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LA VERA RELIGIONE di sant'Agostino Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2017 19:00
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11/11/2017 18:41
 
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  MANUALE SULLA FEDE, SPERANZA E CARITÀ
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MANUALE SULLA FEDE, SPERANZA E CARITÀ

Compiacimento per la cultura di Lorenzo, con l’auspicio che consegua la sapienza conforme alle sacre Scritture.

1. 1. È impossibile esprimere, o amatissimo figlio Lorenzo, tutto il mio compiacimento per la tua cultura e quanto desideri che tu sia sapiente, senza annoverarti, però, fra coloro di cui si dice: Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha reso forse Dio stolta la sapienza di questo mondo? 1 Ti annovero, al contrario, fra coloro di cui è stato scritto: La moltitudine dei sapienti è la salvezza dell’universo 2, come l’Apostolo vuole che siano coloro ai quali dice: Voglio piuttosto che siate davvero sapienti nel bene e puri nel male 3.

 

La pietà, come culto di Dio, è la sapienza dell’uomo.

1. 2. Ebbene, la pietà è la sapienza dell’uomo. Lo trovi anche nel libro del santo Giobbe, dove si legge quel che la Sapienza stessa ha detto all’uomo: Ecco, la pietà è sapienza 4. Se poi ti domandassi di quale pietà là si parli, lo troveresti piú precisamente nel greco , vale a dire " culto di Dio ". In greco infatti " pietà " si dice anche in altro modo, cioè , termine che significa " culto buono ", anche se riferito principalmente alla venerazione divina. Nessuna parola è però piú adatta di quella che esprime in modo esplicito il culto di Dio, quando si tratta di dire in che cosa consista la sapienza umana. Mi domandi allora di dire qualcosa piú in breve, quando mi chiedi discorsi brevi su argomenti importanti? O forse desideri che ti sia illustrato brevemente proprio questo, riassumendo in un discorso breve quale culto si debba rendere a Dio?

 

Il culto che si deve rendere a Dio.

1. 3. Ora, se ti risponderò che Dio si deve venerare con fede, speranza e carità, dirai sicuramente che questa risposta è piú breve di quanto tu volessi e perciò mi chiederai di spiegarti brevemente che cosa è proprio di ciascuna di queste tre virtú, cioè che cosa si deve credere, cosa si deve sperare e cosa si deve amare. Quando avrò fatto questo, allora avrò toccato tutte le questioni che hai posto nella tua lettera: se ne hai a disposizione un esemplare, ti sarà facile ritrovarle e rileggerle; in caso contrario, le ricorderai quando io le richiamerò.

 

Le richieste di Lorenzo.

1. 4. Stando a quel che scrivi, infatti, tu vuoi che io componga un libro, per cosí dire una sorta di manuale, che tu possa avere sempre a portata di mano e che tenga conto delle tue richieste, vale a dire: che cosa si deve assolutamente seguire e soprattutto evitare, a causa delle diverse eresie; in quale misura la ragione possa intervenire a favore della religione o che cosa alla ragione sfugga, quando la fede è sola; che cosa si debba mettere al primo posto e che cosa all’ultimo; quale sia la sintesi completamente definita, quale il fondamento certo ed esclusivo della fede cattolica. Ebbene, tu potrai conoscere senza alcun dubbio tutte le cose che richiedi, se conoscerai attentamente che cosa si deve credere, sperare e amare. Queste infatti si debbono assolutamente seguire, anzi sono le uniche cose che si debbono seguire nella religione: chi vi si oppone o è completamente estraneo al nome di Cristo, oppure è eretico. Esse, intraviste dai sensi del corpo o scoperte dall’intelligenza spirituale, debbono essere sostenute dalla ragione. Quanto poi alle verità, delle quali non abbiamo avuto esperienza sensibile e non siamo riusciti e non riusciamo a conseguire con la mente, bisogna credere senza alcuna esitazione a quei testimoni che hanno redatto quella Scrittura che giustamente ha ormai meritato di chiamarsi divina: costoro, per mezzo del corpo o dell’anima, hanno potuto vederle o addirittura prevederle, grazie all’aiuto divino.

 

La fede e la visione: Cristo fondamento autentico della fede cattolica e solo nominale degli eretici.

1. 5. Quando poi la mente è ormai pervasa dalla radice della fede, che opera per mezzo della carità 5, attraverso una vita buona tende a giungere anche a quell’immagine, che manifesta ai cuori santi e perfetti la bellezza ineffabile, la cui visione piena costituisce la suprema felicità. È certamente questo quel che domandi, chiedendo che cosa si debba mettere al primo posto e che cosa all’ultimo: l’inizio appartiene alla fede, il compimento è nella visioneE questa è anche la sintesi completamente definita. È Cristo, poi, il fondamento certo ed esclusivo della fede cattolica: Infatti nessuno può porre un fondamento diverso – dice l’Apostolo – da quello che già vi si trova, che è Gesú Cristo 6. Il pensare di avere Cristo in comune con alcuni eretici non è una ragione sufficiente per negarlo come fondamento esclusivo della fede cattolica. Se infatti riflettiamo attentamente a tutto ciò che si riferisce a Cristo, allora scopriamo il suo nome accanto a tutti quegli eretici che vogliono essere chiamati cristiani, ma a parole e non realmente. Spiegarlo sarebbe troppo lungo; bisognerebbe passare in rassegna tutte le eresie: quelle passate, quelle presenti e quelle che sono state possibili sotto il nome cristiano, mostrando quindi per ciascuna di esse quanto ciò sia vero. È una discussione, questa, che richiede tanti volumi, da risultare praticamente interminabile.

 

La richiesta di un manuale e la difficoltà di parlare a favore della fede, speranza e carità.

1. 6. Tu invece ci richiedi un manuale, che si possa tenere in mano e non che possa appesantire uno scaffale. Tornando dunque a quelle tre virtú che sono la fede, la speranza e la carità, le quali ci consentono, come abbiamo detto, di venerare Dio, sarebbe piuttosto facile dire che cosa si deve credere, che cosa sperare, che cosa amare. Ma la loro difesa contro gli attacchi di quanti la pensano diversamente richiede un insegnamento piú impegnativo e piú complesso: perché ciò sia possibile, non è la mano che deve afferrare un piccolo manuale, ma il cuore che dev’essere infiammato da un grande impegno nello studio.

 

Fede, speranza e carità racchiuse nel Simbolo e nel Padre nostro.

2. 7. Prendi, per esempio, il Simbolo della fede e la preghiera del Signore: che c’è di piú breve da ascoltare o da leggere? Che cosa di piú facile da ricordare? Poiché infatti, come conseguenza del peccato, il genere umano era oppresso da una grave infelicità ed aveva bisogno della divina misericordia, il Profeta, preannunziando il tempo della grazia di Dio, esclama: Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato 7. Di qui la necessità della preghiera. Ma l’Apostolo, dopo aver ricordato questa testimonianza profetica per far apprezzare la stessa grazia, ha subito aggiunto: Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in Lui? 8 Di qui il Simbolo della fede. Cerca quindi di scorgere, in queste due testimonianze, quelle tre virtú: la fede crede, la speranza e la carità pregano; queste però non possono sussistere senza la fede, perciò anche la fede prega. È questo il motivo per cui è stato detto: Come potranno invocarlo senza aver prima creduto in Lui?

 

Fede, speranza e carità si implicano reciprocamente, pur essendo diverse.

2. 8. Ma che cosa si può sperare senza credervi? D’altra parte si può credere qualcosa che però non si spera: quale cristiano infatti non crede alle pene degli empi, senza tuttavia sperarvi? E per chiunque creda che esse siano imminenti e provi una reazione istintiva di spavento, è piú corretto parlare di timore che di speranza. Qualcuno ha distinto questi due aspetti dicendo: A chi è nel timore, sia consentita la speranza 9. Un altro poeta invece, anche se piú grande, ha detto in modo non appropriato: Ho mai potuto sperare in un dolore cosí grande? 10 Perfino alcuni grammatici si servono di questa citazione come esempio di espressione impropria, dicendo: "Ha usato sperare al posto di temere". C’è insomma una fede nelle cose cattive e in quelle buone, poiché si crede al bene come al male, e con una fede buona, non cattiva. Ancora: la fede riguarda il passato, il presente e il futuro. Noi infatti crediamo che Cristo è morto, e ciò è ormai passato; crediamo che siede alla destra del Padre, ed è presente; crediamo che verrà a giudicare, ed è futuro. Allo stesso modo la fede riguarda noi stessi come gli altri; ciascuno di noi infatti crede di aver cominciato ad esistere ad un certo momento e di non essere certo esistito eternamente, e cosí per tutti gli altri uomini e gli altri oggetti. E crediamo molte cose che appartengono alla sfera religiosa non soltanto intorno ad altri uomini, ma anche intorno agli angeli. La speranza, invece, si ripone unicamente nelle cose buone, solo in quelle future, e riguardanti colui di cui risulta che in esse nutre speranza. Stando le cose in questi termini, per tali motivi si dovrà distinguere la fede dalla speranza in base ad una differenza razionalmente giustificabile, oltre che terminologica. Ciò che attiene al non vedere, siano esse cose nelle quali si crede o si spera, è comune alla fede e alla speranza. Nella Lettera agli Ebrei, la cui testimonianza è utilizzata da insigni sostenitori del principio e della fede cattolica, la fede è definita come prova delle cose che non si vedono 11. Peraltro se qualcuno dice di aver creduto, cioè di aver prestato fede, non alle parole, né ai testimoni e nemmeno a qualsiasi argomentazione, ma all’evidenza di cose presenti, la sua non appare un’assurdità, al punto da poter riprendere giustamente il suo modo di parlare, dicendogli: Tu hai visto, dunque non hai creduto; non se ne deve concludere perciò, possiamo supporre, che tutto ciò che si crede non si possa vedere. Tuttavia è meglio chiamare fede quella che ci è stata insegnata dalle parole divine, vale a dire il credere nelle cose che non si vedono. Anche sulla speranza l’Apostolo ha detto: Ciò che si spera, se visto, non è piú speranza: infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Se invece speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con pazienza 12. Perciò credere nei beni futuri non è altro che sperarvi. Che dire a questo punto dell’amore, senza il quale la fede è inutile? La speranza, poi, non può sussistere senza amore. Inoltre, come dice l’apostolo Giacomo, anche i demoni credono e tremano 13: tuttavia non sperano né amano; piuttosto, credendo in ciò che noi speriamo e amiamo, temono che possa realizzarsi. Per questo anche l’apostolo Paolo approva e raccomanda la fede che opera per mezzo della carità 14, che non può certamente sussistere senza speranza. Quindi l’amore non sussiste senza la speranza, né la speranza senza l’amore, né amore e speranza sussistono senza fede.

 

La fede cristiana non riguarda il mondo naturale, ma la bontà del Creatore.

3. 9. Quando dunque si domanda quale sia l’oggetto della fede religiosa, non si deve avviare un genere di ricerca naturale alla maniera di quelli che i Greci chiamano fisici e non ci si deve preoccupare di un’eventuale ignoranza del cristiano intorno alla proprietà e al numero degli elementi, intorno al movimento, all’ordine e all’eclissi degli astri, alla forma del cielo, ai generi e alla natura degli animali, dei vegetali, dei minerali, delle sorgenti, dei fiumi, dei monti, alle dimensioni spaziali e temporali, ai segni di tempeste imminenti, e alle mille cose simili che quelli hanno scoperto o credono d’aver scoperto. Infatti nemmeno quelli hanno trovato tutto, malgrado la loro non comune genialità, la ricerca appassionata e la disponibilità di tempo libero, rintracciando alcune cose in base ad ipotesi puramente umane ed indagandone altre in base all’esperienza storica; anche nei casi in cui si vantano d’aver fatto scoperte, si tratta il piú delle volte di opinioni, piú che di vero sapere. Al cristiano basta credere che la causa di tutte le realtà create, celesti e terrestri, visibili e invisibili è unicamente la bontà del Creatore, unico e vero Dio; che non c’è nessuna natura al di fuori di Lui o che non dipenda da Lui; che Egli è la Trinità, cioè Padre e Figlio generato dal Padre e Spirito Santo che procede dal medesimo Padre, in realtà l’unico e medesimo Spirito del Padre e del Figlio.

 

La somma Trinità ha creato solo cose buone.

3. 10. Da questa Trinità sommamente, ugualmente e immutabilmente buona sono state create tutte le cose, che non sono sommamente, ugualmente e immutabilmente buone, anche se lo sono tuttavia individualmente; globalmente considerate comunque sono assai buone 15, in quanto costituiscono tutte la mirabile bellezza dell’universo.

 

L’ordine del male e la sua nozione.

3. 11. In essa anche quel che viene chiamato male, che è ben ordinato e collocato al suo posto, fa apprezzare in modo ancora piú eccelso le cose buone, perché dal confronto con le cattive piacciano maggiormente e meritino maggiore ammirazione. Del resto Dio, nella sua onnipotenza, Egli che ha il sommo potere sulle cose 16, come riconoscono anche i non credenti, essendo sommamente buono, non lascerebbe assolutamente sussistere alcunché di male nelle sue opere, se non fosse onnipotente e buono fino al punto da ricavare il bene persino dal male. Allora cos’altro è quello che viene chiamato male, se non privazione di bene ? Per i corpi viventi, infatti, essere ammalati o feriti non è altro che perdere la salute. Del resto, quando si presta una cura, non ci si adopera perché quei mali esistenti, vale a dire malattie e ferite, si ritirino da una parte per sussistere da un’altra, ma perché scompaiano del tutto. E in effetti una ferita o una malattia sono in sé non certo una sostanza, ma il difetto di una sostanza carnale, mentre la carne è una sostanza in sé e senza dubbio un bene determinato, cui capitano quei mali, vale a dire privazioni di quel bene che è chiamato salute. Cosí, allo stesso modo tutti i difetti delle anime sono privazioni di beni naturali: risanarli non significa trasferirli altrove, poiché quelli che vi si trovavano non vi si troveranno piú, dal momento che non si troveranno piú in quel bene della salute.

 

Genesi e forme di corruzione in ogni natura creata buona dal sommo bene.

4. 12. Insomma tutte le nature, poiché effettivamente colui che le ha costituite tutte quante è sommamente buono, sono buone. Ma dal momento che non lo sono nel modo sommo e immutabile proprio di colui che le ha costituite, il bene in esse può diminuire e aumentare. Tuttavia la diminuzione di bene è un male, anche se, quale che sia il grado di diminuzione, è necessario che resti qualcosa (se una natura ancora sussiste), a partire dal quale quella natura sussista. Infatti, quale che sia una natura e per quel poco che essa sia, non può consumarsi il bene che la fa sussistere, a meno che non si consumi essa stessa. Certo, si deve giustamente magnificare una natura incorrotta: d’altra parte non c’è dubbio che la si deve di gran lunga magnificare di piú se essa è anche incorruttibile, essendo nell’assoluta impossibilità di corrompersi. In quanto si corrompe, è male la sua corruzione, poiché la priva di un qualche bene. È innocua infatti se non la priva di nessun bene; di fatto però è nociva: dunque essa toglie il bene. Pertanto, finché una natura è soggetta a corruzione, le appartiene un bene di cui potrebbe essere privata; perciò, se resta un residuo di natura che non può piú corrompersi, sarà certamente una natura incorruttibile, giunta ad un bene tanto grande attraverso la corruzione. Se però il processo di corruzione sarà incessante, sarà certamente incessante il possesso di quel bene, di cui la corruzione possa privarla. Una volta consumata radicalmente e completamente, allora non sussisterà piú alcun bene, poiché non sussisterà piú alcuna natura. Di conseguenza la corruzione può consumare il bene unicamente consumando la natura. Dunque ogni natura è un bene: un grande bene se incorruttibile, piccolo se corruttibile; non si può però negare che sia un bene, se non in modo insensato e sprovveduto. Se infatti è consumato dalla corruzione, neppure la corruzione stessa avrà un futuro, venendo meno ogni sostanza cui essa possa appartenere.

 

Non c’è alcun male senza bene, come ci avverte anche la Scrittura.

4. 13. Perciò se non c’è alcun bene, non c’è neppure nulla di quel che viene chiamato male. Ma il bene che è privo di ogni male è un bene pieno; se invece ad esso appartiene un male, si tratta di un bene che ha o può avere un difetto. E non può esserci alcun male se non c’è alcun bene. Si giunge cosí ad una conseguenza sorprendente: poiché ogni natura, in quanto tale, è un bene, affermare che una natura difettosa è una natura cattiva sembra equivalga all’affermazione che è male ciò che è bene, e solo ciò che è bene; poiché ogni natura è bene, non ci sarebbero cose cattive, se la cosa stessa che è cattiva non fosse una natura. Dunque il male non può essere altro che un qualche bene: conclusione verosimilmente assurda, ma che tuttavia siamo quasi costretti a trarre da questa concatenazione logica. Eppure guardiamoci bene dall’incappare nel giudizio del Profeta: Guai a coloro che chiamano male il bene e bene il male, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro 17. D’altra parte il Signore dice: L’uomo cattivo dal tesoro cattivo del suo cuore trae cose cattive 18. Ma che cos’è un uomo cattivo se non una cattiva natura, dal momento che l’uomo è una natura? Se quindi l’uomo è un qualche bene in quanto è una natura, che cos’è un uomo cattivo se non un male che è un bene? Se d’altra parte riusciamo a distinguere i due aspetti, possiamo constatare che non si tratta di un male in quanto uomo, e non si tratta di un bene in quanto egli è iniquo; al contrario è un bene in quanto è un uomo, è cattivo in quanto iniquo. Chi dunque dice: " È male essere un uomo ", o: " È bene essere iniquo ", costui incappa nel giudizio del Profeta: Guai a coloro che chiamano male il bene e bene il male. Egli infatti accusa un’opera di Dio, qual è l’uomo, e magnifica un difetto dell’uomo, qual è l’iniquità. Pertanto ogni natura, anche se difettosa, in quanto natura è buona, in quanto difettosa è cattiva.

 

I limiti della logica dinanzi alla corruzione e alla genesi del male dal bene.

4. 14. Perciò in questi contrari chiamati bene e male non si applica quella regola dei dialettici, in base alla quale si dice che a nessuna cosa appartengono contemporaneamente due contrari. L’aria non è mai contemporaneamente oscura e luminosa; nessun cibo o bevanda è contemporaneamente dolce e amaro; nessun corpo dove è bianco è contemporaneamente anche nero, dove è deforme anche ben formato. E cosí l’impossibilità di una presenza simultanea in una medesima cosa si scopre in molti contrari, praticamente in tutti. Eppure, anche se nessuno mette in dubbio che bene e male siano contrari, non soltanto essi possono coesistere, ma è assolutamente impossibile che il male sussista senza bene e all’infuori di esso, pur essendo possibile che il bene sussista senza male. Un uomo o un angelo, infatti, possono non essere ingiusti, mentre è impossibile essere ingiusto se non si è uomo o angelo; il bene sussiste in quanto si tratta di uomo o di angelo, il male in quanto ingiusto. I due contrari convivono a tal punto che se non ci fosse un bene a cui appartenere, evidentemente non avrebbe potuto esserci nemmeno il male, poiché, se non ci fosse qualcosa di corruttibile, la corruzione non solo non avrebbe un posto dove stabilirsi, ma nemmeno da dove scaturire; e se questo non fosse un bene, non potrebbe corrompersi, poiché la corruzione non è altro che distruzione di bene. È dal bene, dunque, che è scaturito il male, il quale non sussiste all’infuori di esso, né poteva esserci un’altra natura del male con un’origine diversa. Se infatti ci fosse una tale natura, in quanto natura sarebbe senz’altro buona; o quindi, in quanto natura incorruttibile, sarebbe un grande bene, oppure, anche in quanto natura corruttibile, non sarebbe assolutamente altro che un qualche bene, e il danno della corruzione consisterebbe proprio nel poterlo corrompere.

 

Dire che il male viene dal bene non contraddice l’insegnamento del Signore.

4. 15. Quando diciamo però che i mali sono scaturiti dai beni, non si pensi che ciò si scontri con l’affermazione del Signore: L’albero buono non può produrre frutti cattivi 19. Infatti non si può raccogliere uva dalle spine 20, dice la Verità, poiché l’uva non può nascere dalle spine, mentre noi vediamo che da una buona terra possono nascere sia viti che spine. E in quel modo, come un albero cattivo, una volontà cattiva non può produrre frutti buoni, vale a dire opere buone, anche se dalla natura buona dell’uomo possono scaturire una volontà buona e una cattiva. D’altra parte una volontà cattiva non poté scaturire originariamente che dalla natura buona dell’angelo e dell’uomo. Il Signore lo ha manifestato nel modo piú esplicito, in quel medesimo punto in cui parla dell’albero e dei frutti, dicendo: O rendete l’albero buono e buono il suo frutto, o rendete l’albero cattivo e cattivo il suo frutto 21, lasciando intendere che non possono nascere frutti cattivi da un albero buono o viceversa, anche se dalla stessa terra, cui egli si riferiva, possono nascere tutti e due gli alberi.

 

La scienza delle cause naturali non fa conseguire la felicità.


5. 16. Stando cosí le cose e visto che apprezziamo il verso di Virgilio: Felice chi poté conoscere le cause delle cose 22, non immaginiamo che il conseguimento della felicità dipenda dalla conoscenza delle cause dei grandi movimenti fisici nel mondo, celati nei piú riposti recessi della natura, là dove nasce il terremoto, la cui violenza solleva alti marosi, che, una volta rotti gli argini, tornano a ricomporsi in se stessi 23, ed altre cose del genere. Dobbiamo piuttosto conoscere le cause delle cose buone e di quelle cattive, e questo nei limiti in cui all’uomo è concesso conoscerle in questa vita, tutta piena di errori e di affanni 24, proprio per sfuggire ai medesimi errori ed affanni. Dobbiamo certamente tendere a quella felicità, in cui non siamo sconvolti da alcun affanno né ingannati da alcun errore. Se infatti dovessimo conoscere le cause dei movimenti fisici, la conoscenza delle cause della nostra salute dovrebbe essere anteposta a tutte le altre; ma se in realtà interpelliamo i medici per il fatto che le ignoriamo, evidentemente ci dobbiamo rassegnare ad ignorare tutti i segreti celesti e terrestri che ci sfuggono.

 

Come guardarsi dall’errore.

5. 17. Infatti, per quanta attenzione possiamo porre nell’evitare l’errore non solo nelle cose maggiori, ma anche nelle minori, e per quanto l’errore sia possibile proprio per ignoranza delle cose, non ne segue immediatamente però che sbagli chi ignora qualcosa, bensí chi crede di sapere quel che non sa: costui infatti accetta il falso come se fosse vero, che è il proprio dell’errore 25. Nondimeno la materia dell’errore conta moltissimo; infatti è secondo un giusto principio che in un’unica e identica cosa si preferisca chi sa a chi non sa e chi non erra a chi erra. Prendiamo invece cose diverse, come quando uno conosce una cosa e un altro ne conosce un’altra, il primo conosce una cosa piú utile e il secondo una cosa meno utile, o addirittura dannosa: rispetto alle cose conosciute da quest’ultimo chi non preferirebbe uno che le ignori? Ci sono cose, infatti, che è meglio ignorare che conoscere. Ugualmente ad alcuni tornò utile errare, ma nella via da percorrere a piedi, non in quella dei propri costumi. A noi stessi infatti capitò di sbagliare dinanzi ad un bivio e di non prendere la strada dove s’erano appostati a mano armata i Donatisti, attendendo il nostro passaggio; ci accadde quindi di raggiungere la meta dopo una lunga deviazione e, venuti a conoscenza del loro agguato, ci rallegrammo dell’errore, ringraziandone Dio. Chi potrebbe esitare ad anteporre un viandante che commette quest’errore ad un bandito che non lo commette? Per questo, forse, quel grande poeta fa dire ad un amante infelice: Vidi, mi sentii perduto e un cattivo errore mi travolse 26, poiché c’è anche un errore buono, che non solo è innocuo, ma può addirittura essere di qualche utilità. Tuttavia, ad una considerazione piú attenta della verità risulta che errare non è altro che ritenere vero quello che è falso e falso quello che è vero, oppure prendere il certo per l’incerto e l’incerto per il certo, sia esso falso o vero, e questo è in un’anima indecoroso e sconveniente, nella misura in cui avvertiamo che è bello e degno il Sí, sí; no, no 27, con cui si parla o si approva. Di conseguenza l’infelicità di questa nostra vita che stiamo vivendo dipende proprio dal fatto che qualche volta l’errore è necessario per non perderla. Non sia cosí però quella vita, in cui la verità in persona è vita della nostra anima 28, una vita nella quale nessuno inganna e nessuno è ingannato. Qui invece gli uomini ingannano e sono ingannati, e sono piú infelici quando ingannano con la menzogna di quando sono ingannati, credendo ai mentitori. Una natura dotata di ragione rifiuta tuttavia la falsità ed evita, per quanto possibile, l’errore, al punto che nemmeno quanti amano ingannare vogliono essere ingannati. Colui che mente, infatti, non pensa di essere nell’errore, ma di spingere nell’errore l’altro che gli crede. E l’errore non riguarda certamente quella cosa che egli ha avvolto nella menzogna, se egli sa quale sia la verità; s’inganna tuttavia proprio in quanto suppone che la menzogna non gli nuoccia, mentre ogni peccato nuoce piú a chi lo commette che a chi lo subisce.

 

Un problema molto difficile: il giusto in qualche caso ha il dovere di mentire?

6. 18. Sorge qui una questione delle piú difficili e oscure, che abbiamo già affrontato in un grande libro, incalzati dalla necessità di trovare una risposta : i doveri dell’uomo giusto contemplano in qualche caso la possibilità di mentire? Alcuni si spingono fino a sostenere che talvolta è azione buona e pia lo spergiurare e il mentire, anche nei casi che riguardano il culto divino e la stessa natura di Dio. A me pare invece che ogni menzogna è certamente peccato, ma contano molto l’intenzione e l’oggetto della menzogna. Chi mente con la volontà di prestare un servizio non pecca come colui che lo fa con la volontà di nuocere, oppure il danno arrecato da chi, mentendo, pone il viandante su un’altra strada non equivale a quello di chi distorce la via della vita con una menzogna ingannatrice. Nessuno poi, che dica il falso ritenendolo vero, dev’essere accusato di menzogna, poiché, per quanto sta in lui, egli non inganna, ma è ingannato. Pertanto non bisogna incolpare di menzogna, ma in qualche caso di leggerezza, colui che ritiene come vere cose false, alle quali ha dato credito incautamente. Al contrario è una menzogna bella e buona quella di chi, per quanto dipende da lui, dice che è vero quel che ritiene falso. Per quanto attiene alla sua intenzione, egli infatti non dice il vero, poiché non dice ciò che sente, anche se risultasse vero quel che dice, né è assolutamente libero dalla menzogna uno che a parole dice il vero, ignorandolo, ma che mente con deliberata coscienza. Pertanto, a prescindere dalle cose di cui si parla e riferendoci solo all’intenzione, colui che, stando nell’ignoranza, dice il falso ritenendolo vero, è migliore di chi consapevolmente coltiva l’intenzione di mentire, ignorando che quanto dice è vero: il primo infatti ha sulle labbra quel che ha nel cuore, mentre il secondo, indipendentemente dalle cose stesse che dice, non manifesta con la bocca quel che tiene racchiuso dentro di sé 29, e questo è il male proprio della menzogna. Se poi prendiamo in considerazione le cose che si dicono, diviene rilevante la materia stessa dell’inganno o della menzogna, al punto che, pur essendo l’essere ingannato un male minore rispetto al mentire per quanto attiene alla volontà soggettiva, è tuttavia di gran lunga piú accettabile mentire in ciò che è privo di implicazioni religiose, che ingannarsi in ciò di cui si deve aver fede o conoscenza per poter venerare Dio. Esemplificando, consideriamo il caso in cui un tale, mentendo, dichiari vivo uno che è morto ed un altro, ingannandosi, creda che Cristo, dopo un lasso imprecisato di tempo, morirà una seconda volta : ebbene, non è forse incomparabilmente preferibile mentire nel primo caso, che ingannarsi nel secondo, e non è un male di gran lunga minore indurre qualcuno in quell’errore, piuttosto che essere indotto in questo da altri?

 

I confini tra l’inganno e il peccato.

6. 19. Dunque in certi casi l’inganno in cui cadiamo è un grande male, in altri è piccolo, in altri assente, in altri ancora è addirittura un qualche bene. È un grande male infatti quello per cui l’uomo s’inganna, quando non crede a ciò che conduce alla vita eterna, oppure crede a ciò che conduce alla morte eterna; si tratta invece di un male piccolo quando chi s’inganna, accettando il falso come se fosse vero, incappa in alcune pene temporali, che tuttavia la pazienza cristiana, chiamata in causa, volge ad un uso buono; come quando qualcuno, ritenendo buona una persona in realtà cattiva, ne riceve qualche male. Chi invece ritiene cattiva una persona in realtà cosí buona, da non riceverne alcun male, non è assolutamente ingannato e non cade sotto i colpi della maledizione del Profeta: Guai a coloro che chiamano male il bene 30. Si deve comprendere infatti che questo è stato detto delle cose per le quali gli uomini sono cattivi, non degli uomini in quanto tali. Di conseguenza è giustamente condannato dalla parola del Profeta chi definisce l’adulterio un bene; chi poi definisce buono l’uomo stesso, che ritiene casto, senza sapere che è adultero, s’inganna in relazione non alla dottrina del bene e del male, ma ai segreti della condotta umana; costui chiama buono l’uomo in cui ravvisa qualcosa che riconosce come buono, definendo cattivo chi è adultero e buono chi è casto, ma definisce buono quest’uomo, senza sapere che è adultero, non casto. Peraltro se qualcuno sfugge per errore ad un pericolo, come ho già detto che ci capitò in un viaggio, a quell’uomo è capitato per errore anche un qualche bene. Quando però affermo che in taluni casi l’inganno non comporta alcun male o addirittura qualche bene, non intendo dire che è l’errore in sé a non comportare alcun male o un qualche bene; mi riferisco piuttosto al male che non sopraggiunge o al bene che sopraggiunge tramite l’errore, vale a dire che cosa non risulta o che cosa deriva dall’errore in sé. Infatti, l’errore in sé, in quanto tale, sia esso grande o piccolo in rapporto alla situazione, è pur sempre un male. In effetti chi potrebbe negare, se non per errore, che sia un male l’approvare il falso come vero o riprovare il vero come falso, o prendere l’incerto come certo e viceversa? Ma altro è ritenere buono un uomo cattivo, che è proprio un errore, altro non subire da questo male un male ulteriore, nel caso in cui un uomo cattivo, ritenuto buono, non provochi alcun danno. Allo stesso modo altro è ritenere come una via quella che non lo è, altro il fatto che dal male in cui consiste quest’errore deriva un qualche bene, come il sottrarsi agli agguati di uomini cattivi.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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