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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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07/11/2017 10:04
 
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Quintiliano

Altri tempi, altra scuola... 

    Illustre Quintiliano, Siete stato grande avvocato, grande maestro di eloquenza, ma, soprattutto, grande ed appassionato educatore di ragazzi! Plinio il Giovane fu uno dei vostri alunni. L’imperatore Domiziano vi affidò l’educazione dei suoi nipoti, figli di sua sorella, Flavia Domitilla. Il primo dei 12 libri della principale vostra opera, l’Institutio, ha fatto testo dal Medio Evo fino a pochi anni fa. L’ho scorso di recente; ho riletto alcune vostre massime. 1)  Non pretenda il maestro da un fanciullo ciò che solo l’adolescente può dare né da un adolescente quanto ci si aspetta da un adulto. Gli dica, quando ha bene imparato: sei già qualcuno! E aggiunga: il meglio di te è di là da venire! Così lo incoraggia, lo stimola e gli spalanca le vie della speranza. 2)Non è bene che ci sia un solo maestro per un solo alunno. Se non si paragona agli altri, lo scolaro rischia di gonfiarsi troppo; posto davanti ad un solo scolaro, il maestro non dà il meglio di sé. Se si è parecchi in classe, c’è emulazione, c’è gara, e questa spesso stimola allo studio più che l’esortazione dei maestri e le preghiere dei genitori. 3)Lo spirito critico non è adatto ai giovanetti, non va in loro fatto prevalere sulla fantasia e sulla creatività. 4) Il maestro non sia troppo severo nel correggere; altrimenti, i timidi si scoraggiano, temono tutto e non tentano nulla; i più vivaci si arrabbiano e oppongono tacita resistenza. Sia paterno, non abbia vizi né li tolleri. Austero, ma non rigido; benevolo, ma non privo di energia; né si faccia odiare per il rigore né si faccia disprezzare per la mancanza di energia; parli spessissimo di ciò che è buono e onesto...

***

Ripassare queste massime mi ha fatto tenerezza e mestizia insieme, tanto esse sono lontane dalle massime che leggo adesso su certi moderni trattati di pedagogia e che vedo, qua e là, approvate. 1)Se vi dicessi, illustre Quintiliano, che ci sono dei maestri che già in quarta elementare indugiano, ritornandovi sopra continuamente, sul Vietnam, sul Cile, sui Palestinesi? Quel che conta - dicono - non è che ai fanciulli siano trasmesse cognizioni acquisite da altri nel passato, ma che essi imparino a discutere i grandi problemi del presente. 2)Emulazione, gara? Oggi sono parole proibite; favorirebbero l’individualismo, lo spirito di classe, la meritocrazia, il capitalismo. Il voto non andrebbe dato al singolo, ma soltanto al gruppo. 3)Quanto allo spirito critico, è una delle cose di cui soprattutto ci si preoccupa. La società viene mostrata agli alunni nei suoi aspetti deteriori, a volte a bella posta gonfiati, poi vien detto: "Ragazzi, ecco il vostro bersaglio, sparate contro"! Voi temevate la "tacitaresistenza". Oggi abbiamo la contestazione scolastica attiva e tutt’altro che tacita! 4)Maestro paterno? Non fatevi neppur sentire! Oggi si dà la caccia al "paternalismo", lo si cerca in tutti gli angoli, lo si teme, è sinonimo di oppressione, repressione e autoritarismo. Oggi sono invece parole di gran moda: lavoro di gruppo, scuola non nozionistica, a gestione sociale e democratica, arricchita di assemblee e dimostrazioni. Se tornaste a insegnare dopo 19 secoli, caro Quintiliano, ne avreste degli aggiornamenti da fare! E non che sia tutto male. I quattro punti che ho contrapposto, insieme con gli altri slogans, ai quattro vostri, contengono colorazioni e soluzioni di estremisti. Ci sono, però, posizioni intermedie, che anche a voi, forse, non dispiacerebbero e con le quali, adattandosi un po’, potrebbero benissimo sposarsi le vostre massime.

***

Buono, per esempio, il lavoro di gruppo, che Voi non conosceste. Nel gruppo, supposto che funzioni bene, non c’è solo il fenomeno di tre, quattro, cinque intelligenze che si assommano quantitativamente, ma agisce e opera uno stimolo nuovo nell’intelligenza di ognuno. Io, infatti, cerco di capire ciò che l’altro ha già capito: la luce sua accende in me un’altra luce, che, a sua volta, aiuta lui o un terzo o un quarto. D’altra parte il "lavoro di gruppo" mi stimola ad essere "attivo", oltre che "ricettivo", ad essere me stesso nel mio imparare, a manifestare il mio pensiero agli altri ed a manifestarlo in modo originale. Non solo: viene attuato uno scambio di esperienze, che arricchisce gli altri e me, viene favorita la lealtà nello scambio e l’attenzione cortese verso gli altri. Questo però non esclude, ma suppone l'insegnamento del maestro. E difatti: - il dipendere è naturale per la mente, che non crea la verità, ma deve solo inchinarsi davanti ad essa, da qualunque parte essa venga; - se non si approfitta dell’insegnamento altrui, si perde molto tempo a cercare verità, che sono già acquisite; -non è possibile sempre fare scoperte originali; spesso basta essere criticamente certi delle scoperte già fatte; - infine, la docilità è pure una utile virtù. Se ne accorse quel professore universitario, cui la domestica chiese di poter prendere dalla stufa un po’ di carboni accesi per il ferro da stiro. -Fate pure, rispose, ma dov’è il recipiente in cui mettere i carboni? - Qui! rispose la serva, e mostrò il palmo della mano. Vi pose uno strato di cenere fredda, sopra la cenere pose i carboni e se ne andò, ringraziando. - Toh! disse il professore, con tutta la mia scienza, questo non lo sapevo! Né si creda che, ascoltando un maestro, si resti puramente passivi o ricettivi. Gli scolari, che siano veri discepoli della verità, non sono a guisa di scodelle spalancate a ricevere il fagiolame che il maestro vi versa, dimenando a tutto spiano il mestolo della sua erudizione. Dante, Leonardo, Galileo, stando ai piedi della cattedra, non sono rimasti a "sedere" soltanto e San Tommaso mostra di voler gli alunni ben "in piedi" quando dice: Il maestro si limita a "muovere", a stimolare il discepolo e il discepolo solo se risponde a questo stimolo - sia durante sia dopo l’esposizione del maestro - arriva ad un vero apprendimento. D’altra parte: è meglio essere i confidenti di grandi idee o gli autori originali di idee mediocri? Diceva Pascal: Colui che è salito sulle spalle di un altro, vedrà più lontano dell’altro, anche se è più piccolo di lui!

***

Bella e positiva l’attenzione ai più deboli della scuola. Essa però può realizzarsi anche conservando qualche competizione. La scuola prepara alla vita, che è fatta anche di disuguaglianze. Lo stesso sport, che tanto piace ai giovani, cosa sarebbe, se non fosse gara ed emulazione! Una scuola senza nessun primo e nessun ultimo non è realistica né piacevole: rassomiglia troppo ad un gregge di pecore. Don Bosco vedeva in modo diverso l’amore ai giovani. "Credo scriveva - sia dovere di ogni professore tenere conto dei più meschini della classe; interrogarli più spesso degli altri; per essi fermarsi più a lungo nelle spiegazioni; ripetere, ripetere fin che non abbiano capito, adattare i compiti e le lezioni alla loro capacità. Per occupare convenientemente gli alunni di ingegno più svegliato, si assegnino compiti e lezioni di supererogazione, premiandoli con punti di diligenza. Piuttostoché trascurare i più tardi, si dispensino da cose accessorie, ma le materie principali si adattino interamente a loro". Forse siete d’accordo anche Voi che nel passato la scuola ha esagerato con le nozioni. A me viene a mente qualche nome: Zenoni (grammatica latina e greca), Campanini-Carboni (vocabolario latino), Sanesi (vocabolario greco). Legati ad essi vedo declinazioni, paradigmi, regole, eccezioni, esercizi, versioni in un numero che non finiva più. La storia come riportata sui testi, mi pareva una "distillazione del rumore" (Carlyle), fatta tutta di date, di guerre, paci e trattati. Nello studiare un po’ di scienze, ho mandato a memoria serie di nomi come Neurotteri, Lepidotteri, Coleotteri, Ditteri, ecc., mentre non fui mai sicuro se la mosca e la zanzara appartenessero all’ordine dei Ditteri e mai capace di riconoscere degli Imenotteri nelle formiche rosse, che mi pungevano dolorosamente le gambe, quando mi sedevo sui prati. Molto meglio la scuola viva. Che offre ai ragazzi centri di interesse; che, accanto ai vocabolari, usi i dischi parlanti e le "cassette" per le lingue; che nella storia faccia risaltare il progresso della cultura e le condizioni sociali; che, per la fisica e le scienze naturali, proceda a base di esperienze in laboratorio; che abitui moderatamente gli alunni a prendere interesse e parte alla vita e agli avvenimenti del proprio paese e del mondo. Dico "moderatamente". Sono infatti convinto che gli alunni possano utilmente discutere in classe; non mi va proprio che possano mancare di rispetto all’insegnante e abbandonarsi al turpiloquio e a gesti osceni in sua presenza. So che sia la Costituzione Italiana sia il Concilio Vaticano II riconoscono il diritto di sciopero; non sono capace di vedere questo diritto in certi scioperi degli alunni, che finiscono magari nella sassaiola contro i vetri della scuola o in peggiori devastazioni.

***

Per una gestione sociale della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato italiano sarà applicata col prossimo anno scolastico la legge 477. Per essa (art. 6) i genitori vengono considerati parte integrante e fondamentale nel mondo della scuola. Sara istituito un Consiglio di Istituto o di Circolo. Lo formeranno rappresentanze del personale insegnante, del personale non insegnante, dei genitori degli allievi ed il direttore didattico o preside. Lo presiederà uno dei genitori eletto tra i membri del Consiglio stesso. I genitori, inoltre, faranno parte del Consiglio di disciplina degli alunni e dei Consigli di classe e interclasse. E’ una vera conquista, illustre Quintiliano: i genitori diventano corresponsabili all’interno della scuola per via ufficiale. Ma sono tutti preparati ad affrontare i problemi scolastici? E saranno capaci di farsi guidare dai soli interessi dei figli, lasciando fuori della scuola ogni preoccupazione di partito, oggi che la politica s’infiltra come polvere finissima dappertutto, fin nei polmoni? E gli ampi poteri deliberativi riconosciuti dall’art. 6 ai genitori non saranno poi vanificati dalla libertà di insegnamento, che alcuni professori già van reclamando, appellandosi all’art. 4? Se professori e maestri hanno libertà troppo ampia di insegnare quel che loro pare e piace, addio libertà dei genitori! La scuola italiana è davanti ad una svolta storica. Se le famiglie non lo capiscono e non aprono bene gli occhi può essere un vero guaio.

***

Illustre Quintiliano! Molti secoli ci separano. Dopo di Voi sono venuti tanti filosofi e tanti, tanti pedagogisti. La cultura umanistica, che fu vostra, è oggi oscurata dalle scienze sul mondo e sull’uomo, che imperano nell’èra dell’atomo e della tecnica. Eppure un secolo fa Teodoro Mommsen, romanista protestante, Vi definiva ancora "ispirato a buon gusto e retto giudizio, istruttivo senza pedanteria". Cinquant’anni fa Concetto Marchesi, un comunista, riconosceva la vostra cultura come "formatrice dello spirito". Faccio voti che non tutto cada nella scuola della cultura umanistica e che continuino ad influire sugli educatori le vostre massime più celebri. Basterebbe la seguente: Non multa, sed multum. E cioè: A scuola, non molte cose, ma profondamente. Don Bosco la riprese a modo suo, quando scrisse: "Fa molto chi fa poco, ma fa quello che deve fare; fa nulla chi fa molto, ma non fa quello che deve fare". Molto dunque e a fondo, senza complicate esagerazioni all’Anatole France. Questi, perché una oliva venisse gustata alla perfezione, suggeriva il procedimento seguente: metterla in un’allodola, chiudere questa in un piccione, il piccione in un pollo, il pollo in un porcellino d’India, questo in un vitellino, il tutto rosolarlo allo spiedo. I succhi migliori del vitello sarebbero così colati con quelli del porcellino, del pollo, del piccione e dell’allodola sull’oliva e l’avrebbero fatta superlativamente squisita. Ma, grazie! Il prezzo di quella squisitezza era un’ecatombe! Non è un’ecatombe di valori che - con il multum - Voi intendevate e che noi auguriamo alla nostra scuola. 
Aprile 1974





Re David

Requescat alla superbia

    
Illustre Sovrano, nonché poeta e musico! La gente vi vede sotto mille aspetti diversi. Gli artisti, da secoli, vi presentano ora con la cetra, ora con la fionda di fronte a Golia, ora con lo scettro sul trono, ora nella grotta di Engaddi, nell’atto di tagliare il mantello di Saul. I ragazzi amano il vostro combattimento con Golia e le vostre imprese di capobanda ardito e generoso. La Liturgia vi ricorda soprattutto come antenato di Cristo. La Bibbia presenta le varie componenti della vostra personalità: poeta e musico; brillante ufficiale; re avveduto, implicato, ahimé! non sempre felicemente, in storie di donne e intrighi di harem con conseguenti tragedie familiari; e, ciononostante, amico di Dio, grazie alla insigne pietà, che vi mantenne sempre conscio della vostra piccolezza davanti a Dio. Quest’ultima nota mi è particolarmente simpatica e sono felice, quando la incontro ad esempio nel breve Salmo 131 da voi composto. Voi dite in quel Salmo: Signore, non superbo è il mio cuore. lo cerco di seguirvi a ruota, ma devo, purtroppo, limitarmi a pregare: Signore, desidero che il mio cuore non corra dietro a pensieri di superbia!... Troppo poco per un vescovo!, direte. Lo so, ma la verità è che cento volte ho fatto i funerali alla mia superbia, illudendomi di averla messa due metri sotterra con tanto di requiescat, e cento volte l’ ho vista tornare su più vispa di prima: ho sentito che le critiche mi spiacevano ancora, che le lodi, viceversa, mi piacevano, che mi preoccupava il giudizio degli altri su me. Quando mi viene fatto un complimento, ho bisogno di paragonarmi all’ asinello che portava Cristo il giorno delle Palme. E mi dico: quello, se, sentendo gli applausi della folla, si fosse insuperbito e avesse cominciato, somaro com’era, a ringraziare a destra e a sinistra con inchini da prima donna, quanta ilarità avrebbe suscitato! Non fare una figura simile! Quando vengono le critiche, ho invece bisogno di mettermi nella situazione del manzoniano fra Cristoforo, che, oggetto di ironie e sogghignamenti mantiene calmo, dicendosi: "Frate, ricorda che non sei qui per te!". Lo stesso fra Cristoforo, in altro contesto, "dando indietro due passi, mettendo la destra sull’ anca, alza la sinistra con l’indice teso verso don Rodrigo" e gli pianta in faccia due occhi infiammati. Il gesto piace immensamente ai cristiani d’oggi, che reclamano "profezie", denuncie clamorose, "occhi infiammati", "rai fulminei" alla Napoleone. A me piace più come scrivete voi, re David: "altèri non sono i miei occhi". Mi piacerebbe potermi avvicinare al sentire di Francesco di Sales, che scriveva: Se un nemico mi cavasse l’occhio destro, mi sentirei di sorridergli col sinistro e se mi cavasse tutti e due gli occhi, mi resterebbe sempre il cuore per volergli bene! Voi continuate nel vostro Salmo: "Non vado in cerca di cose grandi né di cose troppo alte per me". Posizione d’animo molto nobile, se la confronto con quanto diceva don Abbondio: "Gli uomini sono fatti così: sempre vogliono salire, sempre salire". Purtroppo, temo che abbia ragione don Abbondio: quelli che sono più alti di noi, tenderemmo a raggiungerli; i nostri eguali, a metterli sotto; quelli che sono sotto, a farceli più lontani. E noi? Noi tenderemmo a primeggiare, a grandeggiare per riconoscimenti, avanzamenti e promozioni. Niente di male, finché si tratta di sana emulazione, di desideri modetati e ragionevoli, che stimolano al lavoro, alla ricerca. Ma se diventa una specie di malattia? Se, per andare avanti, calpestiamo gli altri a colpi di ingiustizie e di denigrazioni? Se, sempre per avanzare, ci si raduna in "branco", sotto i pretesti più speciosi, ma in realtà per contrastare il passo ad altri "branchi", pure forniti di "appetiti più avanzati"? E per quali soddisfazioni poi? Un effetto fanno le cariche a distanza, prima di essere raggiunte e un effetto da vicino, dopo il conseguimento. L’ha detto molto bene uno che era più matto di voi, ma poeta come voi: Jacopone da Todi. Quando sentì che frate Pier di Morone era stato fatto papa, scrisse:Che farai Pier di Morone?... Se non sai ben schermire canterai mala canzone! Io me lo dico spesso, in mezzo alle preoccupazioni dell’ufficio episcopale: "Adesso, caro, stai cantando la mala canzone di Jacopone!". Ma anche voi ve lo diceste, nel Salmo 52 "contro le male lingue". Queste, a sentirvi, sono come "rasoi affilati", che, al posto della barba, mozzano il buon nome. Bene. Ma, passato il rasoio, dopo un po’ di tempo, la barba ricresce spontanea e florida. Anche l’onore disturbato e la fama intaccata ricrescono. Per questo può essere a volte saggio tacere, aver pazienza: un po’ alla volta tutto ritorna a posto spontaneamente!

***

Essere ottimisti, nonostante tutto. E’ questo che voi intendete, scrivendo: "Come fanciullo divezzato in braccio a sua madre... è in me l’anima mia". La fiducia in Dio dev’essere il perno dei nostri pensieri e delle nostre azioni. A ben pensarci, infatti, i personaggi principali della nostra vita sono due: Dio e noi. Guardando questi due, vedremo sempre bontà in Dio e miseria in noi. Vedremo la bontà divina ben disposta verso la nostra miseria e la nostra miseria oggetto della bontà divina. I giudizi degli uomini vanno tenuti un po’ fuori gioco: essi né sanano una coscienza colpevole né possono ferire una coscienza retta. Il vostro ottimismo alla fine del piccolo Salmo esplode in grido gioioso: "Spera, Israele, nel Signore, da ora e per sempre". Leggendovi, non mi sembrate affatto un pavido, ma un bravo, un forte, che svuota l’anima della fiducia in se stesso per riempirlo della fiducia e della forza di Dio. L’umiltà, in altre parole, va di pari passo colla magnanimità. Essere buoni, è cosa grande e bella, ma difficile e ardua. Perché l’animo non aspiri a cose grandi in maniera esagerata, ecco l’umiltà; perché non prenda paura davanti alle difficoltà, ecco la magnanimità. Penso a San Paolo: disprezzi, flagelli, pressioni non deprimono questo magnanimo; estasi, rivelazioni, applausi non esaltano questo umile. Umile, quando scrive: "Sono il minimo fra tutti gli Apostoli". Magnanimo e lanciato ad ogni rischio, quando afferma: "Tutto posso in Colui che mi dà forza". Umile, ma, a tempo e luogo, sa essere fiero: "Sono Ebrei? Anch’io... Sono ministri di Cristo? Parlo da folle, di più io!" Si mette al di sotto di tutti, ma, nel dovere, non si lascia piegare da niente e da nessuno. Le onde scagliano contro le scogliere la nave che lo porta; le vipere lo mordono; pagani, giudei, falsi cristiani lo cacciano e perseguitano; viene battuto con le verghe e rimesso in carcere, lo si fa morire ogni giorno, si crede di averlo spaventato, annientato ed egli salta fuori fresco e rugiadoso ad assicurarvi: non angustiamur, non sono disperato e poi si alza in piedi e lancia la sfida della certezza cristiana: "Sono sicuro che né la morte, né la vita... né il presente, né l’avvenire, né altezza, né profondità, né qualsiasi altra creatura mi potranno separare dall’amore d’Iddio che è in Cristo Gesù". E’ lo sbocco dell’umiltà cristiana. Essa non sfocia nella pusillanimità, ma nel coraggio, nel lavoro intraprendente e nell’abbandono in Dio! 
Febbraio 1972


Risultati immagini per san bernardino santoSan Bernardino

"Sette regole" che reggono 

    
Caro Santo sorridente, Papa Giovanni apprezzava talmente le tue prediche scritte che voleva proclamarti Dottore della Chiesa. Morì e non se ne fece, sinora, nulla. Peccato! Quelle che il buon Papa apprezzava, non erano però le tue prediche in latino, studiate, limate, ben suddivise, ma bensì le prediche in italiano, raccolte dalla tua voce, tutte sprizzanti vita, fervore religioso, umorismo e saggezza pratica. Egli ti vagheggiava, forse, "Dottore Sorridente" accanto al "Mellifluo" Bernardo, all’"Angelico" Tommaso, al "Serafico" Bonaventura, al "Consolante" Francesco di Sales. Pensava che in tempi in cui parole difficili, irte di ismi nebulosi, sono usate ad esprimere perfino le cose più facili di questo mondo, fosse opportuno mettere in risalto il fraticello, che aveva insegnato: "Parla chiarozzo, acciò che chi ode, ne vada contento e illuminato, e non imbarbagliato"! E tutt’altro che “imbarbagliati” rimasero, davanti alla tua predica, i professori e gli studenti dell’Università di Siena nel giugno del 1427. Tu parlasti loro del "modo di studiare", proponesti "sette regole" e concludesti: "Le quali sette regole se le osservi e vi continui, in poco tempo diventerai valent’uomo o valente donna". Col tuo permesso, abbreviandole e... addomesticandole, io tento ora di richiamare le tue "sette regole" in vista degli studenti di oggi. I quali sono brava e simpatica gente, che non corrono nessunissimo pericolo di venire "imbarbagliati", per il semplice motivo che vogliono fare da sé la propria esperienza delle cose. Né da te né da me gradiscono "modelli di comportamento", che odorino di moralismo a un chilometro di distanza. E probabilmente non leggeranno queste righe, ma io le scrivo lo stesso; scrivo a te. Anche Einaudi ha scritto le "Prediche inutili", che, tuttavia, a qualcuno sono riuscite utili.

***

Prima regola, la estimazione. Uno non arriva a studiare sul serio, se prima non stima lo studio. Non arriva a farsi una cultura, se prima non stima la cultura. Quello studente fa arco della schiena sui libri. Tu scrivi: Bene! così "non ti grilla il cervello come altri zovincelli, che non attendono a studio niuno, ma a forbire le panche!". Ama i libri, sarai a contatto con gli uomini grandi del passato: "parlerai loro ed essi parleranno con te: udiranno te, e tu udirai loro, e gran diletto ne piglierai". Cosa diventa, invece, lo studente scioperato? Diventa "come uno porco in istia che pappa e bee e dorme". Diventa "Messer Zero", che non combinerà nulla di grande e di bello nella vita. Intendiamoci: per una vera cultura, sono da apprezzare, oltre che i libri, anche la discussione, il lavoro a gruppo, lo scambio di esperienze. Tutte queste cose ci stimolano ad essere attivi oltre che ricettivi; ci aiutano a essere noi stessi nell’imparare, a manifestare agli altri il nostro pensiero in modo originale; favoriscono l’attenzione cortese verso il prossimo. Mai però venga meno l’estimazione verso i grandi "maestri"; essere i confidenti di grandi idee vale più che essere gli inventori di idee mediocri. Diceva Pascal: "Colui che è salito sulle spalle di un altro, vedrà più lontano dell’altro, anche se è più piccolo di lui".

***

Seconda regola, la separazione. Separarsi, almeno un pochino! Altrimenti, non si studia sul serio. Gli atleti devono pur astenersi da molte cose. Lo studente è un po’ atleta e tu, caro fra Bernardino, gli hai preparato tutta una lista di cose “proibite”. Ne riporto qui solo due: cattive compagnie, cattive letture. "Uno libertino tutti li guasta. Una mela fracida, accostata alle buone, tutte l’altre corrompe". Occhio, tu scrivi, anche ai libri di Ovidio e "altri libri di innamoramenti". Senza disturbare Ovidio, oggi tu parleresti esplicito di libri, di rotocalchi indecenti, cinema cattivi e droga. Intatta, invece, conserveresti la seguente apostrofe: "Quando tu, padre, hai un figliolo a studio, a Bologna, o dove si sia, e tu senti che egli è innamorato, non gli mandare più denari. Fallo tornare, chè egli non imparerà nulla, se non canzonette e sonetti... e sarà poi Messer Coram-vobis"Efficace quest’ultimo rimedio, di "tagliare i viveri". Ma oggi esso non scatta più: lo Stato, infatti, si sostituisce, se occorre, ai papà, snocciolando agli universitari il presalario. Rimane una speranza: che lo studente si applichi da sé il "rimedio del saltimbanco". Ti è noto: salito su una sedia, il saltimbanco, ai contadini che l’attorniavano attoniti e a bocca aperta in giorno di mercato, mostrava una scatoletta chiusa: "Qui dentro - diceva - c’è il rimedio efficacissimo per i calci dei muli: costa poco, pochissimo, acquistarlo è una fortuna". E di fatto, molti acquistavano. Ma ad uno dei compratori yenne voglia di aprire la scatola: vi trovò nient’altro che due metri di sottile spago. Alzò la voce a protestare: "E’ una truffa!". "Niente truffa - rispose l’imbonitore - tu sta’ distante quanto è lungo lo spago e nessun calcio sprangato da mulo ti potrà raggiungere!". E’ il rimedio classico e radicale suggerito da voi predicatori; vale per tutti, vale specialmente per gli studenti esposti oggi a mille insidie. Separazione! Da tutti i “muli”, che sprangano calci morali!

***

Terza regola, quietazione. "L’anima nostra è fatta come l’acqua. Quando sta quieta, la mente è come un’acqua quieta; ma quando è commossa, s’intorbida". Va dunque fatta riposare e quietare, questa mente, se si vuol imparare, approfondire e ritenere. Com’è possibile riempire la testa di tutti i personaggi dei rotocalchi, del cinema, del “video”, degli sports, così vivaci, invadenti e talvolta avvilenti e inquinanti, e poi pretendere ch’essa ritenga, insieme, le nozioni dei libri di scuola al confronto così scolorite e scialbe? Una fascia di silenzio occorre proprio attorno alla mente di chi studia, perché si conservi quieta e pulita. Tu, piissimo frate, suggerisci di chiederla al Signore; suggerisci perfino la giaculatoria adatta: "Quietaci, messer Domineddio, la mente". Gli studenti nostri, a questo punto, sorrideranno; sono abituati spesso a ben altre giaculatorie! Ma tant’è: un po’ di silenzio e un pizzico di preghiera in mezzo a tanto quotidiano fracasso non guasta in alcun modo! ***Quarta regola, ordinazione, cioè ordine, equilibrio, giusto mezzo, sia nelle cose del corpo che dello spirito. Mangiare? Sì, tu scrivi, ma "non troppo né poco. Tutti gli estremi sono viziosi, la via del mezzo ottima. Non si può portare due some: lo studio e il poco mangiare, il troppo mangiare e lo studio: chè l’uno ti farà intisichire e l’altro ti ingrosserà il cervello". Dormire? Anche, ma "non troppo né poco... più utile è levarsi per tempo... con la mente sobria". Pur lo spirito ha bisogno di ordine e tu continui: "Non mandare il carro davanti ai buoi... impara piuttosto meno scienza e sàppila bene, che assai e male!". Salvator Rosa è d’accordo con te, quando scrive: Se infarinato se’, vatti a far friggere. L’imparaticcio, la semplice infarinatura, la superficialità, il pressappochismo non sono cose serie. Tu consigli anche di avere simpatie personali tra i vari autori o le varie materie: "Fa’ istima in te più d’uno Dottore che d’un altro, o d’un libro che d’un altro... Non ne dispregiare però niuno".

***

Quinta regola, continuazione, ossia perseveranza. La mosca si posa appena sul fiore e passa, volubile e agitata, ad un altro fiore; il calabrone si ferma un po’di più, ma gli preme far rumore; l’ape, invece, silenziosa e operosa, si ferma, succhia a fondo il nettare, porta a casa e ci dà il miele dolcissimo. Così scriveva San Francesco di Sales e mi pare che tu convenga in pieno: niente studenti-mosca, niente studenti-calabrone, ti piace la volitività tenace e realizzatrice ed hai ragione da vendere. Nella scuola e nella vita, non basta desiderare, bisogna volere. Non basta cominciare a volere, ma occorre continuare a volere. E non basta neppure continuare, ma è necessario saper ricominciare a volere da capo tutte le volte che ci s’è fermati o per pigrizia o per insuccessi o per cadute. La sfortuna di un giovane studente, più che la scarsa memoria, è una volontà di stoppa. La fortuna, più che il forte ingegno, è una volontà robusta e tenace. Ma questa si tempra soltanto al sole della grazia di Dio, si scalda al fuoco delle grandi idee e dei grandi esempi!

***

Sesta regola, discrezione. Vuol dire: fare il passo secondo la gamba; non prendere il torcicollo a forza di mirare a mete troppo alte; non mettere mano a troppe cose insieme; non pretendere i risultati dalla sera alla mattina. Settima regola, dilettazione, cioè prendere gusto. Non si può studiare a lungo, se non si prende un po’ di gusto allo studio. E il gusto non capita subito, ma dopo. Nei primi tempi c’è sempre qualche ostacolo: la pigrizia da superare, occupazioni piacevoli che ci attirano di più, la materia difficile. Il gusto viene più tardi, quasi premio per lo sforzo fatto. Tu scrivi: "Senza essere ito a Parigi a studiare, impara dall’animale ch’ha l’unghie fèsse (cioè il bue), che prima mangia e insacca, e poi ruguma, a poco a poco". Ruguma significa rumina, ma per te, caro e saggio santo, vuol dire qualcosa di più, cioè: il bue va assaporandosi il fieno piano piano, quando è saporabile e godibile, e fino in fondo. E così dovrebbe avvenire per i libri di studio, cibo delle nostre menti.

***

Caro San Bernardino! Enea Silvio Piccolomini, tuo concittadino e Papa col nome di Pio II, scrisse che, alla tua morte, i signori più potenti d’Italia si divisero le tue reliquie. Ai poveri senesi, che tanto ti amavano, nulla rimase di te. Restava solo l’asinello, sulla cui groppa eri qualche volta salito, quando ti sentivi stanco dal viaggio negli ultimi anni di tua vita. Le donne di Siena videro un giorno passare la povera bestia, la fermarono, la depilarono tutta e conservarono quei peli come reliquia. Al postodell’asinello, io ho spelacchiato e “spennato”, rovinandola, una delle tue bellissime prediche. Queste “penne” andranno tutte disperse al vento o qualcuna, almeno da qualcuno, sarà raccolta? 
Settembre 1972



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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