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Il Sensus Fidei nella vita della Chiesa - Documento

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2018 15:21
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03/03/2018 15:17
 
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II. Il sensus fidei
nella vita personale del credente

48. Questo secondo capitolo si concentra sulla natura del sensus fidei fidelis. Il quadro di riferimento è quello degli argomenti e delle categorie che la teologia classica offre per comprendere come la fede si attua nella vita del singolo credente. Benché la visione biblica della fede sia più ampia, la comprensione classica mette in rilievo un aspetto essenziale: l’adesione dell’intelletto, mosso dall’amore, alla verità rivelata. Questa concettualizzazione della fede è ancora utile ai nostri giorni per illuminare la comprensione del sensus fidei fidelis. In questo quadro, il capitolo considera inoltre alcune manifestazioni del sensus fidei fidelis nella vita personale dei credenti, essendo chiaro che gli aspetti personali ed ecclesiali del sensus fidei sono inseparabili.

1. Il sensus fidei come istinto di fede

49. Il sensus fidei fidelis è una sorta di istinto spirituale che permette al credente di giudicare in maniera spontanea se uno specifico insegnamento o una prassi particolare sono o meno conformi al Vangelo e alla fede apostolica. È intrinsecamente legato alla virtù della fede stessa; deriva dalla fede e ne costituisce una proprietà.[62] Lo si paragona a un istinto perché non è in primo luogo il risultato di una deliberazione razionale, ma prende piuttosto la forma di una conoscenza spontanea e naturale, una sorta di percezione (aisthêsis).

50. Il sensus fidei fidelis proviene innanzitutto e soprattutto dalla connaturalità che la virtù della fede stabilisce fra il soggetto credente e l’oggetto autentico della fede, ossia la verità di Dio rivelata in Cristo Gesù. In generale, la connaturalità fa riferimento a una situazione in cui un’entità A intrattiene con un’altra entità B una relazione così intima che A prende parte alle disposizioni naturali di B, come se si trattasse delle sue proprie. La connaturalità permette una forma di conoscenza originale e profonda. Nella misura, ad esempio, in cui due amici sono uniti, il primo diviene capace di giudicare in modo spontaneo ciò che conviene all’altro, poiché condivide le inclinazioni stesse dell’altro e comprende così per connaturalità ciò che è buono o cattivo per lui. In altre parole, si tratta di una conoscenza di ordine diverso dalla conoscenza oggettiva, la quale procede per via di concettualizzazione e di ragionamento. È una conoscenza per empatia, o una conoscenza del cuore.

51. Ogni virtù rende connaturale il proprio soggetto, ossia chi la possiede, al proprio oggetto, ossia a un certo tipo d’azione. Per virtù si intende qui una disposizione stabile (o habitus) della persona a esercitare un certo tipo di comportamento di ordine intellettuale o morale. La virtù è una sorta di «seconda natura» per la quale la persona umana costruisce se stessa attualizzando liberamente e in maniera conforme alla retta ragione i dinamismi iscritti nella natura umana. Essa conferisce così un orientamento definito e stabile all’attività delle facoltà naturali; le dirige verso comportamenti che la persona virtuosa compirà ormai «naturalmente» con «facilità, padronanza di sé e gioia».[63]

52. Ogni virtù ha un duplice effetto: in primo luogo inclina naturalmente la persona che la possiede verso un oggetto (un certo tipo d’azione) e in secondo luogo la allontana spontaneamente da tutto ciò che è contrario a tale oggetto. Ad esempio, la persona che ha sviluppato la virtù della castità possiede una sorta di «sesto senso», una sorta di «istinto spirituale»[64] che le permette di discernere qual è il giusto atteggiamento da adottare anche nelle situazioni più complesse, cogliendo spontaneamente ciò che le conviene fare e ciò che occorre evitare. La persona casta adotta così come istintivamente il giusto atteggiamento, mentre il ragionamento concettuale del moralista può lasciarlo perplesso e indeciso.[65]

53. Il sensus fidei è la forma che assume questo istinto, che accompagna ogni virtù, nel caso della virtù della fede. «Come gli altri habitus virtuosi fanno sì che un uomo veda ciò che gli conviene secondo tali habitus, così per l’habitus della fede lo spirito dell’uomo è inclinato a dare il proprio assenso a ciò che conviene alla vera fede, e non altro».[66] La fede, in quanto virtù teologale, rende il credente capace di partecipare alla conoscenza che Dio ha di se stesso e di tutte le cose. Nel credente essa prende la forma di una «seconda natura».[67]Mediante la grazia e le virtù teologali i credenti divengono «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4) e sono in qualche modo resi connaturali a Dio. Pertanto, essi reagiscono spontaneamente in funzione di questa natura partecipata, nello stesso modo in cui gli esseri viventi reagiscono istintivamente a ciò che conviene o meno alla propria natura.

54. A differenza della teologia, che si può descrivere come una scientia fidei, il sensus fidei fidelis non è una conoscenza riflessiva dei misteri della fede, che sviluppa concetti e utilizza procedure razionali per giungere alle conclusioni. Come indica il nome (sensus), si apparenta piuttosto a una reazione naturale, immediata e spontanea, paragonabile a un istinto vitale o a una sorta di «fiuto» con il quale il credente aderisce spontaneamente a ciò che è conforme alla verità della fede ed evita ciò che vi si oppone.[68]

55. Il sensus fidei fidelis è di per sé infallibile in ciò che riguarda il proprio oggetto, la vera fede.[69] Tuttavia, nell’universo mentale concreto del credente le giuste intuizioni del sensus fidei possono trovarsi mescolate a diverse opinioni puramente umane, o anche a errori dovuti ai limiti di un dato contesto culturale.[70] «Se dunque la fede teologale in quanto tale non può ingannarsi, il credente può invece avere delle opinioni erronee, poiché tutti i suoi pensieri non procedono dalla fede. Le idee che circolano nel Popolo di Dio non sono tutte in coerenza con la fede».[71]

56. Il sensus fidei fidelis deriva dalla virtù teologale della fede. Questa virtù è una disposizione interiore, suscitata dall’amore, ad aderire senza riserve alla totalità della verità rivelata da Dio non appena questa è percepita come tale. La fede non implica dunque necessariamente una conoscenza esplicita della totalità della verità rivelata.[72] Ne consegue che una certa forma di sensus fidei può esistere in coloro che «battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede».[73] La Chiesa cattolica deve dunque essere attenta a ciò che le può dire lo Spirito per mezzo dei credenti delle Chiese e delle comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con essa.

57. Essendo una proprietà della virtù teologale della fede, il sensus fidei fidelis si sviluppa in proporzione allo sviluppo della virtù della fede. Più la virtù della fede si radica nel cuore e nello spirito dei credenti e informa la loro vita quotidiana, più il sensus fidei fidelis in essi si sviluppa e si fortifica. Ma poiché la fede, intesa come forma di conoscenza, è fondata sull’amore, per animarla e informarla si rende necessaria la carità, al fine di farne una fede viva e vissuta (fides formata). Il rafforzamento della fede nel credente dipende dunque particolarmente dalla crescita in lui della carità, e il sensus fidei fidelis è per questa ragione proporzionale alla santità della sua vita. San Paolo insegna che «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Ne consegue che lo sviluppo del sensus fidei nello spirito del credente si deve in particolare all’azione dello Spirito Santo. In quanto Spirito d’amore, che infonde l’amore nel cuore umano, lo Spirito Santo apre ai credenti la possibilità di una conoscenza più profonda e più intima di Cristo Verità, sulla base di un’unione di carità: «Mostrare la verità conviene propriamente allo Spirito Santo, poiché è l’amore che svela i segreti».[74]

58. La carità permette il dispiegarsi dei doni dello Spirito Santo nei credenti, conducendoli a una comprensione superiore delle cose della fede «con ogni sapienza e intelligenza spirituale» (Col 1,9).[75] In effetti le virtù teologali si esprimono pienamente nella vita del credente solo se egli si lascia guidare dallo Spirito Santo (cf. Rm 8,14). I doni dello Spirito sono precisamente le disposizioni interiori gratuite e infuse che fungono da fulcro per l’azione dello Spirito nella vita del credente. Per mezzo di tali doni dello Spirito, specialmente quelli dell’intelligenza e della scienza, i credenti sono resi capaci di comprendere intimamente «l’esperienza delle cose spirituali»[76] e di rifiutare qualsiasi interpretazione contraria alla fede.

59. Vi è in ogni credente un’interazione vitale fra il sensus fidei e il modo in cui egli vive la fede nei vari ambiti della sua esistenza personale. Da una parte, il sensus fidei illumina e guida il modo in cui il credente attua la propria fede. Dall’altra, dal momento che custodisce i comandamenti e mette in pratica la fede, il credente ne acquisisce una più profonda comprensione: «Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,21). La pratica della fede nella realtà concreta delle situazioni esistenziali nelle quali si trova collocato per le proprie relazioni familiari, professionali e culturali, arricchisce l’esperienza personale del credente. Ciò gli permette di vedere più nettamente il valore e i limiti di una data dottrina e di proporre le vie di una formulazione più adeguata. Ecco perché coloro che insegnano in nome della Chiesa dovrebbero prestare particolare attenzione all’esperienza dei credenti, specialmente a quella dei laici che si impegnano a praticare l’insegnamento della Chiesa nei campi in cui possiedono specifiche esperienze e competenze.

2. Le manifestazioni del sensus fidei
nella via personale dei credenti

60. Si possono segnalare tre manifestazioni principali del sensus fidei fidelis nella vita personale del credente. Il sensus fidei fidelis permette a ogni credente: 1) di discernere se un insegnamento particolare o una prassi specifica che incontra nella Chiesa sono coerenti o meno con la vera fede per la quale egli vive nella comunione ecclesiale (cf. sotto, nn. 61-63); 2) di distinguere nella predicazione l’essenziale dal secondario (n. 64); e 3) di determinare e mettere in pratica la testimonianza da rendere a Gesù Cristo nel contesto storico e culturale particolare nel quale egli vive (n. 65).

61. «Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo» (1Gv 4,1). Il sensus fidei fidelis conferisce al credente la capacità di discernere se un insegnamento o una prassi sono coerenti con la vera fede della quale egli già vive. Se i singoli credenti percepiscono o «sentono» questa coerenza, spontaneamente accordano l’adesione interiore a quegli insegnamenti, o si impegnano personalmente a quelle pratiche, che si tratti di verità già esplicitamente insegnate o non ancora.

62. Il sensus fidei fidelis consente anche a ogni credente di percepire una disarmonia, un’incoerenza o una contraddizione fra un insegnamento o una prassi e la fede cristiana autentica di cui vive. Egli reagisce allora alla maniera di un melomane che percepisce le note sbagliate nell’esecuzione di un brano musicale. In questo caso i credenti resistono interiormente agli insegnamenti o alle pratiche in questione e non li accettano o non vi prendono parte. «L’habitus della fede possiede questa capacità grazie alla quale il credente è trattenuto dal dare il proprio assenso a ciò che è contrario alla fede, proprio come la castità si trattiene in relazione a ciò che è contrario alla castità».[77]

63. Avvertiti dal proprio sensus fidei, i singoli credenti possono giungere a rifiutare l’assenso a un insegnamento dei propri legittimi pastori se non riconoscono in tale insegnamento la voce di Cristo, il buon Pastore. «Le pecore lo seguono [il buon Pastore] perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei» (Gv 10,4-5). Per san Tommaso un credente, anche privo di competenza teologica, può e anzi deve resistere in virtù del sensus fidei al suo vescovo se questo predica cose eterodosse.[78] In tal caso il credente non innalza se stesso a criterio ultimo della verità di fede: al contrario, di fronte a una predicazione materialmente «autorizzata» ma che lo turba, senza che ne possa spiegare esattamente la ragione, egli differisce il proprio assenso e si appella interiormente all’autorità superiore della Chiesa universale.[79]

64. Il sensus fidei fidelis permette al credente di distinguere anche nella predicazione fra ciò che è fondamentale per la fede cattolica autentica e ciò che, senza essere formalmente contrario, è solo accidentale o anche indifferente in relazione all’essenza della fede. Ad esempio, in virtù del loro sensus fidei, i singoli credenti possono relativizzare certe forme particolari di devozione mariana nel nome stesso della propria adesione al culto autentico della vergine Maria. Possono anche prendere le distanze da una predicazione che confonde indebitamente la fede cristiana a scelte politiche particolari. Mantenendo lo spirito del credente centrato su ciò che è essenziale alla fede, il sensus fidei fidelis garantisce un’autentica libertà cristiana (cf. Col 2,16-23) e contribuisce alla purificazione della fede.

65. Grazie al sensus fidei fidelis, e col sostegno della prudenza soprannaturale donata dallo Spirito, il credente è in grado di percepire, all’interno dei nuovi contesti storici e culturali, quali possono essere i mezzi più adatti a rendere una testimonianza autentica alla verità di Gesù Cristo e di conformarvi le proprie azioni. Il sensus fidei fidelis riveste così una dimensione prospettica nella misura in cui, fondandosi sulla fede già vissuta, permette al credente di anticipare uno sviluppo o un’esplicitazione di una data prassi cristiana. In forza del legame reciproco fra la pratica della fede e l’intelligenza del suo contenuto, il sensus fidei fidelis contribuisce affinché emergano e siano illuminati determinati aspetti della fede cattolica che prima erano solo impliciti; e in forza del reciproco legame fra il sensus fidei del credente e il sensus fidei della Chiesa in quanto tale, ovvero il sensus fidei fidelium, tali sviluppi non sono mai soltanto privati, ma sempre di natura ecclesiale. I fedeli sono continuamente in relazione gli uni con gli altri, come pure con il magistero e con i teologi, nella comunione ecclesiale.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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