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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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07/11/2017 10:01
 
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Francesco Petrarca

La confessione 600 anni dopo

    
Illustre poeta,In Italia e fuori viene celebrato quest’anno il sesto centenario della vostra morte (1374 - 1974). Congressi, studi, pubblicazioni mettono in risalto la vostra figura, questo o quell’aspetto della vostra figura, questo o quell’aspetto della vostra personalità o della immensa vostra opera letteraria. Morto da tanto tempo, vi rivelate più vivo che mai, eccitando la curiosità e attirando l’attenzione degli uomini d’oggi sul letterato, sub psicologo finissimo, sull’uomo politico, sul turista appassionato, sul cristiano sincero e insieme critico che siete stato e su cent’altri aspetti. Qualcuno parlerà anche di Voi, peccatore pentito, ma recidivo, cristiano assetato spesso di santità, ma incapace di fare un taglio veramente netto dal peccato e di rinunciare a passioni e passioncelle che vi erano care? Non lo so. Se sì, bisognerà parlare anche del vostro atteggiamento di fronte alla Confessione. 

Perché Voi andavate a confessarvi, illustre Petrarca! Scrivendo da Roma al vostro amico Giovanni Boccaccio, gli raccontaste la disavventura toccatavi: un maiuscolo calcio di cavallo sferrato al vostro prezioso ginocchio, con quindici giorni di dolori acutissimi: "Ma accetto tutto in sconto dei miei peccati - scriveste - e in sostituzione di quella penitenza, che il confessore, troppo buono, non m’ha imposto". Quale impegno abbiate messo nell’esaminare la vostra anima fino nelle sue pieghe più riposte, appare dai vostri libri. Quando scrivete di esservi troppo compiaciuto dell’ingegno, dell’eloquenza, della cultura acquisita e perfino della prestanza corporea. Quando vi rimproverate di essere assetato di onori, comodità, ricchezza e di avere troppo spesso ceduto alla lussuria. Voi gemete sui legami della passione, che non riusciste a spezzare, sulla forza della "perversa abitudine", sull’"amarissimo gusto" delle ricadute. Scrivendo al fratello monaco, deplorate il vostro "desiderio di elegantissime vesti", il "timore che un capello vada fuori posto e un lieve vento scomponga la laboriosa acconciatura delle chiome". Il ferro usato ad acconciare i capelli, vi procura sonno interrotto e dolori più atroci di quelli che infligge "un crudele pirata", ma non ve la sentite per questo di smettere.

E ponete a Sant’Agostino - interlocutore immaginario - dei problemi inquietanti: "Il cadere è stato mio, ma il giacere, il non rialzarmi non dipende da me". "Dipende anche da te" risponde Agostino. Voi replicate: "Ma vedete bene che io piango sulle mie miserie! ". E Agostino: "Non si tratta di piangere, ma di vole­re!". 
Per fortuna, il principio giusto non vi è mai venuto meno: "Dio può salvarmi, nonostante la mia debolezza. La misericordia di Dio fuga i timori, risolve molti problemi.  

***

A seicento anni di distanza, noi, penitenti di oggi, siamo migliori o peggiori di Voi? Ecco una questione che mi incuriosisce. Minore, mi sembra, da parte nostra, la disposizione a riconoscere le commesse mancanze. Diciamo spesso: "Santa Maria.. prega per noi peccatori", "Padre... rimetti i nostri debiti", "Agnello di Dio... abbi pietà di noi", ma molto superficialmente. In pratica, ci giustifichiamo coi pretesti più strani ("siamo liberi, autonomi, maturi"); ci appelliamo alle "esigenze della natura, dell’istinto, della cultura, della moda". La Bibbia, nel libro dei Proverbi, presenta così il caso di una donna adultera: "Mangia e sipulisce la bocca e dice: "Non ho fatto nulla di male"! ". Quella donna, caro Petrarca, è una figura emblematica: dipinge tale e quale buona parte della nostra cristiana civiltà permissiva. Come già a Voi, le lagrime non mancano neppure a noi: è il volere che difetta.

O meglio: arriviamo, spesso, a disvolere quello che avevamo voluto col peccato, a disapprovare ciò che s’era approvato, ma non arriviamo a quello che è più pratico: fuggire le occasioni. Voi che, perfino nell’ascensione al monte Ventoux, vi siete portato dietro il libro delle Confessioni di Agostino, avete presente il caso di Alipio. 
Uomo forte, capace di tener testa a senatori potentissimi, venuto a Roma dall’Africa, aveva concepito "disgusto e odio" per i combattimenti dei gladiatori, che si uccidevano l’un l’altro per dare spettacolo al popolo. Alcuni amici gli proposero di assistere, almeno una volta, al combattimento. Alipio rispose di no, poi disse: "Vi sarò, ma come un assente, e avrò vittoria di voi e dello spettacolo". Andò dunque per sfida; messosi difatti a sedere nell’anfiteatro, chiuse gli occhi per neppur vedere. Purtroppo non chiuse le orecchie: ad un certo punto un immenso urlo di popolo lo fece sussultare. Aprì gli occhi per pura curiosità, ma "vedere quel sangue e imbeversi di crudeltà, fu tutt’uno: non solo non distolse gli occhi dallo spettacolo, ma ve li fissò; respirava furore senza accorgersene, prendeva gusto a quella lotta, ebbro di sanguinario piacere. Non era più quello che era venuto: guardò, gridò, si entusiasmò", se ne venne via, portando seco una febbre, che lo spinse a tornarci, trascinatore di altri. Si corresse in seguito, ma solo molto tempo dopo (Confessioni cap. VIII). 

Sulla linea della straordinaria debolezza di Alipio (poi vescovo e santo) ci troviamo, purtroppo, un po’ tutti. Per questo, in ogni confessione, siamo esortati a pregare: "propongo... di fuggire le occasioni prossime di peccato", ma... Temo che noi siamo più incompleti di Voi per quanto riguarda la fiducia in Dio. D’accordo, Dio è il padre del figliol prodigo; Gesù è il buon pastore, che riporta all’ovile la pecorella smarrita, che ha perdonato l’adultera, Zaccheo, il buon ladrone. Fin qua ci arrivano tutti o quasi. Alcuni però concludono: "Io me la intenderò con Lui direttamente" e non vi seguono fino al discorso del confessore, che media tra Dio e il peccatore in grazia delle parole di Gesù agli Apostoli: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi". Essi non capiscono che al confessore non tocca solo dichiarare la remissione dei peccati già avvenuta, ma di fare Ia remissione con una sentenza. E tale sentenza non può essere lasciata al puro capriccio ("Tu mi sei simpatico, ti assolvo!"), ma deve basarsi su elementi certi e ben vagliati, che solo il penitente può fornire, appunto con la propria confessione.

***

Voi avete trovato "troppo buono" il vostro confessore. Ai nostri tempi, chi si confessa bene cerca confessori buoni, ma non "troppo buoni". Augusto Conti, illustre filosofo, ha dedicato un intero capitolo pieno di affettuosa riconoscenza nel libro "Le sveglie dell’anima" ai suoi confessori. Santa Giovanna di Chantal e altri penitenti si sono dichiarati contentissimi di San Francesco di Sales, che nella confessione fu padre e medico abile soprattutto a infondere coraggio. "La santità - diceva - consiste nel combattere i difetti, ma come combatterli, se non ci sono? Come vincerli, se non li incontriamo? Essere feriti qualche volta in questa battaglia non vuol dire essere vinti. E’ vinto solo chi perde la vita o il coraggio, è vincitore chiunque decida di continuare a combattere". E’ il tipo di confessore che la gente oggi aspetta: fermo, ma delicato; amante di Dio, ma che conosca i problemi degli uomini. 

E’ vero però che oggi, per desiderio della Chiesa, l’accento, più che sull’accusa dei peccati, viene messo sulla conversione presentata biblicamente come allontanamento dal peccato, ma più ancora come avvicinamento a Dio e abbraccio amoroso con Lui. "Lasciatevi riconciliare a Dio", diceva San Paolo: oggi lo si ripete e si auspica che la riconciliazione sia preceduta dalla parola di Dio stesso letta e meditata. Noi infatti andiamo a Dio, se Lui prima ci chiama e ci parla. Si desidera anche che tale parola, possibilmente, non ci investa ad uno ad uno, ma radunati in comunità. Voi del Medioevo, caro Petrarca, avete fatto della Confessione una cosa molto personale e segreta. Oggi si pensa con nostalgia ai tempi antichi, quando, finita la Quaresima, il vescovo dava la mano al primo dei penitenti e questo alla lunga catena di tutti gli altri, che venivano cosi introdotti in chiesa per la riconciliazione solenne.

***

Non so con quale frequenza siate andato a confessarvi. Nel vostro Medioevo si usava molta confessione e poca comunione. Oggi pare succeda l’inverso: anche anime pie, si rivelano un po’ allergiche alla confessione frequente e di devozione. Esse mi fanno pensare al domestico di Gionatan Swift. Questi, dopo aver pernottato in un’osteria,, aveva chiesto, al mattino, gli stivali e se il era visti portare ancora coperti di polvere. "Come mai non il avete puliti?" aveva chiesto. "Ho pensato che era inutile, aveva risposto il domestico; tanto, dopo pochi chilometri di viaggio, si impolverano di nuovo!". "Giusto, ma ora va a preparare i cavalli per la partenza". Poco dopo i cavalli scalpitavano fuori dalla scuderia ed anche Swift era in pieno assetto di viaggio. "Ma non possiamo partire senza colazione!", osservò il servo. "E’ inutile, rispose Swift, tanto, dopo pochi chilometri di viaggio, avresti fame di nuovo!".

***

Caro Petrarca, né Voi né io, penso, seguiamo la logica del servo di Swift. L’anima si sporcherà di nuovo dopo la Confessione? E’ molto probabile. Tenerla adesso pulita però, non può fare che bene. Anche perché la Confessione non solo toglie la polvere dei peccati, ma infonde una forza speciale per evitarli e rinsalda l’amicizia con Dio. 
Settembre 1974




Pinocchio

Quando ti prenderai la cotta 

    
Caro Pinocchio, Avevo sette anni; quando lessi la prima volta le tue Avventure. Non ti so dire quanto mi son piaciute e quante volte poi le ho rilette. In te fanciullo riconoscevo me stesso, nel tuo ambiente il mio ambiente. Quante volte correvi in mezzo al bosco, attraverso i campi, sulla spiaggia, sulle strade! E con te correvano la Volpe e il Gatto, il cane Medoro, i ragazzi della battaglia dei libri. Parevano le mie corse, i miei compagni, le strade ed i campi del mio paese. Andavi a vedere i carrozzoni arrivati in piazza; anch’io. Nicchiavi, torcevi la bocca, mettevi la testa sotto le coperte prima di prendere il bicchiere colla medicina amara; anch’io. La fetta di pane imburrata da tutte e due le parti; il confetto con dentro il rosolio; la "pallina di zucchero" e, in certe occasioni, perfino un uovo, perfino una pera, perfino le bucce della pera, rappresentavano un "tetto" radioso per te, goloso e pieno di fame; lo stesso era di me. 

Anch’io, andando e tornando da scuola, venivo coinvolto nelle "battaglie": a base di palle di neve nella stagione invernale; a base di "cazzotti" e generi affini in tutte le stagioni dell’anno; un po’ "incassavo", un po’ davo, cercando di pareggiare entrate e uscite e di non piagnucolare con quelli di casa, che, se mi fossi lagnato, mi avrebbero, forse, dato "il resto"! Adesso tu sei ritornato. Non hai parlato più dalle pagine del libro, ma dal teleschermo; sei, però, rimasto il fanciullo di una volta. Io, invece, sono invecchiato; mi trovo ormai, se è lecito dir così, dall’altra parte della barricata: non più in te mi riconosco, ma nei tuoi consiglieri: mastro Geppetto, il Grillo parlante, il Merlo, il Pappagallo, la Lucciola, il Granchio, la Marmottina. Essi hanno tentato, ahimé, non ascoltati, eccettuato il caso del Tonno, di darti dei suggerimenti per la tua vita di fanciullo. Io tento di darteli per il tuo futuro di ragazzo e di giovanotto. Bada, non tentare neppure di scagliarmi il solito martello, non son disposto a fare la fine del povero Grillo parlante.

***

Hai notato che non ho enumerato tra i "consiglieri" la Fata? Non mi piace il suo sistema. Inseguito dagli assassini, tu batti disperato alla porta di casa sua; essa si affaccia, viso bianco come immagine di cera, alla finestra, non ti apre e ti lascia impiccare. Ti libera, è vero, dalla quercia più tardi, ma poi ti gioca il brutto tiro di far entrare nella tua stanza di malato quei quattro conigli neri come l’inchiostro, che portano sulle spalle una piccola bara da morto. Non basta. Sfuggito per miracolo alla padella del Pescatore verde, tu torni a casa intirizzito, ch’è notte buia e l’acqua viene giù a catinelle. La Fata ti fa trovare la porta chiusa e, dopo tanto tuo disperato battere, ti manda la Lumaca, che impiega nove ore a scendere dal quarto piano e a portarti, mezzo morto che sei di fame, un pane di gesso, un pollastro di cartone e quattro albicocche di alabastro dipinte al naturale. 

Ebbene, non si agisce così coi ragazzi che sbagliano, specialmente se essi stanno entrando o sono entrati nell’età detta preziosa oppure, alla pari, età difficile, che va dai 13 ai 16 anni e che sarà d’or’innanzi la tua età, Pinocchio. La proverai: età difficile sia per te che per i tuoi educatori. Non più fanciullo, sdegnerai, infatti, la compagnia, le letture, i giochi dei piccoli; non ancora uomo, ti sentirai incompreso e quasi respinto dagli adulti. In preda alla fatica del rapido crescere fisico, ti sembrerà di trovarti improvvisamente addosso gambe chilometriche, braccia da Briareo e voce stranamente cambiata e inaudita. Sentirai, prepotente, la necessità di affermare il tuo io: da una parte, verrai in contrasto con l’ambiente della famiglia e della scuola; dall’altra, entrerai a vele spiegate nella solidarietà delle "bande". Da una parte, esigi indipendenza dalla famiglia; dall’altra, hai fame e sete di essere "accettato" dai coetanei e di dipendere da loro. Quanta paura di essere diverso dagli altri! Dove va la banda, tu vuoi andare. Dove la banda si ferma, tu vuoi fermarti. Gli scherzi, il linguaggio, i passatempi degli altri, li fai tuoi.

Quel che essi indossano, tu indossi: un mese tutti i ragazzi vanno in maglione e blue-jeans; il mese dopo tutti portano giacconi di cuoio, calzoni colorati, lacci bianchi per scarpe nere. In certe cose, anticonformisti; in altre cose, senza che nemmeno vi accorgiate, conformisti al cento per cento. 
E di umore mutevole! Oggi sereno e docile com’eri a dieci anni; domani aspro come un fegatoso di settant’anni. Oggi orientato a far l’aviatore, domani deciso a diventar artista di teatro. Oggi audace e spregiudicato, domani timido e quasi ansioso. Quanta pazienza e indulgenza e amore e comprensione dovrà avere con te mastro Geppetto! C’è di più: diventerai introspettivo, comincerai cioè a guardare dentro te stesso e scoprirai cose nuove: spunterà in te la malinconia, il bisogno di sognare a occhi aperti, il sentimento ed anche il sentimentalismo. Può darsi che, già in terza media o in quarta ginnasio, tu "prenda una cotta", non quella dei chierichetti, ma quella del giovane David Copperfield, che dice: "Io adoro Miss Shepherd. E’ una ragazzina con un giubbettino corto, un viso tondo e i capelli ricciuti: in chiesa non posso guardare il mio libro, perché devo guardare Miss Shepherd; metto Miss Shepherd tra i membri della famiglia reale... in camera mia sono talvolta spinto ad esclamare: “Oh, Miss Shepherd! Perché regalo segretamente a Miss Shepherd dodici noci del Brasile, vorrei sapere? Non sono un simbolo d’affetto... eppure sento che si addicono a Miss Shepherd.

Anche flosci e insipidi biscotti elargisco a Miss Shepherd; e innumerevoli aranci... Miss Shepherd è l’unica visione che pervade la mia vita. 
"Come mai avviene, dopo qualche settimana, ch’io rompa con lei? Si mormora ch’essa preferisca il signorino Jones... un giorno Miss Shepherd fa una smorfia nel passarmi accanto e ride con la propria compagna. Tutto è finito. La devozione di una vita intera è scomparsa. Miss Shepherd esce dalle funzioni religiose del mattino domenicale e la famiglia reale non la riconosce più! ". E’ successo a Copperfield, succede a tutti, succederà anche a te, Pinocchio!

***

Ma come ti assisteranno i "consiglieri"? Per il "fenomeno crescita", tuo nuovo Grillo­parlante dovrebb’essere il vecchio Vittorino da Feltre, un pedagogo, che ha tanto amato i ragazzi della tua età e ha dato, nell’educare, enorme importanza agli esercizi fatti all’aria aperta. L’equitazione, il nuoto, il salto, la scherma, la caccia, la pesca, la corsa, il tirar d’arco, il canto. Egli intendeva, anche con questi mezzi,creare il clima sereno della sua "Casa gioiosa" e dare uno sbocco utile all’esuberanza fisica dei suoi giovani alunni. Egli avrebbe detto volentieri come disse più tardi il Parini: "Che non può un’alma ardita se in forti membra ha vita?".  Il tuo amico Tonno poi, che sul suo groppone ti ha portato sano e salvo alla riva appena uscito dal ventre del pescecane, ti potrebbe aiutare, pacato e suasivo com’è, nella prossima, sovraccennata crisi per l’autoaffermazione. 

Oggi il sogno di voi giovani non è solo l' automobile: voi sognate tutto un parcheggio di auto morali: autoscelta, autodecisione, autogoverno, autonomia; di recente, dei ragazzi hanno fin tentato, a Bolzano, un’autoscuola a conduzione in proprio! "Giusto, direbbe nella sua pacatezza il saggio Tonno, arrivare all’autodecisione. Ma un po’ alla volta, per scalini. Non si può passare bruscamente dalla obbedienza totale di fanciullo alla piena autonomia di adulto. Nè si può usare oggi in tutto il metodo forte di una volta. Man mano che crescerai in età, Pinocchio, crescerà in te il desiderio di autonomia. Ebbene, fa’ che cresca, con l’aiuto esterno di bravi educatori, la giusta coscienza dei tuoi diritti e doveri; cresca il senso di responsabilità per usare bene della tanto desiderata autonomia. Senti come, più di un secolo fa, venivano educati i fratelli Visconti-Venosta, uno, Giovanni, letterato, e l’altro, Emilio, uomo politico del nostro Risorgimento: "Uno dei modi di educazione di mio padre era quello di stare coi suoi figli più che poteva, di esigere da noi una confidenza illimitata, ricambiandocene molta, e di considerarci come persone un po’ superiori alla nostra età; così ispirava in noi il sentimento della responsabilità e del dovere. Eravamo trattati da piccoli uomini, cosa che ci lusingava assai; per cui era grande il nostro impegno per tenerci a quel livello".

***

Nel viaggio verso l’autonomia, come quasi tutti i giovani sui 17-20 anni, caro Pinocchio, urterai forse anche tu contro un duro scoglio: il problema della fede. Respirerai, infatti, obiezioni antireligiose come si respira l’aria a scuola, in fabbrica, al cinema, ecc. Se la tua fede è un mucchio di buon frumento, ci sarà tutto un esercito di topi a prenderlo d’assalto. Se è un vestito, cento mani tenteranno di lacerartelo. Se è una casa, il piccone la vorrà smantellare pezzo per pezzo. Bisognerà difendersi: oggi, della fede si conserva solo ciò che si difende. Per molte obiezioni c’è una risposta persuasiva. Per altre, una risposta esauriente non è ancora stata trovata. Che fare? Non gettar via la fede! "Diecimila difficoltà, diceva Newman, non formano ancora un dubbio". E tieni presenti due cose. Prima: si deve avere stima di ogni certezza, anche se non è quella matematica evidentissima. Che siano esistiti Napoleone, Cesare, Carlo Magno non è certo come 2+2=4, ma è certo di certezza umana, storica.

In questo modo è certo che è esistito il Cristo, che gli Apostoli lo hanno visto morto e poi risuscitato. 
Seconda cosa: all’uomo è necessario il senso del mistero. Di nulla noi sappiamo il tutto, diceva Pascal. So molte cose di me, ma non tutto; non so di preciso, cosa sia la mia vita, la mia intelligenza, il grado della mia salute, ecc.; come posso pretendere di comprendere e sapere tutto di Dio? Le obiezioni più frequenti le sentirai circa la Chiesa. Ti può forse aiutare una battuta, riferita da Pitigrilli. A Londra, ad Hyde Park, un predicatore predica all’aria aperta, ma è interrotto ogni tanto da un individuo mal pettinato e sporco. - Sono duemila anni che esiste la Chiesa, sbotta ad un tratto l’individuo, e il mondo è ancora pieno di ladri, di adulteri, di assassini! " Avete ragione, rispose il predicatore, sono due milioni di secoli che c’è l’acqua al mondo, e guardate in che stato è il vostro collo!" In altre parole: ci sono stati dei cattivi papi, dei cattivi preti, dei cattivi cattolici. Ma questo che significa? Che è stato applicato il Vangelo? No, che viceversa, in quei casi, il Vangelo non è stato applicato! Pinocchio mio, sui giovanotti ci sono due frasi famose. Ti raccomando la prima di Lacordaire: "Abbiate un’opinione e fatela valere!" La seconda è di Clemenceau e non te la raccomando affatto: "Non ha idee, ma le difende con ardore! ".

***

Posso tornare a David Copperfield? Il ricordo di Miss Shepherd è lontano in lui di qualche anno, ed egli, ormai diciassettenne, si innamora di nuovo; adora questa volta la signorina Larkins. Si sente felice anche se le può fare solo un inchino nella giornata. Non ha sollievo se non indossando gli abiti migliori, facendosi lustrare continuamente le scarpe. Sogna: "Oh!, se domattina Larkins padre venisse e mi dicesse: “Mia figlia mi ha detto tutto. Eccole ventimila sterline. Siate felici! “". Sogna la zia che s’intenerisce e benedice il suo matrimonio, ma, mentr’egli sogna, la Larkins sposa un coltivatore di luppolo. Ecco David a terra per due settimane: si toglie l’anello, indossa gli abiti peggiori, non usa più la brillantina, non fa più lucidare le scarpe! Più tardi è il colpo di folgore con Dora: "Era un essere sovrumano, per me. Era una fata, una Silfide... non so cos’era... tutto quello che nessuno ha mai visto... Fui inghiottito in un abisso d’amore in un solo istante... precipitato, a capofitto, prima di averle potuto dire una sola parola!" . Sono citazioni trasparenti: attraverso ad esse si intravedono i problemi dell’amore e del fidanzamento, al quale bisognerà pure che ti prepari, caro Pinocchio. 

In materia, qualcuno propugna oggi una morale largamente permissiva. Pur ammettendo che in passato si è stati un po’ troppo rigidi su certi punti, i giovani non devono accettare quella permissività; il loro amore dev’essere con l’A maiuscola, bello come un fiore, prezioso come una gemma e non volgare come un fondo di bicchiere. E’ opportuno che accettino di imporsi qualche sacrificio e di tenersi lontano da persone, luoghi e divertimenti, che sono ad essi occasioni di male. "Non avete fiducia in me!", tu dici. "Sì, abbiamo fiducia, ma non è sfiducia ricordare che tutti siamo esposti a tentazioni; ed è amore togliere dalla tua strada almeno le tentazioni non necessarie!" Guarda gli automobilsti: trovano il vigile, il semaforo, le strisce bianche, il senso vietato, il divieto di sosta, tutte cose che sembrano, a prima vista, seccature e limiti contro l’automobilista e invece sono a favore dell’automobilsta, perché lo aiutano a guidare con più sicurezza e piacere!. E se avessi una fidanzata, Shepherd o Larkins o Dora che sia, un giorno, rispettala! Difendila contro te stesso! Pretendi ch’essa si serbi intatta per te? È giusto, ma tu fa’ altrettanto per lei e non badare a certi amici, che raccontano le loro "prodezze", vantandosi e credendo di essere "brillanti" per le loro avventure donnesche. "Brillante" e forte è l’uomo, che sa conquistare se stesso e s’inserisce nella schiera dei giovani, che sono l’aristocrazia delle anime. Finché si è fidanzati, l’amore deve procurare non tanto il piacere sensuale quanto la gioia spirituale e sensibile, perché manifestato in maniera affettuosa sì, ma corretta e degna! 

Consigli paralleli vengono impartiti aIl’altra parte, supposto che sappia sopportare "prediche". "Cara Dora (o signorina Larkins o Shepherd che sia), le dice sua madre,lascia che ti ricordi una legge biologica. La ragazza, di solito, ha maggiore dominio su sé che il ragazzo nel settore sessuale. Se l’uomo è più forte fisicamente, la donna lo è spiritualmente. Parrebbe perfino che Dio abbia deciso di fare dipendere la bontà degli uomini da quella della donna: domani dipenderanno un po’ da te. L'anima del marito e dei figli; oggi quella dei tuoi amici e del tuo innamorato. Devi pertanto avere buonsenso per due e saper in certe cose dire di no, anche quando tutto parrebbe invitare a dire di sì. Il fidanzato stesso, se è buono, nei suoi migliori momenti, te ne sarà grato e dirà a se stesso: “La mia Dora ha avuto ragione: essa ha una coscienza e le obbedisce: domani mi sarà fedele!". La fidanzata troppo facile, invece, non dà la stessa garanzia e corre il rischio di gettare sin d’ora, con una acquiescenza troppo spregiudicata, semi pericolosi, da cui spunteranno in avvenire gelosie e sospetti da parte del marito". Qui mi fermo, Pinocchio, ma non dire adesso che era fuor di posto parlar di Dora. Fanciullo, hai avuto la Fata, prima come sorella poi come mamma. Adolescente e giovanotto, una Fata accanto a te, non può essere che una fidanzata e una sposa. A meno che tu non ti faccia frate! Ma non te ne vedo la vocazione! 
Giugno 1972




Pittore del Castello

Quattro quadri nel vecchio castello 

    
Ignoto pittore, Non m’è stato dato di sapere il vostro nome. I vostri quattro quadri, però, appesi in quella sala d’angolo, illuminata da piccole finestre gotiche, in quel vecchio castello, mi sono piaciuti. La loro fattura artistica m’è sembrata modesta; suasivo, invece, il significato morale, che mi ha fatto riflettere. Il primo quadro rappresenta l’infanzia. Una barca a vela è appena uscita dal porto. In mezzo siede un fanciullo e guarda, spensierato, il gioco delle onde. Può sedere, può esser spensierato, perché davanti, saldo al timone, è un Angelo; di dietro, a poppa, ci sta, è vero, una figura oscura, ma dorme profondamente e non accenna a svegliarsi. Il secondo quadro rappresenta l’adolescenza. Il bambino del primo quadro è ora un giovanetto; in piedi, spinge dalla barca il suo sguardo curioso verso lontananze sconosciute, dove immagina siano bellezze senza fine. Il timone è ancora in mano all’Angelo, ma le onde sono fortemente increspate e la figura oscura non dorme più: gli occhi torvi non promettono niente di buono; agognano il timone ed annunciano assalti. Il terzo quadro rappresenta l’età matura. Nella barca, adesso, c’è un uomo, il quale sta lottando con tutte le sue forze contro l’uragano, che infuria su sfondo di tregenda; il cielo è oscuro; l’uomo è oscuro; il timone sta in mano della figura oscura; l’Angelo è stato relegato in fondo. Nel quarto quadro siede nella barca un vecchio. La tempesta s’è placata, il porto è in vista, il sole indora le onde. Guida l’Angelo e Ia figura oscura è saldamente incatenata. 

***

Sono d’accordo con Voi, caro pittore, che la nostra vita è un viaggio con un punto di partenza e uno di arrivo: il nostro 20°, 50°, 60°anno non è che un tratto intermedio tra quei due estremi. Ma ecco: mentre conosciamo la distanza precisa dal punto di partenza, ci è completamente ignota la distanza dal punto di arrivo. Quanti anni ancora? Noi conosciamo molte brave persone; sanno disegno e meccanica, inglese e trigonometria; ma questa piccola nozione, questo dettaglio insignificante degli anni che ci restano, nessuno lo sa. L’animo si sente sfiorato da un brivido ed emette un proposito: "Gli anni possono essere pochissimi, può trattarsi solo di mesi o di giorni. Signore, non butterò via neppure un minuto!". C’è un problema ancora più preoccupante. I porti di approdo son due: Paradiso e Inferno; il primo solo è desiderabile, rappresenta la fortuna delle fortune. Ci arriveremo? Ecco il problema. Tutti gli altri, al confronto di questo, sono niente. "Sono stato ricco, sono stato famoso, ho fatto una magnifica carriera. Tutto ciò non è che un disastro, se non ci arrivo. Intendo a quel prima, benedetto porto"!

***

Sono d’accordo con Voi che per essere buoni si deve lottare, specialmente in certi momenti più aspri. E’ vero che due forze opposte si contendono il timone ossia il governo della nostra vita. E’ vero che la santità è frutto di conquista e di vittorie riportate giorno per giorno sulla punta della spada. E’ vero. Paolo ha scritto: "Non siamo in lotta con deboli e fragili esseri umani, ma contro... i dominatori cosmici di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male vaganti nello spazio". Il papa, di recente, ci ha richiamato alla memoria anche questa verità. Sono d’accordo con Voi che una tattica viene usata: la tattica delle passioni umane. Dante la descrive, quando, all’inizio del suo viaggio, trova la strada sbarrata dalle tre fiere: la lonza, il leone e la lupa. La lonza che, leggera e svelta, non dà tregua, è la sensualità: essa approfitta di tutto per spegnere in noi i gusti e le gioie dello spirito e per accendere i desideri non buoni; ce la sentiamo alle calcagna dappertutto e sarebbe in grado di scoraggiarci e avvilirci, se non avessimo per noi l’aiuto e la protezione di Dio. 

Il leone "con la test’alta" rappresenta l’orgoglio, il quale mira proprio alle teste, che si vedono andar via alte e diritte, mentre, sotto, la persona si erge impettita, la pancia, nel camminare, tende in avanti. Ma non c’è motivo di essere tanto fieri. Ai tempi di Giuseppe Giusti c’era un presidente; gongolava nel presiedere, portava la tuba e la posava su una poltrona, durante le sedute. Ma un giorno qualcuno, per sbaglio, vi si sedette sopra ed ecco il poeta scoccare lo strale: "Han rotto la tuba ad un Presidente; fortunatamente dentro c’era niente!".  Oh! certi tipi, che marciano tuba in testa, anche di fronte a Dio e son tutto, e san tutto, autonomi, anticonformisti, autosufficienti, contestatori! Ma poi? Ma sotto? In che si risolve tutta la loro bravura? La lupa, magra e carica di brame, può essere la mondanità, che ci divora coi suoi impegni a getto continuo: visite, esami, concorsi, affari, competizioni sportive, spettacoli. Noi ci lasciamo inghiottire da queste cose come da un abisso. E Dio? E la nostra anima? Diventano due cosette secondarie, che intravediamo ogni tanto come puntini lontani e a cui concediamo pochi istanti, raramente e di sfuggita, con improvviso e assurdo capovolgimento di valori. Sono d’accordo con Voi che le forze del bene sferrano la controffensiva con tattica opposta a quella delle fiere. Per fortuna! Per la sensualità vale la tattica del vuoto.

Sì, ci sono dei momenti in cui Dio fa il vuoto in noi. Si sente che certe cose non son degne di noi, non bastano, non saziano. 
Questo 1973 è l’anno centesimo dalla nascita di Trilussa. Egli ha scritto: "C’è un’Ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va... Tutto sommato, Ia felicità è una piccola cosa".  Spessissimo poi non di felicità si tratta, ma di piacere passeggero. Spesso, di dispiacere. Si prova una specie di mal di denti, mentre una voce grida: "Va’ dal dentista!". Sant’Agostino, riferendosi ai diciassette anni di sua vita sregolata, confessa: "rodebar, cruciabar", ero rosicchiato, mi torturavo in quegli anni; quella non era una vita, Signore! "Talis vita, nunquid vita erat"? San Camillo ammoniva sé e gli altri così: "A fare il male si prova piacere, ma il piacere passa subito e il male resta; fare il bene, costa fatica, ma la fatica passa subito e il bene resta". Per la superbia ci vuole il Vangelo, che è chiarissimo al proposito: "Mettiti all’ultimo posto": il Signore è stato in mezzo ai suoi Apostoli "come uno che serve"; e ha insegnato: "Dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri... e beati voi se lo mettete in pratica". Per la mondanità, può bastare questo piccolo pensiero, sempre del Vangelo: "Che giova guadagnare il mondo intero, se poi si perde l’anima? Che cosa può dare l’uomo in cambio della propria anima?".

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Amico pittore, siete riuscito, colle vostre pitture, a toccare qualche fibra del mio animo. E’ stato un piacere per me. Peccato che adesso cominci un dispiacere. Quale? - direte. Ve lo dico in confidenza: è il dubbio di aver urtato i lettori. Alcuni mi avranno trovato romantico, ingenuo e sorpassato rievocatore di castelli; altri avranno troncato la lettura appena fiutato odore di "moralismo". Uno dei tanti infortuni del lavoro. 
Aprile 1973





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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