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LA VERA RELIGIONE di sant'Agostino Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2017 19:00
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Sesso: Femminile
11/11/2017 18:46
 
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Equivoci e valutazioni errate.

7. 20. Non so proprio se questi possano essere addirittura errori: quando un uomo si fa una buona opinione di un uomo cattivo, senza conoscerlo realmente, oppure quando si presentano, in luogo delle percezioni sensibili, immagini simili percepite dallo spirito quasi materialmente o dal corpo quasi spiritualmente (cosí pensava l’apostolo Pietro, quando fu improvvisamente liberato dalla prigione e dalle catene per opera di un angelo, ritenendo d’avere una visione 31); oppure quando nelle stesse cose materiali si ritiene levigato quello che invece è ruvido, o dolce quello che è amaro, o profumato quello che è putrido, oppure si scambia per un tuono il passaggio di una carrozza, o una persona per un’altra, quando i due si assomigliano moltissimo, come spesso capita nei gemelli (donde l’espressione errore caro ai genitori 32; e via dicendo per casi simili, che non so se debbano chiamarsi peccati. Non mi sono nemmeno interessato a sbrogliare un problema intricatissimo, che ha tormentato gli uomini piú perspicaci come gli Accademici, se cioè il sapiente debba davvero ammettere qualcosa per evitare di cadere in errore, ammettendo il falso al posto del vero, visto che tutte le cose, come sostengono, sono nascoste o incerte. Perciò ho portato a termine tre volumi all’inizio della mia conversione, per sbarazzarci dell’ostacolo che quelli ci opponevano in un certo senso sulla soglia; si doveva certamente rimuovere la sfiducia di trovare la verità, che sembra rafforzarsi grazie ai loro argomenti. Fra loro quindi ogni errore è assimilato ad un peccato che ritengono inevitabile, se non si sospende ogni assenso. Chiunque esprime il proprio assenso su cose incerte, essi dicono, sbaglia: con le polemiche piú sottili, ma anche le piú spudorate, sostengono infatti che non c’è niente di certo nelle vedute degli uomini, a motivo di una somiglianza che non lascia riconoscere il falso, anche nella eventualità in cui apparenza e verità coincidano. Fra noi invece il giusto vive di fede 33. Ma togliere l’assenso equivale a togliere la fede: senza assenso non si crede nulla. E se non si crede ad alcune verità, anche non evidenti, è impossibile conseguire la vita beata, che è necessariamente eterna. Io non so, fra l’altro, se dobbiamo confrontarci con questa gente, che ignora non tanto di vivere eternamente, quanto di vivere attualmente: anzi afferma di ignorare proprio ciò che è impossibile ignorare. A nessuno è dato infatti di ignorare il proprio vivere, dal momento che, se non vive, non può neppure ignorare qualcosa, poiché è proprio del vivente non solo sapere, ma anche ignorare. Ma evidentemente, evitando di pronunziarsi sul proprio vivere, credono di evitare l’errore, mentre anche attraverso l’errore viene provato il vivere, poiché solo chi non vive non può errare. Come dunque il nostro vivere è non solo cosa vera, ma anche certa, allo stesso modo sono molte le cose vere e certe alle quali il negare il proprio assenso mai e poi mai dev’esser considerato un atto di sapienza, invece che di follia.

 

Quando l’errore non è peccato, ma solo espressione di fragilità terrena.

7. 21. Quanto poi alle cose che è del tutto irrilevante credere o non credere per raggiungere il regno di Dio, come pure che siano o si ritengano vere o false, non si deve supporre che in questi casi l’errare, cioè il pensare una cosa per un’altra, sia peccato; tutt’al piú si tratta del peccato piú piccolo e lieve. In ultima analisi, quale che ne sia la natura e la gravità, esso non concerne quella via attraverso cui giungiamo a Dio, cioè la via della fede in Cristo, che opera per mezzo della carità 34. Non costituiva un allontanamento da quella via l’errore caro ai genitori a proposito dei figli gemelli; neppure se ne allontanava l’apostolo Pietro, allorché, credendo di avere una visione, scambiava una cosa per un’altra, al punto da non riconoscere, fra le immagini dei corpi in mezzo alle quali credeva di trovarsi, i corpi veri fra i quali si trovava, fino a quando non si allontanò da lui l’angelo dal quale era stato liberato 35; non si allontanava neppure da quella via il patriarca Giacobbe, quando credeva che fosse stato ucciso da una belva il figlio che era vivo 36. In base a queste falsità, e ad altre analoghe, fatta salva la fede che abbiamo in Dio, noi ci inganniamo e sbagliamo, sia pure senza abbandonare la via che conduce a Lui. Tali errori, anche se non sono peccati, sono comunque addebitabili ai mali di questa vita, talmente sottomessa alla caducità37, che in essa si accetta il falso per il vero, si respinge il vero per il falso, si tiene l’incerto per il certo. Pur essendo aspetti estranei a quella fede, in virtú della quale, quand’è vera e certa, noi tendiamo alla beatitudine eterna, non sono tuttavia estranei a quella infelicità in mezzo alla quale tuttora ci troviamo. Di sicuro non ci inganneremmo assolutamente in qualche percezione spirituale o materiale, se godessimo già di quella felicità vera e perfetta.

 

Ogni menzogna è peccato, anche se veniale, quando viene commessa per il bene di un altro.

7. 22. Eppure si deve dire che ogni menzogna è peccato, poiché l’uomo, non solo quando egli stesso conosce ciò che è vero, ma anche se erra e s’inganna come ogni uomo, deve dire ciò che porta nel cuore, sia esso o lo si ritenga vero o falso. Invece chiunque mente parla con l’intenzione d’ingannare, contraddicendo quel che pensa, mentre il linguaggio è stato senza dubbio istituito non perché gli uomini s’ingannino reciprocamente, ma perché ciascuno porti a conoscenza degli altri i propri pensieri. Perciò usare il linguaggio per mentire, contro il suo fine originario, è peccato. Né si deve pensare ad una qualche menzogna che non sia peccato, per il fatto che mentendo talvolta possiamo giovare agli altri. Infatti ciò possiamo farlo anche rubando, quando il povero, al quale pubblicamente si dà, avverte il vantaggio e il ricco, a cui di nascosto si toglie, non lo avverte: non per questo però qualcuno potrebbe dire che non è peccato. Lo possiamo fare anche commettendo adulterio, quando una donna pare sul punto di morire d’amore se non si acconsente a lei e pronta a purificarsi pentendosene, se continuerà a vivere: non per questo si potrà negare che tale adulterio sia peccato. Se apprezziamo a buon diritto la castità, perché mai ci indispone la verità, al punto da non violare la prima per il vantaggio di altri e da violare invece la seconda con la menzogna? Indubbiamente non si può negare l’enorme progresso verso il bene, conseguito da quanti mentono unicamente per la salvezza di qualcuno; ma in tale loro progresso ciò che a buon diritto si elogia, o che addirittura viene ricompensato sul piano temporale, è la benevolenza, non l’inganno; è già abbastanza passarvi sopra, senza però esaltarlo, soprattutto da parte degli eredi del Nuovo Testamento, ai quali si dice: Sia il vostro parlare sí, sí; no, no; il di piú viene dal maligno 38. Per questo stesso male, che non cessa mai d’insinuarsi in questa condizione mortale, gli stessi coeredi di Cristo 39 dicono: Rimetti a noi i nostri debiti 40.

 

Le cause delle cose buone e di quelle cattive.

8. 23. Dopo aver dunque affrontato questi problemi con la brevità che qui è necessaria, poiché si debbono conoscere le cause delle cose buone e di quelle cattive, per quanto lo richiede la via che ci conduce al regno dove la vita sarà senza morte, la verità senza errore, la felicità senza turbamento, non dobbiamo affatto dubitare che la causa delle cose buone che ci toccano è solo la bontà di Dio, mentre delle cattive è la volontà di un bene mutevole che abbandona un bene immutabile, prima nell’angelo, quindi nell’uomo.

 

Il primo male nella creatura razionale e le sue conseguenze.

8. 24. È questo il primo male in una creatura razionale, ossia la prima privazione di bene. In seguito è subentrata, anche involontariamente, l’ignoranza circa le cose da farsi e la concupiscenza di quelle dannose, alle quali si aggregano come compagni l’errore e il dolore; l’impulso spirituale che cerca di scansare questi due mali, percepiti come imminenti, si chiama timore. A sua volta l’anima, quando giunge alla realizzazione delle proprie voglie, per quanto funeste e futili, senza che possa avvedersene per l’errore, viene sopraffatta da un piacere malsano, o addirittura scombussolata da una vuota euforia. Da questi malesseri, che sono fonte non di sovrabbondanza, ma di indigenza, scaturisce per la natura razionale ogni infelicità.

 

La morte del corpo come pena propria dell’uomo.

8. 25. Eppure tale natura, in mezzo a questi mali, non ha potuto perdere l’aspirazione alla beatitudine. Questi mali sono comunque comuni agli uomini e agli angeli, condannati dalla giustizia di Dio in rapporto alla loro malizia. L’uomo poi ha anche una propria pena, secondo la quale è punito anche con la morte del corpo. Dio gli aveva comminato il castigo della morte qualora avesse peccato 41, dotandolo del libero arbitrio, in modo però che il suo comando lo guidasse e la perdizione lo trattenesse, e lo collocò nella felicità del paradiso 42, quasi una parvenza di vita, da dove, avendo osservato la giustizia, potesse ascendere verso realtà superiori.

 

La trasmissione del peccato originale.

8. 26. Esiliato da qui dopo il peccato, vincolò con la pena della morte e della dannazione anche la propria stirpe, che peccando aveva contaminato in se stesso, come nelle sue radici: cosí qualsiasi discendente, nato da lui e dalla sua sposa (condannata anch’essa, essendo stata per lui occasione di peccato) tramite quella concupiscenza carnale, in cui veniva fatta corrispondere una pena simile alla sua disobbedienza, avrebbe tratto con sé il peccato originale; e questo a sua volta lo avrebbe tratto, attraverso vari errori e dolori, al castigo estremo e senza fine insieme agli angeli ribelli, suoi corruttori, padroni e complici. Cosí a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte; cosí essa ha raggiunto tutti gli uomini, poiché tutti in lui hanno peccato 43. E l’Apostolo in quel punto ha chiamato " mondo " l’intero genere umano.

 

La massa condannata del genere umano in mezzo ai mali sconta, insieme agli angeli ribelli, giuste pene che non sconfessano la bontà del creatore.

8. 27. Le cose stavano dunque in questo modo: la massa condannata di tutto il genere umano languiva fra i mali, o addirittura vi si rotolava, precipitando da un male all’altro e, congiunta a quella parte degli angeli che avevano peccato, scontava pene piú che meritate per la propria empia diserzione. Indubbiamente rientra nella giusta collera di Dio tutto ciò che i malvagi compiono volentieri con cieca e indomita concupiscenza e tutto ciò che malvolentieri subiscono con pene esplicite e manifeste; certo la bontà del creatore non cesserà di trasmettere anche agli angeli cattivi la vita ed una attiva vitalità, senza la trasmissione delle quali essi perirebbero; non cessa neppure di formare ed animare i germi vitali degli uomini, anche se nascono da una stirpe corrotta e condannata, ordinandone le membra secondo l’articolazione temporale e la collocazione spaziale, vivificandone la sensibilità, assicurando l’alimentazione. Ritenne preferibile infatti operare il bene a partire dal male, anziché non lasciar sussistere alcun male. E se Dio non avesse voluto alcun miglioramento per gli uomini, cosí come non v’è per gli angeli empi, non sarebbe stato forse giusto che fosse da lui interamente abbandonata per sempre, espiando una pena eterna e proporzionata, quella natura che ha abbandonato Dio e, abusando della propria facoltà, ha conculcato e trasgredito l’insegnamento del suo creatore, che avrebbe potuto osservare con la massima facilità; che ha profanato in se stessa l’immagine del suo autore, dopo essersi fieramente allontanata dalla sua luce; che ha sradicato dalle sue leggi, in virtú di un uso cattivo del libero arbitrio, ogni salutare sottomissione? Indubbiamente Dio avrebbe fatto questo, se fosse solo giusto, non anche misericordioso, e se non mostrasse molto piú chiaramente la sua misericordia gratuita liberando soprattutto chi non lo merita.

 

La beatitudine eterna degli angeli fedeli.

9. 28. In seguito poi all’abbandono di Dio, con empia superbia, da parte di alcuni angeli, sprofondati dall’alto della loro dimora celeste nella piú bassa oscurità di questa atmosfera, il resto degli angeli è rimasto con Dio in eterna beatitudine e santità. E non c’è stata la benché minima discendenza nemmeno da un solo angelo, caduto e condannato, in modo che un male originale li vincolasse come gli uomini con le catene di una colpa che si tramanda, trascinandoli tutti quanti alle pene dovute; ma dopo l’atto di superbia di colui che fu trasformato in diavolo, commesso con complici di empietà, tutti gli altri con pia obbedienza si unirono al Signore, ricevendo anche una scienza certa, che non ebbero i primi, grazie alla quale poter essere sicuri di una saldezza eterna e assolutamente incrollabile.

 

Gli uomini subentreranno agli angeli ribelli, confermando il numero dei beati che solo Dio conosce.

9. 29. A Dio quindi, creatore e signore dell’universo, dal momento che non tutta la moltitudine degli angeli s’era perduta abbandonandolo, piacque che la moltitudine perduta rimanesse nell’eterna perdizione e che quella che era rimasta con Lui al momento della diserzione degli altri, godesse per sempre della sua futura felicità, conosciuta con assoluta certezza, mentre l’altra creatura razionale costituita dagli uomini, che s’era tutta perduta per i peccati ed i castighi, sia originali che personali, parzialmente riabilitata, colmasse il vuoto lasciato nella società angelica da quella caduta diabolica. Ai santi, nell’atto della risurrezione, è stato infatti promesso che saranno uguali agli angeli di Dio 44. Cosí la Gerusalemme superiore, che è nostra madre, la città di Dio, non verrà defraudata nel numero dei suoi cittadini o forse regnerà su una moltitudine ancora piú numerosa. Noi non conosciamo il numero né degli uomini santi, né dei demoni immondi, subentrando ai quali sussisteranno senza alcun limite di tempo i figli della santa madre, che sembrava sterile sulla terra 45, in quella pace dalla quale quelli decaddero. Ma il numero, attuale o futuro, di quei cittadini è oggetto di contemplazione del suo artefice, che chiama le cose che non sono come quelle che sono 46 e tutto dispone con misura, calcolo e peso 47.

 

La liberazione del genere umano avviene per opera del figlio di Dio.

9. 30. Questa parte del genere umano, a cui Dio promette la liberazione e il regno eterno, può forse riabilitarsi in virtú dei meriti delle sue proprie opere? È impensabile. Quali opere di bene può compiere chi si è perduto, se non nella misura in cui sarà stato liberato dalla sua perdizione? Potrà farlo grazie al libero arbitrio della volontà ? Anche questo è impensabile: abusando infatti del libero arbitrio, l’uomo si perde e lo perde. Come infatti chi si uccide, può farlo indubbiamente in quanto vive, mentre non vive in quanto si uccide e, una volta uccisosi, non potrà risuscitare se stesso, allo stesso modo, peccando grazie al libero arbitrio, si è perduto il libero arbitrio per il trionfo del peccato. Uno è schiavo di ciò che l’ha sottomesso 48: è questo un pensiero proprio dell’apostolo Pietro ed essendo vero mi domando se la libertà di uno schiavo sottomesso non si riduca che al compiacimento del peccato. Serve in modo libero chi compie volentieri la volontà del suo padrone; perciò è libero per il peccato chi è schiavo di esso. Di conseguenza sarà libero di operare con giustizia solo chi avrà cominciato ad essere schiavo della giustizia, una volta liberato dal peccato. È questa la vera libertà per la gioia dell’azione retta e insieme una pia schiavitú per l’obbedienza dell’insegnamento. Ma questa libertà di operare il bene donde proverrà all’uomo sottomesso e venduto, se non per l’opera redentrice di colui che ha esclamato: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero 49? E prima che nell’uomo questo cominci a verificarsi, come potrà gloriarsi di un’opera buona che scaturisca dal libero arbitrio chi non è ancora libero di operare il bene, senza ostentare presuntuosamente vuota superbia? È quel che reprime l’Apostolo con le parole: Per la grazia siete stati salvati mediante la fede 50.

 

Anche la fede, da cui provengono le opere buone, è opera della grazia.

9. 31. E perché gli uomini non si attribuissero nemmeno questa fede, al punto da non comprendere che è un dono divino, il medesimo Apostolo, che pure sostiene in un altro punto d’aver ottenuto misericordia per la sua fede 51, ha aggiunto anche queste parole: E ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né dalle opere, perché nessuno possa vantarsene 52. Perché poi non si pensasse che i fedeli potessero rimanere senza opere buone, ha soggiunto ulteriormente: Siamo sua immagine, creati in Cristo Gesú per le opere buone che Dio ha predisposto perché in esse progredissimo 53. Siamo dunque resi veramente liberi, nella misura in cui Dio ci plasma, cioè ci forma e ci crea, non per essere uomini, ciò che già fece, ma uomini buoni; ciò che ora fa la sua grazia, per essere nuova creatura in Cristo Gesú 54, secondo quanto è stato detto: Crea in me, o Dio, un cuore puro 55. E non è che il suo cuore, il cuore dell’uomo in senso naturale, Dio non l’avesse già creato.

 

L’Apostolo e tutta la Scrittura insegnano che Dio suscita in noi il volere e l’operare.

9. 32. Parimenti, perché nessuno si vanti, non dico delle opere, ma dello stesso libero arbitrio della volontà, come se da esso nasca un merito, a cui la libertà di operare il bene spetti come premio dovuto, presti ascolto alle parole del medesimo araldo della grazia: È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare conformemente alla sua volontà buona 56. E altrove: Non dipende quindi né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio 57. Non c’è dubbio che un uomo, se ha ormai raggiunto l’età in cui si ha l’uso di ragione, non potrebbe credere, sperare, amare se non lo volesse, né raggiungere il premio che Dio ci chiama a ricevere lassú senza correre volontariamente 58: com’è dunque possibile che non dipenda né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, se non perché la stessa volontà, come sta scritto, è prediposta dal Signore 59? Del resto, se è stato detto: Non dipende né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, in quanto sono entrambe indispensabili, vale a dire la volontà dell’uomo e la misericordia di Dio, cerchiamo di prendere le parole: Non dipende né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, come se si dicesse che la sola volontà dell’uomo è insufficiente, senza il concorso della misericordia di Dio. Non è dunque sufficiente nemmeno la misericordia di Dio da sola, senza il concorso della volontà dell’uomo; perciò se è stato detto giustamente: Non dipende né dalla volontà dell’uomo, ma dalla misericordia di Dio, in quanto la volontà dell’uomo da sola non basta, perché, al contrario, non è giusto dire: " Non dipende dalla misericordia di Dio, ma dalla volontà dell’uomo ", dal momento che la misericordia di Dio da sola non basta? Certamente se nessun cristiano oserà affermare che tutto dipende dalla volontà dell’uomo, non dalla misericordia di Dio, per non mettersi nella contraddizione piú stridente con l’Apostolo, per una comprensione corretta dell’espressione: Non dipende né dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio, non resta che riconoscere tutto a Dio, che predispone la buona volontà dell’uomo e la sorregge dopo averla predisposta. In effetti la buona volontà dell’uomo precede molti doni di Dio, ma non tutti, ed essa stessa si trova fra quelli che non precede. Di entrambi i casi si legge nelle Sacre Scritture: La sua misericordia mi preverrà60, e: La sua misericordia mi seguirà 61. Previene chi non vuole, perché voglia; segue chi vuole, perché non voglia invano. Non ci viene forse comandato di pregare per i nostri nemici 62, soprattutto per quanti non vogliono vivere religiosamente, unicamente perché in loro sia opera di Dio anche il volere? Ugualmente, perché mai siamo esortati a chiedere per ottenere 63, se non perché sia fatto ciò che noi vogliamo da colui al quale si deve il nostro volere? Noi dunque preghiamo per i nostri nemici perché li prevenga la misericordia di Dio, cosí come ha prevenuto anche noi, ma preghiamo anche per noi, perché la sua misericordia ci segua.

 

La giusta condanna del genere umano prima della venuta del Salvatore.

10. 33. Il genere umano stava dunque sotto una giusta condanna e tutti erano figli di quella collera, di cui è stato scritto: Tutti i nostri giorni sono venuti meno ed anche noi siamo venuti meno nella tua collera; i nostri anni saranno considerati come una ragnatela 64. Anche Giobbe ne parla: L’uomo, nato di donna, ha una vita breve e piena di collera 65. E pure il Signore Gesú: Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi invece non crede nel Figlio non ha la vita, ma la collera di Dio resta su di lui 66; non dice: " Verrà ", ma: Resta su di lui. Ogni uomo nasce infatti assieme ad essa e per questo l’Apostolo dice: Fummo infatti anche noi per natura figli della collera, come gli altri 67. Trovandosi dunque gli uomini in questa collera per il peccato originale, in una condizione tanto piú grave e pericolosa quanto piú grandi e piú numerosi erano i pesi ch’essi vi avevano addossato, era necessario un mediatore, cioè un riconciliatore, che placasse questa collera con l’offerta di un sacrificio unico, adombrato da tutti i sacrifici della Legge e dei Profeti. Di qui le parole dell’Apostolo: Se infatti, quand’eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, a maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dalla collera per mezzo suo 68. Quando però si parla della collera di Dio, non s’intende un suo turbamento, come è nell’anima di un uomo che va in collera; piuttosto, per una metafora tratta dalle emozioni umane, la sua punizione, che non può essere che giusta, ha preso il nome di collera. In quanto dunque noi ci riconciliamo con Dio per mezzo di un mediatore e riceviamo lo Spirito Santo, che ci trasforma da nemici in figli (tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio 69), questo lo dobbiamo alla grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesú Cristo.

 

Il mirabile sacramento del mediatore.

10. 34. Di questo mediatore sarebbe troppo lungo parlare come merita, ancorché sia impossibile per l’uomo parlarne davvero come merita. Chi potrebbe spiegare con parole adeguate che il Verbo si fece carne ed abitò tra di noi 70, in modo da credere nell’unico Figlio di Dio Padre onnipotente, nato dallo Spirito Santo e da Maria vergine? Cosí infatti il Verbo s’è fatto carne, essendo stata la carne assunta dalla divinità, non la divinità trasformata in carne. Peraltro qui dobbiamo intendere carne come sinonimo di uomo, secondo un’espressione in cui la parte sta per il tutto, come quando è stato detto: Poiché in virtú delle opere della Legge non sarà giustificata nessuna carne 71, cioè nessun uomo. Ed è lecito dire che in quella condizione da Lui assunta non è mancato nulla alla natura umana, una natura, tuttavia, assolutamente libera da ogni vincolo di peccato: non come quella nata dall’unione dei sessi per mezzo della concupiscenza della carne con l’ipoteca di un peccato, la cui colpevolezza è lavata dalla rigenerazione, ma quale doveva nascere da una vergine, concepita dalla fede della madre, non dalla passione. Se con la sua nascita ne fosse stata compromessa l’integrità, non sarebbe piú nato da una vergine e, cosa impensabile, in modo falso tutta la Chiesa confesserebbe che Egli è nato dalla Vergine Maria, quella Chiesa che ogni giorno partorisce le sue membra, pur restando vergine, ad imitazione di sua madre. Leggi, se vuoi, la mia lettera sulla verginità santa di Maria, inviata a Volusiano, un uomo illustre che ricordo con stima e affetto.

 

Due nature nell’unica persona del Figlio di Dio.

10. 35. Perciò Gesú Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo: Dio prima di tutti i secoli, uomo nel nostro secolo; è Dio in quanto Verbo di Dio (e il Verbo era Dio 72), uomo in quanto nell’unità della persona al Verbo si sono aggiunte l’anima razionale e la carne. Di conseguenza, in quanto è Dio, Egli e il Padre sono una cosa sola 73; in quanto poi è uomo, il Padre è maggiore di Lui 74. Essendo infatti unico Figlio di Dio, non per grazia, ma per natura, è divenuto anche figlio dell’uomo, per essere ugualmente pieno di grazia 75: e sempre Lui è l’uno e l’altro, dall’uno e dall’altro unico Cristo. In effetti, nonostante la sua condizione divina, non considerò un’usurpazione ciò che era per natura, vale a dire la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo76, senza perdere o diminuire la condizione divina. Perciò si è fatto inferiore ed è rimasto uguale, unico ad essere l’uno e l’altro, come si è detto, ma l’uno in quanto Verbo, l’altro in quanto uomo: in quanto Verbo uguale, in quanto uomo inferiore; unico Figlio di Dio, che è anche figlio dell’uomo; unico figlio dell’uomo, che è anche Figlio di Dio: non Dio e uomo, come due figli di Dio, ma un unico Figlio di Dio; Dio senza origine, uomo da un’origine definita, il Signore nostro Gesú Cristo.

 

La natura umana di Cristo manifesta la sovrabbondanza della grazia divina.

11. 36. Qui è la grazia di Dio che viene raccomandata in modo assolutamente sublime ed esplicito. Quali meriti aveva infatti la natura umana in Cristo uomo, da essere assunta individualmente nell’unità della persona dell’unico Figlio di Dio? Quale buona volontà, quale ricercata buona intenzione, quali buone opere hanno assicurato a quest’uomo un merito anteriore, per diventare una persona sola con Dio? È forse stato un uomo anteriormente e gli è stato accordato questo singolare beneficio, per una benemerenza singolare presso Dio? Naturalmente da quando cominciò ad essere uomo, non cominciò ad essere nient’altro che Figlio di Dio, e Figlio unico; e ciò a causa di Dio Verbo, che, dopo aver assunto l’umanità, è diventato carne, comunque sempre Dio; come qualsiasi uomo è una sola persona, cioè anima razionale e carne, cosí è una sola persona anche Cristo, Verbo e uomo. Donde mai proviene alla natura umana tutta questa gloria, indubbiamente gratuita non essendoci stati meriti precedenti, se non per il fatto che qui si manifesta con evidenza, a chi consideri la cosa lucidamente, la grande e unica grazia di Dio ? Cosí gli uomini potranno comprendere che sono giustificati dai peccati in virtú della medesima grazia, alla quale si deve l'impossibilità per l’uomo Cristo di avere alcun peccato. È cosí che l’angelo, preannunziando la futura nascita, salutò sua madre: Ave, disse, o piena di grazia. E un po’ piú avanti: Hai trovato grazia presso Dio 77. Si dice infatti che è piena di grazia e che ha trovato grazia presso Dio perché potesse essere madre del suo Signore, anzi del Signore di tutti. Del medesimo Cristo l’evangelista Giovanni, dopo aver detto: E il Verbo si fece carne ed abitò in mezzo a noi, aggiunge: E noi vedemmo la sua gloria, come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità 78. Dire: il Verbo si fece carne, equivale a dire: pieno di grazia; dire poi: la gloria dell’unigenito del Padre, equivale a dire: pieno di verità. Infatti la Verità in persona, unigenito Figlio di Dio non per grazia, ma per natura, assunse per grazia la natura umana in una tale unità personale, da poter essere Egli stesso anche figlio dell’uomo.

 

La nascita dallo Spirito Santo, ulteriore testimonianza della grazia.

11. 37. Il medesimo Gesú Cristo, Figlio di Dio unigenito, cioè unico, Signore nostro, è nato dallo Spirito Santo e da Maria vergine. Ebbene lo Spirito Santo è sicuramente dono di Dio, senza dubbio in sé uguale a chi lo dona: perciò anche lo Spirito Santo è Dio, non inferiore al Padre e al Figlio. Il fatto dunque che la nascita umana di Cristo procede dallo Spirito Santo non è forse una manifestazione della stessa grazia? Quando la vergine domandò all’angelo come potesse accadere quanto le annunziava, dal momento che lei non conosceva uomo, l’angelo le rispose: Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo stenderà su di te la sua ombra; colui che nascerà da te sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio 79. E quando Giuseppe voleva ripudiarla, sospettando un adulterio, sapendo che la sua gravidanza non dipendeva da lui, ricevette dall’angelo questo responso: Non temere di prendere Maria come tua sposa, perché quel che è stato generato in lei viene dallo Spirito Santo 80; in altri termini, ciò che tu sospetti dipenda da un altro uomo, dipende dallo Spirito Santo.

 

In che senso Cristo è figlio dello Spirito Santo e della Vergine Maria.

12. 38. Potremo tuttavia affermare, per questo, che il padre dell’uomo Cristo sia lo Spirito Santo, in modo che Dio Padre abbia generato il Verbo e lo Spirito Santo l’uomo, derivando dall’una e dall’altra sostanza un solo Cristo, figlio di Dio Padre in quanto Verbo e dello Spirito Santo in quanto uomo, per il fatto che lo Spirito lo avrebbe generato dalla madre vergine come se fosse suo padre? Chi oserà affermarlo? Non c’è bisogno di mostrare, continuando la discussione, le altre conseguenze assurde, dal momento che questa stessa tesi è già cosí assurda, che non ci sono credenti in grado di stare ad ascoltarla. Perciò il Signore nostro Gesú Cristo (tale è la nostra confessione), che è Dio da Dio, ma è nato come uomo dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, nell’una e nell’altra sostanza, vale a dire in quella divina e in quella umana, è l’unico Figlio di Dio Padre onnipotente, dal quale procede lo Spirito Santo. Allora come diciamo che Cristo è nato dallo Spirito Santo, se lo Spirito Santo non lo ha generato? Forse perché lo fece? Infatti del Signore nostro Gesú Cristo, in quanto è Dio, diciamo che tutto è stato fatto per mezzo di Lui 81; ma in quanto è uomo, anch’egli è stato fatto, come dice l’Apostolo: È stato fatto dalla stirpe di Davide secondo la carne 82. Perché mai allora, dal momento che quella creatura, concepita e partorita dalla Vergine, benché appartenente alla sola persona del Figlio, è la Trinità intera che l’ha fatta – e le opere della Trinità sono indisgiungibili –, in tale opera è stato nominato solo lo Spirito Santo? Quando viene nominata una sola delle tre persone, si deve intendere tutta quanta la Trinità? È proprio cosí e lo si può illustrare con alcuni esempi, ma non è il caso di indugiare ulteriormente su questo punto. Ciò che colpisce è come si sia potuto dire: Nato dallo Spirito Santo 83, dal momento che non è assolutamente figlio dello Spirito Santo. Né d’altra parte, solo perché Dio fece questo mondo, è lecito dire che esso è figlio o che è nato da Dio; piuttosto possiamo dire correttamente che è stato fatto, o creato, o costituito da lui, o qualcosa del genere. Quando dunque qui noi confessiamo che Egli è nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, è difficile spiegare come non sia Figlio dello Spirito Santo, ma della Vergine Maria, pur essendo nato dall’uno e dall’altra; indubbiamente non è nato da quello come da un padre, mentre è nato da lei come da una madre.

 

  Nascere ed essere figlio non sempre si equivalgono.

12. 39. Non si deve concedere, dunque, che tutto quel che nasce da qualcosa, immediatamente debba esserne proclamato figlio. Prescinderei dal fatto che un figlio nasce da un uomo in modo diverso da un capello, un pidocchio, un lombrico, non avendo niente di tutto questo un figlio; a prescindere da ciò, poiché è oltraggioso il confronto con una realtà tanto grande, sicuramente quanti nascono dall’acqua e dallo Spirito 84 nessuno li chiamerà ordinariamente figli dell’acqua, mentre tranquillamente sono chiamati figli di Dio Padre e della madre Chiesa. Cosí insomma dallo Spirito Santo è nato il figlio di Dio Padre, non dello Spirito Santo. In tal senso, quanto abbiamo detto a proposito del capello e di altre cose vale soltanto per mettere in guardia sul fatto che non tutto ciò che nasce da qualcosa può anche dirsi figlio di ciò da cui nasce. Cosí non per tutti coloro che si dicono figli di qualcuno si può dire coerentemente che sono anche nati da lui, come quanti vengono adottati. Si dicono ancora figli della Geenna 85 non quelli che sono nati da essa, ma quelli che ad essa sono stati predisposti, cosí come i figli del regno 86 sono stati predisposti per il regno.

 

Il modo in cui è nato Gesù Cristo testimonia che la sua umanità s’è congiunta al Verbo di Dio solo in virtù della grazia.

12. 40. Perciò, dal momento che qualcosa può nascere da qualcos’altro anche senza esserne figlio e che, d’altro canto, non chiunque viene detto figlio è nato da quello di cui viene detto figlio, certamente il modo in cui è nato Cristo dallo Spirito Santo, non come figlio, e da Maria Vergine, come figlio, ci introduce nella grazia di Dio, in virtú della quale tale uomo, senza alcun merito antecedente, nell’atto stesso in cui la sua natura ha cominciato ad esistere, s’è congiunto al Verbo di Dio in una tale unità personale, in modo che la medesima persona che era figlio dell’uomo fosse figlio di Dio e viceversa, e cosí, nell’assunzione della natura umana, risultasse in un certo senso naturale per quell’uomo la stessa grazia che non può indurre ad alcun peccato. Tale grazia doveva essere designata attraverso lo Spirito Santo, poiché Egli è propriamente Dio, tanto che lo si può anche dire dono di Dio 87. Comunque, per parlare a sufficienza di questo (ammesso che sia possibile), c’è bisogno di una dissertazione assai estesa.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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