato concettualmente a tutte le altre eventualità, ridotto a norma, a rubrica, a un Dio che esegue gli ordini riportati sul libro, che appare laddove il prete dica le determinate parole, sapendo che mentre si occlude la M di "meuM" esso è presente, mentre se si sta finendo di pronunziare la U, allora esso è assente.

    E ne ho sentiti fare di ragionamenti in questa maniera. Ebbene, essere a questi livelli, significa essere già assolutamente kantiani. Che ha poi fatto Kant? Ha detto liberamente che lo spirito non può essere conosciuto, ossia ha scoperto l'acqua calda, ha detto che il re era nudo: i cattolici si rifiutavano già da secoli di conoscere lo spirito, giacché per "conoscerlo" lo avevano razionalizzato. Tuttavia mantenevano l'ipocrisia di chiamare il tutto "metafisica". Giustamente Kant riordina il tutto, e da Kant viene Hegel e da Hegel Marx. E così si scopre che Marx è l'ultimo anello che ci lega a san Tommaso. Non devono storcere il naso quelli che non vedono cosa c'entri Marx con il pensiero europeo ed occidentale. E' invece semplicemente il punto d'arrivo di questo pensiero degenerato, cui i certi cattolici con le loro manfrine hanno aperto la strada.
     
    Non dovrebbe affatto stupire questo, perchè semplicemente è questione di tempi. L'immanentismo evolve, e se uno è metafisicamente immanentista, come questi scolastici che SANNO se una Messa è valida o invalida, perchè nei loro cervellini le regolette tric e trac hanno determinato l'onnicomprensività del reale e nulla vi sfugge, sarà poi solo questione di tempo, come è avvenuto anche per gli altri a suo tempo. E se sembra inverosimile che possa avvenire questo ricorso storico, dato che uno dice "ma già è successo storicamente questo fatto, ovviamente non si può ripetere l'errore, dato che essi esistono proprio come reazione all'errore", posso gaiamente fare l'esempio dei tradizionalisti (generici) che esistono per reagire alla degenerazione, alla sperimentazione, alla innovazione della liturgia che è avvenuta inquinando il Messale tridentino negli anni 50-60, e ora intendono andare avanti con la loro fede, facendo con 50 anni di ritardo quello che Bugnini aveva già fatto nei tempi corretti, ossia innovare il Messale vecchio, con aggiunte, sperimentazioni, reciproche fecondazioni, ecc.
     
    Pertanto, si dica che una Messa in cui manchi l'intenzione prossima, è a rischio secondo le regole, ma non si osi dire di più, perchè nessuno ha l'intenzionometro, l'ostiometro e altri strumenti che sarebbero necessari per verificare se la grazia si produce o meno. Anche perchè ben credo che per ciò che potrebbe mancare supplisca comunque l'intenzione generale della Chiesa. Ecco.
     
    Gli articoli che propongo sono di sedevacantisti, questo non significa che io li condivida. Condivido l'analisi, ma escludendo ciò che riguarda il sedevacantismo. Ritengo che il difetto del sedevacantismo, stando alla coerenza interna con la teologia cattolica, sia una esasperazione dell'infallibilità Papale (questo lo si evince bene leggendo l'articolo di Cekada), che non ha alcun senso. E' quindi un errore per eccesso che porta alla conseguenza di non avere mai Papi, essendo i Papi ideali come superomizzati, divinizzati, dunque inesistenti. Quello che deriva dall'attività speculativa dei sedevacantisti, è quindi una attenzione maniacale ai minimi errori del Papa e del Magistero, perchè trovare un errore diventa (nel loro razionalismo tomista-kantiano) il busillis che invalida la papità a monte. E' tutta una realtà che si regge su busillis e cavilli. Sono però piuttosto meticolosi, e anche precisi e per questa ragione sono in genere interessanti.
     
    Di solito i sedevacantisti sono molto polemici con i "confratelli" Lefebvriani. Detto un po' alla casereccia, anche se entrambi si battono perchè ritorni in uso per tutta la Chiesa il Messale Tridentino, i sedevacantisti polemizzano con i lefevbriani perchè a dir di loro han abbandonato la purezza liturgica. I cosiddetti sedevacantisti o più propriamente quei sacerdoti che seguono la Tesi del Cassiciacum, adottano l'ultima edizione del Missale Romano propriamente integro cioè quello di San Pio V che San Pio X riformò e Pio XII editò (1952) con delle riforme legittime omogenee con il passato, che non incisero né sulla forma ne sulla sostanza.  La Fraternità dopo non poche burrasche interne adottò per compromesso l'edizione del 1962, già fortemente manomessa specie nella Settimana Santa, anche se formalmente è sempre più o meno il Messale Tridentino.
     
    Ovviamente occorre distinguere il fine per cui queste critiche vengono mosse, ossia l'obiettivo dell'articolista. Se l'obiettivo prossimo è evidenziare (per ripicca assai ridicola) le contraddizioni e gli errori del gruppo rivale (la SPX), l'obiettivo remoto è quello comunque di dimostrare che la Sede è Vacante, mediante la constatazione di errori nel Magistero. Il teorema è che il Papa non può fare alcun errore, se dunque si trova anche un solo errore, si ha la dimostrazione matematica (kantiana all'amatriciana) che il Papa in realtà, poichè sbaglia, non è Papa. Se si ignora questa scemenza, allora i testi dei sedevacantisti diventano ottime fonti di consultazione (Ricossa e Cekada sono infatti due uomini di grande spessore culturale e anche speculativo).
     
    Logicamente nè i sedevacantisti nè la fraternità hanno capito in cosa consiste realmente la crisi della Chiesa. Nè tanto meno i tradizionalisti o meglio i conservatori alla messainlatino.it.
     
    sedevacantisti negano che possa esservi una crisi, e misconoscono il Papa, pur di non ammettere che esso è il latore della crisi. La crisi da "sedevacante" non è una vera crisi, giacchè è come se una classe facesse casino al cambio dell'ora, mentre non c'è nessun professore che guarda. Per loro semplicemente la "crisi" è l'interregno, che non essendo governato, appare caotico e sregolato, ma considerando che la normalità è avere la successione dei papi, e che i papi sono perfetti e bravissimi, non c'era crisi con l'ultimo Papa valido, e non ci sarà con il prossimo, che ripristinerà tutte le cose.
     
    Lefebvriani hanno la posizione che nella pratica è la più corretta, perchè seguono la Tradizione e rifiutano le novità incompatibili con la Tradizione. Nella teoria però è la più folle, perchè per loro il Papa è comunque Papa, e come Papa è sempre quell'"infallibile" che non deve (dovrebbe) sbagliare mai. Sono cattolici come cattolici erano 60 anni fa, solo che la Chiesa non è più quella di una volta però sempre in "questa" Chiesa si riconoscono (si vogliono riconoscere) quindi, in un certo senso, secondo la teoria (la loro stessa teoria) sono talmente romani-ortodossi ma che sembrano "gallicani", giacchè rispettano formalmente il Papa disobbedendogli praticamente e scegliendo cosa seguire e cosa no del suo proprio Magistero (che per un cattolico autentico dovrebbe essere compreso e seguito senza alcuna contestazione). Da questo punto di vista sono criticabilissimi, tanto dai modernisti che dai sedevacantisti, per lo stesso motivo. Oggi (a meno di un attesta e auspicata regolamentazione, che evidenzierebbe, non solo una crisi più che evidente, ma un radicale cambio di rotta di un Papato conciliare fuori dai binari cattolici-tradizionali) in questo momento storico non viene alcuna giustificazione razionale dalla FSSPX sul come conciliare un gallicanesimo-romano-ortodosso con il cattolicesimo officiale, su come obbedire al Papa disobbedendogli. Lo dicono, come slogan, ma alla fine non c'è altra speculazione oltre alla affermazione dello slogan (e alla gente che li segue, in genere basta e avanza).
     
    I modernisti (in cui si ricomprendono anche i tradizionalisti motupropriati) non ammettono che vi sia crisi, poi a seconda del grado di progressismo ammettono l'evoluzione della Chiesa come un fatto positivo, oppure sostengono che essa è solo apparente, ma in ermeneutica di continuità.
     
    La realtà di oggi è che la Chiesa è (agli occhi umani che conoscono il suo passato sembra proprio)  finita, l'attuale non è più quella di prima, la religione cattolica attuale manca di coerenza interna con il suo passato, ed è da considerarsi tranquillamente una religione "diversa". Il Papa è Papa, ma non avendo altra infallibilità che quella legata alla Rivelazione, ed essendo padrone delle proprie azioni e capace di resistere alla grazia, può tranquillamente sbagliare. Non dovrebbe, perché il suo compito è quello di stare nel binario della Tradizione e farci stare anche gli altri. In passato lo hanno sempre fatto, essendo l'unica cosa che dovevano fare. Come un professore che corregge i compiti, non è infallibile se non in quanto la correttezza in sè della materia lo è. Se si fa portavoce ed espressione della fedeltà alla correttezza, sarà infallibile, altrimenti no. Generalmente i professori correggono sempre gli stessi errori e confermano sempre le stesse cose giuste, perchè si riferiscono sempre ad un unico optimum di correttezza formale. Capita comunque anche lo svarione, ma non per questo un errore del correttore, fa cambiare la materia.

    Questo appare palese nell'esempio, ma per i cattolici non è palese nella loro religione. Per loro il professore che corregge in "5" il 2+2, fa veramente cambiare la realtà, rendendo vera la nuova definizione. E' il magistero Papale. Come dire: se il professore ha la penna rossa, scrive sul foglio protocollo, con l'intenzione di correggere, e volendo rendere effettiva e valida la correzione, allora si cambia la stessa matematica, poichè rispettate le condizioni, allora la sua attività definitoria diventa verità. Costruisce verità.
     
    Permettetemi l'indugiare sulla polemica, certi cattolici lo dicono del Papa, giacchè guardano solo se sono rispettate le "condizioni" previste dal CVI per l'infallibilità. Con quelle quattro "regolette", sanno che Dio sta guidando il Papa, sanno cosa fa Dio, per 4 regoline: E' stupendo a che livelli possa arrivare la spocchia e la presunzione di questi finti devoti che hanno distrutto la religione con il razionalismo. Loro sanno cosa fa Dio con 4  regole se solo due si ottemperano, sanno che Dio non c'è. Se ci sono tutte, allora sanno che Dio c'è. Lo dice la LEGGE! Credo che abbiano mutuato questa visione razionalista-giuridicista dall'uso scriteriato del diritto romano. 

    I romani avevano il processo formulare. Delle tabelle che rappresentavano delle fattispecie pratiche e fisse, con nomi convenzionali da cambiare usando i nomi reali. Se Tizio è nella condizione X e Caio rispetta la condizione Y, allora si verificherà automaticamente sempre e soltanto l'effetto giuridico Z. Per cui il giudizio, era più cognitivo che altro. Bisognava verificare la sussistenza delle condizioni: il giudizio era automatico, dato dalla formula. Ma i romani avevano una concezione del diritto che era comunque anche misterica, oltre che razionale. Era una forma di religiosità-magica. La visione sacrale ce l'avevano, il raziocinio era applicato per far prima. 

    Usare solo criteri di riduzionismo becero e razionalista, equivale a smantellare tutta la morale, le azioni umane, ivi comprese quelle del Papa, di tutta la loro dimensione spirituale e personale. Significa arrivare a kantizzare il tomismo nella maniera più estrema. Se il Papa parla come Pastore universale, definendo, a tutta la Chiesa, una questione su fede e/o morale, allora è INFALLIBILE. E' lo stesso ragionamento, uguale, uguale, uguale. Ma qui non è in ballo la servitù d'acquedotto. Qui è in ballo la PERSONA, non una fattispecie materiale. Per cui, alle 4 regolette, si aggiungono anche il rispetto dell'intelligenza e della volontà. Forse, potremmo intendere che sono implicite nel concetto di "definire". Giacchè definire non è un atto creativo, ma delimitativo di una verità preesistente. Per cui si comprende come la verità non è creata dal Papa, ma il Papa vi si adegua, se definisce. Allora se non vuole adeguarsi, potremmo dire che non vuole "definire". Ma come lo spiegheremo quando dirà novità astruse usando il verbo "definisco"? 
     
    Bisogna abituarsi a evitare il ricorso alle sole condizioni, ma ragionare sempre tenendo conto del fatto che l'atto è anche un atto aperto alla sua spirituale personalità. Quindi più complesso, e tutto sommato indecifrabile con criteri oggettivi. Se però la verità è preesistente, ed è legata alla rivelazione, essendo la Tradizione e la Scrittura le DUE FONTI della Rivelazione (il Magistero NON E' UNA FONTE, ma è il veicolo della Tradizione, quindi è subordinato ad essa), esse saranno sempre il tornasole della bontà del magistero. Come si può sgamare il professore che corregge sbagliato, così si può sgamare il Papa che insegna sbagliato. Ma solo se uno ha un corretto ordine di idee sul Magistero, la Rivelazione, l'Infallibilità, il Primato. Detto questo se uno dice "disobbedire al Papa che ha sempre ragione è peccato", allora è uno po' sciocco. Se poi, oltre a dirlo, disobbedisce anche, è del tutto sciocco.
     
    La crisi è quindi data dalla guida "cattiva" della Chiesa, non dalla non guida, o dall'incomprensione degli altri. La guida cattiva produce però (ha prodotto) una realtà ulteriore alla Chiesa di sempre e alla religione di sempre. La guida cattiva che si sa essere tale, si blocca nei fedeli tramite il ricorso alla Tradizione, che è anticorpo per le novità sbagliate. La disobbedienza essendo l'obbedienza subordinata alla verità, non è quindi reale. Anzi, è necessaria. La guida cattiva invece si risolve solo mediante il subentrare di una guida buona. Questo però considerando il cambio di religione avvenuto, il cambio di mentalità di tutti, il cambio di opinione comune riguardo a cose che vengono sempre più date per scontato (diritti della donna? ebrei? libertà di coscienza? libertà di religione? libertà politica? Sacra Scrittura demitizzabile? equivalenza delle religioni? collegilismo? ecc.), il cambio dell'insegnamento nelle Università e nei seminari con il conseguente cambio generazionale. I nuovi cattolici sono formati alla nuova religione, la Tradizione sembra irrimediabilmente interrotta. In queste condizioni è possibile realisticamente che vada su una guida sana? guardando oggi il collegio cardinalizio, se non fossi radicato fermamente nella Fede e nella Speranza cristiana, io non ci crederei nemmeno più.





    L’Antico Rito della Messa è incomprensibile! Ti diciamo come rispondere a chi afferma questo



    Quando si parla dell’Antico Rito della Messa l’attenzione va senz’altro alla questione della lingua, cioè del latino. Tant’è che questo Rito è da tutti ricordato come “Messa in latino”.

    Prima di tutto va detto che questa questione della lingua è secondaria e non primaria. Come abbiamo avuto modo di dire, la differenza tra Antico e Nuovo Rito non sta essenzialmente nella lingua ma in ben altro. Visto però che dobbiamo trattare questa questione, è bene che la capiamo nella maniera più corretta.

    Diciamo subito che ci sono sei motivi che giustificano e legittimano l’uso della lingua latina nella celebrazione della Messa.

    L’universalità

    Il primo motivo è l’universalità. La Chiesa Cattolica è universale. I cattolici devono professare la stessa fede, devono riconoscersi nella stessa disciplina e devono anche riconoscersi in una stessa morale. Dunque, è più logico che all’unità della fede corrisponda l’unita della preghiera liturgica. Pio XII nella sua Mediator Dei scrive: “L’uso della lingua latina è un chiaro e nobile segno di unità (nda: fra i cattolici di tutto il mondo, siano essi italiani o tedeschi, bianchi o neri) e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina”.

    Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia del 22 febbraio 1962 chiedeva non solo di conservare l’uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l’utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria, dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla variazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.

    Nessun’altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità ed è così aliena dai nazionalismi. La massoneria internazionale, che ha sempre avuto come scopo la creazione di una società cosmopolita che parli un’unica lingua, creò di fatto l’esperanto e non ha mai pensato di utilizzare per questo fine il latino, in odio alla Chiesa.

    Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla comprensione unitaria delle lingue.

    Logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un’unica lingua per tutti.

    Per meglio rappresentare il Mistero

    Il secondo motivo è per meglio rappresentare il Mistero. Per significare lo straordinario occorre una lingua straordinaria. Un modo è come si parla agli amici, altro è come si parla ai superiori. Ciascun registro linguistico è legato ad una situazione precisa.

    Dal momento che la Messa è il mistero della ri-attuzzazione del Sacrificio di Cristo sul Calvario, presenziando alla Messa si è oltre le categorie del tempo e dello spazio. Si respira l’infinito, si è dinanzi al Mistero, si ascolta l’inaudito, si osserva l’inimmaginabile. Ora –parliamoci chiaramente- tutto questo può essere significato da una lingua che è immediatamente comprensibile? Ecco che è molto più naturale che nella Messa si usi una lingua non ordinaria, perché ciò che avviene nella Messa non è affatto ordinario.

    Per salvaguardare l’unicità del Tempo

    Il terzo motivo è per salvaguardare l’unicità del Tempo. Proprio perché la lingua latina è una lingua “morta”, essa meglio si adatta ad esprimere verità dogmatiche che sono verità che non mutano.

    Per salvaguardare l’unicità dello Spazio

    Il quarto motivo è per salvaguardare l’unicità dello Spazio. Con l’uso del latino in tutti i posti della terra la liturgia è perfettamente uguale e quindi l’incomprensibilità delle parole diventa comprensibilità del Rito. Questo è un punto su cui ci si riflette poco. A quella che può sembrare un’incomprensibilità delle parole, si sostituisce una comprensibilità del Rito, il quale può essere in tutti i posti della terra facilmente riconosciuto.

    Che paradosso! La Chiesa ha rinunciato alla sua lingua proprio quando l’avanzante mondializzazione e globalizzazione avrebbero richiesto un gesto in senso contrario. Si pensi all’attuale uso della lingua inglese, la cui conoscenza è diventata di fatto decisivo per poter competere nel campo del lavoro.

    Per prefigurare la vita del Paradiso

    Il quinto motivo è per prefigurare il Paradiso. C’è chi ha giustamente e suggestivamente detto che la Messa è “una finestra del Paradiso”. Ora chiediamoci: in Paradiso le anime come comunicano? Risposta: nella luce e nell’amore di Dio, non certo attraverso le lingue locali. Non si tratta di una comunicazione verbale nel senso comune del termine, ma di una comunicazione universale in Dio. Ebbene, la liturgia è anche prefigurazione di ciò che ancora non è, ma sarà. E se è anche questo, essa (la liturgia) deve pur far capire che in Paradiso si parlerà un’unica “lingua”: quella dell’amore effetto della visione beatifica di Dio.

    Per confermare la Tradizione

    Il quinto motivo è per confermare la Tradizione. Il latino è la lingua dell’inizio della Chiesa. Come l’Eucaristia non può realizzarsi se non con il pane e il vino, cioè con ciò che Gesù utilizzò nell’Ultima Cena, così ha un significato ben preciso che la lingua della liturgia cattolica sia la lingua dell’inizio e del centro della Chiesa.

    La lingua latina, ricorda Giovanni XXIII sempre nella Veterum Sapientiae, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L’unità linguistica resta un modello e un ideale. Nella predicazione è necessario utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono invece un’unica lingua sacra.

    La Messa non va capita… va vissuta!

    La liturgia non è uno spettacolo teatrale, nel quale si debba ascoltare e comprendere ogni singola parola. La liturgia serve a far penetrare, mediante il suo apparato di segni visibili, nelle realtà divine che in essa si celebrano. Per questo il sacerdote si spoglia dei suoi abiti quotidiani e si riveste dei paramenti sacri, per questo la celebrazione segue un rito codificato, per questo i cristiani si riuniscono in un luogo apposito e diverso da tutti gli altri, che è la chiesa.

    La Messa non va capita, va vissuta. O meglio: va capita relativamente a ciò che avviene in essa, ma l’approccio non deve essere di tipo intellettuale, bensì cordiale, nel senso letterale del termine da cor-cordis che vuol dire “cuore”. Partecipare alla Messa è adesione al Mistero.

    Il senso dell’actuosa partecipatio (partecipazione attiva), non è tanto nel capire e nel rispondere, ma nel condividere e nell’offrire. Giustamente si dice –e questo lo abbiamo già detto- che il modello del vero fedele che partecipa alla Messa è l’Immacolata. Ella sotto la Croce non parlava: condivideva ed offriva.

    E poi, diciamocela tutta: un tempo la gente non capiva le parole della Messa, però sapeva bene cosa fosse la Messa; oggi tutti capiscono le parole della Messa (sempre che non siano distratti… e molte volte la banalizzazione distrae più facilmente), ma pochi sanno cos’è la Messa. Basterebbe chiedere a tanti ragazzi non “lontani”, praticanti e di oratorio, per accertarsi quanti pochi oggi sanno cosa sia davvero la Messa.

    Certamente la parte istruttiva della Messa (letture, omelia, ecc…) deve essere capita e lì va bene la lingua nazionale, ma per il canone no. Paradossalmente per capire il canone, e cioè la grandezza e l’inimmaginabilità di ciò che accadde sul Calvario, occorre proprio una lingua che sia fuori del tempo e dello spazio, che meglio esprima il senso del mistero.

    L’allora cardinale Ratzinger, futuro Benedetto XVI, scrisse nel suo Il Sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del terzo millennio“Nella nostra riforma liturgica c’è la tendenza, a parer mio sbagliata, di adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più ‘piatta’. In questo modo, però, l’essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall’eternità.”

    E poi: se davvero la “Messa in latino” fosse così selettiva, verrebbe da chiedersi: come mai essa ha prodotto nei secoli frutti di santità non solo tra i colti, ma anche e soprattutto tra i semplici?

    Dio è Verità, Bontà e Bellezza  Il Cammino dei Tre Sentieri

     


     



    [Modificato da Caterina63 28/11/2017 21:04]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 22:53
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    L'ERESIA ANTILITURGICA DAI GIANSENISTI A GIOVANNI XXIII (1668-1960): i tre secoli di gestazione delle riforme conciliari

     
     
     
    di don Francesco Ricossa dalla Rivista SODALITIUM,11-86.

    IMPORTANZA DELLA QUESTIONE LITURGICA
     
     
    "La Liturgia, considerata in generale, è l'insieme dei simboli, dei canti e degli atti per mezzo dei quali la Chiesa esprime e manifesta la sua religione verso Dio" (Dom Guéranger. Institutions Liturgiques). Questa definizione della Sacra Liturgia ci fa apprezzare l'importanza capitale del culto pubblico che la Chiesa rende a Dio. Nell'Antico Testamento Dio stesso si fa, per così dire, liturgista, precisando nei minimi particolari il culto che Gli dovevano rendere i fedeli (cfr. il Libro Levitico; e anche Pio XII, Mediator Dei, 12). Tanta importanza per un culto che non era che l'ombra (Ebrei, 10,1) di quello sublime del Nuovo Testamento che Gesù, Sommo Sacerdote, vuole continuato fino alla fine del mondo per mezzo della Sua Chiesa...!. Nella Divina Liturgia della Chiesa Cattolica tutto è grande, tutto è sublime, fin nei minimi particolari; è questa la verità che fece pronunciare a Santa Teresa d'Avila queste celebri parole: "Darei la mia vita per la più piccola delle cerimonie della Santa Chiesa".

    Non si stupisca quindi il lettore dell'importanza che daremo in quest'articolo alle rubriche liturgiche e l'attenzione che presteremo alle "riforme" (che potrebbero essere giudicate minori) che hanno preceduto quelle del Concilio Vaticano II. Consci dell'importanza della Liturgia sono sempre stati, d'altro canto, i nemici della Chiesa: dobbiamo ricordare che da sempre la corruzione della Liturgia fu un veicolo, da parte degli eretici, per attentare alla Fede stessa? Lo fu con le antiche eresie cristologiche, e poi, via via, col luteranesimo e l'anglicanesimo nel XVI secolo, con le riforme illuministe e gianseniste nel XVIII secolo... per concludere con lo stesso Concilio Vaticano II che non a caso iniziò i suoi lavori di "Riforma" proprio con lo schema sulla Liturgia, sfociato nel "Novus Ordo Missae".

    ORIGINI DELLA "RIFORMA" LITURGICA DEL VATICANO II

    La "Riforma" liturgica voluta dal Vaticano II e realizzata nel post-concilio è una vera rivoluzione: "la via aperta dal Concilio è destinata a cambiare radicalmente il volto delle assemblee liturgiche tradizionali" ammette Mons. Annibale Bugnini, uno dei principali artefici di detta "riforma", aggiungendo che si tratta di un "reale stacco dal passato". (Bugnini, La Riforma Liturgica [1948-1975] CLV Edizioni Liturgiche – 1983) Ora, nessuna rivoluzione esplode improvvisamente, ma è il frutto di lunghi assalti, lente cadute e progressivi cedimenti.

    Lo scopo del nostro articolo è di mostrare al lettore, dopo un'introduzione di carattere storico, le origini della rivoluzione liturgica specialmente dopo un esame delle riforme delle rubriche avvenute nel 1955 e nel 1960. Infatti, se "una radicale rottura con la Tradizione si è compiuta ai nostri giorni con l'introduzione del Novus Ordo Missae e dei nuovi libri liturgici (...) è doveroso domandarsi dove affondino le radici di tanta desolazione liturgica. Che esse non siano da ricercare esclusivamente nel Concilio Vaticano II sarà chiaro ad ogni persona di buon senso. La Costituzione liturgica del 4 dicembre 1963 rappresenta la conclusione temporanea di una evoluzione le cui cause molteplici e non tutte omogenee risalgono a un lontano passato". (Mons. Klaus Gamber. Die Reform der Römischer Liturgie. Vorgeschichte und Problematik. pag. 9 e 10 dell'ed. italiana).


    L'ILLUMINISMO

    "La piena fioritura della vita ecclesiale nell'età barocca (Controriforma e Concilio di Trento. N.d.R.) fu investita, verso la fine del sec. XVIII, dal gelo dell'Illuminismo. Si era insoddisfatti della Liturgia tradizionale perché si reputava che troppo poco corrispondesse ai problemi concreti del tempo". (Mons. Gamber, op. cit., pagg. 15-16). L'Illuminismo razionalista trovò il terreno preparato ed un solido alleato nell'eresia Giansenista, che come il protestantesimo, di cui era la quinta colonna, avversava la Liturgia Romana tradizionale. Giuseppe II nell'Impero Asburgico, l'episcopato gallicano in Francia, quello toscano in Italia, riunito nel Sinodo di Pistoia, attuarono riforme ed esperimenti liturgici "che somigliano in modo sorprendente agli attuali: sono altrettanto fortemente orientati verso l'uomo ed i problemi sociali". (Gamber. op. cit., pag. 16) "Possiamo pertanto affermare che nell'Illuminismo affonda la più tenace radice dell'attuale desolazione liturgica. Molte idee di quell'epoca hanno trovato piena attuazione soltanto nel nostro tempo, in cui si assiste a un nuovo illuminismo". (Gamber. op. cit., pag. 17)

    L'avversione alla tradizione, la smania di novità e riforme, la sostituzione graduale del latino col volgare, e dei testi ecclesiastici e patristici con la sola Scrittura, la diminuzione del culto della Madonna e dei Santi, il razionalismo contro i miracoli ed i fatti straordinari narrati nelle letture liturgiche dei Santi, la soppressione del simbolismo liturgico e del mistero, la riduzione infine della Liturgia, giudicata eccessivamente ed inutilmente lunga e ripetitiva...: ritroveremo tutti questi capisaldi delle riforme liturgiche gianseniste nelle riforme attuali, ad incominciare da quella di Giovanni XXIII.

    La Chiesa, nei casi più gravi, condannò i novatori: così Clemente IX condannò il Rituale della Diocesi d'Alet nel 1668, Clemente XI condannò l'oratoriano Pasquier Quesnel (1634-1719) nel 1713 (Denz. 1436), Pio VI dannò il Sinodo di Pistoia ed il Vescovo Scipione de' Ricci con la Bolla "Auctorem Fidei" del 1794. (Denz. 1531-1533)

    IL MOVIMENTO LITURGICO

    "Una reazione al gelo illuministico è rappresentata dalla restaurazione del secolo XIX.(...) Sorsero allora la grande abbazia benedettina di Solesmes, in Francia, e quella della Congregazione di Beuron". (Gamber. pag. 17) Dom Prosper Guéranger (1805-1875), Abate di Solesmes, restaurò in Francia l'antica liturgia latina e diede la nascita ad un movimento, poi chiamato "liturgico", teso a far amare ed a difendere la liturgia tradizionale della Chiesa. Tale movimento operò per il bene della Chiesa fino a San Pio X, che con le sue decisioni rimise in onore il canto gregoriano e trovò un equilibrio ammirabile tra ciclo Temporale (feste del Signore, Domeniche e ferie) e quello Santorale (feste dei Santi).

    DEVIAZIONI DEL MOVIMENTO LITURGICO

    Dopo San Pio X, poco a poco, il cosidetto "Movimento Liturgico" deviò dai suoi intenti, per raggiungere, con una rivoluzione copernicana, le tesi che combatteva nel suo nascere. Tutte le idee dell'eresia antiliturgica - come Dom Guéranger chiamava le tesi liturgiche del XVIII secolo - furono riprese negli anni venti e trenta da liturgisti come Dom Lambert Beauduin (1873-1960) in Belgio e Francia, Dom Pius Parsch e Romano Guardini in Austria e Germania.Partendo dalla "Messa dialogata", a causa di "una eccessiva enfasi data alla parte attiva dei fedeli nelle funzioni liturgiche", (Gamber. pag. 17) i riformisti degli anni '30 e '40 giunsero (specialmente nei campi scout e nelle associazioni giovanili e studentesche) ad introdurre de facto nientemeno che la Messa in volgare, la celebrazione su di un tavolo faccia al popolo, la concelebrazione... Fra i giovani sacerdoti che si dilettavano di esperimenti liturgici c'era a Roma, nel 1933, il cappellano della F.U.C.I., tal Giovanni Battista Montini, per fortuna contrastato dal Cardinal Vicario. (Fappani-Molinari. Montini giovane. Ed. Marietti 1980. pagg. 282-292).

    In Belgio, Dom Beauduin dava al Movimento Liturgico un fine dichiaratamente ecu-menista, ipotizzando una Chiesa Anglicana "unita (alla cattolica), ma non assorbita" e fondando un "Monastero per l'unione" con gli "ortodossi" orientali, col risultato di "convertire" molti dei suoi monaci allo scisma orientale. Roma interviene: l'Enciclica contro il Movimento ecumenico, "Mortalium animos" (1928) è seguita, nel 1929 e 1932 da (troppo) discreti richiami che lo distolgono temporaneamente dalle sue attività. (Cfr. Bonneterre. Le Mouvement Liturgique. Ed. Fideliter. 1980. pagg. 35-42). Gran protettore del Beauduin era - naturalmente - il Card. Mercier, iniziatore dell'ecumenismo "cattolico" e definito dal "Sodalitium Pianum" come "amico di tutti i traditori della Chiesa". (Poulat. Intégrisme et catholicisme integral. Castermann. pag. 330). Negli anni '40 il lavoro di sabotaggio di simili liturgisti aveva già ottenuto il sostegno di vaste parti dell'episcopato, specialmente in Francia (col C.P.L.: centro di pastorale liturgica) e nel Reich tedesco. All'inizio del 1943, il 18 gennaio, "venne lanciato l'attacco più serio contro il Movimento Liturgico (...) da parte di un eloquente e vigoroso membro dell'episcopato, l'Arcivescovo di Friburgo (in Brisgau) Conrad Gröber. (...) In una lunga lettera indirizzata ai confratelli Vescovi, Gröber raccoglieva in 17 punti le sue preoccupazioni concernenti la Chiesa. (...) Criticava la teologia kerigmatica, il movimento di Schönstatt, ma soprattutto il Movimento Liturgico (...) coninvolgendo implicitamente anche il Card. Theodor Innitzer. (...)

    Pochi sanno che il p. Karl Rahner s.j. che viveva allora a Vienna (diocesi del Card. Innitzer. N.d.R.), scrisse (...) una risposta a Gröber. (Robert Graham s.j. Pio XII e la Crisi liturgica in Germania durante la guerra. La Civiltà Cattolica. 1985 pag. 546). Ritroveremo Karl Rahner come esperto conciliare dell'episcopato tedesco al Concilio Vaticano II assieme ad Hans Küng e Schillebeeckx. La questione arrivò a Roma: nel 1947 l'Enciclica di Pio XII sulla liturgia, "Mediator Dei", avrebbe dovuto sancire la condanna del Movimento liturgico deviato. Pio XII "espose fortemente la dottrina cattolica" (...) "ma questa enciclica fu sviata nel suo senso dai commenti che ne fecero i novatori; e Pio XII, se ricordò i principi, non ebbe il coraggio di prendere delle misure efficaci contro le persone; si sarebbe dovuto sciogliere il C.P.L. e vietare un buon numero di pubblicazioni. Ma queste misure avrebbero avuto come conseguenza un conflitto aperto con l'episcopato francese". (Jean Créte. Le Mouvement Liturgique. Itinéraires. Gennaio 1981. pagg. 131-132). Misurata la debolezza di Roma, i novatori capirono di poter andare (prudentemente) avanti: dalle sperimentazioni si passò alle riforme ufficiali romane.


    LE RIFORME DI PIO XII

    Pio XII non stimava gravissimo il problema liturgico che metteva a confronto i Vescovi tedeschi: "Produce in noi una strana impressione", scriveva a Mons. Gröber, "se, quasi al di fuori del tempo e del mondo, la questione liturgica viene presentata come il problema del momento". (Lettera di Pio XII a Mons. Gröber del 22 agosto 1943. Cit. in R. Graham, op. cit. pag. 549) Se con queste parole sconfessava gli esponenti del Movimento liturgico, Pio XII ne sottovalutava anche il pericolo. I novatori seppero così infiltrare il loro cavallo di Troia nella Chiesa attraverso la porta, quasi incustodita, della Liturgia, approfittando della poca attenzione di Papa Pacelli in materia e coadiuvati da persone molto vicine al Pontefice come il suo stesso confessore Agostino Bea s.j., futuro Cardinale ed esponente di spicco dell'Ecumenismo (cfr. mio articolo su "Sodalitium": Il Gran Sinedrio in Vaticano per il XX del Concilio).

    È illuminante questa testimonianza di Mons. Bugnini: "la Commissione (per la riforma della Liturgia istituita nel 1948) godeva della piena fiducia del Papa, tenuto al corrente da Mons. Montini e, più ancora, settimanalmente, dal P. Bea, confessore di Pio XII. Grazie a questo tramite si potè giungere a risultati notevoli anche nei periodi nei quali la malattia del Papa impediva a chiunque di avvicinarlo". (Op. Cit., pag. 22) Padre Bea fu all'origine della prima riforma liturgica di Pio XII, ovverosia la nuova traduzione liturgica dei Salmi, che sostituì quella della Volgata di San Gerolamo così invisa ai protestanti in quanto traduzione ufficiale della Sacra Scrittura nella Chiesa, dichiarata "autentica" dal Concilio di Trento. A questa riforma (Motu proprio "In cotidianis precibus" del 24 marzo 1945) il cui uso era, almeno in teoria, facoltativo e che ebbe poca fortuna, ne fecero seguito altre più durature ed ancora più gravi: 18 maggio 1948: costituzione, con a segretario Annibale Bugnini, di una commissione Pontificia per la Riforma della Liturgia (simile, anche nel nome, al "consilium ad exequendam constitutionem de Sacra Liturgia" istituito da Paolo VI nel 1964 e che partorita la "Nuova Messa"); 6 gennaio 1953 (Costituzione Ap. "Christus Dominus") sulla riforma del digiuno eucaristico; 23 marzo 1955, (decreto "Cum hac nostra aetate"), riforma (non pubblicata negli A.A.S. e non stampata nei libri liturgici) delle rubriche del Messale e del Breviario; 19 novembre 1955 (decreto Maxima Redemptionis), nuovo rito della Settimana Santa, già iniziato per quanto riguarda il Sabato Santo, ad experimentum, nel 1951.

    Alla riforma della Settimana Santa dedicheremo il capitoletto seguente; che dire, nel frattempo, di quella delle Rubriche e del Messale, operata lo stesso anno da Pio XII? Essendo state dichiarate facoltative, si tende a dimenticarle: esse furono tuttavia una tappa considerevole della Riforma Liturgica. Assorbite ed aumentate dalla riforma di Giovanni XXIIII, le esamineremo in dettaglio con quelle del successore. Basti dire, per ora, che la Riforma del 1955 tendeva ad abbreviare l'Ufficio divino e diminuire il culto dei santi: tutte le feste di rito semidoppio e semplice diventavano semplici commemorazioni, in quaresima e passione diveniva libera la scelta tra l'ufficio di un santo e quello feriale, veniva diminuito il numero delle vigilie e ridotte a tre le ottave. Soppressi i "Pater, Ave e Credo" da recitare prima delle ore liturgiche, veniva tolta anche l'antifona finale alla Madonna (tranne che a Compieta) ed il Simbolo di Sant'Atanasio (tranne che una volta l'anno).

    Il Bonneterre, nella sua opera citata, pur riconoscendo che le riforme della fine del pontificato di Pio XII sono "le prime tappe dell'autodemolizione della liturgia romana" (non vediamo come la Liturgia possa "autodemolirsi" N.d.R.) cerca di garantire la loro perfetta legittimità a causa della "santità" di chi le ha promulgate. "Pio XII" scrive "ha dunque intrapreso con ogni purezza d'intenzione delle riforme rese necessarie dai bisogni delle anime senza rendersi conto - E NON LO POTEVA - che scuoteva la liturgia e la disciplina in uno dei periodi più critici della loro storia, e soprattutto senza realizzare che metteva in pratica il programma del movimento liturgico deviato", (pagg. 105, 106, 111) Commenta Jean Crété: "Don Bonneterre riconosce che questo decreto segna l'inizio della sovversione della liturgia, ma cerca di scusare Pio XII dicendo che a quell'epoca nessuno, tranne gli uomini del partito della sovversione, potevano rendersene conto.

    Posso, al contrario, dargli una testimonianza categorica su questo punto. Mi rendevo benissimo conto che questo decreto non era che l'inizio di una sovversione totale della liturgia; e non ero il solo. Tutti i veri liturgisti, tutti i sacerdoti attaccati alla tradizione, erano costernati. La congregazione dei riti non era favorevole a questo decreto, opera di una commissione speciale. Quando, cinque settimane più tardi, Pio XII annunciò la festa di San Giuseppe operaio (che spostava la festa antichissima degli Apostoli Filippo e Giacomo e sopprimeva la Solennità di San Giuseppe Patrono della Chiesa N.d.R.) l'opposizione si manifestò apertamente: durante più di un anno la congregazione dei riti rifiutò di comporre l'ufficio e la messa della nuova festa. Furono necessari molti interventi del Papa perché la congregazione dei riti si rassegnasse, malvolentieri, a pubblicare alla fine del 1956 un'ufficio così mal composto che si può chiedere se non sia stato sabotato volontariamente. Ed è solo nel 1960 che furono composte le melodie (che sono dei modelli di cattivo gusto) dell'ufficio e della messa. Raccontiamo questo episodio poco noto per dare un'idea della violenza delle reazioni suscitate dalle prime riforme liturgiche di Pio XII". (Crété. Op. cit., pag. 133)


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 23:01
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    IL NUOVO RITO DELLA SETTIMANA SANTA

    ''Il rinnovamento (liturgico) ha mostrato chiaramente che le formule del messale romano dovevano essere riviste ed arricchite. Il rinnovamento è stato iniziato dallo stesso Pio XII con la restaurazione della veglia pasquale e dell'Ordo della Settimana Santa, CHE COSTITUÌ LA PRIMA TAPPA DELL'ADATTAZIONE DEL MESSALE ROMANO AI BISOGNI DELLA NOSTRA EPOCA". Sono queste le parole stesse di Paolo VI nella "promulgazione" del nuovo messale. ("Cost. Ap. Missale Romanum" del 3 aprile 1969).

    Analogamente, da sponda diversa, scrive Mons. Gamber: "Il primo Pontefice che abbia apportato un vero e proprio cambiamento al Messale tradizionale fu Pio XII, con l'introduzione della nuova liturgia della Settimana Santa. Riportare la cerimonia del Sabato Santo alla notte di Pasqua sarebbe stato possibile senza grandi modifiche. A lui seguì Giovanni XXIII con il nuovo ordinamento delle rubriche. Anche in queste occasioni, comunque, il Canone della Messa restò intatto (Quasi. Ricordiamo l'introduzione del nome di San Giuseppe nel Canone, voluta da Giovanni XXIII durante il Concilio, contro la tradizione che vuole nel Canone solo nomi di Martiri, da unire al Grande Martire Gesù nel Suo Sacrificio N.d.R.), non venne minimamente alterato, ma dopo questi precedenti, è vero, furono aperte le porte a un ordinamento della Liturgia Romana radicalmente nuovo". (Op. cit., pag. 22).

    Il decreto "Maxima Redemptionis" col quale si introduce nel 1955 il nuovo rito parla esclusivamente del cambiamento di orario delle cerimonie del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, per facilitare ai fedeli l'assistenza ai Riti sacri riportati dopo secoli alla sera; ma in nessun passaggio del decreto si fa il minimo accenno al drastico mutamento dei testi e delle cerimonie stesse instaurato col nuovo rito e per nulla giustificato da un qualsivoglia motivo pastorale!

    In realtà il nuovo rito della settimana Santa fu una prova generale della riforma; lo testimonia il domenicano modernista Chenu: "Padre Duployé seguiva tutto ciò con una lucidità appassionata. Mi ricordo che mi disse un giorno, ben più tardi: - Se riusciamo a restaurare la vigilia pasquale nel suo valore primitivo il movimento liturgico avrà vinto; mi do dieci anni per questo -. Dieci anni dopo era cosa fatta." (Un théologien en liberté. J. Dunquesne interroge le P. Chenu. Le Centurion. 1975. pag. 92-93)

    Infatti, il nuovo rito della Settimana Santa, inserendosi come un corpo estraneo nel resto del messale ancora tradizionale, seguiva i principi che ritroveremo nelle riforme di Paolo VI nel 1965. Facciamo alcuni esempi: Paolo VI sopprimerà nel 1965 l'ultimo vangelo: nel 1955 è soppresso dalla settimana Santa. Paolo VI sopprimerà il Salmo "ludica me" con le preghiere ai piedi dell'altare: lo stesso anticipava la Settimana Santa del 1955. Paolo VI (seguendo Lutero) vorrà la celebrazione della Messa "faccia al popolo": il Novus Ordo della Settimana Santa inizia con l'introdurre tale uso ogni volta che è possibile (specialmente il giorno delle Palme). Paolo VI vuole diminuito il ruolo del sacerdote, sostituito ad ogni piè sospinto dai ministri: nel 1955, di già, il celebrante non legge più le letture, epistole e Vangeli (Passio) che sono cantate dai ministri -benchè facciano parte della Messa- e va a sedersi, dimenticato, in un angolo. Paolo VI, nella stessa Nuova "Messa" del 1969, col pretesto di restaurare l'antico rito romano, sopprime dalla Messa tutti gli elementi della liturgia "gallicana" (anteriore a Carlo Magno) seguendo un cattivo "archeologismo" condannato da Pio XII.

    Scompare così l'offertorio (con gaudio dei protestanti) sostituito con un rito talmudico che con l'antico rito romano non c'entra niente. Seguendo lo stesso principio il nuovo rito della Settimana Santa sopprime tutte le orazioni di benedizione delle Palme (tranne una), l'epistola, offertorio e prefazio che precedevano, la messa dei presantificati il Venerdì Santo... Paolo VI, sfidando gli anatemi del concilio di Trento, sopprime l'ordine sacro del Suddiaconato; il nuovo rito della Settimana Santa lascia in scena un Suddiacono sempre più inutile, visto che lo sostituisce il Diacono (Orazioni del Venerdì Santo al "levate") o il coro ed il celebrante (all'adorazione della croce).

    Paolo VI vuole l'ecumenismo? La nuova Settimana Santa lo inaugura, chiamando l'orazione del Venerdì Santo per la conversione degli eretici: "orazione per l'unità della Chiesa" ed introducendo la genuflessione all'orazione per i Giudei che la Chiesa negava loro in odio al delitto compiuto il Venerdì Santo. I simbolismi medioevali sono soppressi (apertura della porta della Chiesa al canto del Gloria Laus, per esempio) la lingua volgare introdotta (promesse bettesimali), il Pater Noster recitato da tutti (venerdì santo), le orazioni per l'Impero sostituite da altre per i governanti la "cosa pubblica" dal sapore molto moderno.

    Nel Breviario si sopprime il così commovente "Miserere" ripetuto a tutte le ore. Viene rivoluzionato il Preconio Pasquale sopprimendo il simbolismo delle sue parole; sempre il Sabato Santo otto letture su dodici sono soppresse. Il canto della Passione, così toccante, subisce dei gravissimi tagli: scompare persino l'ultima Cena, nella quale Gesù, già tradito, ha celebrato per la prima volta nella storia il Sacrificio della Messa.

    Il Venerdì Santo viene distribuita la comunione, contrariamente alla tradizione della Chiesa ed alla condanna di San Pio X contro chi voleva instaurare questo uso. (Decreto Sacra Tridentina Synodus - 1905) Tutte le rubriche, poi, del nuovo rito del 1955, insistono continuamente sulla "partecipazione" dei fedeli da un lato, mentre d'altro canto deprecano come abusi molte delle devozioni popolari (così care ai fedeli) che accompagnano la Settimana Santa. Questo seppur sommario esame della riforma della Settimana Santa consente al lettore - così almeno pensiamo - di rendersi conto di come i "periti" che fabbricheranno 14 anni dopo la Nuova "Messa" avevano usato - e sfruttato - la Settimana Santa per compiere su di essa -tamquam in corpore vili- i loro esperimenti rivoluzionari da applicare a tutta la Liturgia.


    GIOVANNI XXIII

    A Pio XII succede Giovanni XXIII, Angelo Roncalli. Professore al Seminario di Bergamo, fu inquisito perché seguiva i testi del Duchesne, proibiti, sotto San Pio X in tutti i seminari italiani, e la cui opera "Histoire ancienne de l'Eglise", finì all'Indice. (Poulat. Catholicisme, démocratie et socialisme. Pag. 246 e 346; Maccarrone: Mgr. Duchesne et son temps. 1975. pag. 469-472) Nunzio a Parigi, Roncalli svelerà la sua adesione alle tesi del Sillon, condannate da San Pio X (si legga tutto il testo della condanna, pubblicato in "Sodalitium" n. 4, Agosto-Settembre-Ottobre 1984), con una lettera alla vedova di Marc Sangnier, fondatore del movimento proscritto, nella quale, tra l'altro, scrive: "Il fascino potente della sua parola (di Sangnier N.d.r.), della sua anima, mi avevano incantato e conservo della sua persona e della sua attività politica e sociale il ricordo più vivo di tutta la mia giovinezza sacerdotale", (lettera del 6 giugno 1950. Cfr. Itinéraires, n. 247, nov. 1980, pag. 152-153).

    Nominato Patriarca di Venezia, Mons. Roncalli darà pubblico benvenuto ai socialisti giunti nella sua città per il congresso del partito. Divenuto Giovanni XXIII crea Cardinale Mons. Montini, indice il Concilio Vaticano II e scrive l'Enciclica "Pacem in terris" nella quale afferma di già, cammuffandola con una frase volutamente ambigua, quella libertà religiosa che sarà proclamata dal Concilio, come testimonia il neo-Cardinale Pavan, collaboratore di Giovanni XXIII. L'atteggiamento di Giovanni XXIII, alla morte di Pio XII nel 1958, non poteva essere diverso, in materia liturgica, a quello dimostrato negli altri campi. Ben lo sapeva Dom Lambert Beauduin, ormai noto al lettore come quasi capostipite del movimento liturgico modernista, ed amico di Roncalli dal lontano 1924.

    P. Bouyer testimonia che Dom Beauduin gli disse il giorno della morte di Pio XII: "Se eleggessero Roncalli, tutto sarebbe salvato: sarebbe capace di convocare un Concilio e di consacrare l'Ecumenismo...". (Bouyer. Dom L. Beauduin, un homme d'Eglise. 1964. pag. 180-181). Il 25 luglio 1960 Giovanni XXIII pubblica il Motu proprio "Rubricarum Instructum". Già aveva deciso di convocare il Vaticano II e di procedere alla riforma del Diritto Canonico; con questo Motu Proprio Giovanni XXIII assorbe ed aggrava le riforme delle rubriche del 1955-56: ''Siamo arrivati alla decisione" scrive "che si doveva presentare ai Padri del futuro Concilio i principi fondamentali concernenti la riforma liturgica, e che non si doveva differire ulteriormente la riforma delle rubriche del Breviario e del Messale romano". In questo quadro così poco ortodosso, con artefici così dubbi, in un clima già "conciliare", nascono il Breviario ed il Messale di Giovanni XXIII, concepiti come "Liturgia di transizione" destinata a durare, come durò, tre o quattro anni: transizione tra la liturgia cattolica consacrata al Concilio di Trento e quella eterodossa preconizzata dal Vaticano II.



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 23:03
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    “L'ERESIA ANTILITURGICA” NELLA RIFORMA DI GIOVANNI XXIII
    Abbiamo visto precedentemente come il grande Dom Guéranger definì "eresia antiliturgica" l'insieme dei falsi principi liturgici del XVIII secolo ispirati dall'illuminismo e dal Giansenismo. Vorrei mostrare in questo capitoletto la somiglianza, a volte letterale, tra le riforme di quel secolo lontano e quelle di Giovanni XXIII.
    • Riduzione del Mattutino a tre lezioni. L'Arcivescovo (terzaforzista, cioè filo-giansenista) di Parigi, Vintimille, nella sua riforma del Breviario del 1736 "ridusse la maggior parte degli Uffici a tre lezioni, per renderli più corti". (Guéranger. Institutions Liturgiques. Extraits. Ed. Chiré. p. 171) Giovanni XXIII nel 1960 riduce anch'egli a 3 sole lezioni la quasi totalità degli Uffici. Ne consegue la soppressione di un terzo della Sacra Scrittura, dei due terzi delle vite dei Santi e dei quasi tre terzi (la totalità) dei commenti dei Padri alla Scrittura. Per aiutare il lettore gli mostriamo, in un piccolo schema, ciò che resta del Mattutino (tranne che nelle feste di I e II classe) dopo la riforma,tenendo presente che il Mattutino è una parte considerevole del Breviario.

    • Diminuzione delle formule di stile ecclesiastico a favore della Sacra Scrittura. "Il secondo principio della setta antiliturgica è di rimpiazzare le formule di stile ecclesiastico con delle letture della Sacra Scrittura". (Guéranger. op. cit., p. 107) Mentre il Breviario di San Pio X faceva commentare la Sacra Scrittura dai Padri, quello di Giovanni XXIII, lasciate praticamente intatte le lezioni scritturali, come abbiamo visto sopra, le lascia senza il commento della Chiesa, sopprimendo il commento patristico (soppresso il commento all'Antico Testamento o alle epistole, 5 o 6 righe di commento al Vangelo della domenica).

    • Togliere le feste dei santi dalla Domenica. "È il loro (dei giansenisti. N.d.r.) grande principio della santità della domenica che non permette che si degradi questo giorno fino a consacrarlo al culto di un santo, nemmeno della Santa Vergine. (...) A più forte ragione i doppi maggiori o minori, che diversificano così piacevolmente per il popolo fedele la monotonia delle domeniche, ricordandogli gli amici di Dio, le loro virtù e la loro protezione, non dovevano essere rinviati per sempre a giorni infrasettimanali nei quali la loro festa passerebbe silenziosa ed inavvertita?". (Dom Guéranger. Pag. 163) Giovanni XXIII, andando ben oltre la riforma equilibrata di San Pio X, raggiunge quasi alla lettera l'ideale degli eretici giansenisti: solo nove feste di Santi possono vincere sulla domenica (S. Giuseppe di marzo e di maggio, tre feste mariane: Annunciazione, Assunzione e Immacolata, S. Giovanni Battista, SS. Pietro e Paolo, S. Michele e Ognissanti) contro le 32 che contava il calendario di San Pio X, molte delle quali erano antiche feste di precetto. Per di più, la Domenica, Giovanni XXIII abolisce le memorie dei Santi. Per ottenere questi scopi, la riforma del 1960 eleva tutte le domeniche al rango di I e II classe, e riunisce quasi tutti i santi in una III classe creata ex novo, annullando, come vediamo dallo schema, quei doppi maggiori o minori che loda Dom Guéranger. 

    • Favorire l'ufficio della feria alle feste dei Santi. Dom Guéranger descrive poi così le mosse gianseniste: "Il calendario sarà ormai epurato e lo scopo, ammesso da Grancolas (1727) e dai suoi complici, è di fare che il clero preferisca l'officio della feria a quello dei Santi. Che spettacolo pietoso! Vedere penetrare nelle nostre chiese delle massime infette di calvinismo e così volgarmente opposte a quelle della Sede Apostolica, che da due secoli non ha cessato di fortificare il calendario della Chiesa con l'arrivo di nuovi protettori!", (op. cit. pag. 163) Giovanni XXIII ha soppresso totalmente 10 feste dal calendario (11 in Italia, con la festa della Madonna di Loreto) ha ridotto 29 feste di rito semplice e 9 di rito più elevato al rango di commemorazione, facendo così prevalere l'ufficio feriale; con la soppressione di quasi tutte le ottave e le vigilie ha sostituito altre 24 ferie a uffici di Santi (calcolando per difetto, non tenendo conto dei calendari particolari e delle feste mobili); infine, con le nuove regole di quaresima che vedremo poi, altri 9 Santi, ufficialmente nel calendario, non verranno mai festeggiati. Concludendo, la riforma del 1960-1962 sacrifica ad una "massima calvinista", epurandole, circa 81, 82 feste di santi. Dom Guéranger precisa che i Giansenisti soppressero le feste dei Santi in quaresima (op. cit. pag. 163). Allo stesso modo si comporta Giovanni XXIII, salvando solo le feste di I e II classe; poiché la loro festa cade sempre in Quaresima, non si festeggerà mai più un S. Tommaso d'Aquino, un S. Gregorio Magno, S. Benedetto, S. Patrizio, S. Gabriele Arcangelo ecc.

    • Censurare i miracoli dalle vite dei Santi che sembrano leggendarie. Era il principio dei liturgisti illuministi ("le vite dei santi furono spogliate di una parte dei loro miracoli e dei loro racconti pii" Dom Guéranger, pag. 171). Abbiamo visto che la riforma del 1960 sopprime 2 delle 3 lezioni del 2° Notturno, in cui si leggono le vite dei Santi. Ma ciò non bastava. Come abbiamo detto 11 feste sono totalmente soppresse, probabilmente perché "leggendarie" per i razionalisti preconciliari: per esempio S. Vitale, l'Invenzione della S. Croce, il martirio incruento di S. Giovanni alla Porta Latina, l'apparizione di S. Michele sul Gargano, S. Anacleto, S. Pietro in Vincoli, l'Invenzione ( = Ritrovamento) di S. Stefano, la Madonna di Loreto (una casa che vola!!. Ci si può credere nel XX secolo?); tra le votive, S. Filomena (che stupido il Curato d'Ars che ci credeva). Altri Santi poco illuministi sono eliminati più discretamente: la Madonna del Carmelo e della Mercede, S. Giorgio, S. Alessio, S. Eustachio, le stimmate di S. Francesco, restano come memoria in un giorno feriale. Partono anche due Papi, sembra senza motivo: S. Silvestro (troppo Costantiniano?) e S. Leone II. Quest'ultimo, forse, perché condannò Papa Onorio, e Giovanni XXIII... Segnaliamo infine un "capolavoro" che ci tocca da vicino. Dall'orazione della Messa della Madre del Buon Consiglio la riforma del 1960 ha tolto le parole che parlavano della apparizione miracolosa della Sua immagine. Se la Casa di Nazareth non può volare a Loreto, figuriamoci se un quadro che era in Albania può volare a Genazzano.

    • Spirito antiromano. I Giansenisti soppressero una delle 2 feste della Cattedra di San Pietro, al 10 gennaio, come pure l'Ottava di San Pietro (Dom Guéranger, pag. 170). Identiche misure con Giovanni XXIII.

    • Soppressione del Confiteor prima della comunione dei fedeli. (Messale di Trojes)(Dom Guéranger, pag. 149, 150, 156). Medesima cosa nel 1960.

    • Riforma del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo. Nel 1736, col Breviario di Vintimille, "fatto gravissimo e, ancor più, dolorosissimo per la pietà dei fedeli" (Dom Guéranger, pag. 170, 171). Qui Giovanni XXIII è stato preceduto, come abbiamo visto! Idem con la soppressione di quasi tutte le Ottave (uso, che si trova già nel Vecchio Testamento, di solennizzare le grandi feste per otto giorni) anticipata dai Giansenisti nel 1736 (pag. 171) e ripetuta nel 1955-60.

    • Fare, insomma, un Breviario cortissimo e senza ripetizioni. Era il sogno dei liturgisti rinascimentali (Breviario di S. Croce, abolito da S. Pio V) e poi degli Illuministi. Commenta Dom Guéranger: vogliono un Breviario "senza queste Rubriche complicate che obbligano il Sacerdote a fare dell'Ufficio Divino uno studio serio; dal resto le rubriche stesse sono tradizioni, ed è giusto che scompaiono. (...) Senza ripetizioni (...) e molto corto: ecco il grande mezzo di successo! (...). Si vuole un Breviario corto. Lo si avrà; e si troveranno dei Giansenisti per redigerlo", (pag. 162, e anche 159). Questi tre principi saranno il vanto pubblico delle Riforme del 1955 e 1960: scompaiono le lunghe "Preces", le memorie, i suffragi, i "Pater, Ave, Credo", le Antifone alla Madonna, il Simbolo di S. Atanasio, 2/3 del Mattutino, e... chi più ne ha più ne metta!




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 23:06
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    L'ECUMENISMO NELLA RIFORMA DI GIOVANNI XXIII...

    A questo i Giansenisti non ci avevano pensato. La Riforma del 1960 sopprime dalle orazioni del Venerdì Santo l'aggettivo latino "perfidis" ( = senza fede) riferito ai Giudei, ed il sostantivo "perfidiam" ( = empietà) riferito a "Giudaica". È la porta aperta alla visita alla Sinagoga dei nostri giorni. Al numero 181 delle Rubriche del 1960 si legge: "la Messa contro i pagani venga chiamata: per la difesa della Chiesa. La Messa per togliere lo scisma, venga detta: per l'unità della Chiesa" (solita eresia che nega che la Chiesa è UNA! N.D.R.).

    Questi cambiamenti rivelano il liberalismo, pacifismo e falso ecumenismo di chi li ha concepiti. Un ultimo punto, ma tra i più gravi. Nel "Breve Esame Critico" contro la "nuova Messa" presentato dai Cardinali Ottaviani e Bacci si dichiara giustamente che è "un chiaro attentato al dogma della Comunione dei Santi la soppressione, quando il sacerdote celebri senza inserviente (cioè da solo. N.d.r.), di tutte le salutationes (cioè "Dominus vobiscum" ecc.) e della benedizione finale" (pag. 18). Infatti, anche se solo, il sacerdote nel celebrare la Messa o dire il Breviario prega a nome di tutta la Chiesa e con tutta la Chiesa. Verità questa negata da Lutero. Ora, questo attentato al dogma era già compiuto dal Breviario di Giovanni XXIII che al sacerdote che lo recita da solo impone di non dire più "Dominus vobiscum - il Signore sia con voi" ma "Domine exaudi orationem meam - Signore, ascolta la mia preghiera", pensando, con una "professione di pura fede razionalista" (Breve Esame Critico, pag. 18) che il Breviario non sia più la preghiera pubblica della Chiesa, ma una lettura privata.


    CONCLUSIONE NECESSARIA

    Non serve a nulla la teoria, se non la si applica. Questo articolo non può concludersi senza un caldo invito, innanzitutto ai sacerdoti, a ritornare alla liturgia "canonizzata" dal Concilio di Trento ed alle Rubriche promulgate da San Pio X.

    Scrive Mons. Gamber: "Molte delle innovazioni promulgate in materia liturgica negli ultimi 25 anni - a cominciare dal decreto sul rinnovamento della Liturgia della Settimana Santa del 9 febbraio 1951 (ancora sotto Pio XII) e dal nuovo Codice delle Rubriche del 25 luglio 1960 (ormai di nuovo superato) fino alla riforma, per continue piccole modificazioni, dell'Ordo Missae del 3 aprile 1969 - si sono dimostrate inutili e dannose alla vita spirituale". (Op. cit. pag. 44-45).

    Purtroppo nel campo "tradizionalista" regna la confusione: chi si ferma al 1955, chi al 1965 o 1967; la Fraternità San Pio X, dopo aver adottato la riforma del 1965 è tornata a quella del 1960, di Giovanni XXIII (accordata ora dall'indulto del 1984) benché ci si permetta di introdurre usi anteriori e posteriori! Nei Distretti di Germania, Inghilterra e Stati Uniti, dove si recitava il Breviario di San Pio X, è stato imposto quello di Giovanni XXIII, e ciò non solo per motivi legalistici ma di principio, mentre si tollera a malapena la recitazione privata del Breviario di S. Pio X. Ci illudiamo, sperando che questo, o altri studi, aiutino a capire che la Riforma è UNA in tante tappe, e che tutta si deve rifiutare se non si vuole (absit) accettarla tutta? Solo con l'aiuto di Dio ed idee chiare si potrà ottenere una restaurazione che non duri un'estate di San Martino.




     
     
     





    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    14/10/2017 23:29
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    PAOLO VI

    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 3 dicembre 1969

    Risultati immagini per Paul VI

     

    Le importanti novità dell'oggi escludono ogni flessione dalla incorrotta ortodossia

    Diletti Figli e Figlie!

    Noi vorremmo guardare per un momento dentro i vostri animi. Noi vi supponiamo tutti buoni e fedeli, e desiderosi d’incontrare il volto della Chiesa vera; un volto giovane e vivo, un volto bello, come un volto di sposa, la sposa di Cristo, «senza alcuna macchia, senza difetti, santa e immacolata» (cfr. Eph. 5, 27), come dice San Paolo, e come il Concilio ci aveva lasciato sperare. Invece pare a Noi d’intravedere nei vostri cuori un doloroso stupore: dov’è la Chiesa, che noi amiamo, che noi desideriamo? quella d’ieri era forse migliore di quella d’oggi? e quella di domani, quale sarà? un senso di confusione sembra diffondersi anche nelle file dei migliori figli della Chiesa, talora anche fra i più studiosi e fra i più autorevoli. Si parla tanto di autenticità; ma dove la possiamo trovare, mentre tante cose caratteristiche, alcune anche essenziali, sono messe in questione? Si parla tanto di unità: e molti cercano d’andare per conto proprio. Di apostolato: e dove sono gli apostoli generosi e entusiasti, mentre le vocazioni diminuiscono, e fra il Laicato cattolico stesso si affievolisce la coesione e lo spirito di conquista? Si parla tanto di carità, e si respira in certi ambienti stessi ecclesiali un fiato critico ed amaro, che non può essere quello del vento di Pentecoste. E che dire della marea avversaria alla religione, alla Chiesa, che sale intorno a noi? Un senso d’incertezza percorre, come un brivido febbrile, il corpo ecclesiale; è mai possibile che questo paralizzi nella Chiesa cattolica il suo carisma caratteristico, quello della sicurezza e del vigore?

    LA DIFFUSIONE DELLA PAROLA VERA E SANA

    Carissimi Figli! quale lungo discorso meriterebbe un tema come questo, cioè sulla diagnosi spirituale, morale e psicologica del popolo cattolico in quest’ora forte e burrascosa per il mondo intero! Come già altre volte, e com’è Nostra abitudine in questo breve trattenimento settimanale, Noi vi accenniamo appena, solo perché sappiate che anche il Papa vi pensa, e che anche voi dovete pensarvi. Vi diremo innanzi tutto che non bisogna lasciarsi troppo impressionare, né tanto meno impaurire. Anche se i fenomeni preoccupanti assumono misure di gravità, bisogna pur rilevare che spesso nascono da minoranze numericamente piccole, e da fonti molto spesso punto autorevoli: i mezzi moderni di diffusione pubblicitaria invadono oggi con strepitosa facilità l’opinione pubblica, e dànno a fatti minimi effetti sproporzionati. Resta ancora un’immensa maggioranza di gente sana, buona e fedele a cui possiamo far credito; anzi a questa Noi ci rivolgiamo con la Nostra fiducia, e la invitiamo con la Nostra esortazione a rimanere salda e a farsi più cosciente ed operosa: il Popolo cristiano deve da sé immunizzarsi e affermarsi; silenziosamente, ma sicuramente. La diffusione della parola vera e sana - della predicazione sacra, della scuola fondata su principii cristiani, della stampa improntata al nome cattolico, o relativa al magistero della Chiesa - può essere l’antidoto opportuno alla vertigine delle troppe voci rumorose, che riempiono oggi le correnti della pubblica opinione.

    LIMITI DELL’INCHIESTA SOCIOLOGICA

    La quale tende oggi a prodursi anche con un metodo, che possiamo chiamare nuovo, quello dell’inchiesta sociologica. È di moda; e si presenta con la severità del metodo, che pare del tutto positivo e scientifico, e con l’autorità del numero; così che il risultato d’un’inchiesta tende a diventare decisivo, non solo nell’osservazione d’un fatto collettivo, ma nell’indicazione d’una norma da adeguare al risultato stesso. Il fatto diventa legge. Potrebbe essere un fatto negativo, e l’inchiesta tende egualmente a giustificarlo come normativo. Senza tener conto che l’oggetto d’un’inchiesta è, di solito, parziale e quasi isolato dal contesto sociale e morale, in cui è inserito, e che riguarda spesso l’aspetto soltanto soggettivo, cioè quello dell’interesse privato o psicologico, del fatto osservato; non quello dell’interesse generale e d’una legge da compiere. L’inchiesta allora può generare un’incertezza morale, socialmente assai pericolosa. Sarà sempre utile come analisi d’una situazione particolare; ma per noi, seguaci del regno di Dio, essa dovrà sottoporre i suoi risultati a criteri diversi e superiori, come quelli delle esigenze dottrinali della Fede e della guida pastorale sui sentieri del Vangelo.

    Questo ci fa riflettere se i malanni, dei quali soffre oggi nel suo interno la Chiesa, non siano principalmente dovuti alla contestazione, tacita o palese, della sua autorità, cioè della fiducia, dell’unità, dell’armonia, della compagine nella verità e nella carità, secondo la quale Cristo l’ha concepita e istituita, e la tradizione per noi l’ha sviluppata e trasmessa.

    SICUREZZA, UNITÀ, ARMONIA

    E allora Noi vorremmo che la vostra venuta, pia e fiduciosa, alla tomba dell’Apostolo, su cui il Signore ha fondato la sua Chiesa, premiasse i vostri passi con la visione, sì, ideale e celeste della Chiesa, della Chiesa una e santa, cattolica ed apostolica, e con la visione altresì terrestre della Chiesa reale, umana e sempre imperfetta, ma tesa, oggi specialmente, in un mirabile sforzo, doloroso e gioioso insieme, d’adeguarsi al pensiero di Cristo irradiandone la Parola e la luce e facendo propri tutti i doni, tutti i bisogni, tutti i dolori del ‘mondo presente.

    Pietro non cambia; e ciò vi possa dare il conforto del quale i vostri cuori hanno ora segreta necessità, quello della sicurezza; e Pietro è sempre vivo; vivo di quel Cristo che passa dall’avvento di Betlemme all’avvento dell’ultimo giorno nei secoli, nella storia nostra, sempre eguale e crescente appunto come un albero vivo, che dal piccolo seme germoglia ad ogni stagione nuova vegetazione. È un antico maestro (quello che ci ha dato la formula dottrinale della tradizione ecclesiastica autentica, formula, fatta propria dal Concilio Vaticano I [cfr. DENZINGER 3020], la quale dice: «Nella Chiesa cattolica si deve essere assai premurosi a conservare ciò che dappertutto, ciò che sempre, ciò che da tutti è stato creduto»), è S. Vincenzo Lirinese un Padre della Chiesa, un dotto monaco del quinto secolo, che ci offre altresì la formula dell’incremento dottrinale del cristianesimo: «. . . la dottrina della religione cristiana, egli insegna . . . . con gli anni si consolidi, col tempo si sviluppi, con l'età s’innalzi . . hoc idem floreat et maturescat,... proficiat et perficiatur» (CommonitoriumP.L. 50, 668).

     È la formula che non ammette i cambiamenti sostanziali, ma spiega gli sviluppi vitali della dottrina e della norma ecclesiastica; è la formula che il Newman farà propria e che lo condurrà alla Chiesa romana. La potremo meditare anche noi per comprendere certe importanti novità nella Chiesa d’oggi, le quali escludono ogni flessione dalla sua incorrotta ortodossia, e ne documentano la perenne e fiorente vitalità.

    Con la Nostra Benedizione Apostolica.

    * * * 



    dal libro

    Lo hanno detronizzato.

    Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.

    brani scelti

    Parte Terza - Il complotto liberale di Satana contro la Chiesa e il Papato

    Capitolo XXIII - Il sovvertimento della Chiesa operato da un Concilio

    I dettagli dell’impresa di sovvertimento della Chiesa e del Papato progettata dalla setta massonica sono stati compresi più di un secolo fa da un grandeilluminato, il canonico Roca. Monsignor Rudolf Graber cita nel suo libroAthanase le opere di questo Roca (1830-1893), sacerdote nel 1858, canonico onorario nel 1869. In seguito scomunicato, predicò la rivoluzione, annunciò l’avvento della sinarchia. Nei suoi scritti parla spesso di una «Chiesa novellamente illuminata», che verrebbe, annuncia, influenzata dal socialismo di Gesù e dei suoi Apostoli.

    «La nuova Chiesa, predice, che probabilmente non potrà conservare più nulla dell’insegnamento e della forma primitiva dell’antica Chiesa, riceverà tuttavia la benedizione e la giurisdizione canonica di Roma». Roca annuncia anche la riforma liturgica: «Il culto divino, cioè la liturgia, il cerimoniale, il rituale, quali sono stati regolati dalle prescrizioni della Chiesa romana, subiranno una trasformazione in seguito ad un concilio ecumenico […], che renderà loro la semplicità esemplare dell’età d’oro apostolica, in armonia con la nuova condizione della coscienza e della civiltà moderna».

    Roca precisa i frutti di questo concilio: «Ne verrà fuori una cosa che lascerà il mondo stupefatto, e che getterà il mondo in ginocchio dinanzi al suo Redentore. Questa cosa sarà la civiltà moderna e l’idealità del Cristo e del suo Vangelo. Sarà la consacrazione del Nuovo Ordine Sociale e il battesimo solenne della civiltà moderna».

    In altre parole, tutti i valori della sedicente cultura liberale saranno riconosciuti e canonizzati in seguito al concilio in questione.

    Poi ecco che Roca scrive sul papa: «Un sacrificio si prepara, che offrirà una penitenza solenne […]. Il papato cadrà, morrà sotto il sacro coltello che i Padri dell’ultimo concilio forgeranno. Il Cesare pontificale sarà l’ostia consumata per il sacrificio». Bisogna riconoscere che tutto ciò è in procinto di accadere, come dice Roca, a meno che Nostro Signore non lo impedisca! Infine Roca designa col nome di «progressisti» i nuovi preti che compariranno; parla della soppressione dell’abito talare, del matrimonio dei preti … altrettante profezie!

    Vedete come Roca ha ben individuato il ruolo determinante di un ultimo concilio ecumenico nel sovvertimento della Chiesa!

    ***

    Ma non sono solo i nemici della Chiesa a puntare il dito sugli sconvolgimenti che provocherebbe un concilio ecumenico riunito in un’epoca in cui le idee liberali hanno già ben penetrato la Chiesa.

    Durante il concistoro segreto del 23 maggio 1923, racconta il reverendo Dulac (175), Pio XI interrogò i Cardinali di Curia sull’opportunità di convocare un concilio ecumenico. Erano una trentina […]; Merry del Val, De Lai, Gasparri, Baggiani, Billot … Billot diceva: «Non si può nascondere l’esistenza di divergenze profonde in seno all’episcopato stesso … [Esse] rischiano di dar luogo a discussioni che si prolungheranno indefinitamente». Baggiani richiamava le teorie moderniste dalle quali, affermava, non sono immuni una parte del clero e dei Vescovi. «Questa mentalità può indurre alcuni Padri a presentare mozioni, a introdurre metodi incompatibili con le tradizioni cattoliche». […] Billot è ancora più preciso. Esprime il suo timore di vedere il concilio «manovrato» (sic!) da «i peggiori nemici della Chiesa, i modernisti, che già si apprestano, come rivelano indizi certi, a fare la rivoluzione nella Chiesa, un nuovo 1789».

    Quando Giovanni XXIII riprese l’idea, già vagheggiata prima di lui da Pio XII (176), di convocare un concilio ecumenico, «si fece leggere i documenti, racconta padre Caprile (177), durante alcune passeggiate nei giardini del Vaticano…»; è tutto. Ma la sua decisione era presa. Affermò più volte di averla presa sotto un’improvvisa ispirazione dello Spirito Santo (178): «Obbedendo ad una voce interiore che Noi consideriamo giunta da unimpulso superiore, abbiamo giudicato il momento opportuno per offrire alla Chiesa cattolica e a tutta la famiglia umana un nuovo concilio ecumenico» (179). Questa «ispirazione da molto in Alto», questa «sollecitazione divina», come la chiama ancora, la ricevette il 25 gennaio 1959, mentre si preparava a celebrare una cerimonia a San Paolo Fuori le Mura a Roma, e la confidò subito dopo la cerimonia ai diciotto Cardinali presenti. Ma questa ispirazione fu davvero divina? Sembra dubbio: la sua origine mi pare tutt’altra …

     ***

    In ogni modo, una riflessione di un vecchio amico del Cardinale Roncalli, futuro Giovanni XXIII, è illuminante in proposito: alla notizia della morte di Pio XII, il vecchio don Lambert Beauduin, amico di Roncalli, confidava al reverendo padre Bouyer: «Se eleggono Roncalli tutto sarà salvo: sarebbe capace di convocare un concilio e di consacrare l’ecumenismo» (180). Come fa vedere il reverendo Bonneterre, don Lambert Beauduin conosceva bene il Cardinale Roncalli, sapeva dal 1958 che Roncalli, una volta divenuto Papa, avrebbe realizzato l’ecumenismo e lo avrebbe fatto, molto probabilmente, tramite un concilio. Ma chi dice ecumenismo dice libertà religiosa e liberalismo. La «rivoluzione in tiara e piviale» non fu un’improvvisazione. Nella prossima conversazione cercherò di farvene rivivere lo svolgimento durante il concilio Vaticano II.

    _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

    175) Raymond Dulac, La collégialité épiscopale au 2e concile du Vatican, Cèdre, Paris 1979, pp. 9-10.

    176) Op. cit. p. 10; Fratel Michel de la Sainte Trinité, Toute la vérité sur Fatima, le 3e secret, pp. 182- 199.

    177) Nella sua storia del Vaticano II. Cfr. Dulac, op. cit. p. 11.

    178) Cfr. Jean XXIII et Vatican II sous les feux de la pentecôte luciférienne, in «Le Règne social de Marie, Fatima», gennaio-febbraio 1985, pp. 2-3.

    179) Bolla Humanae salutis.

    180) L. Bouyer, Dom Lambert Beauduin, un Homme d’Eglise, Casterman, 1964, pp. 180-181, citato dal reverendo Didier Bonneterre in Le Mouvement liturgique, Ed. Fideliter, 1980, p. 19.

     




    Intervista a Martin Mosebach: un grande difensore della liturgia tradizionale

     
    Martin Mosebach è un famoso scrittore tedesco, noto sia come romanziere, sceneggiatore, drammaturgo, saggista e poeta. Nel 2007 ha vinto il Premio Georg-Büchner, uno dei più prestigiosi premi letterari del Paese. I suoi articoli sulla sua scoperta e la difesa della liturgia tradizionale hanno fatto un certo scalpore, non potendo essere ignorata la sua voce. Era uno degli oratori del Colloquio del 14 ottobre a Roma in occasione del pellegrinaggio Summorum Pontificum [vedi, nel blog l'intero resoconto dell'evento, compresa la sintesi della relazione di Mosebach].
    Martin Mosebach è autore de: La Liturgia romana e il suo nemico, l'eresia dell'informe ed. Hora Decima, 196 pag, 18 euro (In Italia nelle ed. Cantagalli, pag. 251, € 17,90 [qui]).

    Qual è stato il ruolo della scoperta della liturgia cattolica tradizionale nella crescita della sua fede cattolica?
    È stata la scoperta della liturgia tradizionale che mi ha riportato alla Chiesa. Non sono un teorico né un filosofo, ma piuttosto una persona concreta - la liturgia tradizionale è stata per me la forma visibile della Chiesa e quindi la Chiesa stessa. La religione dell'Incarnazione possiede un rito dell'incarnazione. Il lato fisico del rito mi convince perché il Dio dei cristiani è stato uomo.
     
    Cosa cambierebbe ora sulle sue osservazioni nel libro La liturgia romana e il suo nemico, l'eresia dell'informe, apparso (almeno nella sua traduzione francese) nel 2005?
    Dopo aver mandato innumerevoli lettere a Roma, ho capito che nel cuore della Chiesa non c'era ferma volontà di incoraggiare la liturgia tradizionale. Papa Giovanni Paolo II non le ha riservato interesse e il cardinale Ratzinger ha incontrato una violenta resistenza contro tutto ciò che voleva fare per la liturgia. Ero convinto di scrivere per una causa persa. Oggi, la situazione della liturgia appare migliore.
     
    Nel 2005, ha scritto che il cattolico legato al rito tradizionale non aveva «alcun diritto alla speranza». E oggi? E in che misura?
    Sarebbe irragionevole affermare che Summorum Pontificum non abbia notevolmente migliorato la situazione del rito tradizionale. La più grande speranza è nei giovani sacerdoti, molto più favorevoli all'antico rito. Ma non dobbiamo dimenticare che la lotta è lungi dall'essere finita. La maggior parte dei cattolici ha perso il senso liturgico. Molti cattolici pii non comprendono il problema della salvaguardia della liturgia tradizionale. A ciò si aggiunge l'incomprensione di gran parte dei vescovi. La mia speranza si basa su una imprevedibile conversione delle mentalità - essa sola può consentire un ampio riconoscimento del rito tradizionale.
     
    Stiamo celebrando nel 2017 il decimo anniversario del Motu proprio di Benedetto XVI, che specificatamente dichiarato che il rito tradizionale non è mai stato vietato, in contrasto con le affermazioni di molti sacerdoti e anche vescovi, rito tradizionale che il papa ha voluto tirar fuori delle catacombe. Ma cosa succede oggi sul campo? In Germania, per esempio?
    Effettivamente ci sono molti luoghi dove si può celebrare il rito tradizionale, ma sono di gran lunga insufficienti. Soprattutto, viene impedito ai sacerdoti diocesani di celebrare il rito tradizionale. Nelle parrocchie ordinarie, solo una piccola parte dei cattolici hanno l'opportunità di conoscerlo. Chi lo cerca può trovarlo ora in Germania ma, per cercarlo bisogna conoscerlo e la maggior parte delle persone è ne è resa ancora molto lontana.
     
    Lei solleva il problema dei canti durante la Messa in Germania, che non sono molto antichi (inseriti per rispondere al protestantesimo). E' d'accordo in questo con il cardinale Sarah e la sua lode al silenzio?
    Il problema dei canti è soprattutto il fatto che nascondono lo svolgimento della liturgia. La liturgia è confusa per i parrocchiani quando essi cantano mentre il sacerdote sta facendo qualcosa di diverso. È un problema essenzialmente tedesco, che non è ancora troppo importante, salvo che la maggior parte dei canti sono molto belli ma disturbano la liturgia. La lode del silenzio di cui ha parlato il cardinale Sarah è, soprattutto, penso, il silenzio del Canone, che naturalmente non è pronunciato ad alta voce.
     
    La mia arringa contro i canti era soprattutto a favore del canto gregoriano, un ritorno alla musica essenziale della Chiesa, una musica che è parte integrante della liturgia e non la sua decorazione.
     
    Lei nota che l'attuale anti-ritualismo è dovuto più a una debolezza religiosa, ad una sorta di astenia, che ad una passione religiosa. Non è forse peggio di qualsiasi altra cosa?
    Sì, è molto più grave! Le eresie antiche furono caratterizzate da una violenta passione: gli eretici erano spesso pronti a rischiare la loro vita e i loro aderenti erano frequentemente ascetici - pensate solo al calvinismo francese. L'attuale crisi è il risultato di un rilassamento della Chiesa e propaga la mediocrità borghese. Produce un'eresia di indifferentismo.
     
    Oggi a Roma, nel settembre 2017, per questo anniversario del motu proprio Summorum Pontificum, non vediamo «questi sacerdoti e monaci inflessibili che tengono ora viva la tradizione con la loro resistenza, perché un giorno non sia ricostruito in maniera libresca (a tavolino)» che stavi chiamando i tuoi voti?
    Effettivamente è parte della grande gioia di questo colloquio romano vedere quanti giovani sacerdoti e monaci sono pronti a prendere il testimone. Per quanto riguarda il numero totale di cattolici nel mondo, rimangono pochi in numero, ma comunque sufficienti a mantenere viva la questione del rito. È anche un vantaggio speciale che oggi esistano molte comunità spirituali di carattere molto diverso che si impegnano a mantenere il rito tradizionale - è veramente cattolico e mostra che il rito ha il suo posto in tutte le forme immaginabile spiritualità.
    [Fonte: Anne Le Pape - Presente, 13 ottobre 2017 by TradiNews
    Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio


    [Modificato da Caterina63 18/10/2017 20:55]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    05/11/2017 14:45
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota

    Risultati immagini per Messa antica





    TESTO PROFETICO

    "E’ da tempo che desideravo scrivervi, illustri assassini della nostra santa Liturgia. Non già perch’io speri che le mie parole possano avere un qualche effetto su di voi, da troppo tempo caduti negli artigli di Satana e divenuti suoi obbedientissimi servi, ma affinché tutti coloro che soffrono per gli innumerevoli delitti da voi commessi possano ritrovare la loro voce.

    Non illudetevi, signori. Le piaghe atroci che voi avete aperto nel corpo della Chiesa gridano vendetta al cospetto di Dio, giusto Vendicatore. Il vostro piano di sovversione della Chiesa, attraverso la liturgia, è antichissimo. Ne tentarono la realizzazione tanti vostri predecessori, molto più intelligenti di voi, che il Padre delle Tenebre ha già accolto nel suo regno. Ed io ricordo il vostro livore, il vostro ghigno beffardo, quando auguravate la morte, una quindicina d’anni fa, a quel grandissimo Pontefice che fu il servo di Dio Eugenio Pacelli, poiché questi aveva compreso i vostri disegni e vi si era opposto con l’autorità del Triregno.

    Dopo quel famoso convegno di “liturgia pastorale”, sul quale erano cadute come una spada le chiarissime parole di Papa Pio XII, voi lasciaste la mistica assise schiumando rabbia e veleno.

    Ora ci siete riusciti. Per adesso, almeno. Avete creato il vostro “capolavoro”: la nuova liturgia. Che questa non sia opera di Dio è dimostrato innanzitutto (prescindendo dalle implicazioni dogmatiche) da un fatto molto semplice: è di una bruttezza spaventosa. E’ il culto dell’ambiguità e dell’equivoco, non di rado il culto dell’indecenza.

    Basterebbe questo per capire che il vostro “capolavoro” non proviene da Dio, fonte d’ogni bellezza, ma dall’antico sfregiatore delle opere di Dio.

    Si, avete tolto ai fedeli cattolici le emozioni più pure, derivanti dalle cose sublimi di cui s’è sostanziata la liturgia per millenni: la bellezza delle parole, dei gesti, delle musiche. Cosa ci avete dato in cambio? Un campionario di brutture, di “traduzioni” grottesche (com’è noto, il vostro padre, che sta laggiù non possiede il senso dell’umorismo), di emozioni gastriche suscitate dai miagolii delle chitarre elettriche, di gesti ed atteggiamenti a dir poco equivoci.

    Ma, se non bastasse, c’è un altro segno che dimora come il vostro “capolavoro” non viene da Dio. E sono gli strumenti di cui vi siete serviti per realizzarlo: la frode e la menzogna. Siete riusciti a far credere che un Concilio avesse decretato la disparizione della lingua latina, l’archiviazione del patrimonio della musica sacra, l’abolizione del tabernacolo, il capovolgimento degli altari, il divieto di piegare le ginocchia dinanzi a Nostro Signore presente nell’Eucaristia, e tutte le altre vostre progressive tappe, facenti parte (direbbero i giuristi) di un “unico disegno criminoso”.

    Voi sapevate benissimo che la “lex orandi” è anche la “lex credendi”, e che perciò mutando l’una, avreste mutato l’altra. Voi sapete che, puntando le vostre lance avvelenate contro la lingua viva della Chiesa, avreste praticamente ucciso l’unità delle fede. Voi sapevate che, decretando l’atto di morte del canto gregoriano della polifonia sacra, avreste potuto introdurre a vostro piacimento tutte le indecenze pseudomusicali che dissacrano il culto divino e gettano un’ombra equivoca sulle celebrazioni liturgiche.

    Voi sapevate che, distruggendo tabernacoli, sostituendo gli altari con le “tavole per la refezione eucaristica”, negando al fedele di piegare le ginocchia davanti al Figlio di Dio, in breve avreste estinto la fede nella reale presenza divina. Avete lavorato ad occhi aperti. Vi siete accaniti contro un monumento, al quale avevan posto mano cielo e terra, perché sapevate di distruggere con esso la Chiesa. Siete giunti a portarci via la Santa Messa, strappando addirittura il cuore della liturgia cattolica. (Quella S.Messa in vista della quale noi fummo ordinati sacerdoti, e che nessuno al mondo ci potrà mai proibire, perché nessuno può calpestare il diritto naturale).

    Lo so, ora potrete ridere per quanto sto per dire. E ridete pure. Siete giunti a togliere dalle Litanie dei santi l’invocazione “a flagello terremotus, libera nos Domine”, e mai come ora la terra ha tremato ad ogni latitudine.

    Avete tolto l’invocazione “a spititu fornicationis, libera nos Domine”, e mai come ora siamo coperti dal fango dell’immoralità e della pornografia nelle sue forme più repellenti e degradanti. Avete abolito l’invocazione “ut inimicos sanctae Ecclesiae umiliare digneris”, e mai come ora i nemici della Chiesa prosperano in tutte le istituzioni ecclesiastiche, ad ogni livello.

    Ridete, ridete. Le vostre risate sono sguaiate e senza gioia. Certo è che nessuno di voi conosce, come noi conosciamo, le lacrime della gioia e del dolore. Voi non siete neppure capaci di piangere. I vostri occhi bovini, palle di vetro o di metallo che siano, guardano le cose senza vederle. Siete simili alle mucche che guardano il treno. A voi preferisco il ladro che strappa la catenina d’oro al fanciullo, preferisco lo scippatore, preferisco il rapinatore con le armi in pugno, preferisco persino il bruto e il violatore di tombe. Gente molto meno sporca di voi, che avete rapinato il popolo di Dio di tutti i suoi tesori.

    In attesa che il vostro padre che sta laggiù accolga anche voi nel suo regno, “laddove è pianto e stridor di denti”, voglio che voi sappiate della nostra incrollabile certezza: che quei tesori ci saranno restituiti. E sarà una “restitutio in integrum”. Voi avete dimenticato che Satana è l’eterno sconfitto."

    Tratto da “Vigilia Romana” Anno III, N. 11, Novembre 1971.

    di Monsignor Domenico Celgada



    Risultati immagini per santa IldegardaSanta Ildegarda (Dottore della Chiesa) ebbe il coraggio di opporsi, denunciandolo apertamente, ad un maschilismo che era entrato prepotentemente nella Chiesa e a tutti i livelli della gerarchia, arrivando a dire che le sue affermazioni trovavano "conferma" nelle rivelazioni che riceveva perchè gli uomini che gestivano la "Sposa di Cristo" avevano tradito sotto molti aspetti la vera missione della Chiesa.

    Ma Ildegarda non era una rivoluzionaria come la si potrebbe pensare oggi, nè una femminista ideologica o con pretese clericali, non viveva chiusa dentro le visioni che riceveva ma aveva la testa sulle spalle e i piedi ben piantati per terra sì da riuscire a vedere davvero ben oltre il mondo terreno. Ildegarda è, se vogliamo, il riscatto di una ingiusta iconografia della donna del suo tempo portata avanti da certi storici del '700 e dell'800 contro la Chiesa, e al tempo stesso è proprio questa la più autentica profezia da lei fatta alla Chiesa nella sua femminilità e maternità. 

     

    Ed è severa con gli uomini, fosse anche il Papa.

     



    Infatti ci va giù pesante quando scrive al papa Anastasio IV, che minaccia apertamente:

     

    «O uomo accecato dalla tua stessa scienza, ti sei stancato di por freno alla iattanza dell’orgoglio degli uomini affidati alle tue cure, perché non vieni tu in soccorso ai naufraghi che non possono cavarsela senza il tuo aiuto? Perché non svelli alla radice il male che soffoca le piante buone?... 
    Tu trascuri la giustizia, questa figlia del Re celeste che a te era stata affidata. Tu permetti che venga gettata a terra e calpestata… Il mondo è caduto nella mollezza, presto sarà nella tristezza, poi nel terrore… 
    O uomo, poiché, come sembra, sei stato costituito pastore, alzati e corri più in fretta verso la giustizia, per non essere accusato davanti al Medico supremo di non aver purificato il tuo ovile dalla sua sporcizia!... Uomo, mantieniti sulla retta via e sarai salvo. Che Dio ti riconduca sul sentiero della benedizione riservata ai suoi eletti, perché tu viva in eterno!».


     

    La Chiesa: una questione di grazia

     

    Se si seguono i dibattiti all'interno delle Chiese nel nostro tempo, si rimane esterrefatti: tutto il mondo cristiano è disperso in mille problematiche e cerca, con ciò, di dare un senso alla propria esistenza.
     
    Non c'è tema attuale nel quale, in un modo o in un altro, le Chiese non siano implicate: temi etici, sociali, economici, ludici, psicologici, psicanalitici, economici, politici ...
     
    Risuonano ancora alle mie orecchie le contestazioni sociali di qualche seminarista cattolico quando gli veniva fatto presente il primato delle realtà spirituali nella Chiesa: “Che se ne fa dei sacramenti un africano che ha fame? Prima bisogna dargli da mangiare!”. Questo tipo di contestazioni hanno uno speciale agnosticismo neppure tanto nascosto: quello che conta, in realtà, è l'immediatezza materiale. Il resto si può fare ma non è così importante come la materialità. Oltretutto qui è rovesciato il primato dello spirituale sul materiale, dell'anima sul corpo, quel primato che Cristo evidenziava con questa domanda retorica: “Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8, 36).
     
    Da allora questi seminaristi sono divenuti sacerdoti e alcuni tra loro vescovi. Non fa alcuna meraviglia, quindi, se oggi in molte chiese cattoliche non si respira alcuna aria soprannaturale e, anzi, questa è ritenuta una pura affermazione verbale, quando non è semplicemente disprezzata.
     
    Come oramai spesso sottolineo, siamo dinnanzi ad un arianesimo ecclesiale. Quando si crede nella divinità di Cristo si deve essere ben coscienti che, nella pratica, la Chiesa essendo il Suo prolungamento nel tempo, ha caratteristiche umane ma pure divine. Se nella Chiesa non s'intuisce nulla di divino ma è tutto troppo umano, la si è staccata da Cristo e non ci si può confortare con alcuna promessa divina applicata magicamente. Non ho alcun dubbio su tutto ciò!
     
    Nella Chiesa tutto è collegato a tutto: non si può continuare a porre mano su quanto ricevuto per tradizione, cambiarlo e stravolgerlo senza pensare di non subirne qualche contraccolpo. E il primo contraccolpo che si sperimenta è proprio quello di vivere in un'atmosfera troppo umana, “logica”, autoreferenziale. Dio, anche se talora viene nominato, dov'è? Non c'è! Ecco spiegato il dilemma di molte nostre chiese occidentali “vuote di Dio”.
     
    La Chiesa, in realtà, è una questione di grazia e null'altro! Ma cos'è la grazia? Credo che se poniamo questa domanda al clero odierno otterremo ogni volta una risposta diversa: tot capita, tot sententiae!
     
    Andremo dalla definizione intellettuale che ne diede Martin Lutero (la grazia è la giustificazione che Dio ci dona in Cristo, rendendoci giusti anche se rimaniamo peccatori), a definizioni sempre più imprecise. Forse qualcuno non risponderebbe affatto. Rari sarebbero coloro che si rifarebbero alle definizioni dei catechismi di un tempo.
     
    Il fatto è che gran parte di queste risposte non solo non è precisa ma è fuorviante, segno che tutte queste persone non sanno, in realtà, cosa sia la grazia. È un paradosso se pensiamo che questa vacuità ce la trasmettono molti sacerdoti! 
    È come essere davanti da un meccanico che ci dicesse che il cacciavite è fatto a U mentre un altro ritenesse che ha una forma circolare e un terzo negasse addirittura l'esistenza dei cacciaviti. 
    Che idea ci faremo di costoro? Che non hanno mai visto un cacciavite ma che in qualche modo ne devono parlare perché devono presentarsi come meccanici! 
    Così è gran parte del clero attuale perché quello di ieri, fosse anche stato ignorante a livello esperienziale sulla grazia, almeno ripeteva meccanicamente il catechismo e salvava le apparenze.
    Tuttavia mentre nessuno farebbe riparare il motore della propria auto ad un meccanico ignorante di cacciaviti, un prete che straparla sulla grazia o che la nega trova sempre qualcuno che gli da credito! Un laico che si affida a tali preti ne uscirà seriamente danneggiato nel “motore” della sua anima ma probabilmente non ha la possibilità di esserne cosciente.
     
    Volendo fare un paragone somatico, come fece l'Apostolo, la grazia è nella Chiesa come il sangue è nel corpo. Ma siccome la Chiesa ha caratteristiche anche divine, non solo credute per fede ma sperimentate nella realtà, la grazia è divina tout-court

    So benissimo che nel periodo in cui il tomismo dominava la teologia cattolica si è architettato un escamotage con il quale, pur salvando il carattere soprannaturale della grazia, la si dichiarava di natura creata (quindi appartenente al nostro mondo peribile). Quest'affermazione nasceva dall'idea filosofica che Dio non si può mescolare con il mondo altrimenti viene meno come Dio. Una preoccupazione filosofica ha finito, in qualche modo e sicuramente senza volerlo, per appannare il carattere totalmente trascendente della grazia e anche questo ha aiutato ad inclinare il piano con il quale si è scivolati nell'attuale situazione secolarizzata.
     
    Invece, la grazia è divina perché attraverso la forza della grazia è stata guarita l'emorroissa e il Vangelo lo evidenzia nella frase sfuggita a Cristo in quell'occasione: «Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me» (Lc 8, 46). Da questo passo, è evidente che la grazia è qualcosa che proviene da Cristo in quanto Dio poiché, come uomo, non potrebbe fare cose del genere, e tale grazia ha effetti pure sul corpo. Il vangelo ci mostra che è qualcosa di estremamente concreto: è una forza (dynamis, in greco) che determina una guarigione. Ma è altrettanto ovvio che se questi passi evangelici sono ritenuti delle invenzioni, delle pie storielle, pure l'idea della grazia ne esce distorta.
     
    Oltre alla grazia in senso generico (come abbiamo appena visto), un tempo si parlava di “grazia sacramentale”: i sacramenti ricevuti nella fede in Cristo sono veicoli di grazia. Questo in effetti è vero ma non in senso puramente ideale, come spesso si ritiene. La grazia è una forza, accende delle potenzialità normalmente dormienti nell'interiorità umana, abilità la persona a riconoscere o meno la volontà divina senza bisogno di intermediari umani (di qui il terribile sospetto e paura istituzionale davanti ai mistici nell'Occidente cristiano!). 

    È qualcosa di molto sperimentale e di sperimentabile al punto che gli antichi padri, penso a san Simeone il Nuovo Teologo (XI sec.), non pensavano possibile esserci se la persona non sentiva alcun suo intervento. La grazia è un'arma, una protezione, una bussola, determina a vedere le cose con degli occhi divini, da la sensazione di una catarsi, di un'elevazione, spinge all'umiltà, al nascondimento, alla custodia della propria interiorità, accende l'intelligenza e scalda il cuore.
    Per questo la vera comunione delle persone all'interno della Chiesa si fa nell'unica esperienza di questa grazia (questo è l'unico e autentico significato della frase: Cristo porta all'unità), non con escamotage umani, imposizioni, politiche ecumeniche, ecc. La stessa comunione formale con un gerarca (ad es. con il papa nel Cattolicesimo) non vuole dire assolutamente nulla se non è preceduta ed accompagnata dalla comunione nella grazia perché nella Chiesa non si può prescindere mai da Cristo.

    Nei primi tempi del Cristianesimo si pensava che abiurare Cristo fosse possibile solo nel caso in cui la grazia non avesse funzionato e ciò significava che il battesimo ricevuto dovesse essere stato per qualche ragione invalido. Oggi, con questo metro e dinnanzi alla pavidità e alla freddezza di molti cristiani, quanti battesimi sarebbero invalidi?
     
    La grazia è così importante per la Chiesa che in essa se ne dovrebbe sempre parlare. Dovrebbe essere veramente una “sacra ossessione”. Invece non se ne parla affatto e questo vuoto di parola indica benissimo il vuoto di una realtà, per di più di una realtà fondamentale. Al più si parla di etica, non si parla di grazia. Per questo i drammi viscerali che emergono da molti siti internet cattolici sulle questioni morali mi infastidiscono (nonostante sia anch'io preoccupato del libertinismo attuale presente nei chierici e nei laici). 

    Infatti, ci muoviamo in una prospettiva sempre secolare, orizzontale, troppo umana, seppur animata dalle migliori intenzioni cristiane.
     
    Una spiegazione c'è: la grazia per poter agire in modo anche sperimentale chiede che una persona lavori molto su se stessa. Questo è uno dei significati della parabola del seme nella terra (Lc 8, 4-15). Ci vuole una terra buona, quindi continuamente lavorata e preparata con il sudore della propria fronte, perché il seme gettato da Dio possa fruttificare. Senza questo lavoro che tradizionalmente si concretizza in lunghe veglie di preghiera, nell'astinenza, nel digiuno e in una vita ascetica nella quale si praticano i comandamenti, il seme cade o sulle spine o sui sassi e in quest'ultimo frequentissimo caso non produce nulla. Senza gli effetti reali della grazia tutto è visto umanamente e di conseguenza al più in modo meramente etico.
     
    Se molti in una Chiesa sono in questo stato è la stessa assemblea ecclesiale che è priva di grazia! Che traditio può esserci in un'assemblea in gran parte dis-graziata? Una traditiopuramente formale e, alla lunga, una rielaborazione puramente umana della traditiostessa! La mancanza della grazia nella maggioranza porta alla formalità religiosa (ad un ossequio puramente esteriore) e, alla lunga, al cambiamento radicale di una Chiesa. Mi sembra di vedere, in tutto ciò, il travaglio cattolico dell'immediato preconcilio e del postconcilio, tra gli anni '50 e gli anni '70 ma possiamo tranquillamente vederci la Germania prima e dopo la Riforma luterana. Inoltre, per pars condicio, ci vedrei pure qualche ambiente ortodosso dove la tradizione è vissuta in modo puramente formale e la liturgia diventa solo un pretesto per ritrovare la propria Nazione quando si vive nella diaspora. Qui non si sa o non si vuole sapere che si è già nell'anticamera verso la rovina della Chiesa ...
     

    Giustificare le persone, senza imprimere in esse una sana inquietudine spirituale, significa allontanarle da Cristo, rendere inefficace la grazia (anche se si difende lo strano pseudo-diritto alla comunione eucaristica), trasformare la Chiesa in un'associazione di diritti umani, equivocare la rivelazione, in una parola: arianizzare la Chiesa stessa. 
     
    Il Cristianesimo, quello autentico, sta da un'altra parte ed esattamente dove Chiesa e grazia sono intimamente unite e vive, come il corpo e il suo sangue. Ciò chiederà anche fatica, è vero, ma è Cristo stesso che parla di “porta stretta” per il Regno dei Cieli, non di cammini semplici e larghi ma vuoti di grazia.


     


    [Modificato da Caterina63 10/11/2017 21:42]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    10/11/2017 21:39
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    Risultati immagini per eucaristia


    LA LITURGIA CATTOLICA  
    ANTICIPAZIONE E PREGUSTAZIONE DELLA LITURGIA CELESTE  
    (1/94) 

    Il 18 dicembre scorso i fedeli che seguono la Santa Messa tradizionale presso la chiesa della Misericordia, hanno avuto modo di incontrare, insieme a tanti amici appositamente convenuti, il padre Gérard o. s. b., Priore dell'Abbazia benedettina di Sainte Madeleine, a Le Barroux. Il padre è venuto appositamente a Torino per tenere una conversazione su un tema che ci sta particolarmente a cuore: La liturgia cattolica, anticipazione e pregustazione della liturgia celeste.  

    Si comprenderà facilmente l'interesse con cui è stata accolta una tale iniziativa e l'attenzione che ha contraddistinto i convenuti, che hanno seguito l'esposizione di padre Gérard, prima, ed hanno partecipato, poi, alla successiva celebrazione dei Vespri solenni seguiti dalla Benedizione Eucaristica.  
    I limiti di questo nostro foglio ci impediscono di riportare per intero il testo della conversazione, abbiamo allora pensato di presentare qui i passi piú salienti di essa, certi che incontreranno l'intendimento e l'aspettativa di tutti. 

    Il padre ha cominciato col richiamare alcuni aspetti della liturgia in uso nel suo monastero:  
    La notte non è ancora terminata, allorquando i monaci si affrettano a raggiungere la chiesa per cantare la lode a Dio, e lungo tutta la giornata vi ritorneranno per celebrare il loro Re, fino a sera, quando vi si raduneranno per cantare l'Ufficio di Compieta, che si concluderà con il Salve Regina in onore della Santissima Vergine Maria. 
     

    Sono le 9,45, le campane suonano a distesa. In silenzio, i monaci si schierano su due file lungo il chiostro, rivolti verso la porta della chiesa abbaziale:  

         Lætatus sum in his qui dicta sunt mihi:  
          in domus Domini ibimus  
    Indugiano un istante, quindi il turiferario dà inizio alla processione, mentre nubi di incenso salgono nella navata. La Croce avanza, e tutti seguono, profondamente raccolti, in un ordine perfetto:  
         Introibo ad altare Dei,  
         ad Deum qui litificat iuventutem meam  
    Ognuno al proprio posto, in ordine di anzianità: i cantori, i ministri sacri, il diacono, il suddiacono, il prete assistente, il Padre Abate, con il mano il pastorale e con un profondo inchino salutano l'Altare, che rappresenta Cristo, pietra angolare, roccia di salvezza:  
          Rorate cœli desuper, et nubes pluant iustum.

    Quanta concentrazione e quanta partecipazione nei fedeli che assitono - continua il padre - quanto spirito di contrizione e di inadequatezza, altro che le moderne Messe "good morning!", come dicono gli Americani; e non si può che convenire che richiami del genere ci ricordano quanto si sia ben lontani dalle moderne "assemblee dei fedeli" ove si stenta a comprendere di trovarsi di fronte allo svolgersi di una "liturgia". E giustamente padre Gérard ricorda che non si tratta di un semplice incontro fra uomini, sia pure animati dalla migliore buona volontà e sia pure stimolati dal migliore senso della fraternità, poiché:  
    …la liturgia è la riconciliazione dell'universo con Dio, per mezzo di Dio e in Dio, che solo poteva, con il suo sacrificio totale, purificarci e farci accedere alla vita intima della Santissima e Adorabile Trinità.

    Il padre precisa che la liturgia antica può giustamente chiamarsi "gregoriana", poiché, pur se abitualmente la si fa risalire a San Pio V, essa  
    …è stata codificata da papa San Damaso, nel IV secolo (366-384), e da papa San Gregorio, nel VI secolo (590-604), che non intervennero sull'essenziale dell'antica liturgia. Essi erano, infatti, in perfetta continuità con la Chiesa primitiva, della quale custodivano gelosamente il senso liturgico. Nella Chiesa primitiva la liturgia era, prima di tutto, un sacro servizio compiuto dinanzi a Dio, come scrisse papa San Gregorio Magno: “Nel momento del sacrificio, il cielo si apre alla voce del sacerdote; è in questo mistero di Gesú Cristo che i cori degli angeli sono presenti, che ciò che sta in alto raggiunge ciò che è qui in basso, che il cielo e la terra si uniscono, che il visibile e l'invisibile divengono un'unica realtà”.  

    Ecco la grande ricchezza della liturgia gregoriana. Essa celebra con magnificenza questi riti che esprimono tutta la ricchezza dei sentimenti che la Sposa di Cristo, la Santa Chiesa, rivolge al suo Sposo celeste. 

    Si comprende come tutto ciò non abbia niente a che vedere con teorie assembleari, ricerche esegétiche, supposti "ritorni alle origini" e ogni altro tipo di opinioni che hanno preteso di fondare la nuova liturgia. Anzi, padre Gérard fa notare come la nuova teologia della Messa, in contrasto con lo stesso Concilio Vaticano II,  ha finito con l'offuscarne il senso vero, che risiede nel suo carattere "sacrificale".  

    …l'uso del termine "sacrificio" sembra essere evitato nel testo della Istitutio generalis missalis romani.(in essa) non si parla che di Eucharistia o di celebratio eucharistica. Ed è per questo che non si può non invocare intensamente una revisione completa dellaIstitutio generalis, che potrà essere fatta alla luce degli stessi discorsi del Sovrano Pontefice  
    Il sacrificio della Messa non è soltanto "eucaristico", (rendimento di grazie) è altresì "latreutico" (onore reso a Dio secondo quanto Gli è dovuto) e anche "propiziatorio", cioè mira a renderci propizio Dio, offrendogli riparazioni per i nostri peccati; quest'ultimo aspetto è aspramente criticato dai teologi progressisti, mentre invece è un dato certo di fede
    Essendo unico il sacrificio compiuto da Cristo sul Calvario, la celebrazione del sacramento dell'Eucaristia, istituito da Cristo stesso lo "ripresenta" misteriosamente "attraverso il ministero del sacerdote" in un modo assolutamente nuovo, che è il modo sacramentale, e cosí lo "offre", lo "immola" effettivamente; tutto ciò conferisce un valore propiziatorio per tutti i fedeli e per tutta la Chiesa 

    Sulla scorta di queste considerazioni, si comprende bene come ogni elemento facente parte dell'insieme della liturgia non possa minimamente essere legato a qualsivoglia contingenza o, ancor peggio, alla soggettività del celebrante o dei suoi aiutanti. Trattandosi di qualcosa che attiene alla stessa volontà divina, nella liturgia si richiede necessariamente la massima rispondenza fra abbigliamento, orientamento, parole, gesti, movimenti: acciocché tutto si svolga Ad Maiorem Dei Gloriam 

    Questo movimento spirituale dei fedeli che affidano al sacerdote le loro offerte perché questi le offra a sua volta al Padre Celeste, risulta chiaramente nella nostra liturgia gregoriana. Il sacerdote che si è rivolto verso i fedeli per il canto dell'Epistola e del Vangelo… si rivolge ora verso il Padre, seguito da tutto il popolo, per offrire il sacrificio di tutti; …Non è che egli voglia volgere le spalle ai fedeli! Ma egli si rivolge verso il Padre. Egli appare in tale circostanza come mediatore tra Dio e gli uomini.  

    Dare l'impressione che il sacerdote si rivolga al popolo al momento stesso del sacrificio, cambia …il senso delle parole che sono pronunciate. Esse divengono una narrazione pura e semplice… Orbene, è massimamente conveniente che, attraverso il rito, si esprima che si tratta di parole sacrificali che trascendono la semplice narrazione… Il sacrificio è rivolto al nostro Padre celeste e non ai fedeli riuniti, è quindi conveniente che ci si rivolga verso il Signore per esprimere tale realtà.  
    …Se l'uomo è abituato a volgersi verso Dio con il suo corpo e la sua anima durante le cerimonie liturgiche, sarà portato a volgersi verso di Lui in ogni occasione della vita. 

    Non v'è dubbio che la Santa Messa dovrebbe svolgere effettivamente anche una funzione "didattica", soprattutto in ordine alla imprescindibile necessità umana di rivolgersi "in adorazione" al Padre nostro che è nei cieli; e giustamente padre Gérard sottolinea alcuni degli atteggiamenti che debbono esser fatti propri dai fedeli che si rivolgono a Dio onnipotente nella preghiera e quindi, a maggior ragione, nel corso della Santa Messa.  

    Il silenzio del Canone è stato abbandonato, ed è un'immensa perdita. In effetti lo stesso silenzio indica che il Canone è il momento piú solenne della Messa, il momento in cui la maniera di partecipare alla celebrazione è la piú elevata, non bastano piú parole o canti, solo il silenzio può esprimere, in qualche maniera, un po' del mistero ineffabile che si compie e delle meraviglie che opera nei nostri cuori…  

    Il silenzio del Canone è una educazione concreta all'adorazione ed una "partecipatio actuosa", secondo l'espressione usata dal Concilio Vaticano II…  

    …La liturgia educa al senso del mistero, del sacro. Essa è pure educatrice del sentimento di devozione. Considerate attentamente come il sacerdote, nell'antica liturgia, presta attenzione ai gesti da compiere…  

    (Qui il padre fa tutta una serie di esempi, dalle genuflessioni del sacerdote alle dita che egli usa in maniera esclusiva per tenere in mano le sacre speci, dalle continue attenzioni dei ministranti alla massima cura che neanche una particella dell'Ostia cada a terra o vi rimanga senza essere disciolta)  

    Un fedele, vedendo tutto ciò, non ha bisogno che gli si faccia un discorso sulla presenza reale e sulla devozione dovuta al Santissimo Sacramento; un non credente comprenderà immediatamente che si tratta della cosa piú sacra di tutte! E cosí nostro Signore sarà onorato…  
    …Non è possibile sostituire i riti con i discorsi, per quanto essi siano efficaci! Perché, in tal caso, ciò va a detrimento dell'insegnamento dei piú piccoli, degli umili, dei poveri di Yahvè. Il popolo guarda molto piú di quanto non ascolti.  

    …Come non desiderare che le ricchezze della nostra antica liturgia divengano il fondamento per un autentico rinnovamento liturgico, che serva, come ha detto il Card. Ratzinger, di riferimento per una riforma della riforma? 

    (Il testo completo di questa conferenza è disponibile presso la nostra segreteria)

     

    I SETTE PECCATI CONTRO L'EUCARESTIA



    Perché sia salda la chiarezza della fede nella Presenza eucaristica e indiscussa la fedeltà a tale Presenza, ricordiamo i sette peccati contro la Santissima Eucaristia.

    1. Non creder nella Messa come sacrificio, ma celebrarla solo come convito fraterno, come invito alla festa e alla gioia, non alla preghiera e di rin­graziamento e alla penitenza.

    2. Negare la partecipazione all'offerta cruenta della Croce sacramentalmente ripresen­tata sull'altare nella celebra­zione di ogni messa, in modo incruento, ossia, vero è che chi partecipa alla santa Messa (specialmente in stato di grazia), rivive lo stesso momento della passione e morte di Gesù, chi nega questo commette una profanazione.

    3. Non credere che le parole della consacrazione produco­no la transustanziazione, ossia, la vera, reale, sostanziale presenza di Gesù Cristo sotto le specie eucaristiche, rite­nendo tale presenza solo simbolica, o un segno o persino spirituale.

    4. Non curarsi di briciole e frammenti del pane consacra­to caduti durante la celebra­zione, non considerandoli più materia del sacramento. Specialmente coloro che la riceveno nelle mani dovrebbero ricredersi di questo gesto e dei tanti frammenti dispersi. Negare dunque che Gesù possa essere presente in ogni singolo frammento tutto integralmente, è un peccato della fede.

    5. Non inginocchiarsi durante la Consacrazione, né davanti al tabernacolo (a meno che di non esserne impediti per motivi di salute), poiché l'Ostia sarebbe solo un simbolo e non il vero Corpo di Cristo, o comunque sottovalutando la Divina Presenza negando a Dio Vivo e Vero il culto massimo dell'adorazione e della prostrazione (Filippesi 2,10 perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra)

    6. Giudicare superflua la Con­fessione sacramentale prima di comunicarsi, soprattutto in stato di peccato mortale, perché sarebbe sufficiente amare Cristo, fidarsi dei suoi meriti e rimettersi alla misericordia del Padre. Con la conseguen­te moltiplicazione dei sacri­legi.

    7. Ritenere che basti la recita del Confiteor per ottenere il perdono dei peccati mortali, dimenticando che Gesù ha detto ai suoi apostoli: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (Gv. 20); non è neppure sufficiente il Confiteor se - chi vuole partecipare del Sacrificio della Messa e del Banchetto nuziale di Cristo - ha in sospeso quei peccati riportati nei Dieci Comandamenti: i primi sono i peccati contro Dio, anche mortali se deliberatamente commessi, gli altri sono quelli contro il prossimo, ed anche questi mortali se commessi deliberatamente e rifiutando il pentimento, la conversione e la confessione.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    25/11/2017 10:33
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota

     Le critiche che da cinquant'anni si muovono verso l'infelice decisione di Paolo VI, di modificare la sacra Liturgia Cattolica, hanno sempre avuto quella lungimiranza, o profezia se preferite, di capire che le cose sarebbero andate ben oltre le buone intenzioni, e questo è più chiaro oggi laddove, dopo gli arresti alle innovazioni fatti da Giovanni Paolo II con l'enciclica Ecclesia de Eucharistia e la esortazione apostolica Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, ci ritroviamo ora ad un nuovo assalto contro il Culto cattolico a Dio, contro la Messa.

    Segue la notizia di Radio Vaticana che è di oggi, e segue l'allarme che aveva già messo in allerta la Nuova Bussola mesi prima, nel febbraio scorso. A dimostrazione che certi allarmismi non sono un vuoto "al lupo, al lupo", ma che il lupo c'è e sta sbranando tutto....

    Papa: aspettiamo cattolici e assiri "celebrare allo stesso altare"

    Incontro tra il Patriarca della Chiesa Assira d'Oriente e il Papa  - Vaticano 02.10.2014 - L'Osservatore Romano

    “Con voi rendo grazie al Signore per l’odierna firma della Dichiarazione comune, che sancisce la lieta conclusione della fase riguardante la vita sacramentale”. Così Papa Francesco, ai Membri della Commissione Mista per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell'Oriente.

    Dopo la storica Dichiarazione cristologica del 94, nel quadro del cammino ecumenico, c’è dunque un ulteriore avvicinamento tra le due Chiese: “Oggi - ha evidenziato il Papa nel Suo Messaggio -  possiamo guardare con ancor più fiducia al domani e chiedere al Signore che il prosieguo dei vostri lavori contribuisca ad avvicinare quel giorno benedetto e tanto atteso, nel quale avremo la gioia di celebrare allo stesso altare la piena comunione nella Chiesa di Cristo”.

    Aspetto della Dichiarazione comune particolarmente evidenziato dal Pontefice, il segno della croce “simbolo esplicito di unità tra tutte le celebrazioni sacramentali”.

    “Quando guardiamo alla croce o facciamo il segno della croce” - ha sottolineato il Papa -  siamo anche invitati a ricordarci dei sacrifici sofferti in unione con quello di Gesù e a stare vicini a quanti portano oggi una croce pesante sulle spalle”.

    Riferendosi alla Chiesa Assira dell’Oriente che “insieme ad altre Chiese e a tanti fratelli e sorelle della regione, patisce persecuzioni ed è testimone di violenze brutali, perpetrate in nome di estremismi fondamentalisti”; ai “deserti culturali e spirituali” causati dai conflitti, Francesco ha ricorda anche “il violento terremoto al confine tra l’Iraq, terra natia della vostra Chiesa, e l’Iran, dove pure si trovano da lunga data delle vostre comunità, come anche in Siria, in Libano e in India”.

    Ed è proprio in realtà sconvolte da eventi naturali e dalle guerre che “Facendo il segno della croce, richiamiamo le piaghe di Cristo, quelle piaghe che la risurrezione non ha cancellato, ma ha riempito di luce. Così pure le ferite dei cristiani, anche quelle aperte, quando sono attraversate dalla presenza viva di Gesù e dal suo amore, diventano luminose, diventano segni di luce pasquale in un mondo avvolto da tante tenebre”.

    Da qui, l’invito di Papa Francesco “a camminare, confidando nell’aiuto di coloro che “hanno dato la vita seguendo il Crocifisso”, “gli antesignani e i patroni della nostra comunione visibile in terra. Per la loro intercessione - ha continuato - chiedo anche al Signore che i cristiani delle vostre terre possano operare, nel paziente lavoro di ricostruzione dopo tante devastazioni, in pace e nel pieno rispetto con tutti”.

    Proprio ricordando che “nella tradizione siriaca Cristo sulla croce è rappresentato come Medico buono e Medicina di vita”, il Pontefice conclude chiedendo di “rimarginare completamente le nostre ferite del passato e di sanare le tante ferite che nel mondo oggi si aprono per i disastri delle violenze e delle guerre”.



    Il lavorìo carsico per una messa "ecumenica"

    di Luisella Scrosati, 20 febbraio 2017


    Nell'opera in corso di riforma della Curia romana prende sempre più corpo l'idea che i dicasteri continuano ad esistere nominalmente, ma in pratica la loro autorità viene sempre più sminuita. Se la Congregazione per la Dottrina della Fede è stata di fatto esautorata, non essendo stata autorizzata a pronunciar parola sulle divisioni in atto a motivo dell’interpretazione di Amoris Laetitia (il Cardinale Gerhard L. Müller non fu nemmeno invitato alla presentazione del documento, vista la preferenza accordata ai cardinali C. Schönborn e Lorenzo Baldisseri), la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti non gode di miglior prestigio.

    Rivedere il centro e le periferie

    Si è già data notizia dei movimenti sovversivi (vedi qui) per rovesciare la quinta istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla liturgia del Vaticano II, Liturgiam Autenticham (LA). Questo testo fondamentale è poco gradito non solo per i criteri di traduzione indicati, ma anche perché ribadisce e rafforza la necessità della recognitio dei testi liturgici approvati dalle conferenze episcopali: «Questa recognitio non è tanto una formalità quanto un atto della potestà di governo, assolutamente necessario (in caso d'omissione, infatti, gli atti delle conferenze dei vescovi non hanno forza di legge), che può comportare delle modifiche, anche sostanziali. Così, non è permesso pubblicare testi liturgici […] se manca la recognitio». La ragione è chiara: «Siccome è necessario che la lex orandi concordi sempre con la lex credendi[…] le traduzioni liturgiche non possono essere degne di Dio se non rendono fedelmente nella lingua vernacola la ricchezza della dottrina cattolica presente nel testo originale, cosicché la lingua sacra si adatti al contenuto dogmatico che reca con sé». E arriva poi la mannaia ad ogni tentativo centrifugo: «Bisogna osservare il principio secondo cui ciascuna Chiesa particolare deve essere concorde con la Chiesa universale non solo in ciò che riguarda la dottrina della fede e i segni sacramentali, ma anche in ciò che riguarda gli usi universalmente ricevuti dalla tradizione apostolica ininterrotta» (LA, § 80).

    Per dissolvere definitivamente la liturgia cattolica è perciò necessario dare più libertà alle conferenze episcopali e togliere di mezzo – in gergo curiale “sfumare” - la sgradita recognitio, in gaudente accettazione della linea di devolution.

    Amoris Laetitia docet. Si pensava che la battaglia si giocasse su due modi di intendere la dottrina sul matrimonio e l’Eucaristia, mentre invece il messaggio è stato piuttosto chiaro: la dottrina resta immutata (leggi: della dottrina non interessa), ma cambia la prassi. E per questo c’è stato bisogno di dare libertà alle conferenze episcopali, tra le quali non mancano certo quelle che non vedono l’ora di avventurarsi verso nuovi sentieri, ovviamente per il bene delle anime.  Perché, in fondo, «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”» (Evangelii Gaudium, 16). La rivoluzione parte dalle periferie.

    Verso una preghiera eucaristica ecumenica

    Indiscrezioni confermano che nella liturgia si sta tentando di fare la stessa cosa: decentralizzare e dare una “certa” libertà agli episcopati nello sperimentare nuove traduzioni, più comprensibili al popolo di Dio, nuovi testi più adatti alla mentalità dell’uomo moderno e - perché no? - una nuova preghiera eucaristica, per poter andare incontro ai fratelli separati, soprattutto nelle aree germanofone, che con i fratelli separati ci devono convivere, senza però poter dare testimonianza di unione intorno all’altare del Signore... Si dovrebbe perciò pensare ad una preghiera eucaristica che possa essere pronunciata insieme, senza creare difficoltà a nessuno.

    Farneticazioni? No. E’ già pronta anche la pezza d’appoggio con cui giustificare il tutto. Si tratta del documento del 2001 del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, allora presieduto dal Cardinale Kasper, con il quale si riconosceva la validità dell’Anafora di Addai e Mari (preghiera eucaristica della Chiesa assira d’Oriente, più conosciuta come Chiesa nestoriana), documento che può vantare il placet della Congregazione per la Dottrina della Fede, che aveva come prefetto il cardinale Ratzinger, e quello di Giovanni Paolo II. Niente di meglio per poter rivoluzionare tutto, coprendosi dietro una continuità con i Papi precedenti. Questa anafora, cui dedicheremo più avanti un articolo di approfondimento, ha la particolarità di non contenere le parole della consacrazione, se non, come afferma il documento del 2001, «in modo eucologico e disseminato», cioè non in modo esplicito (“Questo è il mio corpo… Questo è il calice del mio sangue”), bensì “sparse” nelle preghiere che compongono l’anafora. Sarebbe perciò utilissima come principio giustificativo di una nuova preghiera eucaristica senza parole consacratorie, che potrebbero urtare i fratelli protestanti.

    Non verrà dato molto peso al fatto che, proprio al termine di quel documento, si specificava che «le suddette considerazioni sull'uso dell'Anafora di Addai e Mari[…], si intendono esclusivamente per la celebrazione eucaristica […] della Chiesa caldea e della Chiesa assira dell'Oriente, a motivo della necessità pastorale e del contesto ecumenico sopra menzionati». Detto in altre parole: questa anafora può essere usata solo nel contesto indicato e non può diventare principio ispiratore per nuove presunte riforme, come di fatto stanno strombazzando da anni molti liturgisti. Asinus asinum fricat.  Ma si sa che nell’epoca in cui si devono edificare non muri ma ponti, questa clausola è destinata ad esser spazzata via in un istante.

    Anche la Messa antica nel mirino

    Ma l’attacco a LA ha anche un altro scopo, che è proprio l’insospettabile Andrea Grillo a rivelarci (vedi qui). Riassunto: se spazziamo via LA colpiamo anche il motu proprio Summorum Pontificum (SP), perché sono entrambi legati da una stessa logica. «Il Motu Proprio di 6 anni successivo, che avrebbe dato inizio al rischioso parallelismo tra rito ordinario e rito straordinario è, di fatto, contenuto, non solo nello spirito, ma addirittura nella lettera di LA, ossia all’interno di questa indiretta negazione non certo del Concilio, ma proprio della sua giustificazione pastorale». LA e SP non hanno capito un’acca della pastoralità del Vaticano II, anzi l’hanno soffocata: «Una delle ambizioni di LA veniva così affermata: “La presente istruzione prelude – cercando di prepararla – una nuova stagione di rinnovamento…”. Questa asserzione assomiglia molto a quelle – ad essa contemporanee e anche successive – intorno alla esigenza di un “nuovo movimento liturgico”, ossia l’auspicio di un movimento liturgico che possa garantire alla navicella della Chiesa di rispondere ad un “solo ordine”: “macchine indietro tutta”!». Ed infine, appello a tutte le forze di rinnovamento da Grillo, in versione Marco Porcio Catone: «Oggi, a distanza di 15 anni […] è del tutto evidente che “una nuova stagione di rinnovamento” sarà possibile soltanto superando le contraddizioni e le ingenuità nostalgiche di questo atto di interruzione della “svolta pastorale” iniziata con il Concilio Vaticano II». Delenda Carthago: più chiaro di così… 



    si legga anche qui...... anche qui...... ed anche qui importante.....


    IL LIBRO

    Addio bellezza, sono solo canzonette. Purtroppo

    ECCLESIA  21-01-2018

    Negli anni Sessanta mi toccò di assistere, nel mio paesello natale, a una messa «beat». Non poteva essere stata un’iniziativa del parroco, troppo anziano. Sicuramente non aveva resistito all’«ansia di rinnovamento» che faceva fremere i «giovani» parrocchiardi. Il complessino si piazzò dietro l’altare, debitamente microfonato. In una chiesa ottocentesca in cui anche un sussurro rimbombava. Il risultato fu un disastro, con le chitarre elettriche che coprivano la voce del prete, col basso che faceva tremare le viscere, con la batteria che assordava e i colpi di piatto che stressavano le orecchie. Da allora il complessino domenical-liturgico fa parte del nostro panorama diffuso e consueto. Ma chi ha cominciato?

    In quale documento magisteriale è prescritto il complessino? Non si sa. E ormai sono passati troppi decenni perché valga la pena chiederselo. E’ così e basta. La musica leggera è entrata in chiesa e c’è rimasta. Con tanto di «canti» codificati. Ogni tanto si sente l’annuncio: «Adesso facciamo il canto numero 686». Il che è un invito ai fedeli a prendere l’apposito libro, aprirlo alla pagina prescritta e cantare. Suppongo sia quello che si intende per «partecipazione». Ora, ci si chiede quanti siano, questi «canti», visto che paiono centinaia. Ci si chiede anche chi li scrive, visto che sono anonimi, e in virtù di quale autorità li si licenzia per la stampa. Adempiono gli obblighi Siae relativi al diritto d’autore? Boh. E’ pur vero che la messa cantata & parlata assomiglia alla funzione protestante, nella quale ciò che conta sono il sermone e i canti (non c’è altro).

    Va anche detto che spesso queste canzonette non fungono neanche da colonna sonora, giacché può capitare che il «Sanctus» sia un’allegra marcetta (e dovrebbe introdurre il Sacrificio della Croce, mah) e che la fila per fare la comunione sia infastidita da un’assordante ritmica. Il prete accontenta i «giovani», par di capire; fosse per lui… Invece può essere che il "Sanremo" dei poveri piaccia anche a lui, e pazienza se la chiesa è provvista di organo faraonico. Vuoi mettere le chitarre a dodici corde (così fanno più casino) e il microfono ben temperato?

    Scrive il maestro Aurelio Porfiri nel suo libro Ci chiedevano parole di canto(Chorabooks, pp. 60, €. 13,50): «Il musicista liturgico deve debitamente ossequiare e rispettare il clero ma essere ferocemente contro il clericalismo, anche se essi coincidono nella stessa persona». In pratica: «Se un documento magisteriale dice una cosa e il prete ne dice un'altra, il prete sbaglia!». Sacrosanta verità. Ma come si fa? Chi glielo dice, al prete, di licenziare con modi garbati il complessino (che è gratis) e assumere un maestro organista (che vuole lo stipendio?). Il compositore di musiche liturgiche (e Porfiri lo è) magari pensa al motu proprio «Tra le sollecitudini» (1903) di san Pio X dedicato alla musica sacra, ma anche a quanto affermato dal Concilio Vaticano II in materia.

    Però il Concilio è finito e il suo posto è stato preso dal suo «spirito», che consiste nel «liberi tutti». Canzonette, dunque, e va già bene se il prete dal pulpito non vi bacchetta perché non vi unite al coro (ne ho sentiti alcuni che, anzi, rimproveravano i fedeli perché non si sgolavano abbastanza). Così, se il giorno dell’Immacolata tra i canti vi ritrovate infilato un brano di Fabrizio De Andrè, portate pazienza. E’ tratto dall’album La buona novella del 1970 e parla di Maria, tanto basta. E se poi, per sua stessa ammissione, l’autore si era ispirato ai vangeli apocrifi, pace. 

    «La musica liturgica deve rispondere a queste caratteristiche di nobiltà, bellezza, ricercatezza, raffinatezza, e non cercare facili scappatoie nei facili tranelli del sentimentalismo banale e in canti che tradiscono effeminatezza e ricerca di un (troppo) facile consenso di popolo», dice Porfiri. Ma siamo davvero sicuri che il «consenso di popolo» ci sia? Il «consenso» è quello del complessino, il popolo piglia quel che gli danno. Visto che non gli danno altro.









    [Modificato da Caterina63 21/01/2018 11:00]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    22/04/2018 22:33
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    <header class="entry-header">

    Paolo VI e la riforma liturgica. La approvò, ma gli piaceva poco



    </header>

    I difensori della liturgia preconciliare additano in Paolo VI il responsabile ultimo di tutte le innovazioni. In realtà tra lui e la riforma — il cui “regista” fu Annibale Bugnini — che man mano prendeva corpo non c’era affatto quella sintonia che i critici gli rimproverano. Ma allora perché la approvò?


    di Sandro Magister (19-04-2018)


    “Lo vuole il Papa”. È così che monsignor Annibale Bugnini (1912-1982), l’artefice della riforma liturgica che seguì al Concilio Vaticano II, metteva ogni volta a tacere gli esperti che contestavano l’una o l’altra delle sue innovazioni più sconsiderate.


    Il papa era Paolo VI, che in effetti aveva affidato proprio a Bugnini il ruolo di segretario e factotum del consiglio per la riforma della liturgia, presieduta dal cardinale Giacomo Lercaro.


    Bugnini godeva di pessima reputazione presso alcuni dei componenti del consiglio. “Scellerato e mellifluo”, “manovratore”, “sprovvisto di cultura come di onestà”: così l’ha definito nelle sue Memorie il grande teologo e liturgista Louis Bouyer (1913-2004), stimatissimo da Paolo VI.


    Paolo VI e Bugnini

    Il quale papa, alla fine, fu sul punto di fare cardinale Bouyer e punì Bugnini esiliandolo come nunzio a Teheran, resosi conto dei danni che aveva procurato e della falsità di quel “Lo vuole il papa” di cui il reprobo si faceva scudo.


    Nei decenni successivi, comunque, gli eredi di Bugnini dominarono il campo. Il suo segretario personale Piero Marini fu dal 1983 al 2007 il regista delle cerimonie pontificie. E di recente sono usciti su Bugnini dei libri che ne esaltano il ruolo.


    Ma tornando a Paolo VI, come egli visse la vicenda della riforma liturgica? I difensori della liturgia preconciliare additano in lui il responsabile ultimo di tutte le innovazioni. In realtà tra Paolo VI e la riforma che man mano prendeva corpo non c’era affatto quella sintonia che i critici gli rimproverano. Anzi, non poche volte Paolo VI soffriva per ciò che vedeva compiersi, e che era all’opposto della sua cultura liturgica, della sua sensibilità, dello spirito con cui lui stesso celebrava.


    C’è un piccolo libro, uscito nei giorni scorsi, che getta una nuova luce proprio su questa personale sofferenza di papa Giovanni Battista Montini per una riforma liturgica di cui non condivideva tante cose: Paolo VI. Una storia minima, a cura di Leonardo Sapienza, Edizioni VivereIn, Monopoli, 2018.


    In questo libro monsignor Sapienza – che dal 2012 è reggente della prefettura della casa pontificia – raccoglie varie pagine dei “Diari” redatti da colui che con Paolo VI era il maestro delle cerimonie pontificie, Virgilio Noè (1922-2011), poi divenuto cardinale nel 1991.


    Con questi “Diari” Noè prolungò una tradizione che risale al Liber notarum del tedesco Johannes Burckardt, cerimoniere di Alessandro VI. Nel resoconto di ogni celebrazione Noè registrava anche tutto ciò che Paolo VI gli aveva detto prima e dopo il rito, compresi i suoi commenti a talune novità della riforma liturgica sperimentati per la prima volta in quell’occasione.


    Ad esempio, il 3 giugno 1971, dopo la messa di commemorazione della morte di Giovanni XXIII, Paolo VI commentò: “Come mai nella liturgia dei defunti non si parla più di peccato e di espiazione? Manca completamente l’implorazione alla misericordia del Signore. Anche stamattina, per la messa celebrata nelle Grotte [vaticane], pur avendo dei testi bellissimi, mancava in essi tuttavia il senso del peccato e il senso della misericordia. Ma abbiamo bisogno di questo! E quando verrà la mia ultima ora, domandate misericordia per me al Signore, perché ne ho tanto bisogno!”.


    E ancora nel 1975, dopo un’altra messa celebrata in memoria di Giovanni XXIII: “Certo, in questa liturgia mancano i grandi temi della morte, del giudizio…”.


    Il riferimento non è esplicito, ma Paolo VI qui lamentava, tra l’altro, l’estromissione dalla liturgia dei defunti della grandiosa sequenza Dies irae, che in effetti oggi non si recita né si canta più nelle messe, ma sopravvive solo nei concerti, nelle composizioni di Mozart, Verdi e di altri musicisti.


    Un’altra volta, il 10 aprile 1971, al termine della veglia pasquale riformata, Paolo VI commentò: “Certo che la nuova liturgia ha molto alleggerito la simbologia. Però la esagerata semplificazione ha tolto degli elementi che una volta facevano molta presa sull’animo dei fedeli”. E chiese al suo cerimoniere: “Questa liturgia della veglia pasquale è definitiva?”. Al che Noè rispose: “Sì, Padre Santo, ormai i libri liturgici sono stati stampati”. “Ma si potrà ancora cambiare qualche cosa?”, insisté il papa, evidentemente non soddisfatto.


    Un’altra volta, il 24 settembre 1972, Paolo VI replicò al proprio segretario Pasquale Macchi, che lamentava la lunghezza del canto del Credo: “Ma ci deve essere qualche isola in cui tutti si ritrovino insieme: ad esempio il Credo, il Pater noster in gregoriano…”.


    Il 18 maggio 1975, dopo aver notato più d’una volta che durante la distribuzione della Comunione, in basilica o in piazza San Pietro, c’era chi passava di mano in mano l’Ostia consacrata, Paolo VI commentò: “Il pane eucaristico non può essere trattato con tanta libertà! I fedeli, in questi casi, si comportano da… infedeli!”.


    Prima di ogni messa, mentre rivestiva i paramenti sacri, Paolo VI continuò a recitare le preghiere previste nel messale antico “cum sacerdos induitur sacerdotalibus paramentis” anche dopo che erano state abolite. E un giorno, il 24 settembre 1972, chiese sorridendo a Noè: “È proibito recitare queste preghiere mentre si indossano i paramenti?”. “No, Padre Santo: si possono recitare, se lo si vuole”, gli rispose il cerimoniere. E il papa: “Ma non si trovano più queste preghiere in nessun libro: anche nella sagrestia non ci sono più i cartelli… E così si perderanno!”.


    Sono piccole battute, espressive però della sensibilità liturgica di papa Montini e del suo disagio per una riforma che vedeva procedere fuori misura, come lo stesso Noè ha annotato nei suoi “Diari”: “Si ha l’impressione che il papa non sia completamente soddisfatto di quello che è stato compiuto nella riforma liturgica. […] Non sempre conosce tutto quello che è stato fatto per la riforma liturgica. Forse qualche volta gli è sfuggito qualche cosa, nel momento della preparazione e dell’approvazione”.


    Anche questo dovrà essere ricordato di lui, quando nel prossimo autunno Paolo VI sarà proclamato santo.




    A titolo di documentazione, ecco qui di seguito – in latino e in lingua moderna – le preghiere che i sacerdoti dicevano mentre indossavano i paramenti sacri e che Paolo VI continuò a recitare anche dopo la loro cancellazione dagli attuali libri liturgici.


    Cum lavat manus, dicat:
    Mentre si lava le mani, dica:

    Da, Domine, virtutem manibus meis ad abstergendam omnem maculam: ut sine pollutione mentis et corporis valeam tibi servire.
    Concedi, o Signore, che le mie mani siano monde da ogni macchia: affinché possa servirti con purezza di mente e di corpo.

    Ad amictum, dum ponitur super caput, dicat:
    All’amitto, mentre se lo poggia sul capo, dica:

    Impone, Domine, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus.
    Imponi, o Signore, sul mio capo l’elmo della salvezza, per vincere gli assalti del demonio.

    Ad albam, cum ea induitur:
    Al camice, mentre lo indossa:

    Dealba me, Domine, et munda cor meum; ut, in sanguine Agni dealbatus, gaudiis perfruat sempiternis.
    Purificami, o Signore, e monda il mio cuore: affinché, purificato nel sangue dell’Agnello, io goda dei gaudii eterni.

    Ad cingulum, dum se cingit:
    Al cingolo, mentre se ne cinge:

    Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et extingue in lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis.
    Cingimi, o Signore, col cingolo della purezza, ed estingui nei miei lombi l’ardore della concupiscenza; affinché si mantenga in me la virtú della continenza e della castità.

    Ad manipulum, dum imponitur bracchio sinistro:
    Al manipolo, mentre se lo pone sul braccio sinistro:

    Merear, Domine, portare manipulum fletus et doloris; ut cum exsultatione recipiam mercedem laboris.
    Fa, o Signore, che io meriti di portare il manipolo del pianto e del dolore: affinché riceva con gioia la mercede del mio lavoro.

    Ad stolam, dum imponitur collo:
    Alla stola, mentre se la pone sul collo:

    Redde mihi, Domine, stolam immortalitatis, quam perdidi in praevaricatione primi parentis: et, quamvis indignus accedo ad tuum sacrum mysterium, merear tamen gaudium sempiternum.
    Rendimi, o Signore, la stola dell’immortalità, perduta per la prevaricazione del progenitore; e sebbene io acceda indegno al tuo sacro mistero, fa che possa meritare il gaudio eterno.

    Ad casulam, cum assumitur:
    Alla pianeta, mentre se la impone:

    Domine, qui dixisti: Iugum meum suave est, et onus meum leve: fac, ut istud portare sic valeam, quod consequar tuam gratiam. Amen.
    O Signore, che hai detto: Il mio giogo è soave e il mio carico è lieve: fa che io possa portare questo in modo da conseguire la tua grazia. Così sia.

    (fonte: settimocielo.it)







    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    OFFLINE
    Post: 39.987
    Sesso: Femminile
    16/05/2019 22:51
     
    Email
     
    Scheda Utente
     
    Quota


    Messa tradizionale e Messa moderna. 

    Precisazioni necessarie.


    Riprendiamo un testo pubblicato dal vaticanista Marco Tosatti nel suo sito Stilum Curiae. Il testo è stato redatto da Cesare Baronio per intervenire su una “disputa teologico-liturgica” promossa dal domenicano Padre Giovanni Cavalcoli.
    Abbiamo pensato che le precisazioni di Baronio possano essere utili ai nostri lettori per fissare alcuni punti chiave sulla sostanziale differenza esistente fra la Messa di sempre, o tradizionale, e la Messa di ieri, o moderna.
    Il testo è reperibile anche nel sito Opportune Importune dello stesso Baronio.


    Immagini e impaginazione sono nostre






    Messa tradizionale  a Vocogno (VB)

     


    Messa moderna a Cammarata (AG)


    Reverendo Padre Cavalcoli,

    La ringrazio di aver risposto alle mie osservazioni e di darmi modo di alimentare questa salutare disputa teologica con un figlio di San Domenico. Vorrà perdonarmi se, a beneficio del pio Lettore, mi permetterò di render meno accademica la nostra dissertazione, affinché questi possa trovarvi spunto di riflessione e di approfondimento.

    Procedendo con il metodo della disputa, nel quale immagino Ella sia più versato di me, riassumerò il contenuto della Sua risposta dividendolo in proposizioni, in modo da poterle commentare singolarmente.

    - I fedeli sono liberi di scegliere o la Messa Vetus Ordo o quella Novus Ordo.
    - L’importante è che sia i fedeli che il celebrante rispettino le relative norme della celebrazione con diligenza e senza confondere le une con le altre.
    - Chi segue il Vetus Ordo non deve disprezzare chi sceglie il Novus e viceversa.
    - La Messa è sostanzialmente la stessa di sempre in entrambi casi. Cambiano solo le forme cerimoniali e le rubriche.

    I. I fedeli sono liberi di scegliere o la Messa Vetus Ordo o quella Novus Ordo.

    La Messa è atto supremo del culto pubblico della Chiesa. In essa è Cristo Sommo Pontefice, Capo del Corpo Mistico, per il tramite del Ministro che agisce in persona Christi, per offrire in forma incruenta il Santo Sacrificio a Dio Padre, secondo le finalità di adorazione, ringraziamento, propiziazione ed impetrazione. Questa è la dottrina cattolica, sulla quale suppongo non sussistano dubbii né obiezioni da parte Sua. Giacché, se così non fosse, non avrebbe scopo proseguire.

    Ora, l’atto pubblico del culto è compiuto dalla Chiesa come azione di tutto il Corpo Mistico. La partecipazione del fedele, ancorché lodevole e commendevole per poter beneficiare delle Grazie del Santo Sacrificio, non è tuttavia elemento sostanziale dell’azione sacra: è dogma di fede che qualsiasi Messa, anche se celebrata dal solo sacerdote, è perfettamente valida e rende a Dio l’onore che Gli è dovuto, ed adempie perfettamente ai quattro fini ch’essa si prefigge. 
    Già qui bisognerebbe notare che nel Novus Ordo è previsto un rito della Messa cum populoed uno della Messa sine populo, come se quando il sacerdote si volge per il Dominusvobicum non si rivolgesse all’intera Chiesa militante, purgante e trionfante, ma solo ai fedeli fisicamente presenti.

    Essendo la Chiesa una sola, al di là della diversità dei riti – Romano, Ambrosiano, Mozarabico, Domenicano ecc. – è necessario che ogni rito abbia una sua unità ed unicità, poiché esso è espressione di un’unica comunità orante. Tant’è vero che fu sempre sollecitudine dei Romani Pontefici impartire norme tese a far sì che la Chiesa Romana avesse un proprio rito unico ed universale, e questo avvenne tanto prima quanto dopo il Concilio Vaticano II e la sua riforma liturgica. Paolo VI, nel promulgare il nuovo Messale, dichiarò abrogato il precedente, proprio per mantenere questa unità cultuale: lo fecero anche i suoi Predecessori, ogniqualvolta misero mano – anche se in modo decisamente marginale – alla forma liturgica. Così fecero ad esempio San Pio X, Pio XII e Giovanni XXIII. Anche su questo credo siamo d’accordo.

    Ciò che considero invece un hapax è l’invenzione di due forme liturgiche del medesimo rito, così come la si è avuta con il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. In questo testo legislativo il Rito Romano viene ad avere due voci, una straordinaria ed una ordinaria, facendo sì che la Chiesa di Roma leia la sua preghiera ufficiale con due voci. In teoria, al di là della novità della soluzione adottata da Benedetto XVI, si potrebbe anche concedere che vi siano due forme nello stesso rito, così come ci sono diversi riti nella medesima Chiesa Cattolica.

    Quindi, per usare un’espressione propria alla disputa teologica, concedo, e sono d’accordo che in astratto sia possibile che la Chiesa dia facoltà ai fedeli di assolvere legittimamente al precetto, assistendo alla Messa celebrata in una forma o in un’altra.

    Tuttavia, distinguo. I fedeli, cioè, sono liberi di scegliere o la Messa Vetus Ordo o quella Novus Ordo, se entrambe le forme sono identiche quanto alla sostanza.
    Questo presuppone che forma ordinaria – Novus Ordo – e straordinaria – Vetus Ordo – assolvano perfettamente alle finalità loro proprie ed allo stesso tempo esprimano la medesima fede, sia in modo prossimo che remoto. Se ciò è certissimo per la Messa antica, di istituzione apostolica, non può esser detto invece per la Messa riformata, che rispetto alla prima è gravemente lacunosa.

    Questa lacuna dottrinale è rilevabile in modo remoto nella sua definizione, quale fu formulata nell’art. 7 della Institutio Generalis Missalis Romani promulgata da Paolo VI, nella quale la Messa veniva definita: «La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII, 20)».
     
    Questa prima redazione del 1969 venne poi emendata nel 1970 come segue: «Alla messa, o cena del Signore, il popolo di Dio si raduna sotto la presidenza del sacerdote che rappresenta il Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico. Per conseguenza per questa assemblea locale della Santa Chiesa vale la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII 20). In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche».

    La prima definizione della Messa fu definita da teologi e canonisti come eretica, o quantomeno prossima all’eresia, e per questo venne modificata in senso cattolico, riconoscendone l’erroneità. Già questa sarebbe una pessima premessa per la promulgazione di un rito normativo per tutta la Chiesa Romana; ma se si mutò la definizione della Messa, non si ritenne tuttavia di mutarne conseguentemente e coerentemente anche il contenuto, che rimase intatto.

    Come spiego ai fedeli, poco addentro alle questioni teologiche e canoniche, è come se si preparasse una torta seguendo una ricetta, in cui gli ingredienti siano sbagliati, e una volta ottenuta la torta immangiabile, si pensasse di renderla buona semplicemente cambiando la ricetta ex post. O come se si prendesse un biglietto per Milano e, una volta in viaggio, si pensasse di poter cambiare destinazione non scendendo dal treno che va a Napoli e prendendo quello giusto, ma semplicemente cambiando il biglietto. Similmente, chi ha inventato il Novus Ordo – poiché di invenzione si tratta, quantomeno nelle parti che sono state deliberatamente modificate o sostituite rispetto a Vetus Ordo – ha voluto mantenere il rito limitandosi a correggerne l’elemento causale, senza metter mano al risultato finale. Un’operazione che suona come un maldestro tentativo di mantenere in vita un monstrum liturgicum con una specie di sanatio in radice più che discutibile.

    La mia obiezione alla Sua affermazione consiste quindi nell’aver Ella assunto un principio generale condivisibile, che però nel caso specifico non può essere ammesso. 
    E questo per due ragioni. Anzitutto l’Autorità Ecclesiastica dovrebbe avere come suo scopo principale la salus animarum, per conseguire la quale essa deve dotare i fedeli della pienezza degli strumenti per conseguire la Grazia e così santificarsi. L’aver abolito un rito venerando che esprime perfettamente la fede cattolica, per sostituirlo con un rito che, se non eretico, quantomeno è gravemente omissorio, è un’operazione già di per sé censurabile e riprovevole. In secondo luogo – anche ammesso che l’Autorità possa sostituire un bene minore ad un bene maggiore – è diritto inalienabile del fedele, anzi suo preciso dovere morale, preferire il bene maggiore al bene minore, e a fortiori preferire il bene al male. Ciò vale ancora di più per i sacerdoti, che hanno accettato un rito compromissorio che rende meno onore a Dio e che santifica di meno le anime, quando c’era un rito perfetto e non vi era alcuna ragione per abrogarlo.

    Se questo era valido quando il Novus Ordo fu promulgato, è ancora più valido oggi, che di quell’innovazione si sono visti gli amari frutti. 
    Porre quindi sullo stesso piano il Vetus Ordo ed il Novus può esser tollerabile se l’intenzione è di sostituire progressivamente il Vetus al Novus, agendo con prudenza di governo; ma è inaccettabile se l’operazione mira allo scopo contrario, accontentando i critici del rito riformato ma allo stesso tempo chiedendo loro di accettarlo come legittimo. 
    Come se si chiedesse ai movimenti pro-vita di riconoscere come altrettanto legittimo il diritto all’aborto, in cambio della loro libertà d’azione. E qui parliamo di vite umane, tanto quanto con la Messa si tratta di anime che la Chiesa ha il dovere di salvare. 
    Ma di questo tratterò al punto IV.

    II. L’importante è che sia i fedeli che il celebrante rispettino le relative norme della celebrazione con diligenza e senza confondere le une con le altre.

    Anche su questo punto posso esser in accordo con Lei, quindi concedo. Ma, di nuovo, distinguo. Vi sono infatti modifiche arbitrarie alle rubriche che non inficiano la validità del rito: cambiare una lettura o omettere una genuflessione, per quando operazioni in sé censurabili, non sono di per sé causa di invalidità né del rito antico né del nuovo. Altra cosa è mutare sostanzialmente le parole della Consacrazione – come avviene indicativamente solo nel rito riformato, per via dell’uso della lingua vernacolare – cosa che rende la Messa invalida, e ciò è vero per entrambe le forme liturgiche.

    Ma nella Messa tridentina non è permesso ai laici toccare le Sacre Specie, né ricevere la Comunione nella mano o stando in piedi. Viceversa, questo è ammesso, ed anzi ormai divenuta prassi abituale, nel rito riformato. Ora, è evidente che non stiamo parlando di diversa sensibilità liturgica, o dell’altezza del pizzo di un camice: il rispetto che i gesti di adorazione della Messa antica esprimevano sono stati sostituiti da gesti di irriverenza nella Messa nuova. E questo non per richiesta dei fedeli, ma per ordine dell’Autorità Ecclesiastica. 
    Né si dica che questa prassi è indifferente: il rischio di profanazione del Ss.mo Sacramento è certo, al punto che molti Vescovi e moltissimi sacerdoti hanno espresso una forte critica a questa prassi imposta dall’alto. Lo stesso Benedetto XVI soleva amministrare la Comunione sulla lingua, ai fedeli inginocchiati; ma allo stesso tempo permetteva che tutti gli altri la prendessero in mano, spargendo frammenti del Corpo di Cristo, poi calpestati. 
    Se Ella pensa che nel rito antico, quando un’Ostia cade accidentalmente per terra, si devono raccogliere i frammenti con il purificatoio e versare l’acqua nel sacrario; o quando dopo la Consacrazione, nell’antico rito il celebrante tiene il pollice e l’indice uniti, per non disperdere il più piccolo frammento, mentre nel nuovo la disinvoltura è d’obbligo, al punto che non vi sono particolari prescrizioni nemmeno in merito alla purificazione dei vasi sacri dopo la Comunione, c’è oggettivamente una differenza; e questa differenza non è meramente rubricistica, perché è dogma di fede che fracto demum Sacramento, ne vacilles sed memento, tantum esse sub fragmento quantum toto tegitur.

    Le rubriche dell’antico rito prescrivono che le azioni sacre siano compiute dai Sacri Ministri, mentre nel nuovo i laici e addirittura le donne entrano ed escono dal presbiterio – che si chiama così perché vi stanno i presbyteri – e vi proclamano le letture, distribuiscono la Comunione. Non sono abusi, sia chiaro: sono tutte cose previste dalla liturgia riformata, proprio in nome di quella actuosa participatio e di quel sacerdozio comune dei fedeli che è insinuato sin dall’art. 7 dell’Institutio Generalis. 
    Perché nella Messa cattolica si celebra in forma incruenta il Sacrificio di Cristo sulla croce, mentre quella conciliare è «la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote». Presieduta, ossia in cui con una visione tipica della mentalità moderna il celebrante diventa presidente dell’assemblea, e il suo ruolo di alter Christus è offuscato dal sacerdozio comune dei fedeli, su cui il Vaticano II ha insistito sin troppo a danno del sacerdozio ministeriale, per compiacere ai Protestanti.

    Quindi, essendo la proposizione II condizione della proposizione I, ne risulta che l’osservanza delle rubriche è di per sé bastevole per comprendere quanto quelle del rito tridentino siano orientate a significare esteriormente quella fede, che le rubriche del nuovo si adoperano viceversa ad attenuare, se non a cancellare del tutto.

    III. Chi segue il Vetus Ordo non deve disprezzare chi sceglie il Novus e viceversa.

    Il disprezzo di un comportamento implica una sua valutazione morale. Da ciò deriva che un’azione positiva debba essere valutata positivamente, e quindi lodata; mentre un’azione negativa – o anche solo meno positiva – sia da valutarsi negativamente e quindi da respingere e da disprezzare.

    A questo punto, dobbiamo chiederci se il Vetus Ordo sia buono o cattivo; e se sia buono o cattivo il Novus Ordo. Stabilito questo, si danno quattro possibilità: 1. che il primo sia buono, e quindi che il secondo non lo sia o lo sia meno dell’altro; 2. oppure che il rito riformato sia buono, e quindi che il rito antico non lo sia o lo sia meno dell’altro; 3. che siano buoni entrambi; 4. che siano cattivi entrambi.

    L’ultima possibilità va evidentemente scartata, perché non è possibile che la Chiesa sia privata sin dalla sua fondazione del Santo Sacrificio, o che esso sia imperfetto rispetto al fine che si prefigge, voluto da Nostro Signore.

    Va anche scartata la terza opzione, perché è evidente che il rito riformato è stato redatto sulla falsariga del rito antico, ma privato di parti importantissime. Quindi, o quelle parti sono erronee, e per questa ragione da espungere; o quelle parti sono buone. Nel primo caso si ricade nella quarta ipotesi, che è inammissibile nell’economia della salvezza. Nel secondo caso, il rito riformato si dimostra lacunoso ed omissorio rispetto all’antico, e questo lo rende de facto meno buono del Vetus Ordo, ricadendo nella prima ipotesi: che cioè la liturgia tridentina sia migliore di quella conciliare. 
    Quale delle prime due ipotesi sia vera, si dimostra nella confutazione della proposizione IV.


    IV. La Messa è sostanzialmente la stessa di sempre in entrambi casi. Cambiano solo le forme cerimoniali e le rubriche.

    Questa affermazione, reverendo padre Cavalcoli, va precisata. Quindi: distinguo. 
    Essa è vera se Ella intende che la Messa del Novus Ordo è valida, e che realmente vi si rinnova il Sacrificio di Cristo e vi si consacra validamente il Corpo e il Sangue di Nostro Signore. In questo senso, entrambe le forme sono sostanzialmente identiche. 
    Gli elementi essenziali per la validità della Messa sono il ministro ordinato, l’intenzione del ministro, la materia (pane e vino), la formula della Consacrazione. I sacerdoti prigionieri nei lager o nei gulag celebravano validamente, usando briciole di pane e un po’ di vino ottenuto fermentando pochi acini d’uva. Ma quel ch’è lecito in condizioni di grave necessità non fa parte, come è evidente, della norma ordinaria. E ciò che è parte essenziale del rito ai fini della sua validità non rende qualsiasi Messa identica ad un’altra. 
    Anche una messa nera è valida, se la celebra un sacerdote che, per quanto apostata, intende consacrare il pane e il vino: eppure a nessuno di noi verrebbe in mente di affermare che i fedeli assolvono debitamente il precetto festivo o sono santificati dall’assistere ad un rito satanico. 
    E tanto per esser chiari; lungi da me affermare che il Novus Ordo sia equiparabile ad una messa nera.

    Se invece Ella sostiene che la Messa tridentina e la Messa riformata siano uguali quanto al loro contenuto – che in certo qual modo ne costituisce anche l’essenza – allora devo respingere la Sua affermazione. Quindi: nego. 
    Come ho scritto a commento della proposizione III, la Messa riformata è stata inventata a tavolino da una Commissione di teologi e liturgisti, tra cui un gruppo di pastori luterani e calvinisti, sulla falsariga del rito tridentino. Solo una persona inesperta e completamente a digiuno dei rudimenti di teologia e di liturgia può sostenere che la differenza tra i due riti consista solo nelle forme cerimoniali e nelle rubriche: anzitutto perché non è vero che l’unica differenza consista nelle cerimonie, essendo evidentissimo anche ad una semplice lettura cursoria dei due testi che moltissime parti del Vetus Ordo sono state cancellate dal Novus. 
    Cade qui anche la pia credenza secondo la quale la nuova Messa sia soltanto una traduzione in lingua vernacolare del rito latino: semmai è vero che il testo latino del Novus Ordo è stato ulteriormente imbastardito e tradito dalle traduzioni, ma i due testi latini sono diversi in molti punti.

    Comprendo che Ella, avendo ricevuto l’Ordinazione del 1976, non abbia avuto modo di conoscere e studiare l’antica liturgia. Ma forse ricorderà quando, sin dal 1965, vi fu tutto un susseguirsi di Messe di transizione, in cui il rito di Giovanni XXIII era via via mutilato di cerimonie e parti che nessuno fino ad allora considerava accessorie. Si iniziò col Salmo XLII, lasciandone l’antifona. Salirò all’altare di Dio. A Dio, che allieta la mia giovinezza. E poi il doppio Confiteor, tradotto esattamente dal latino, con tutte le sue preghiere. Ma tanto l’Offertorio antico quanto il Canone Romano erano da recitarsi submissa voce in latino, in obbedienza ai Canoni del Concilio di Trento. 
    Nel frattempo spariva il manipolo, veniva sdoganato l’uso della casula gotica, gli altari erano definitivamente rivolti al popolo, cosa che peraltro era già iniziata sin dagli anni Venti, col Movimento Liturgico.

    Poi venne promulgata la Messa di Paolo VI: sparite le preghiere ai piedi dell’altare, il Confiteor era recitato dal sacerdote e dai fedeli insieme, con una bella sforbiciata a San Michele Arcangelo, al Beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo. Confesso aDio onnipotente e a voi, fratelli. Proprio come fecero, guarda un po’, i primi Luterani e i riformatori di Cranmer. 
    I riti d’introduzione tolsero l’antichissimo uso della triplice invocazione del Kyrie, ridotti a due per mera comodità di risposta coi fedeli. E l’Offertorio scomparve del tutto, per far posto ad una preghiera giudaica di sapore panteistico. Venne tolta anche l’invocazione Veni, Sanctificator, con la quale il celebrante invocava la discesa dello Spirito Santo su questosacrificio, preparato per il Tuo santo nome. 
    Rimase provvisoriamente l’Orate, fratres, che oggi prevede varie risposte, alcune più omissorie delle altre. 
    Il Canone Romano fu mantenuto, ma privato di tutti i segni antichissimi con i quali il celebrante designava le Sacre Specie, si inchinava, genufletteva, alzava gli occhi al cielo ecc. 
    L’elenco dei Santi venne reso facoltativo: et pour cause, essendo la loro intercessione negata dai Protestanti e dai Novatori. 
    Le parole della Consacrazione furono mutate, spostando il Mysterium fidei dalle parole sul Calice a dopo l’Elevazione, come se la transustanziazione si compisse solo dopo l’ostensione ai fedeli; tant’è vero che anche la genuflessione del sacerdote prima dell’Elevazione fu abolita. 
    Studiosi più versati di me nelle discipline liturgiche e teologiche hanno avuto modo di dimostrare l’adulterazione impressionante del nuovo rito, che mantiene solo parte dell’aspetto esteriore della Messa, proprio come fecero Lutero ed altri eresiarchi. I quali, dovendo imporre la loro liturgia eretica ai fedeli ancora cattolici, raccomandavano di suonar i campanelli all’Elevazione, o di comunicarli in ginocchio, per non scandalizzarli. Peccato che a quelle celebrazioni non si consacrasse più il Corpo e il Sangue di Cristo e che i ministri fossero dei laici.

    Parlare di rito latino del Novus Ordo è una presa in giro: quel rito non esiste, non è mai esistito, e chi lo ha celebrato all’inizio è stato immediatamente redarguito perché adottasse la traduzione in lingua volgare. Casomai, esso doveva servire come traccia per la redazione delle traduzioni da parte delle Conferenze Episcopali, le quali aggiunsero altri tradimenti a quelli già perpetrati dall’Editio typica vaticana.
    Anche le funzioni papali sono una babele di lingue, in cui il latino appare timidamente più per ostinazione dei Cerimonieri che per convinzione dell’augusto celebrante.

    O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato. Questa dovrebbe esser la traduzione di: Domine, non sum dignus ut intres subtectum meum; sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea. Eppure non di traduzione si tratta, giacché si sarebbe dovuta rendere: O Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà guarita. 
    Ed anche nella formula consacratoria, quel pro vobis et pro multis è diventato per voi e pertutti, e non per molti. 
    E gli esempii potrebbero continuare all’infinito. Oggi che si presta tanta attenzione a cambiare il Padre nostro sofisticando sul non indurci in tentazione, si passa oltre il per molti, confermando una coerenza d’intenti che può esser negata solo da chi ostinatamente non vuol vedere.

    Quindi, caro padre, affermare che tra il Vetus ed il Novus Ordo vi sia una differenza meramente cerimoniale è falso e contraddetto dall’evidenza. 
    Contra factum non fit argumentum.

    Ella mi ammonisce: «Non è proprio il caso di litigare o di dare in escandescenze là dove Cristo ci vuole uniti, seppur nella diversità». Non mi pare di aver dato in escandescenze; semmai ho espresso il mio sdegno nel vedere che su una questione tanto importante e vitale per le anime si possa pensare di metter insieme vero e falso, fedeltà e tradimento. O anche solo un rito venerando e perfetto com’è quello custodito per millenni dalla Chiesa, con la sua grottesca parodia, la sua deminutio fatta per favorire quel dialogo interreligioso che costituisce l’anima del Vaticano II e che rappresenta la pietra tombale della missione apostolica della Sposa di Cristo. Al punto che lo stesso Bergoglio può affermare che l’apostolato è «una solenne sciocchezza».

    E poi, chi ha mai detto che «Cristo ci vuole uniti, seppur nella diversità»? La diversità nella fede è eresia.

    Dice bene, padre Cavalcoli, quando Ella afferma che «In rapporto alla dottrina cápita però che nel linguaggio Francesco non sia sempre limpido, leale ed onesto, ma avviene purtroppo che sia confuso, improprio, evasivo, ambiguo e doppio. Inoltre egli fa male a non rispondere e non illuminare chi gli chiede spiegazioni o a non smentire le false interpretazioni. È segno di un’astuzia o reticenza che non si addicono ad un Vicario di Cristo». 
    Ella ha espresso ciò che qualsiasi persona dotata di un minimo di onestà intellettuale non può non condividere. Ma, se mi permette, io credo che simile atteggiamento si sia visto anche nei Predecessori di Bergoglio, ad iniziare da Paolo VI, se non già da Giovanni XXIII. Anche Montini era «un figlio di Adamo come tutti noi, quindi soggetto alla colpa e bisognoso di essere perdonato da Dio». Forse più di noi, visto che ha la responsabilità di aver voluto abrogare la Messa apostolica per sostituirla con un rito composto da Prelati notoriamente progressisti e massoni.

    Rimane da comprendere come a un Papa sia concesso di peccare contro tutte le virtù, ad eccezione della fede: mi par di ricordare che il Concilio Vaticano – il primo, ovviamente – avesse definito che l’infallibilità dei Romani Pontefici è garantita dallo Spirito Santo solo quando essi parlano ex cathedra, nel solo ambito di questioni inerenti la fede e i costumi, e con l’intenzione esplicita di impartire un insegnamento vincolante per i fedeli. Poiché se un Papa potesse essere infallibile in materia di fede anche quando è interpellato da un giornalista o fa una delle sue esternazioni a braccio, si aprirebbero questioni molto delicate.

    Di eresie ne abbiamo sentite parecchie, dette non solo da Bergoglio ma anche dai suoi Predecessori: per grazia di Dio, questi errori dottrinali erano espressi come dottori privati, e non imposti a credersi da tutti i fedeli in forza della loro Autorità Apostolica né tantomeno sotto l’assistenza dello Spirito Santo. Tuttavia, reverendo padre, sentir affermare una cosa del genere da un Domenicano mi lascia a dir poco sgomento. Se l’avessi fatto io col mio professore di Dogmatica, mi avrebbe rispedito al Seminario Minore.
     

    -------------------------------------------


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
    Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
    Nuova Discussione
    Rispondi

    Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
    Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
    FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
    Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:31. Versione: Stampabile | Mobile
    Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com