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Il Sensus Fidei nella vita della Chiesa - Documento

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2018 15:21
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03/03/2018 15:15
 
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2. Lo sviluppo dell’idea e il suo ruolo
nella storia della Chiesa

22. Il concetto di sensus fidelium cominciò a essere elaborato e utilizzato in modo più sistematico al momento della Riforma, anche se il ruolo decisivo del consensus fidelium nel discernimento e nello sviluppo della dottrina in materia di fede e di morale era già stato riconosciuto durante i periodi patristico e medievale. Occorreva tuttavia prestare maggiore attenzione al ruolo specifico dei laici a questo riguardo. La cosa avvenne in particolare a partire dal XIX secolo.

a) Il periodo patristico

23. I Padri e i teologi dei primi secoli ritenevano che la fede della Chiesa tutta intera fosse un punto di riferimento sicuro per discernere il contenuto della Tradizione apostolica. Il loro convincimento riguardo alla solidità e anche all’infallibilità del discernimento della Chiesa nel suo insieme in materia di fede e di morale si esprimeva in un contesto di controversie. Essi rifiutarono le novità pericolose introdotte dagli eretici ponendole a confronto con ciò che si riteneva e si faceva in tutte le Chiese.[8] Per Tertulliano (c. 160-c. 225), il fatto che tutte le Chiese hanno sostanzialmente la medesima fede attesta la presenza di Cristo e la guida dello Spirito Santo. Errano quanti abbandonano la fede della Chiesa intera.[9] Per Agostino (354-430) tutta la Chiesa, «dai vescovi agli ultimi fedeli», rende testimonianza alla verità.[10] Il generale consenso dei cristiani assume il ruolo di norma sicura per determinare la fede apostolica: «Securus judicat orbis terrarum [il giudizio del mondo intero è sicuro]».[11] Giovanni Cassiano (c. 360-435) riteneva che il consenso universale dei fedeli costituisse un argomento sufficiente per confutare gli eretici,[12] e Vincenzo di Lérins (morto verso il 445) propose come normativa la fede osservata ovunque, sempre e da tutti (quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est).[13]

24. Per risolvere le controversie fra i fedeli i padri della Chiesa fecero appello non soltanto al credere comune, ma anche alla tradizione costante della prassi. Girolamo (c. 345-420), ad esempio, giustificava la venerazione delle reliquie mettendo in evidenza la prassi dei vescovi e dei fedeli,[14] ed Epifanio (c. 315-403), per difendere la perpetua verginità di Maria, domandava se qualcuno avesse mai avuto l’audacia di pronunciare il suo nome senza aggiungervi «la Vergine».[15]

25. Il periodo patristico attesta principalmente la testimonianza resa dal popolo di Dio nel suo insieme, qualcosa che possiede un certo carattere oggettivo. Il popolo credente considerato come un tutto non può errare in materia di fede, si sosteneva, poiché ha ricevuto un’unzione da Cristo, lo Spirito Santo che gli era stato promesso e che gli fornisce le doti per discernere la verità. Alcuni padri della Chiesa hanno anche riflettuto sulla capacità soggettiva dei cristiani, animati dalla fede e nei quali abita lo Spirito Santo, di conservare la vera dottrina nella Chiesa e di rigettare l’errore. Agostino, ad esempio, metteva in evidenza questo punto quando affermava che Cristo, «il Maestro interiore», rende capaci anche i laici, come i loro pastori, non soltanto di ricevere la verità della rivelazione, ma anche di approvarla e di trasmetterla.[16]

26. Nei primi cinque secoli la fede della Chiesa nel suo insieme si rivelò decisiva per la fissazione del canone delle Scritture e per la definizione delle principali dottrine che riguardavano ad esempio la divinità di Cristo, la verginità perpetua e la maternità divina di Maria e la venerazione e l’invocazione dei santi. In alcuni casi, come ha notato il beato John Henry Newman (1801-1890), la fede dei laici in particolare ha ricoperto un ruolo cruciale. L’esempio più impressionante fu nel IV secolo la celebre controversia con gli ariani, che furono condannati al concilio di Nicea (325), ove fu definita la divinità di Gesù Cristo. Tuttavia, da quel concilio fino a quello di Costantinopoli (381), fra i vescovi continuò a esservi incertezza. Durante questo periodo, «la tradizione divina affidata alla Chiesa infallibile fu proclamata e conservata molto più dai fedeli che dall’episcopato». «Vi fu una temporanea sospensione delle funzioni dell’Ecclesia docens. Il corpo episcopale fallì nel confessare la fede. Parlavano in modo diverso, l’uno contro l’altro; dopo Nicea, per quasi sessant’anni non vi fu alcuna testimonianza ferma, invariabile, coerente».[17]

b) Il periodo medievale

27. Newman osserva inoltre che «in epoca successiva, quando gli eruditi benedettini di Germania [cf. Rabano Mauro, c. 780-856] e Francia [cf. Ratramno, morto intorno all’anno 870] mostravano perplessità nella loro formulazione della dottrina della presenza reale, Pascasio [c. 790-c. 860] era invece sostenuto dai fedeli quando la affermava».[18] Qualcosa di simile avvenne a proposito del dogma che si riferisce alla visione beatifica, definito da papa Benedetto XII nella costituzione Benedictus Deus (1336), il quale afferma che le anime godono di questa visione subito dopo il purgatorio e prima del giorno del giudizio:[19] «La tradizione sulla quale si fondò la definizione si manifestava nel consensus fidelium con una chiarezza che la successione dei vescovi non offriva, benché molti fra di loro fossero “Sancti Patres ab ipsis Apostolorum temporibus”». «Una considerazione tutta particolare fu accordata al sensus fidelium; non che si domandasse la loro opinione o il loro consiglio, ma si ricevette la loro testimonianza, si consultarono i loro sentimenti, si temette, oserei quasi dire, la loro impazienza».[20] Il continuo svilupparsi presso i fedeli della credenza e della devozione nell’Immacolata concezione della beata vergine Maria, nonostante l’opposizione di alcuni teologi a questa dottrina, è un altro fra i maggiori esempi del ruolo che rivestì nel Medioevo il sensus fidelium.

28. I dottori della Scolastica riconoscevano che la Chiesa, la congregatio fidelium, non può errare in materia di fede poiché essa è istruita da Dio, unita a Cristo suo capo, e che in essa abita lo Spirito Santo. Tommaso d’Aquino, ad esempio, prende questo come punto di partenza per il fatto che la Chiesa universale è governata dallo Spirito Santo che, come ha promesso il Signore Gesù, le insegnerà «tutta la verità» (Gv 16,13).[21] Egli sapeva che la fede della Chiesa universale è espressa con autorità dai suoi prelati,[22] ma coltivava anche un interesse tutto particolare all’istinto di fede personale di ogni credente, che ha scrutato in relazione alla virtù teologale della fede.

c) Il periodo della Riforma cattolica e successivo

29. La sfida posta dai riformatori del XVI secolo esigeva un’attenzione rinnovata al sensus fidei fidelium; ne risultò che la nozione venne trattata per la prima volta in maniera sistematica. I riformatori ponevano l’accento sul primato della parola di Dio nella sacra Scrittura (Scriptura sola) e sul sacerdozio dei fedeli. Essi sostenevano che la testimonianza interiore dello Spirito Santo dà a tutti i battezzati la capacità di interpretare da sé stessi la parola di Dio. Questa convinzione tuttavia non impedì loro di offrire un insegnamento durante dei sinodi e di produrre dei catechismi per l’istruzione dei fedeli. Le loro dottrine rimettevano in discussione, fra l’altro, il ruolo e lo statuto della Tradizione, l’autorità magisteriale del papa e dei vescovi e l’inerranza dei concili. Per rispondere alla loro affermazione secondo la quale la promessa della presenza di Cristo e della guida dello Spirito santo era stata fatta alla Chiesa intera, non soltanto ai Dodici ma anche a ogni credente,[23] i teologi cattolici furono indotti a spiegare più pienamente in che senso i pastori sono al servizio della fede del popolo. Facendolo, essi accordarono un’attenzione crescente all’autorità magisteriale della gerarchia.

30. I teologi della Riforma cattolica, basandosi sui precedenti sforzi per sviluppare una ecclesiologia sistematica, ripresero la questione della rivelazione, delle sue fonti e della loro autorità. Risposero innanzitutto alle critiche dei riformatori verso alcune dottrine richiamando l’infallibilità in credendo [24] della Chiesa intera, laicato e clero insieme. E, di fatto, il concilio di Trento fece ripetutamente appello al giudizio della Chiesa intera per difendere gli articoli contrastati della dottrina cattolica. Il suo decreto sul sacramento dell’eucaristia (1551), ad esempio, invoca specificamente «il comune sentire della Chiesa [universum Ecclesiæ sensum]».[25]

31. Melchior Cano (1509-1560), che partecipò a quel concilio, trattò per la prima volta in modo esteso il sensus fidei fidelium difendendo il valore che i cattolici riconoscevano alla forza probante della Tradizione nell’argomentazione teologica. Nel suo trattato De locis theologicis [26] (1564), egli riconosceva nell’assenso comune attuale dei fedeli uno dei quattro criteri che permettono di determinare se una dottrina o una prassi appartengono alla tradizione apostolica.[27] In un capitolo sull’autorità della Chiesa in materia dottrinale, egli argomentava che la fede della Chiesa non può fallire, poiché essa è la Sposa (cf. Os 2; 1Cor 11,2) e il corpo di Cristo (cf. Ef 5), e perché lo Spirito Santo la guida (cf. Gv 14,16.26).[28]Cano faceva pure notare che la parola «Chiesa» designava talvolta tutti i fedeli, compresi i pastori, e altre volte i suoi capi e pastori (principes et pastores), poiché anch’essi possiedono lo Spirito Santo.[29] Egli utilizzava il termine nella prima accezione quando affermava che la fede della Chiesa non poteva sbagliare, che la Chiesa non poteva ingannarsi su ciò che credeva e che l’infallibilità non apparteneva soltanto alla Chiesa del passato, ma anche alla Chiesa nella sua costituzione presente. Utilizzava «Chiesa» nella seconda accezione quando asseriva che i suoi pastori erano infallibili nel momento in cui davano giudizi dottrinali autorizzati, in quanto assistiti in questo compito dallo Spirito Santo [30] (cf. Ef 4; 1Tm 3).

32. Roberto Bellarmino (1542-1621), nella sua difesa della fede cattolica contro le critiche della Riforma, prendeva come punto di partenza la Chiesa visibile, «l’universalità di tutti i credenti». Per lui tutto ciò che i fedeli ritenevano de fide, e tutto ciò che i vescovi insegnavano come appartenente alla fede, era necessariamente vero e doveva essere creduto.[31] Egli sosteneva che i concili della Chiesa non potevano errare poiché possedevano questo consensus Ecclesiæ universalis.[32]

33. Altri teologi del periodo post-tridentino continuarono ad affermare l’infallibilità dell’Ecclesia (intendendo la Chiesa intera, compresi i suoi pastori) in credendo, ma cominciarono a distinguere in maniera piuttosto netta i ruoli della «Chiesa docente» e della «Chiesa discente». L’accento, in precedenza posto sull’infallibilità «attiva» dell’Ecclesia in credendo, fu progressivamente spostato sul ruolo attivo dell’Ecclesia docens. Divenne normale affermare che l’Ecclesia discens aveva soltanto un’infallibilità «passiva».

d) Il XIX secolo

34. Il XIX secolo fu un periodo decisivo per la dottrina del sensus fidei fidelium. Esso vide nella Chiesa cattolica una nuova consapevolezza della storicità, il rifiorire dell’interesse per i padri della Chiesa e per i teologi medievali, e uno studio rinnovato del mistero della Chiesa, in parte in risposta alle critiche provenienti dai rappresentanti della cultura moderna e dai cristiani di altre tradizioni, e in parte in virtù di una maturazione interna. In questo contesto, teologi cattolici come Johann Adam Möhler (1796-1838), Giovanni Perrone (1794-1876) e John Henry Newman prestarono nuova attenzione al sensus fidei fidelium in quanto locus theologicus, al fine di spiegare in che modo lo Spirito Santo custodisce la Chiesa intera nella verità e di giustificare gli sviluppi dottrinali della Chiesa. I teologi misero in luce il ruolo attivo della Chiesa intera, e in modo particolare il contributo dei fedeli laici, nella custodia e nella trasmissione della fede della Chiesa. Il magistero confermò implicitamente questa idea nel processo che condusse alla definizione dell’Immacolata concezione (1854).

35. Volendo difendere la fede cattolica contro il razionalismo Johann Adam Möhler, studioso dell’università di Tubinga, cercò di descrivere la Chiesa come un organismo vivente e di cogliere i principi che reggono lo sviluppo della dottrina. Secondo lui, è lo Spirito Santo che anima, guida e unisce i fedeli in quanto comunità in Cristo, suscitando in essi una «coscienza» ecclesiale della fede (Gemeingeist o Gesamtsinn), qualcosa che si apparenta a un Volkgeist o spirito nazionale.[33] Questo sensus fidei, che è la dimensione soggettiva della Tradizione, comprende necessariamente un elemento oggettivo, l’insegnamento della Chiesa, poiché il «senso» cristiano dei fedeli, che vive nei loro cuori ed è virtualmente equivalente alla Tradizione, non è mai separato dal suo contenuto.[34]

36. John Henry Newman studiò il sensus fidei fidelium in primo luogo per chiarire i propri dubbi riguardo allo sviluppo della dottrina. Egli fu il primo a pubblicare un trattato interamente dedicato a questo argomento, An Essay on the Development of Christian Doctrine (1845), e ad enunciare le caratteristiche di uno sviluppo fedele. Per distinguere fra sviluppo autentico ed erroneo, egli adottò la norma di Agostino – l’assenso generale della Chiesa intera, «securus judicat orbis terrarum» – ma vide pure che un’autorità infallibile era necessaria per custodire la Chiesa nella verità.

37. Utilizzando le idee di Möhler e di Newman,[35] Perrone ritrovò la concezione patristica del sensus fidelium per rispondere al desiderio ampiamente diffuso di una definizione pontificia dell’Immacolata concezione di Maria. Egli rinvenne nel consenso unanime, o conspiratio, dei fedeli e dei loro pastori una garanzia dell’origine apostolica di quella dottrina. Sostenne che i più eminenti teologi attribuivano valore di prova al sensus fidelium, e che la forza di uno degli «strumenti della tradizione» poteva supplire al difetto di un altro, ad esempio «il silenzio dei Padri».[36]

38. È evidente l’influenza delle ricerche di Perrone sulla decisione di papa Pio IX di procedere alla definizione dell’Immacolata concezione, soprattutto se si considera che prima di promulgare la definizione il papa fece richiesta ai vescovi di tutto il mondo di un rapporto scritto circa la devozione all’Immacolata concezione della Vergine nel loro clero e tra i loro fedeli.[37] Nella costituzione apostolica che contiene la definizione, Ineffabilis Deus (1854), papa Pio IX affermava che, benché egli già conoscesse il pensiero dei vescovi in proposito, aveva domandato a loro di informarlo sulla pietà e sulla devozione dei fedeli al riguardo e concludeva che «la sacra Scrittura, la veneranda Tradizione, il costante sentire della Chiesa, [perpetuus Ecclesiæ sensu], il singolare consenso dei vescovi cattolici e dei fedeli, [singularis catholicorum Antistitum ac fidelium conspiratio], e gli atti memorabili e le costituzioni dei nostri predecessori» illustravano tutti in modo mirabile questa dottrina e la proclamavano.[38] Utilizzava dunque il linguaggio del trattato di Perrone per descrivere la testimonianza concorde dei vescovi e dei fedeli. Sottolineando l’uso del termine conspiratioNewman commentò: «Entrambe, la Chiesa docente e la Chiesa discente, sono riunite come una sola duplice testimonianza, si illustrano a vicenda e non si devono mai separare».[39]

39. Quando più tardi scrisse On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine (1859), lo scopo di Newman era mostrare che i fedeli (in quanto distinti dai loro pastori) hanno un ruolo proprio e attivo da svolgere nella custodia e nella trasmissione della fede. «La Tradizione degli apostoli» è «affidata alla Chiesa intera nelle sue diverse parti e funzioni per modum unius», ma i vescovi e i fedeli laici le rendono testimonianza in maniera differente. La Tradizione, egli afferma, «si manifesta in modo diverso nelle diverse epoche: talvolta per voce degli episcopati, talvolta dei dottori, talvolta del popolo, talvolta di liturgie, riti, cerimonie e costumi, di avvenimenti, controversie, movimenti e di tutti gli altri fenomeni che sono compresi sotto il nome di storia».[40] Secondo Newman «vi è qualcosa nella “pastorum et fidelium conspiratio” che non si trova nei pastori soltanto».[410] In quest’opera Newman cita ampiamente gli argomenti che circa un decennio prima Giovanni Perrone aveva proposto in favore della definizione dell’Immacolata concezione.[42]

40. La costituzione dogmatica Pastor æternus del concilio Vaticano I, che definiva il magistero infallibile del papa, non ha affatto ignorato il sensus fidei fidelium; al contrario l’ha presupposto. Il progetto originale della costituzione, Supremi pastoris, che servì da base per la Pastor æternus, aveva un capitolo sull’infallibilità della Chiesa (c. IX).[43] Tuttavia, quando l’ordine del giorno fu modificato al fine di affrontare la questione dell’infallibilità pontificia, la discussione di questo principio fu aggiornata e mai ripresa. Nella sua relatiosulla definizione dell’infallibilità pontificia il vescovo mons. Vincent Gasser spiega nondimeno che l’assistenza speciale accordata al papa non lo colloca a parte rispetto alla Chiesa e non esclude né consultazione né cooperazione.[44] La definizione dell’Immacolata concezione fu l’esempio, afferma, di un caso «così difficile che il papa giudicò necessario per propria informazione interrogare i vescovi, in quanto mezzi ordinari, sul pensiero delle Chiese».[45] In una formula voluta per escludere il gallicanismo, Pastor æternus affermava che le definizioni dottrinali ex cathedra del papa in materia di fede e di morale erano irreformabili «per sé stesse, e non in virtù del consenso della Chiesa [ex sese non autem ex consensu Ecclesiæ]»,[46] ma ciò non rende il consensus Ecclesiæ superfluo. Ciò che viene escluso è la teoria secondo la quale una tale definizione richiederebbe questo consenso, antecedente o conseguente, come condizione per essere autorevole.[47] In risposta alla crisi modernista, un decreto del Sant’Uffizio, Lamentabili (1907), confermò la libertà dell’Ecclesia docens nei confronti dell’Ecclesia discens. Il decreto censurava una proposta secondo la quale i pastori non potrebbero insegnare se non quanto i fedeli crederebbero già.[48]

e) Il XX secolo

41. Nel XX secolo i teologi cattolici hanno esplorato la dottrina del sensus fidei fidelium nel contesto di una teologia della Tradizione, di un’ecclesiologia rinnovata e di una teologia del laicato. Hanno sottolineato che «la Chiesa» non s’identifica con i suoi pastori; che la Chiesa intera, per l’opera dello Spirito Santo, è il soggetto o «l’organo» della Tradizione; e che i laici hanno un ruolo attivo nella trasmissione della fede apostolica. Il magistero ha fatto propri questi sviluppi sia al momento della consultazione che portò alla definizione della gloriosa Assunzione della beata vergine Maria sia con il concilio Vaticano II, che ha ristabilito e confermato la dottrina del sensus fidei.

42. Nel 1946, papa Pio XII si conformò alla disposizione del suo predecessore e inviò una lettera enciclica, Deiparæ virginis Mariæ, ai vescovi di tutto il mondo per chiedere loro di informarlo «sulla devozione del vostro clero e del vostro popolo (considerando la loro fede e la loro pietà) verso l’Assunzione della beatissima vergine Maria». Riaffermava così la prassi consistente nel consultare i fedeli prima di una definizione dogmatica, e nella costituzione apostolica Munificentissimus Deus (1950) offrì testimonianza della «risposta pressoché unanimemente affermativa» che aveva ricevuto.[49] La credenza nell’Assunzione di Maria era di fatto «insita profondamente nell’animo dei fedeli».[50] Pio XII fece riferimento al «concorde insegnamento del magistero ordinario della Chiesa e la fede concorde del popolo cristiano» e disse, questa volta a proposito della credenza nell’Assunzione di Maria, ciò che papa Pio IX aveva detto a proposito della credenza nella sua Immacolata concezione, ossia che esisteva una «singularis catholicorum Antistitum et fidelium conspiratio». Aggiunse che questa conspiratio mostrava «in modo certo e infallibile» che l’Assunzione di Maria era «verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e infallibilmente lo dichiarasse».[51] In entrambi i casi le definizioni pontificie confermavano dunque e celebravano la fede ritenuta saldamente dai fedeli.

43. Yves M.-J. Congar (1904-1995) apportò un contributo significativo allo sviluppo della dottrina del sensus fidei fidelis e del sensus fidei fidelium. Nel suo Jalons pour une théologie du laïcat (pubblicato per la prima volta nel 1953), egli esaminò questa dottrina in termini di partecipazione del laicato alla funzione profetica della Chiesa. Congar conosceva bene l’opera di Newman e adottò il medesimo schema (ossia la triplice funzione della Chiesa e il sensus fidelium quale espressione della funzione profetica), senza tuttavia riferirlo direttamente a Newman.[52] Egli descrisse il sensus fidelium come un dono dello Spirito Santo «concesso al tempo stesso sia alla gerarchia sia al corpo tutto intero dei fedeli», e distinse la realtà oggettiva di fede (che costituisce la Tradizione) dal suo aspetto soggettivo, la grazia della fede.[53] Laddove nel passato gli autori avevano sottolineato la distinzione fra l’Ecclesia docens e l’Ecclesia discens, Congar ebbe cura di mostrare la loro unità organica. «La Chiesa credente e amante, ossia il corpo dei fedeli, è infallibile nel possesso vivente della fede, non in un atto o in un giudizio particolari», scriveva.[54] L’insegnamento della gerarchia è a servizio della comunione.

44. L’insegnamento del concilio Vaticano II riflette ampiamente il contributo di Congar. Il primo capitolo della Lumen gentium, sul «mistero della Chiesa», insegna che lo Spirito Santo «dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio». «Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22)».[55] Il capitolo II prosegue trattando la Chiesa come un tutto, «il popolo di Dio», prima di ogni distinzione fra laici e clero. Il passaggio che cita il sensus fidei (Lumen gentium, n. 12) insegna che avendo «l’unzione che viene dal Santo (cf. 1Gv 2,20.27)» la «totalità dei fedeli (...) non può sbagliarsi nel credere». «Lo Spirito di verità» suscita e mantiene un «senso soprannaturale della fede [supernaturali sensu fidei]», che si manifesta «quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in materia di fede e di morale». Grazie al sensus fidei, «sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cf. 1Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla “fede trasmessa ai santi una volta per sempre” (Gd 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita». È il mezzo attraverso il quale il popolo prende parte all’«ufficio profetico di Cristo».[56]

45. La Lumen gentium descrive poi, rispettivamente ai capitoli III e IV, come Cristo esercita il suo ufficio profetico non soltanto per mezzo dei pastori della Chiesa, ma anche dei fedeli laici. La costituzione insegna che «fino alla piena manifestazione della gloria» il Signore adempie il suo ufficio «non solo per mezzo della gerarchia, che insegna in nome e con la potestà di lui, ma anche per mezzo dei laici», «che perciò costituisce suoi testimoni provvedendoli del senso della fede e della grazia della parola [sensu fidei et gratia verbi instruit] (cf. At 2,17-18; Ap 19,10), perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale». Fortificati dai sacramenti, «i laici diventano araldi efficaci della fede in ciò che si spera (cf. Eb 11,1)»; «i laici (...) possono e devono esercitare una preziosa azione per l’evangelizzazione del mondo».[57] Qui, il sensus fidei è presentato come un dono di Cristo ai fedeli, e ancora una volta è descritto come una capacità attiva mediante la quale i fedeli sono resi capaci di comprendere, vivere e annunciare le verità della rivelazione divina. È la base della loro opera di evangelizzazione.

46. Il sensus fidei è evocato anche nell’insegnamento del Concilio sullo sviluppo della dottrina, nel contesto della trasmissione della fede apostolica. La Dei Verbum dice che la Tradizione apostolica «progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo». «Cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse». E il Concilio identifica tre strade attraverso le quali ciò si verifica: «Sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cf. Lc 2,19 e 51), sia con l’intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro [i vescovi] i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità».[58] Sebbene questo passaggio non utilizzi l’espressione sensus fidei, è chiaro che la contemplazione, lo studio e l’intelligenza dei credenti ai quali fa riferimento sono tutti chiaramente associati al sensus fidei, e la maggioranza dei commentatori sono concordi nel ritenere che i padri conciliari si riferivano consapevolmente alla teoria dello sviluppo della dottrina di Newman. Quando si legge questo testo alla luce della descrizione del sensus fidei che ne fa Lumen gentium n. 12 – come un senso soprannaturale della fede, suscitato dallo Spirito Santo, mediante il quale il popolo sotto la guida dei pastori aderisce indefettibilmente alla fede –, si vede subito che esso esprime la stessa idea. Quando fa riferimento alla «singolare unità di spirito» che deve esistere fra i vescovi e i fedeli nella prassi e nella confessione della fede trasmessa dagli apostoli, Dei Verbum utilizza infatti l’espressione stessa che si trova nelle definizione dei due dogmi mariani, «singularis fiat Antistitum et fidelium conspiratio».[59]

47. Dopo il Concilio il magistero ha riaffermato numerosi punti chiave dell’insegnamento del Concilio sul sensus fidei.[60] Ha trattato inoltre una nuova questione, ossia l’importanza di non presupporre che l’opinione pubblica, sia all’interno della Chiesa sia al di fuori di essa, coincida necessariamente con il sensus fidei (fidelium). Nell’esortazione apostolica post sinodale Familiaris consortio (1981), papa Giovanni Paolo II ha esaminato quali rapporti «il soprannaturale senso della fede» può avere con il «consenso dei fedeli» e con un’opinione di maggioranza determinata da ricerche sociologiche e statistiche. Il sensus fidei, egli scrive, «non consiste (…) solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli». Sta ai pastori della Chiesa «promuovere il senso della fede in tutti i fedeli, vegliare e giudicare autorevolmente la genuinità delle sue espressioni, educare i credenti a un discernimento evangelico sempre più maturo».[61]






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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