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ILLUSTRISSIMI Lettere del Patriarca Albino Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2017 10:21
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07/11/2017 10:11
 
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Risultati immagini per san francesco di salesSan Francesco di Sales

Sulla nave di Dio 

    
Dolcissimo Santo, Ho riletto un libro, che vi riguarda: San Francesco di Sales e il nostro cuore di carne. L’ha scritto, a suo tempo, Henry Bordeaux dell’Accademia di Francia. Prima, però, voi avevate scritto di avere voi stesso un "cuore di carne", che s’inteneriva, comprendeva, teneva conto delle realtà e sapeva che gli uomini non sono puri spiriti, ma esseri sensibili. Con questo cuore umano avete amato le letture e le arti, avete scritto con sensibilità finissima, incoraggiando perfino l’amico vescovo Camus a scrivere romanzi. Vi siete chinato verso tutti per dare a tutti qualcosa. Già studente universitario a Padova, vi eravate imposto di non fuggire o abbreviare mai conversazione con alcuno per quanto poco simpatico e noioso; di essere modesto senza insolenza, libero senza austerità, dolce senza affettazione, arrendevole senza contraddire. Avete tenuto la parola. Al padre, che vi aveva scelto per sposa una ricca e graziosa ereditiera, avete amabilmente risposto: "Papà, ho visto mademoiselle, ma essa merita meglio di me!". Sacerdote, missionario, vescovo avete dato il vostro tempo agli altri: fanciulli, poveri, ammalati, peccatori, eretici, borghesi, nobildonne, prelati, prìncipi. Avete avuto, come tutti, incomprensioni e contraddizioni: "cuore di carne" soffriva, ma continuava ad amare i contradditori. "Se una persona mi cavasse per odio l’occhio sinistro - avete detto - sento che la guarderei benevolmente con l’occhio destro. Se mi cavasse anche questo, mi resterebbe il cuore per volerle bene". Molti giudicherebbero questo un vertice. Per voi il vertice è un altro. Avete infatti scritto: "L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è la perfezione dello spirito; l’amor di Dio è la perfezione dell’amore". Perciò il  vertice, la perfezione e l’eccellenza dell’universo è per voi amare Dio.

***

Siete, dunque, per il primato dell’amore divino. Si tratta di rendere buona la gente? Cominci, questa gente, ad amare Dio; una volta acceso ed affermato nel cuore questo amore, il resto verrà da sé. La terapia moderna dice: non si può guarire una malattia locale, se non si bada a riconquistare la salute di tutto il corpo mediante un’igiene generale e potenti ricostituenti quali la trasfusione di sangue e la fleboclisi. Su questa linea voi avete scritto: "Il leone è un animale potente, pieno di risorse; per questo può dormire senza timore tanto in una tana nascosta quanto sul ciglio di una strada battuta da altri animali". E avete concluso: dunque, diventate leoni spirituali! Riempitevi di forza, di amor di Dio e così non avrete paura di quelle bestie che sono le mancanze. E’ questo - secondo voi - il sistema di Santa Elisabetta d’Ungheria. Questa principessa frequentò per dovere balli e divertimenti di corte, ma ne ricavò vantaggio spirituale invece che danno. Perché? Perché "al vento (delle tentazioni) i grandi fuochi (dell’amor divino) si dilatano, mentre i piccoli si spengono"! I fidanzati di questo mondo dicono: "Il tuo cuore e una capanna!". Trovano più tardi che la capanna, ahimé, non basta e non ci vogliono più stare, perché il cuore s’è raffreddato. Avete scritto: "Appena la regina delle api esce nei campi, tutto il suo piccolo popolo la circonda; così l’amor di Dio non entra in un cuore senza che tutto il corteggio delle altre virtù vi prenda alloggio". Per voi prescrivere le virtù a un’anima priva dell’amor di Dio è prescrivere di punto in bianco l’atletismo a un organismo fiacco. Rafforzare con l’amore di Dio l’organismo, viceversa, è preparare ilcampione e lanciarlo con sicurezza verso le vette della santità.

***

Ma quale amore di Dio? Ce n’è uno fatto di sospiri, di pii gemiti, di dolci sguardi al Cielo. Ce n’è un altro, maschio, franco, fratello gemello di quello che possedeva Cristo, quando nell’orto disse: "Sia fatta non la mia, ma la tua volontà". Questo è l’unico amor di Dio da voi raccomandato. Secondo voi, chi ama Dio, bisogna che s’imbarchi sulla nave di Dio, deciso ad accettare la rotta segnata dai suoi Comandamenti, dalle direttive di chi lo rappresenta e dalle situazioni e circostanze di vita da lui permesse. Voi avete immaginato di intervistare Margherita, quando stava per imbarcarsi per l’Oriente con suo marito san Luigi IX re di Francia: - Dove va, Signora?- Dove va il Re. - Ma sa di preciso dove il Re vada? - Egli me l’ha detto in via generica, tuttavia non mi preoccupo di saper dove vada, mi preme soltanto d’andare con lui. - Ma dunque, Signora, non ha nessuna idea di questo viaggio? - No, nessuna idea, tranne quella di essere in compagnia del mio caro signore e marito. - Suo marito andrà in Egitto, si fermerà a Damietta, in Acri e in parecchi altri siti; non ha intenzione anche lei, Signora, d’andar sola? - Veramente no: non ho altra intenzione che quella d’esser vicina al mio Re; i luoghi dove egli si reca, non hanno per me importanza alcuna, se non in quanto vi sarà lui. Più che andare, io lo seguo; non voglio il viaggio, ma mi basta la presenza del Re. Quel Re è Dio e Margherita siamo noi, se amiamo Dio sul serio. E quante volte, in quanti modi siete ritornato su questo concetto! "Sentirsi con Dio come un bambino sulle braccia della mamma; che ci porti sul braccio destro o sul braccio sinistro è lo stesso, lasciamo fare a Lui". Se la Madonna affidasse il Bambino Gesù a una suora? Ve lo siete chiesto e avete risposto: "La suora pretenderebbe non mollarlo più, ma sbaglierebbe; il vecchio Simeone ha ricevuto sulle braccia il Bambino con gioia, ma con gioia l’ha presto restituito. Così noi non dobbiamo piangere troppo nel restituire la carica, il posto, l’ufficio, quando scade il termine o ce lo richiedono". Nel castello di Dio cerchiamo di accettare qualunque posto: cuochi o sguatteri di cucina, camerieri, mozzi di stalla, panettieri. Se piacerà al Re chiamarci al suo Consiglio privato, vi andremo, senza commuoverci troppo, sapendo che la ricompensa non dipende dal posto, ma dalla fedeltà con cui serviamo. Questoil vostro pensiero. Qualcuno lo considera una specie di fatalismo alla orientale. Ma non è. "La volontà umana - avete scritto - è padrona dei suoi amori, come una signorina è padrona dei suoiinnamorati, che la domandano in sposa. Ciò, prima che essa scelga; fatta però la scelta e divenuta donna sposata, la situazione si capovolge: da padrona che era, diventa soggetta e rimane in balia di colui che fu già sua preda. Anche la volontà può scegliere l’amore a suo piacimento, ma, una volta dichiaratasi per uno, resta sottoposta a questo. E’ però vero che nella volontà esiste una libertà, che non c’è nella donna maritata, poiché la volontà può respingere il suo amore quando vuole", anche l’amore di Dio, eliminando ogni fatalismo.

***

Concludendo, ecco l’ideale dell’amor di Dio vissuto in mezzo al mondo: che questi uomini e queste donne abbiano ali per volare verso Dio con la preghiera amorosa; abbiano anche piedi per camminare amabilmente cogli altri uomini; e non abbiano "grinte fosche", ma bensì volti sorridenti, sapendo di essere avviati verso la gaia casa del Signore! Se vi sentissero i politici! Essi misurano l’azione dal successo. "Riesce? Allora vale!". Voi: "Vale anche non riuscita, l’azione, se fatta per amor di Dio;merito della croce portata non è il suo peso, ma il modo con cui è portata; ci può essere più merito a portare una piccola croce di paglia che una grande croce di ferro; il mangiare, il bere, il passeggiare fatti per amore di Dio possono valere più del digiuno o dei colpi di disciplina". Ma voi avete fatto un passo ancora più avanti, dicendo: l’amore di Dio può - in un certo senso - perfino cambiare le cose, rendendo buone le azioni di per sé indifferenti o anche pericolose. E’ caso del gioco d’azzardo e del ballo (quello dei vostri tempi, naturalmente), se si fa "per svago e non per attaccamento; per poco tempo e non fino a stancarsi e stordirsi; e raramente, in modo che non diventi occupazione invece che ricreazione". Dunque, è alla qualità delle nostre azioni che bisogna badare, più che alla grandezza e al numero! Avete letto ciò che ha scritto Rabelais, vostro quasi contemporaneo, sulle devozioni insegnate al giovane Gargantua? "Ventisei o trenta Messe da ascoltare ogni giorno, una serie di Kyrie eleyson, che sarebbero bastati per sedici romiti"! Se avete letto, avete dato anche la risposta, insegnando alle vostre suore: "E’ bene avanzare, però non con la moltitudine delle pratiche di pietà, ma bensì perfezionandole. L’anno scorso avete digiunato tre volte la settimana; quest’anno volete raddoppiare e la settimana vi basterà. Ma il prossimo anno? Digiunerete - raddoppiando ancora - nove giorni la settimana o due volte al giorno? Fate attenzione! E’ pazzia desiderare di morire martiri nelle Indie e intanto trascurare i propri doveri quotidiani!". In altre parole: non tanto praticare le devozioni, quanto avere ladevozione. L’anima non è tanto una cisterna da riempire, quanto una fontana da far zampillare! E non solo l’anima delle suore. Con questi princìpi la santità cessa di essere privilegio dei conventi e diventa potere e dovere di tutti! Non diventa impresa facile (è la via della croce!), ma ordinaria: qualcuno la realizza con atti o voti eroici alla maniera delle aquile, che planano negli alti cieli; moltissimi la realizzano con l’eseguire i doveri comuni di ogni giorno, in modo però non comune, alla maniera delle colombe, che volano da un tetto all’altro. Perché desiderare i voli d’aquila, i deserti, i chiostri severi, se non vi si è chiamati? Non facciamo come le malate nevrotiche, che vogliono ciliegie d’autunno e uva in primavera! Applichiamoci a ciò che Dio ci chiede secondo lo stato in cui siamo. "Signora, avete scritto, bisogna accorciare un po’ le preghiere, per non compromettere i doveri di casa. Siete sposata, siate sposa totalmente senza eccessiva verecondia; non annoiate i vostri, fermandovi troppo in chiesa; abbiate una devozione tale da farla amare anche a vostro marito, ma ciò avverrà solo se questi vi sentirà sua".

***

Concludendo, ecco l’ideale dell’amor di Dio vissuto in mezzo al mondo: che questi uomini e queste donne abbiano ali per volare verso Dio con la preghiera amorosa; abbiano anche piedi per camminare amabilmente cogli altri uomini; e non abbiano "grinte fosche", ma bensì volti sorridenti, sapendo di essere avviati verso la gaia casa del Signore! 
   Novembre 1972




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Proibito proibire 

    
Caro san Luca, Mi siete sempre piaciuto, perché uomo tutto dolcezza e conciliazione. Nel vostro Vangelo avete sottolineato che il Cristo è infinitamente buono; che i peccatori sono oggetto di un amore particolare da parte di Dio, che Gesù quasi ostentatamente ha tenuto rapporti con coloro che non godevano al mondo di considerazione alcuna. Voi solo ci avete dato il racconto della nascita e dell’infanzia di Cristo, che a Natale sentiamo sempre leggere con rinnovata commozione. Una piccola vostra frase soprattutto trattiene la mia attenzione: "Avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia". E’ Ia frase che ha dato origine a tutti i presepi del mondo e a migliaia di stupendi quadri. Alla frase ho accostato una strofa del Breviario:"Ha accettato di giacere sul fieno non ha avuto paura della greppia con poco latte s’è nutrito Lui, che sfama fin l’ultimo degli uccellini".  Fatto questo, mi sono chiesto: "Cristo ha preso quel posto umilissimo. Noi, che posto prendiamo?". Lasciatemi adesso dire le risposte che ho trovato per questa domanda.

*** 

Davanti a Dio, il nostro posto è quello d’Abramo, che diceva: "Oserò io parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere?". Oppure quello del pubblicano, che, sulla soglia del tempio, lontano dall’altare neppure osava alzare gli occhi al cielo, pensando ai tanti peccati commessi. Davanti a un Dio infinito e onnipotente dobbiamo accettare di essere piccolissimi, reprimendo in noi ogni tendenza contraria alla giusta sottomissione. Succede, infatti, che Dio vuole essere imitato da noi in alcune cose, mentre in altre vuol essere unico, inimitabile. Dice: "Imparate da me a essere miti e umili"; "siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre mio". Ma dice anche: "Solo a Dio l’onore e la gloria"; "solo Dio è l’Assoluto e l’Indipendente". Noi tentiamo di rovesciare le posizioni: vorremmo noi autonomia, indipendenza, onori e non abbiamo voglia di essere dipendenti, miti e pazienti. Ci facciamo forti, all’uopo, delle "filosofie nuove" (che fra breve saranno vecchie) e della Kultura col K maiuscolo. Il progresso poi ci ha dato alla testa: siamo molto consci di essere andati fin sulla Luna, di avere messo in piedi la civiltà di tutti i consumi e di tutte le comodità. Stavamo, però, dimenticandoci di Colui dal quale proveniva ogni dono di ingegno e di energia, quando dagli sceicchi orientali c’è venuto il duro e brusco richiamo: "Voi del consumismo e dell’opulenza - ci hanno detto -, è finita la cuccagna; petrolio ce n’è ormai solo per una trentina d’anni; chi lo vuole, lo paghi salato; ridimensionatevi; andate in cerca di altre fonti di energia". Il richiamo e i duri momenti che ci aspettano, possono essere utili: da un lato stimolano a nuove ricerche ed a nuove vie di progresso; dall’altro ricordano i limiti di ogni cosa terrena e il dovere di mettere solo in alto le nostre supreme speranze. Ho sentito dire da un "cristiano critico": "Basta con la religione piccolo-borghese, che parla di paradiso e di singole anime salvate. Tutto ciò odora di individualismo capitalista e svia l’attenzione dei poveri dai grandi problemi sociali. Di popolo, di massa, di salvezza comune deve parlare chi predica il Vangelo. Cristo, infatti, è venuto a liberare il popolo dall’esilio della civiltà capitalista per guidarlo alla patria della nuova società, che sta per spuntare". Di vero, in queste parole, c’è solo che il cristiano deve occuparsi, ed efficacemente, dei grandi problemi sociali. Quanto più, infatti, uno è appassionato del "cielo", tanto più deve dare una mano a piantare la giustizia sulla terra. Quanto al resto, capitalista o socialista, la civiltà è per ciascuno di noi solo temporanea; ci viviamo solo di passaggio. La vera nostra patria, cui, condotti da Cristo, ci avviamo - insieme, ma ciascuno con destino proprio - è il Paradiso. Chi non crede al Paradiso è sfortunato: è "senza speranza", direbbe San Paolo, e non ha ancora trovato il senso profondo della propria esistenza.

***

 Davanti al prossimo, il nostro posto è triplice, secondo che si tratta di superiori, di eguali o di inferiori. Ma si può parlare di superiori in questi anni? Si può ancora dire: i figli devono amare, rispettare e ubbidire i loro genitori, i discepoli i loro insegnanti, i cittadini le autorità costituite? Nel Seicento qui, a Venezia, c’era il famoso Carnevale: in quei giorni la gente sembrava impazzire, faceva un po’ quello che voleva e si sfogava, andando - con la complicità della maschera - contro costumi e leggi quasi per rifarsi dei mesi vissuti in obbedienza e morigeratezza. Ho l’impressione che stia succedendo qualcosa di simile. A me non fa tanto paura il sentire che ci sono in giro per il mondo attentati, furti, rapine, sequestri e omicidi. Essi sono sempre esistiti. Fa paura il modo nuovo, con cui molta gente guarda a questi fenomeni. La legge, la norma è considerata una cosa da mettersi in burla o come repressione e alienazione. Si prova un gusto matto a dir male di qualunque legge. L’unica cosa oggi proibita - si dice - è il proibire, e uno che tenti di proibire fa figura di appartenere alla vecchia e sorpassata "società oppressiva". Qualche magistrato nel sentenziare dà l’impressione di aprire arbitrari "pertugi" nella siepe del Codice; molto spesso nella stampa vengono irrise le forze, che hanno il compito di far rispettare l’ordine pubblico. Nello stesso ambiente clericale, nel "buttar giù", una dopo l’altra, leggi ecclesiastiche, si applica in modo allegro ed inatteso il quantum potes tantum aude del "Lauda Sion"! Si moltiplicano inchieste più o meno scientifiche, che sembrano concludersi quasi tutte con questa antifona: "Cara gente, tu sei infelice nella situazione attuale; se vuoi essere felice, devi cambiare tutto e rovesciare le strutture". Ci si mette anche la psicologia, scienza che spiega i fatti umani. Ebbene? Gli adùlteri, i sadici, gli omosessuali dagli "psicologi del profondo" sono praticamente quasi sempre scusati: la colpa è dei genitori, che non hanno amato come dovevano i loro teneri e angelici rampolli. Tutta una letteratura pare aver per parola d’ordine: "dàgli al padre!" e rende il padre responsabile quasi di tutto. Un’altra letteratura, propagandando una liberalizzazione completa da ogni legge, chiede contraccezione senza freni, aborto a piacimento della madre, divorzio a volontà, relazioni prematrimoniali, omosessualità, uso di stupefacenti. E’ una mareggiata, una specie di ciclone, che s’avanza, caro San Luca; di fronte ad essi cosa può fare un povero vescovo? Può concedere che in passato la legge è stata spesso un assoluto, una specie di altare sul quale veniva un po’ troppo sacrificata la persona. Prende atto che a volte sono i genitori stessi ad allentare ogni briglia sul collo dei figli "non voglio che mio figlio conosca il rigore che hanno fatto subire a me!". Ammette che gli stessi genitori hanno talora dimenticato il monito di "non essere troppo esigenti coi propri figli" (Col. 3, 21). Sa benissimo che l’esercizio di ogni autorità è un servizio e va eseguito in stile di servizio. Ha presenti le parole di San Pietro: Agite "da veri uomini liberi, che non si servono della libertà come velo della malizia, ma sono servitori di Dio" (1 Pt. 2, 16). Queste parole escludono il cosiddetto "potere" e reclamano un’autorità promotrice di libertà; non vogliono un’obbedienza servile. bensì un’obbedienza adulta, attiva e responsabile. Ma dopo? Dopo deve confidare in Dio, richiamando con fermezza la parola divina: "Chi teme Dio onora il padre... Figlio mio, con parole con fatti onora tuo padre" (Sir. 3, 7. 8). "Figli, obbedite ai vostri genitori in tutto ciò ch'è gradito al Signore" (Col. 3, 20). "Ognuno stia soggetto alle autorità in funzione, perché non v’è autorità se non da Dio... sicché, chi si ribella all’autorità, si ribella all’ordinamento divino" (Rom. 13, 1-2). "Raccomando che si facciano suppliche, preghiere... per tutti gli uomini, per i re e per coloro che sono costituiti in autorità" (I Tim. 2, 1). "Siate obbedientie cedevoli ai vostri superiori, affinché, dovendo essi, come responsabili, vegliare sopra le vostre anime, lo facciano con gioia e non gemendo" (Ebrei 13, 17).

*** 

Ci sono poi i nostri eguali. Di fronte ad essi il dovere è: essere semplici, evitare la singolarità, la smania esagerata di distinguersi. La tendenza, a volte, sarebbe non di fare quello che fanno gli altri, ma di fare quello che gli altri non fanno; di contraddire alle loro affermazioni; di sdegnare ciò ch’essi ammirano; d’ammirare ciò che essi sdegnano. Qualcuno vuole segnalarsi per l’eleganza, il lusso, i colori vivaci, la sfarzosità dei vestiti, qualche altro per il linguaggio originale e ricercato. Un anello in dito, un ricciolo che spunta di sotto il cappellino, una penna sul cappello d’alpino rende qualcuno fiero in maniera incredibile. Cose in sé non gravi - intendiamoci -, ma spesso diventano mezzucci per mettersi in mostra, far meravigliare gli altri e nascondere la propria mediocrità. L’uomo semplice e schietto, invece, non cerca di apparire più ricco, più colto, più pio, più nobile, più potente di quello che èEssere ciò che deve, parere ciò che èvestire secondo la propria condizione, non mettersi volutamente in mostra, non offuscare nessuno, ecco i suoi propositi. Gesù li ha approvati e raccomandati in anticipo e Voi, caro San Luca, ce li avete conservati: "Sedete all’ultimo posto"; "guai a voi, che cercate i primi seggi nelle sinagoghe e i salamelecchi nelle piazze".

*** 

Ci sono infine gli inferiori, o meglio, quelli che sono più sfortunati di noi, perché malati o poveri o tribolati o peccatori. Verso di essi c’è il dovere dell’efficace amore cristiano, che deve portarsi su ciascuno e anche sul gruppo o la classe che essi formano. Qui noto oggi due posizioni sbagliate. Dice qualcuno: io amo e aiuto il povero singolo e basta: non m’interessa la "classe" dei poveri. Dice un altro: io invece mi batto solo per tutta la classe dei poveri, per tutti gli emarginati, per il Terzo Mondo; curare i singoli poveri colla piccola carità non giova, anzi ritarda la rivoluzione definitiva. Al primo rispondo: bisogna anche amare efficacemente i poveri che, uniti insieme e organizzati, stanno lottando per migliorare la loro situazione. Bisogna fare come Cristo, che ha amato tutti, ma ha privilegiato i poveri di intenso amore. Al secondo dico: è bene avere scelto la causa dei poveri, degli emarginati, del Terzo Mondo. Attento, però, con la scusa dei poveri lontani ed organizzati, a non trascurare i poveri vicini. Povera vicina è la tua mamma: perché la disobbedisci e strapazzi? Povero vicino è il tuo professore: perché sei con lui così irrispettoso ed impietoso? E perché hai impedito con la violenza e il picchettaggio al tuo compagno di scuola di entrare con te in classe, col pretesto che egli ha idee politiche opposte alle tue? Sei per la grande causa della pace. Benissimo, ma attento che non si verifichino le parole di Geremia profeta: "Van dicendo: pace, pace, ma di pace non c’è neanche l’ombra!" (cfr. Ger. 6,14 e 11). La pace, infatti, costa: non si fa a parole, ma con sacrifici e rinunce amorose da parte di tutti. Non è neppure possibile ottenerla coi soli sforzi umani: occorre l’intervento di Dio. E’ il monito natalizio degli angeli: una delle cose più belle, che Voi, caro San Luca, abbiate mai "registrato": "Pace sulla terra per gli uomini che Dio ama!". 
Marzo1974





San Romedio

La bocca sporca 

    
Caro Orso di San Romedio, "Ogni buon ladrone ha la sua devozione". E’ questo il motivo per cui un mese fa, passando per San Zeno in Val di Non, mi son detto: "A due chilometri da qui, in fondo ad una valle corta, incassata fra rocce altissime che fanno pensare ai canyons del Colorado, c’è il santuario di San Romedio: ci sono andati, facendo a piedi decine di chilometri, i tuoi nonni; vacci anche tu, che sei in auto!". E sono andato. Suggestivo il santuario dalle sei chiese sovrapposte e dalla terrazza che domina lo strapiombo impressionante. Interessanti la figura e i ricordi del santo eremita. Ma simpatico anche tu, caro Orso! La statua del Perathoner ti presenta tenuto al guinzaglio, tutto mansueto e addomesticato, dal Santo.Mi hanno spiegato: secondo la leggenda, ritornando dal pellegrinaggio di Roma, Romedio si era fermato coi suoi due fedeli compagni Abramo e Davide, a riposare. A un certo momento dice a Davide: "E’ tempo di riprendere il cammino, va’ a prendere i nostri cavalli, che pascolano nel prato vicino". Il compagno torna esterrefatto: un orso sta giusto divorando il cavallo di Romedio. Questi accorre, vede e, senza turbarsi, dice a te, Orso: "Avevi fame, si vede, mi mangi il cavallo e sta bene, però devi sapere che io non ce la faccio a tornare a casa a piedi; mi farai tu da cavallo! ". Detto, fatto: ti adatta la sella, i finimenti e la bardatura della bestia divorata, monta in groppa come tu fossi la più pacifica di tutte le mule di questo mondo e, via verso Trento! Ritornando dal santuario, lo credi?, la mia preghiera è stata: "0 Signore, addomestica me pure, rendimi più servizievole e meno orso!". Non te la prendere per questa ultima espressione: per noi uomini, voi, orsi bruni e neri, dal corpo lungo, dalle zampe corte, grosse e dal pelame foltissimo, siete degli esseri maldestri e meleganti. Noi, al confronto, ci consideriamo infinitamente gentili, snelli e slanciati. Se ti metti a ballare, tu combini solo dei disastri, laddove le nostre danze sono un miracolo di grazia, di musica e le silfidi del nostro "balletto" sono talmente leggere e agili da poter danzare sui fiori dei prati senza piegarli. Eppure? Eppure ieri sono stato tentato di capovolgere la preghiera di un mese fa in quest’altra: "Signore, facci diventare tutti orsi!". M’è capitato, infatti, di udire delle brutte bestemmie. "E allora, mi sono detto, cosa conta vestire tanto eleganti, calzare scarpette finissime, portare cravatte all’ultima moda, pettinarsi con tanta raffinatezza, se dalla nostra bocca escono poi parole così volgari? Meglio essere goffi come orsi, ma non avere la bocca così sporca!". Tanto più che si tratta di un fenomeno estesissimo, in Italia, di una vera epidemia: 15 milioni di bestemmiatori italiani abituali con un miliardo circa di bestemmie al giorno. Parte di questi rassomigliano psicologicamente al "dispettoso e torvo" Capanéo di Dante, che lancia a Dio fiere frasi di sfida e di dispetto. Altri annacquano un po' le loro espressioni blasfeme. "Esiste ancora un Dio?", dicono, "Smettila di parlarmi di un Dio buono e giusto!", "La religione è solo una grande bottega! ", "Il diavolo ne sa più di Dio!". E’ una fortuna che, a volte, il cuore di chi pronuncia non sia d’accordo con la bocca e che circostanze varie escludano una vera profonda intenzione di offendere Dio. A volte la gravità dell’espressione è attenuata dalla sconsideratezza, dalla preoccupazione, dall’ignoranza; come nel caso di Irene Papovna, che s’era presentata a Mosca per un esame di concorso magistrale. Il tema da svolgere era: "Analizzate l’iscrizione scolpita sulla tomba di Lenin". La maestrina non ricorda bene, le pare e non le pare che l’iscrizione leniniana suoni "La religione è l’oppio del popolo". Come cavarsela? Arrischia, fa l’analisi che può e, consegnato il compito, corre alla Piazza Rossa, davanti al Mausoleo Leniniano, a verificare. Riscontrato di aver azzeccato, esclama entusiasticamente: "Caro buon Dio! E voi Vergine Santa di Kazan! Grazie di avermi fatto ricordare l’iscrizione!".

***

Caro Orso! Tu non lo sai, ma su bestemmia e turpiloquio c’e ormai un vocabolario concordato e accettato, realistico e icastico, anche se non sempre indovinato. Ad esempio, chiamano moccoli le bestemmie. Ma i moccoli fanno un po’ di luce; la bestemmia è parola nera, "morta gora", acqua stagnante, gas asfissiante. "Linguaggio da lavandaie" è chiamato il turpiloquio femminile. Ma la frase è vera solo se il termine "lavandaia" è preso come parte del tutto; se cioè, in grazia di quella figura retorica che si chiama "sineddoche", esso significa anche professoresse, studentesse, operaie, impiegate, dattilografe, ecc. Di tutte queste persone, una volta si diceva: "Diventano rosse, perché si vergognano"; di alcune tra esse oggi si deve dire: "Si vergognano, perché diventano rosse". Si dice anche: "Bestemmia come un turco", ma è una calunnia: i turchi, non bestemmiano. In Francia, in Svizzera, in Germania, invece, si usa dire, purtroppo con fondamento: "Bestemmia come un italiano". Si tratta dunque di una diffusa malattia. Quale diagnosi? Primo sintomo, la grande superficialità. Chi ragiona non bestemmia e chi bestemmia non ragiona. 0 c’è, infatti, questo Dio bestemmiato o non c’è. Se non c’è, il bestemmiarlo è vano; se c’è, bestemmiarlo è insano, perché raglio d’asino non penetra in cielo!". Si possono capire (non scusare) altri peccati: il ladro in fin dei conti mette le mani su un portafoglio pieno di soldi; l’ubriacone su una bottiglia di buon vino; ma il bestemmiatore su che cosa mette mano? Secondo sintomo, lo scarso senso di responsabilità. Oltre Dio, infatti, c’è il prossimo. Tu, caro Orso, famoso per la tenerezza verso i tuoi nati, dovresti dire ai capi famiglia: bestemmiando, tu addolori la moglie e la figlioletta, scandalizzi il figlio, che viene spinto a copiare l’esempio del padre. Che guadagni? "Guadagno, mi son sentito dire, perché, bestemmiando, protesto contro le cose che vanno male, do forza al discorso, lascio esplodere l’ira". Le proteste? Si fanno, quando sono utili e ragionevoli. Ma il motore dell’auto, che prima non andava, si mette forse in moto appena cominci a prendertela con Dio? Sottolineare il discorso? D’accordo, a patto che si faccia con frasi non irrispettose. "Orco cane! Orca l’oca!" e mule altre simili frasi sono insieme innocenti e dinamiche. Lo dimostrò a certi contadini un bravo parroco australiano, che un bel giorno si presentò nei campi, prese in mano l’aratro e, facendo schioccare la frusta, gridò ai buoi con voce stentorea: "Sì, arcangeli dolcissimi! Da bravi, miei sublimi cherubini! A voi, sfolgoranti serafini!". A questi ordini mistico-celesti i buoi lentamente si alzarono e, benché perplessi, cominciarono a tirare! Quanto all’ira, essa va repressa e non fatta esplodere, se è vero che dobbiamo essere non i servi, ma i dominatori delle nostre passioni.

***

A ogni diagnosi deve seguire una terapia. Nel nostro caso, piccolo, utile "impiastro" o cataplasma può essere la moderata e adatta reazione dei "benpensanti". Quel fraticello tutto simile al tuo San Romedio, se ne stava nello scompartimento di un treno a sentire, impotente e addolorato, le bestemmie pronunciate a gara da due giovani non educati, quando uno di questi, scherzando, disse: "Padre, devo darle una brutta notizia: è morto il diavolo!". "Mi dispiace tanto e vi pongo le mie sincere condoglianze!" rispose il fraticello. "Condoglianze! E perché?" fecero insieme i due giovani. "Perché provo tanta compassione per voi che siete rimasti orfani!". Il fraticello si era lasciato andare ad un po’ di ironia. Quello che dobbiamo sentire per i bestemmiatori, specialmente giovani, non è ironia, ma interessamento, comprensione, desiderio e offerta di aiuto. Quanti siamo ad essi compagni, amici, superiori, parenti, con tatto, delicatezza e rispetto alla loro personalità, dobbiamo loro, secondo i casi, il consiglio amichevole, la garbata rimostranza, il rimprovero, talvolta anche il castigo. Il vero rimedio, però, è che essi stessi si impegnino a togliersi di dosso la cattiva abitudine con decisione ferma e perseverante, operando all’inverso dell’Ortolano di Trilussa. Quest’ortolano,"se j’annava un pelo a l’incontrario... cominciava appunto a biastimà: Corpo de...! sangue de...! managgia la...!".   Ma un giorno, mentre appunto bestemmiava, "... scappò fora er Diavolo che l’agguantò da dove l’impiegati ci hanno il pantalon più logorati".Sentendosi trasportato per aria, pieno di paura, "l’Ortolano diceva l’orazione... Dio! Cristo santo! Vergine Maria! M’arricomanno a voi! Madonna mia!". "Er diavolo, a sti nomi, è naturale che aprì la mano e lo lasciò de botto: l’Ortolano cascò, come un fagotto sopra un pajone senza fasse male. L’ho avuta bòna! disse ner cascà; Corpo de...! sangue de...! managgia la. . . !"  

***

Caro Orso di San Romedio! Trilussa scherzava e voleva dire che bisogna fare il contrario: promettere di non bestemmiare e poi mantenere sul serio. Spalanca le tue fauci e dal santuario dillo più forte che puoi a tutti gli Italiani! 
   Dicembre 1972





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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