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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Udienze generali del Pontefice da gennaio 2018

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2018 16:23
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19/09/2018 16:30
 
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UDIENZA GENERALE


Piazza San Pietro
Mercoledì, 19 settembre 2018

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Catechesi sui Comandamenti, 9: Onora tuo padre e tua madre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel viaggio all’interno delle Dieci Parole arriviamo oggi al comandamento sul padre e la madre. Si parla dell’onore dovuto ai genitori. Che cos’è questo “onore”? Il termine ebraico indica la gloria, il valore, alla lettera il “peso”, la consistenza di una realtà. Non è questione di forme esteriori ma di verità. Onorare Dio, nelle Scritture, vuol dire riconoscere la sua realtà, fare i conti con la sua presenza; ciò si esprime anche con i riti, ma implica soprattutto il dare a Dio il giusto posto nell'esistenza. Onorare il padre e la madre vuol dire dunque riconoscere la loro importanza anche con atti concreti, che esprimono dedizione, affetto e cura. Ma non si tratta solo di questo.

La Quarta Parola ha una sua caratteristica: è il comandamento che contiene un esito. Dice infatti: «Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Dt 5,16). Onorare i genitori porta ad una lunga vita felice. La parola “felicità” nel Decalogo compare solo legata alla relazione con i genitori.

Questa sapienza pluri-millenaria dichiara ciò che le scienze umane hanno saputo elaborare solo da poco più di un secolo: che cioè l’impronta dell’infanzia segna tutta la vita. Può essere facile, spesso, capire se qualcuno è cresciuto in un ambiente sano ed equilibrato. Ma altrettanto percepire se una persona viene da esperienze di abbandono o di violenza. La nostra infanzia è un po’ come un inchiostro indelebile, si esprime nei gusti, nei modi di essere, anche se alcuni tentano di nascondere le ferite delle proprie origini.

Ma il quarto comandamento dice di più ancora. Non parla della bontà dei genitori, non richiede che i padri e le madri siano perfetti. Parla di un atto dei figli, a prescindere dai meriti dei genitori, e dice una cosa straordinaria e liberante: anche se non tutti i genitori sono buoni e non tutte le infanzie sono serene, tutti i figli possono essere felici, perché il raggiungimento di una vita piena e felice dipende dalla giusta riconoscenza verso chi ci ha messo al mondo.

Pensiamo a quanto questa Parola può essere costruttiva per tanti giovani che vengono da storie di dolore e per tutti coloro che hanno patito nella propria giovinezza. Molti santi – e moltissimi cristiani – dopo un’infanzia dolorosa hanno vissuto una vita luminosa, perché, grazie a Gesù Cristo, si sono riconciliati con la vita. Pensiamo a quel giovane oggi beato, e il prossimo mese santo, Sulprizio, che a 19 anni ha finito la sua vita riconciliato con tanti dolori, con tante cose, perché il suo cuore era sereno e mai aveva rinnegato i suoi genitori. Pensiamo a san Camillo de Lellis, che da un’infanzia disordinata costruì una vita d’amore e di servizio; a santa Giuseppina Bakhita, cresciuta in una orribile schiavitù; o al beato Carlo Gnocchi, orfano e povero; e allo stesso san Giovanni Paolo II, segnato dalla perdita della madre in tenera età.

L’uomo, da qualunque storia provenga, riceve da questo comandamento l’orientamento che conduce a Cristo: in Lui, infatti, si manifesta il vero Padre, che ci offre di “rinascere dall’alto” (cfr Gv 3,3-8). Gli enigmi delle nostre vite si illuminano quando si scopre che Dio da sempre ci prepara a una vita da figli suoi, dove ogni atto è una missione ricevuta da Lui.

Le nostre ferite iniziano ad essere delle potenzialità quando per grazia scopriamo che il vero enigma non è più “perché?”, ma “per chi?”, per chi mi è successo questo. In vista di quale opera Dio mi ha forgiato attraverso la mia storia? Qui tutto si rovescia, tutto diventa prezioso, tutto diventa costruttivo. La mia esperienza, anche triste e dolorosa, alla luce dell’amore, come diventa per gli altri, per chi, fonte di salvezza? Allora possiamo iniziare a onorare i nostri genitori con libertà di figli adulti e con misericordiosa accoglienza dei loro limiti.[1]

Onorare i genitori: ci hanno dato la vita! Se tu ti sei allontanato dai tuoi genitori, fa’ uno sforzo e torna, torna da loro; forse sono vecchi… Ti hanno dato la vita. E poi, fra noi c’è l’abitudine di dire cose brutte, anche parolacce... Per favore, mai, mai, mai insultare i genitori altrui. Mai! Mai si insulta la mamma, mai insultare il papà. Mai! Mai! Prendete voi stessi questa decisione interiore: da oggi in poi mai insulterò la mamma o il papà di qualcuno. Gli hanno dato la vita! Non devono essere insultati.

Questa vita meravigliosa ci è offerta, non imposta: rinascere in Cristo è una grazia da accogliere liberamente (cfr Gv 1,11-13), ed è il tesoro del nostro Battesimo, nel quale, per opera dello Spirito Santo, uno solo è il Padre nostro, quello del cielo (cfr Mt23,9; 1 Cor 8,6; Ef 4,6). Grazie!


Saluti:

Witam serdecznie obecnych tu Polaków. „Czcij ojca swego i matkę swoją”, to nie bezduszny nakaz, ani pobożne życzenie, ale to Boże przykazanie, polecenie z obietnicą budowania pomyślnej przyszłości, tworzenia zdrowych relacji rodzinnych. Niech harmonia uczuć między ojcem i matką – mamą i tatą – daje dzieciom w waszych rodzinach poczucie bezpieczeństwa, uczy je piękna miłości, wierności i uczciwości, niech rodzi wobec rodziców szacunek, wdzięczność i posłuszeństwo. Rodzicom, którzy starają się o harmonię i świętość rodziny, i dzieciom wrażliwym na ich potrzeby, z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i pellegrini Polacchi. “L’Onora tuo padre e tua madre” non è una insensibile intimazione né un pio desiderio, ma è un comandamento di Dio, una raccomandazione unita alla promessa di costruire un futuro propizio e uno stabilire sane relazioni familiari. L’armonia dei sentimenti tra padre e madre – tra mamma e papà – nelle vostre famiglie, dia ai figli il senso di sicurezza, insegni la bellezza dell’amore, della fedeltà e dell’onestà, e generi rispetto, gratitudine ed obbedienza verso i genitori. Benedico di cuore i genitori, che cercano l’armonia e la santità in famiglia, e i figli che accolgono le loro necessità.]

* * *

Il 22 settembre prossimo, a Neampţ (Romania), verrà beatificata Veronica Antal, fedele laica dell’Ordine Francescano Secolare, uccisa “in odium fidei” nel 1958. Rendiamo grazie a Dio per questa donna coraggiosa che, donando la propria vita, testimoniò il vero amore per Dio e per i fratelli.

* * *

Un pensiero particolare rivolgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli. Da qualunque storia proveniate, vi esorto, carissimi, ad essere sempre coraggiosamente orientati verso Cristo. Solo in Lui, infatti, si manifesta il Padre vero, che ci offre di “rinascere dall’alto”. Grazie!


[1] Cfr S. Agostino, Discorso su Matteo, 72, A, 4: «Il Cristo dunque t’insegna a respingere i tuoi genitori e nello stesso tempo ad amarli. Orbene, i genitori si amano ordinatamente e con spirito di fede allorquando non si preferiscono a Dio: Chi ama – sono parole del Signore – il padre e la madre più di me, non è degno di me. Con queste parole sembra quasi che ti ammonisca di non amarli; anzi, al contrario, ti ammonisce di amarli. Avrebbe potuto infatti dire: “Chi ama il padre o la madre, non è degno di me”. Ma non ha detto così per non parlare contro la legge data da lui, poiché fu lui a dare, per mezzi del suo servo Mosè, la legge ove sta scritto: Onora tuo padre e tua madre. Non ha promulgato una legge contraria ma l’ha confermata; ti ha insegnato poi l’ordine, non ha eliminato il dovere dell’amore verso i genitori: Chi ama il padre e la madre, ma più di me. Deve amarli, dunque, ma non più di me: Dio è Dio, l’uomo è l’uomo. Ama i genitori, ubbidisci ai genitori, onora i genitori; ma se Dio ti chiama a una missione più importante, in cui l’affetto per i genitori potrebbe essere d’impedimento, conserva l’ordine, non sopprimere la carità».





Pubblichiamo di seguito la trascrizione del dialogo del Santo Padre Francesco con un gruppo di giovani della Diocesi di Grenoble-Vienne (Francia), ricevuti in Udienza nella mattinata di ieri:

Domande dei giovani e risposte a braccio del Santo Padre

Marion:

Effatà”, come il rito per i catecumeni: “effatà” – “apriti”, per chiedere ai giovani di aprire la bocca per prendere la parola. Questo abbiamo fatto: abbiamo dato la parola ai giovani. Per noi, invece, è aprire le nostre orecchie per ascoltarli, e poi aprire anche il nostro cuore alla presenza del Signore e allo Spirito Santo, affinché guidi la nostra vita diocesana.

I DOMANDA

Matthieu:

Santo Padre, mi chiamo Mathieu, ho 16 anni e i miei amici, al liceo, mi fanno delle domande su fatti di attualità nei quali la Chiesa è molto criticata, come l’omosessualità o la pedofilia. Io rispondo quello che mi hanno insegnato gli animatori, ma in fondo in fondo non ci credo veramente…

Rémy:

Santo Padre, mi chiamo Rémy, ho 14 anni e questa è la mia domanda: come attualizzare, oggi, il messaggio della Chiesa perché io possa comprenderlo e ritrasmetterlo a giovani che non necessariamente credono?

Papa Francesco:

Io non posso rispondere in francese… Ce n’est pas facile pour moi…a questa tua domanda: “come trasmettere il messaggio della Chiesa?”. Io dirò una parola, una parola che è il segreto per trasmettere il messaggio della Chiesa: prossimità, vicinanza. Ma che significa questo? Significa prima di tutto fare quello che ha fatto Dio con il suo popolo. Nel Libro del Deuteronomio, Dio dice così al popolo: “Quale popolo ha i suoi dei così vicini a sé, come tu [hai vicino il Signore]? Dio si è fatto prossimo al suo popolo. Ma non è finita lì la cosa. Voleva farsi tanto prossimo che si è fatto uno di noi, uomo. Questa prossimità cristiana è il primo passo: anzi, è “l’ambiente”, il clima in cui si deve trasmettere il messaggio cristiano. Il messaggio cristiano è un messaggio di prossimità.

Poi, sull’effatà: prima di parlare, ascoltare. L’apostolato “dell’orecchio”: sentire, ascoltare. “E poi, padre, parlare?”. No, fermati. Prima di parlare, fare. Una volta, un giovane universitario mi ha fatto questa domanda: “Io nell’università ho tanti amici che sono agnostici, cosa devo dirgli perché diventino cristiani?”. Io ho detto: l’ultima cosa che tu devi fare è dire delle cose. L’ultima. Prima devi fare, e lui vedrà come tu gestisci la vita. Sarà lui a domandarti: “Perché fai questo?”. E allora lì puoi parlare. La testimonianza prima della parola. Questa è la cornice del messaggio cristiano. Ecouterfaire, e poi dire, parlare.

Inoltre, il messaggio cristiano non si può trasmettere “in poltrona”: sempre è in cammino. Sempre. Se tu non ti metti in cammino non potrai trasmetterlo. Gesù è stato tre anni in cammino. Sembrava che vivesse sulla strada. In cammino, sempre, facendo qualcosa. In cammino. Ascoltare, testimoniare, rispondere alle domande, ma in cammino. Un giovane che non si mette in cammino è un giovane pensionato a vent’anni. È brutto andare in pensione a vent’anni! Non so… ho risposto alla tua domanda o no? Sì? Sei capace di ripeterla? Avanti…

II DOMANDA

Gabriel:

Buongiorno, Santo Padre. Sono Gabriel, ho 21 anni. Con i giovani del dipartimento di Isère, siamo animati dal desiderio di metterci al servizio dei poveri che sono intorno a noi. Personalmente, faccio fatica a vivere la solidarietà nella Chiesa: ho bisogno di essere accompagnato e orientato per vivere la carità in maniera concreta.

Clara-Marie:

Santo Padre, mi chiamo Clara-Marie e ho 16 anni. La mia domanda: cosa ci si aspetta da noi in quanto giovani cristiani, per vivere concretamente questa carità?

Papa Francesco:

Tutte e due hanno lo stesso tema. I poveri sono al centro del Vangelo. Quando io ero seminarista e prete giovane in America Latina era il tempo del ’68; anche voi lo avete conosciuto. Quello che contava di più era la guerriglia, il lavoro politico… E se un prete faceva un lavoro con i poveri, quel prete era “comunista”. Perché la situazione politica era così… Sembrava che l’unico gruppo che si avvicinava ai poveri e lottava per la giustizia erano i comunisti. È al rovescio: il Vangelo, il Vangelo mette i poveri al centro. Anzi, mette la povertà al centro. Se tu non hai una povertà di spirito, tu non sarai un beato, un cristiano bravo. È la prima delle beatitudini: i poveri, i poveri di spirito. Poi, avvicinarsi ai poveri, ma non dall’alto in basso. E’ lecito guardare una persona dall’alto in basso solo quando tu ti inchini per sollevarla. In altre situazioni non è lecito guardare una persona dall’alto in basso. Andare dai poveri allo stesso livello, servire i poveri perché sono l’immagine di Cristo. E quando dico poveri, dico poveri di tutto: anche i poveri di salute, gli ammalati; i poveri di soldi; i poveri di cultura; i poveri che sono caduti nei vizi, nelle dipendenze. Quanti vostri compagni sono nella droga, per esempio: sono poveri, poveri del Vangelo. “Ma no, quello che è nella droga ha tanti soldi e famiglia ricca, quello non è un povero”. No, quello è un povero, è un povero. Avvicinarsi al povero per servirlo. Avvicinarsi al povero per sollevarlo. Ma sollevarlo insieme, inginocchiandomi e prendendolo. Quando tu tocchi la malattia di un povero, tu stai toccando le piaghe di Cristo. Questo è un po’ il senso dei poveri nella Chiesa. Ça va bien?

III DOMANDA

Thérèse:

Buongiorno, Santo Padre, mi chiamo Thérèse, ho 24 anni. Più volte, nella mia vita personale, mi sono confidata con persone più grandi su problemi di amore e di sessualità. Ogni volta, mi sono trovata di fronte a una mancanza di attenzione e di comprensione; ho avuto la sensazione di non essere ascoltata. Penso che questo accada perché siamo la prima generazione che parla e che, nello specifico, parla di questi argomenti.

Manon:

Io mi chiamo Manon e ho 16 anni. Improvvisamente, questi argomenti diventano complicati; si sente di tutto, da chiunque, si vedono tante cose, ci sono opinioni diverse… In generale, ci si sente persi. Dove ci si deve “posizionare” in una società in cui il corpo è dissacrato?

Papa Francesco:

La sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima. Quando Dio ha creato l’uomo e la donna, la Bibbia dice che tutt’e due sono immagine e somiglianza di Dio. Tutti e due, non solo Adamo o solo Eva, ma tutt’e due – ensemble – tutt’e due. E Gesù va oltre, e dice: per questo l’uomo, e anche la donna, lascerà suo padre e sua madre e si uniranno e saranno… una sola persona?... una sola identità?... una sola fede di matrimonio?… Una sola carne: questa è la grandezza della sessualità. E si deve parlare della sessualità così. E si deve vivere la sessualità così, in questa dimensione: dell’amore tra uomo e donna per tutta la vita. È vero che le nostre debolezze, le nostre cadute spirituali, ci portano a usare la sessualità al di fuori di questa strada tanto bella, dell’amore tra l’uomo e la donna. Ma sono cadute, come tutti i peccati. La bugia, l’ira, la gola… Sono peccati: peccati capitali. Ma questa non è la sessualità dell’amore: è la sessualità “cosificata”, staccata dall’amore e usata per divertimento. È interessante come la sessualità sia il punto più bello della creazione, nel senso che l’uomo e la donna sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio, e la sessualità è la più attaccata dalla mondanità, dallo spirito del male. Dimmi: tu hai visto, per esempio – non so se a Grenoble c’è – ma tu hai visto una industria della bugia, per esempio? No. Ma un’industria della sessualità staccata dall’amore, l’hai vista? Sì! Tanti soldi si guadagnano con l’industria della pornografia, per esempio. E’ una degenerazione rispetto al livello dove Dio l’ha posta. E con questo commercio si fanno tanti soldi. Ma la sessualità è grande: custodite la vostra dimensione sessuale, la vostra identità sessuale. Custoditela bene. E preparatela per l’amore, per inserirla in quell’amore che vi accompagnerà tutta la vita. Io vi racconterò una cosa, e poi ve ne dirò un’altra. Nella Piazza [San Pietro] una volta – io saluto la gente nella Piazza – c’erano due persone grandi, anziane, che celebravano il sessantesimo di matrimonio. Erano luminosi! E io ho chiesto: “Avete litigato tanto?” - “Mah, alle volte…” - “E vale la pena questo, il matrimonio?” - E questi due, che mi guardavano, si sono guardati tra loro e poi sono tornati a guardare me, e avevano gli occhi bagnati, e mi hanno detto: “Siamo innamorati”. Dopo 60 anni! E poi volevo dirvi: una volta un anziano - molto anziano, con la moglie anziana – mi ha detto: “Noi ci amiamo tanto, tanto e a volte ci abbracciamo. Noi non possiamo fare l’amore alla nostra età, ma ci abbracciamo, ci baciamo… Questa è la sessualità vera. Mai staccarla dal posto tanto bello dell’amore. Bisogna parlare così della sessualità. Ça va?

IV DOMANDA

Paul:

Buongiorno, Santo Padre, mi chiamo Paul e ho 17 anni. L’aspetto dell’impegno dei cristiani nella società è tornato spesso, in questo anno, ma non è sempre facile, perché a volte la società stessa o i media rimproverano alla Chiesa sia di tacere sia di fare troppo. Lei stesso, Santo Padre, forse si trova a volte “confuso” tra queste diverse posizioni. La mia domanda è: come possiamo gestire tutto questo in quanto cristiani e membri della Chiesa?

Papa Francesco:

C’è anche nella Bibbia, all’inizio, nella Creazione, una parola che ti aiuterà. Quando Caino ha ucciso Abele, Dio chiamò Caino e gli ha fatto la domanda: “Caino, dov’è tuo fratello?”. E lui si è arrabbiato un po’ e gli ha detto: “Ma sono forse io sono il custode di mio fratello?”. Lì [per contrasto] c’è il punto chiave per l’impegno con gli altri, sia l’impegno più familiare, nella famiglia, con gli amici, sia quello nella società. Anche l’impegno di fare qualcosa per la patria, per il mondo. L’impegno. Avere cura dei fratelli, come tu hai bisogno che i fratelli abbiano cura di te. E questa è la vita cristiana: non viviamo isolati. Non siamo isolati, siamo un corpo, un corpo, e Dio vuole che andiamo in comunità, che abbiamo cura l’uno dell’altro, che cerchiamo di aiutarci nel cammino. L’impegno. Questa è la base dell’impegno, dell’engagement, proprio la base. Poi c’è nella famiglia, nel quartiere, con gli amici. Nella società un cristiano dev’essere una persona che si impegna. Non solo quelli che fanno politica, no, non solo quelli. Tutti, tutti. Nel posto in cui ti trovi. Fai il ragioniere? Vedi come farlo. Fai il medico? Vedi come farlo. Ognuno. Ma non si può essere cristiano senza impegnarsi nella società, senza creare la società. Non scandalizzatevi di questo. Per essere buon cristiano, bisogna sporcarsi le mani, nell’aiutare gli altri. Non solo le idee, no, con i fatti. Impegnarsi. E tante volte sbagliamo, è umano sbagliare. Chiedo perdono e vado avanti. Ma l’impegno. Cosa posso fare per gli altri? Per la mia famiglia, per la mia patria, per il mondo. Sempre cercare… Il contrario di Caino. Caino si è lavato le mani. Pilato si è lavato le mani. Il cristiano si sporca le mani. Capite? Per fare del bene per gli altri.

E c’era un’altra cosa che volevo dirti… Contro l’impegno cristiano ci sono due nemici brutti. Il primo è l’egoismo: “No… Io guardo le mie cose, i miei soldi, la mia famiglia…”. La chiusura. L’egoismo è una chiusura. Le persone egoiste non sanno guardare l’orizzonte. È proprio una chiusura del cuore. Pensate a una mamma: una mamma egoista, come farebbe? Immaginiamo come farebbe: si alza, guarda il bambino, è l’ora del latte, gli dà il latte… e fa le sue cose; poi è sporco, lo pulisce, e lo lascia… È una mamma egoista, chiusa in sé stessa. Una vera mamma cosa fa? Non dorme per sentire il bambino! Si alza, va, lo abbraccia, lo bacia. Dipende dal suo bambino. È coinvolta nella vita del bambino. Ecco, questo è uno dei nemici: l’egoismo. L’altro nemico, molto forte, che viene quando uno incomincia ad avere un impegno più altro nella società, quando ha un mestiere, un posto importante, è la corruzione. La corruzione è vivere per sé stessi. Ma è così brutta che finisce per non lasciarti vivere per te stesso, ma per farti vivere “per le tasche”: ti attacca ai soldi. È una cosa brutta. La corruzione del cuore, la corruzione taglia tutti gli ideali.

Dunque: Caino, la voce di Dio che dice: “Dov’è tuo fratello?”, cioè tu devi farti carico del fratello. Pilato che si lava le mani; il cristiano che si sporca le mani per gli altri, si impegna nella società e lavora. E poi state attenti all’egoismo che chiude il cuore, e alla corruzione che toglie il cuore dal suo posto e lo mette nelle tasche. È chiaro? Siete d’accordo o no? E qualcuno che non è d’accordo con questo lo dica, così ne discutiamo un po’. Va bene…

V DOMANDA

Noemi:

Santo Padre, mi chiamo Noemi e ho 17 anni; come altri giovani della diocesi, sono in una parrocchia viva dove è bello andare; è un luogo dove i giovani si conoscono e dove a loro fa piacere ritrovarsi. E’ per questo che mi sono chiesta, Santo Padre: se Lei si trovasse a prendere in carico una parrocchia, oggi, quale sarebbe la prima cosa che farebbe?

Emilie:

Sono Emilie, ho 25 anni. Alcuni miei amici si sono allontanati dalla Chiesa e io non sono stata capace di accompagnarli verso Cristo. Santo Padre, come accompagnare le persone che ci vivono intorno? Lei ha un’esperienza personale di accompagnamento di giovani da raccontarci?

Papa Francesco:

Io ho fatto il parroco per sei anni: è il lavoro più bello che ho fatto. Non so qual è stata la prima cosa che ho fatto, non me lo ricordo. Ma penso che, se oggi fossi nominato parroco, la prima cosa che farei sarebbe andare lì, aprire la porta della chiesa, stare seduto lì ad accogliere la gente. Questa è una. E un’altra che si può fare, e che mi piace tanto, è uscire per il quartiere e salutare la gente: “Come ti chiami? Piacere…” Guardare negli occhi. Ti ricordi di una parola che è stata detta qui? “Vicinanza”. La prima cosa che deve fare un parroco: vicinanza con la gente. Stare vicino. Una volta, ho conosciuto un parroco – non era un parroco, era nel servizio diplomatico della Santa Sede – ma era stato parroco prima di entrare. E lui mi diceva: “Io ero tanto felice nel villaggio dove ero parroco. Conoscevo ogni persona, conoscevo anche i nomi dei cani!”. È bello questo! E’ lì, sta vicino, conosce tutto. Il parroco vicino. È vero che stanca stare vicino alla gente perché, quando hanno fiducia, vengono, ti chiedono, ti dicono...

E poi dirò una cosa che tu non hai domandato, che però forse aiuterà: quale sarebbe il primo consiglio che io darei come parroco alla gente? Non chiacchierare. Per favore, una parrocchia che impara a non chiacchierare l’uno dell’altro è santa. Un prete francese mi ha raccontato che nella parrocchia c’era una signora che sparlava di tutti, una chiacchierona. La sua casa era vicina alla finestra della parrocchia, al punto che lei poteva vedere l’interno della chiesa. Un giorno quella donna si è ammalata. E ha chiamato il parroco e gli ha detto: “Padre, io non posso andare alla Messa, a fare la Comunione, Lei me la può portare?”. E il parroco, cosa ha risposto? “Ma signora, non è necessario, con la lingua che ha Lei, dalla sua finestra arriva al Tabernacolo!”. Questo per capire un po’. Ma è una cosa brutta questa, sparlare. No, no, non fatelo mai! Ma è bello sparlare degli altri? Sì, è bello, ma poi ti resta un’amarezza nel cuore. “E padre, come posso fare per non sparlare?”. C’è una medicina molto alla mano e che non costa niente: morditi la lingua.

C’è un’antica regola dei pellegrini, del Medioevo più o meno, che quando facevano il pellegrinaggio questi vecchi e giovani, una regola diceva: mai, mai andare avanti rispetto al passo dell’altro. Rispettare il passo dell’altro. Accompagnare i giovani è questo: rispettare. E se tu vuoi dirgli di andare più in fretta? “Guarda che bella quella cosa!... Ce la fai?”. Allora, se ce la fa, cominciate ad andare un po’ in fretta. Ma mai andare tu in fretta senza di lui. Dirgli una cosa bella perché lui cominci ad andare più in fretta.

VI DOMANDA

Uno dei giovani:

Ho un’altra domanda, Santo Padre: ai suoi inizi, la Chiesa era onnipresente nella società, era un modello da seguire. Oggi, la società si è evoluta e la Francia è un Paese laico nel quale il numero dei cristiani è fortemente diminuito. La Chiesa ha ancora una sua collocazione? E a che cosa serve? Per questo Le domando, Santo Padre: perché impegnarsi in un’istituzione che a volte mi sembra senza senso e senza collocazione?

Papa Francesco:

La tua domanda è molto realistica, molto realistica. Mi fa pensare a un tifoso del calcio che è ingaggiato in una squadra e la squadra incomincia a andare giù, giù, giù, e si domanda: come faccio a stare in questa squadra? Forse lui dice: no, non va, cambio squadra. Se non ha una passione grande per quella squadra, ma ha la passione per il calcio, sceglie un’altra squadra che giochi meglio. Cambia squadra, cambia istituzione. Ma l’appartenenza alla Chiesa, prima di tutto, non è un’appartenenza a un’istituzione, è un’appartenenza alla persona, a Gesù. Alla Domenica delle Palme Gesù era in trionfo; quando ha fatto la moltiplicazione dei pani volevano farlo re – una bella istituzione quella! – ma il Venerdì Santo era crocifisso. Si tratta di seguire Gesù, non seguire le conseguenze di Gesù. Non le conseguenze sociali: se è grande la chiesa o se è piccola…, no, ma Gesù. Seguirlo nei momenti tranquilli, quando la Chiesa fiorisce; e seguirlo nel momento in cui la Chiesa è in crisi. Prendi la storia della Chiesa: con la Chiesa è andata così. La Chiesa non l’hanno portata avanti grandi organizzazioni, grandi partiti politici, grandi istituzioni…. No. La Chiesa è stata portata avanti dai santi. E al giorno d’oggi saranno i santi a portarla avanti, non noi, neppure il Papa. No, i santi. Loro fanno strada davanti a noi. E perché i santi? Perché seguono Gesù. La fede non è una idea: è un incontro con Gesù. Io ti auguro che questo incontro ti accompagni tutta la vita.

VII DOMANDA

Pauline:

Buongiorno, Santo Padre, mi chiamo Pauline e ho 27 anni. Ascoltando le testimonianze, come accompagnare la vocazione di ciascuno in questo contesto?

Papa Francesco:

La vocazione è un dono di Dio, e bisogna custodirla. Tu ti riferivi alle vocazioni sacerdotali, della vita religiosa, o a tutte le vocazioni?

[Risposta della giovane: alle vocazioni religiose e sacerdotali]

Il Signore chiama. E la persona chiamata dice: “Io voglio essere suora, voglio essere prete, voglio essere religiosa…”. E incomincia un cammino, da accompagnare con normalità. Normalità. Io ho paura dei seminaristi che fanno così [che assumono una “posa”], ho paura, perché non sono normali. Tu vuoi essere prete? Devi essere un uomo vero che va avanti. Tu vuoi essere suora? Devi essere una donna matura che va avanti. Mai rinnegare l’umanità. Che siano normali, perché il male che fa un sacerdote nevrotico è terribile! E il male che può fare una suora nevrotica è terribile! Accompagnarli nella normalità: primo. Secondo: accompagnarli nella fede. Che crescano nella fede, nel capire la bellezza di Dio, nel capire il cammino di Gesù, e che la propria vita cambia nel rapporto con la preghiera. Terzo: accompagnarli nell’appartenenza comunitaria. Un prete isolato dalla comunità non va: è uno “zitellone”. Zitello è quello che non si sposa e diventa vecchio. Quello che non si sposa e tutta la vita rimane da solo. Célibataire, ma io ho detto una parola più forte. No, il sacerdote non dev’essere uno “zitellone” isolato, dev’essere un padre. La paternità: educarli nella paternità. E anche nella fraternità. Lo stesso con la suora: la suora deve imparare ad essere madre di tanta gente, e la comunità pure. Ma la suora ha un vantaggio sul sacerdote, un grande vantaggio – per questo credo che le suore sono più importanti dei sacerdoti – in questo senso: loro sono l’icona di Maria e della Chiesa. È bello! L’icona di Maria. Una suora è l’icona della Madonna e della Chiesa. Educarla così, e in comunità, sempre. Aiutarli a crescere e accompagnarli.

Papa Francesco (saluto finale):

Un saluto grande, e andate sempre avanti! Nella vita tutti facciamo sbagli, ci sono delle brutte scivolate, ma ricordate il canto degli alpini: “Nell’arte di salire, il segreto sta non nel non cadere, ma nel non rimanere caduti”. Ça va bien?

Adesso, vi invito a pregare insieme: “Ave o Maria…”

[Benedizione]



[Modificato da Caterina63 19/09/2018 23:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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