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Udienza generale del Mercoledì Anno 2022

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2022 18:34
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31/01/2022 17:53
 
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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 26 gennaio 2022

[Multimedia]

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Catechesi su San Giuseppe: 9. San Giuseppe, uomo che “sogna” 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vorrei soffermarmi sulla figura di San Giuseppe come uomo che sogna. Nella Bibbia, come nelle culture dei popoli antichi, i sogni erano considerati un mezzo attraverso cui Dio si rivelava. [1] Il sogno simboleggia la vita spirituale di ciascuno di noi, quello spazio interiore, che ognuno è chiamato a coltivare e a custodire, dove Dio si manifesta e spesso ci parla. Ma dobbiamo anche dire che dentro ognuno di noi non c’è solo la voce di Dio: ci sono tante altre voci. Ad esempio, le voci delle nostre paure, le voci delle esperienze passate, le voci delle speranze; e c’è pure la voce del maligno che vuole ingannarci e confonderci. È importante quindi riuscire a riconoscere la voce di Dio in mezzo alle altre voci. Giuseppe dimostra di saper coltivare il silenzio necessario e, soprattutto, prendere le giuste decisioni davanti alla Parola che il Signore gli rivolge interiormente. Ci farà bene oggi riprendere i quattro sogni riportati nel Vangelo e che hanno lui come protagonista, per capire come porci davanti alla rivelazione di Dio. Il Vangelo ci racconta quattro sogni di Giuseppe.

Nel primo sogno (cfr Mt 1,18-25), l’angelo aiuta Giuseppe a risolvere il dramma che lo assale quando viene a conoscenza della gravidanza di Maria: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (vv. 20-21). E la sua risposta fu immediata: «Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo» (v. 24). Molte volte la vita ci mette davanti a situazioni che non comprendiamo e sembrano senza soluzione. Pregare, in quei momenti, significa lasciare che il Signore ci indichi la cosa giusta da fare. Infatti, molto spesso è la preghiera che fa nascere in noi l’intuizione della via d’uscita, come risolvere quella situazione. Cari fratelli e sorelle, il Signore non permette mai un problema senza darci anche l’aiuto necessario per affrontarlo. Non ci butta lì nel forno da soli. Non ci butta fra le bestie. No. Il Signore quando ci fa vedere un problema o svela un problema, ci dà sempre l’intuizione, l’aiuto, la sua presenza, per uscirne, per risolverlo.

E il secondo sogno rivelatore di Giuseppe arriva quando la vita del bambino Gesù è in pericolo. Il messaggio è chiaro: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). Giuseppe, senza esitazione, obbedisce: «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (vv. 14-15). Nella vita tutti noi facciamo esperienza di pericoli che minacciano la nostra esistenza o quella di chi amiamo. In queste situazioni, pregare vuol dire ascoltare la voce che può far nascere in noi lo stesso coraggio di Giuseppe, per affrontare le difficoltà senza soccombere.

In Egitto, Giuseppe attende da Dio il segno per poter tornare a casa; ed è proprio questo il contenuto del terzo sogno. L’angelo gli rivela che sono morti quelli che volevano uccidere il bambino e gli ordina di partire con Maria e Gesù e ritornare in patria (cfr Mt 2,19-20). Giuseppe «si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele» (v. 21). Ma proprio durante il viaggio di ritorno, «quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi» (v. 22). Ecco allora la quarta rivelazione: «Avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret» (vv. 22-23). Anche la paura fa parte della vita e anch’essa ha bisogno della nostra preghiera. Dio non ci promette che non avremo mai paura, ma che, con il suo aiuto, essa non sarà il criterio delle nostre decisioni. Giuseppe prova la paura, ma Dio lo guida attraverso di essa. La potenza della preghiera fa entrare la luce nelle situazioni di buio.

Penso in questo momento a tante persone che sono schiacciate dal peso della vita e non riescono più né a sperare né a pregare. San Giuseppe possa aiutarle ad aprirsi al dialogo con Dio, per ritrovare luce, forza e pace. E penso anche ai genitori davanti ai problemi dei figli. Figli con tante malattie, i figli ammalati, anche con malattie permanenti: quanto dolore lì. Genitori che vedono orientamenti sessuali diversi nei figli; come gestire questo e accompagnare i figli e non nascondersi in un atteggiamento condannatorio. Genitori che vedono i figli che se ne vanno, muoiono, per una malattia e anche – è più triste, lo leggiamo tutti i giorni sui giornali – ragazzi che fanno delle ragazzate e finiscono in incidente con la macchina. I genitori che vedono i figli che non vanno avanti nella scuola e non sanno come fare… Tanti problemi dei genitori. Pensiamo a come aiutarli. E a questi genitori dico: non spaventatevi. Sì, c’è dolore. Tanto. Ma pensate come ha risolto i problemi Giuseppe e chiedete a Giuseppe che vi aiuti. Mai condannare un figlio. A me fa tanta tenerezza – me lo faceva a Buenos Aires – quando andavo nel bus e passavo davanti al carcere: c’era la coda delle persone che dovevano entrare per visitare i carcerati. E c’erano le mamme, lì che mi facevano tanta tenerezza: davanti al problema di un figlio che ha sbagliato, è carcerato, non lo lasciavano solo, ci mettevano la faccia e lo accompagnavano. Questo coraggio; coraggio di papà e di mamma che accompagnano i figli sempre, sempre. Chiediamo al Signore di dare a tutti i papà e a tutte le mamme questo coraggio che ha dato a Giuseppe. E poi pregare perché il Signore ci aiuti in questi momenti.

La preghiera però non è mai un gesto astratto o intimistico, come vogliono fare questi movimenti spiritualisti più gnostici che cristiani. No, non è quello. La preghiera è sempre indissolubilmente legata alla carità. Solo quando uniamo alla preghiera l’amore, l’amore per i figli per il caso che ho detto adesso o l’amore per il prossimo riusciamo a comprendere i messaggi del Signore. Giuseppe pregava, lavorava e amava - tre cose belle per i genitori: pregare, lavorare e amare - e per questo ha ricevuto sempre il necessario per affrontare le prove della vita. Affidiamoci a lui e alla sua intercessione.

San Giuseppe, tu sei l’uomo che sogna,
insegnaci a recuperare la vita spirituale
come il luogo interiore in cui Dio si manifesta e ci salva.
Togli da noi il pensiero mai che pregare sia inutile;
aiuta ognuno di noi a corrispondere a ciò che il Signore ci indica.
Che i nostri ragionamenti siano irradiati dalla luce dello Spirito,
il nostro cuore incoraggiato dalla Sua forza
e le nostre paure salvate dalla Sua misericordia. Amen.

_________________

[1] Cfr Gen 20,3; 28,12; 31,11.24; 40,8; 41,1-32; Nm 12,6; 1 Sam 3,3-10; Dn 2; 4; Gb 33,15.

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Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vigili del fuoco di Potenza e i rappresentanti della Lega Nazionale di Calcio Serie B.

Il mio pensiero va infine – come di solito - agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Oggi la liturgia fa memoria dei Santi Timoteo e Tito che, formati alla scuola dell'apostolo Paolo, annunciarono il Vangelo con instancabile ardore. Il loro esempio vi incoraggi a vivere in modo coerente la vocazione cristiana, trovando nel Signore la forza per affrontare le difficoltà dell’esistenza.

E mi permetto di spiegarvi che oggi non potrò venire fra voi per salutarvi, perché ho un problema alla gamba destra; si è un infiammato un legamento del ginocchio. Ma scenderò e vi saluterò lì e voi passate per salutarmi. È una cosa passeggera. Dicono che questo viene solo ai vecchi, e non so perché è arrivato a me…

A tutti sempre la mia benedizione.

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Prima del Padre Nostro

E ora, con il Padre Nostro, vi invito a pregare per la pace in Ucraina, e a farlo spesso nel corso di questa giornata: chiediamo con insistenza al Signore che quella terra possa veder fiorire la fraternità e superare ferite, paure e divisioni. Abbiamo parlato dell’olocausto. Ma pensate che [anche in Ucraina] milioni di persone sono state annientate [1932-1933]. È un popolo sofferente; ha sofferto la fame, ha sofferto tante crudeltà e merita la pace. Le preghiere e le invocazioni che oggi si levano fino al cielo tocchino le menti e i cuori dei responsabili in terra, perché facciano prevalere il dialogo e il bene di tutti sia anteposto agli interessi di parte. Per favore, mai la guerra.

Preghiamo per la pace con il Padre Nostro: è la preghiera dei figli che si rivolgono allo stesso Padre, è la preghiera che ci fa fratelli, è la preghiera dei fratelli che implorano riconciliazione e concordia.




UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 2 febbraio 2022

[Multimedia]

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Catechesi su San Giuseppe: 10. San Giuseppe e la comunione dei santi

Cari fratelle e sorelle, buongiorno!

In queste settimane abbiamo potuto approfondire la figura di San Giuseppe lasciandoci guidare dalle poche ma importanti notizie che danno i Vangeli, e anche dagli aspetti della sua personalità che la Chiesa lungo i secoli ha potuto evidenziare attraverso la preghiera e la devozione. A partire proprio da questo “sentire comune” che nella storia della Chiesa ha accompagnato la figura di San Giuseppe, oggi vorrei soffermarmi su un importante articolo di fede che può arricchire la nostra vita cristiana e può anche impostare nel migliore dei modi la nostra relazione con i santi e con i nostri cari defunti: parlo della comunione dei santi. Tante volte noi diciamo, nel Credo, “credo la comunione dei santi”. Ma se si domanda cosa è la comunione dei santi, io ricordo che da bambino rispondevo subito: “Ah, i santi fanno la comunione”. E’ una cosa che … non capiamo cosa diciamo. Cosa è la comunione dei santi? Non è che i Santi facciano la comunione, non è questo: è un’altra cosa.

A volte anche il cristianesimo può cadere in forme di devozione che sembrano riflettere una mentalità più pagana che cristiana. La differenza fondamentale sta nel fatto che la nostra preghiera e la nostra devozione del popolo fedele non si basa, in quei casi, sulla fiducia in un essere umano, o in un’immagine o in un oggetto, anche quando sappiamo che essi sono sacri. Ci ricorda il profeta Geremia: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, […] benedetto l’uomo che confida nel Signore» (17,5-7). Persino quando ci affidiamo pienamente all’intercessione di un santo, o ancora di più della Vergine Maria, la nostra fiducia ha valore soltanto in rapporto a Cristo. Come se la strada verso questo santo o la Madonna non finisce lì: no. Va lì, ma in rapporto a Cristo. Cristo è il legame che ci unisce a Lui e tra di noi che ha un nome specifico: questo legame che ci unisce tutti, fra noi e noi con Cristo, è la “comunione dei santi”. Non sono i santi a operare i miracoli, no! “Questo santo è tanto miracoloso …”: no, fermati: i santi non operano miracoli, ma soltanto la grazia di Dio che agisce attraverso di loro. I miracoli sono stati fatti da Dio, dalla grazia di Dio che agisce tramite una persona santa, una persona giusta. Questo bisogna averlo chiaro. C’è gente che dice: “Io non credo a Dio, ma credo a questo santo”. No, è sbagliato. Il santo è un intercessore, uno che prega per noi e noi lo preghiamo, e prega per noi e il Signore ci dà la grazia: il Signore agisce tramite il Santo.

Che cos’è, dunque, la “comunione dei santi”? Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «La comunione dei santi è precisamente la Chiesa» (n. 946). Ma guarda che bella definizione! “La comunione dei santi è precisamente la Chiesa”. Che cosa significa questo? Che la Chiesa è riservata ai perfetti? No. Significa che è la comunità dei peccatori salvati. La Chiesa è la comunità dei peccatori salvati. È bella, questa definizione. Nessuno può escludersi dalla Chiesa, tutti siamo peccatori salvati. La nostra santità è il frutto dell’amore di Dio che si è manifestato in Cristo, il quale ci santifica amandoci nella nostra miseria e salvandoci da essa. Sempre grazie a Lui noi formiamo un solo corpo, dice San Paolo, in cui Gesù è il capo e noi le membra (cfr 1 Cor 12,12). Questa immagine del corpo di Cristo e l’immagine del corpo ci fa capire subito che cosa significa essere legati gli uni agli altri in comunione. «Se un membro soffre – scrive San Paolo – tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (1 Cor 12,26-27). Questo dice Paolo: siamo tutti un corpo, tutti uniti per la fede, per il battesimo, tutti in comunione: uniti in comunione con Gesù Cristo. E questa è la comunione dei santi.

Cari fratelli e care sorelle, la gioia e il dolore che toccano la mia vita riguarda tutti, così come la gioia e il dolore che toccano la vita del fratello e della sorella accanto a noi riguardano anche me. Io non posso essere indifferente agli altri, perché siamo tutti parte di un corpo, in comunione. In questo senso, anche il peccato di una singola persona riguarda sempre tutti, e l’amore di ogni singola persona riguarda tutti. In virtù della comunione dei santi, di questa unione, ogni membro della Chiesa è legato a me in maniera profonda - ma non dico a me perché sono il Papa - siamo legati reciprocamente e in maniera profonda, e questo legame è talmente forte che non può essere rotto neppure dalla morte. Infatti, la comunione dei santi non riguarda solo i fratelli e le sorelle che sono accanto a me in questo momento storico, ma riguarda anche quelli che hanno concluso il pellegrinaggio terreno e hanno varcato la soglia della morte. Anche loro sono in comunione con noi. Pensiamo, cari fratelli e sorelle: in Cristo nessuno può mai veramente separarci da coloro che amiamo perché il legame è un legame esistenziale, un legame forte che è nella nostra stessa natura; cambia solo il modo di essere insieme a ognuno di loro, ma niente e nessuno può rompere questo legame. “Padre, pensiamo a coloro che hanno rinnegato la fede, che sono degli apostati, che sono i persecutori della Chiesa, che hanno rinnegato il loro battesimo: anche questi sono a casa?”. Sì, anche questi, anche i bestemmiatori, tutti. Siamo fratelli: questa è la comunione dei santi. La comunione dei santi tiene insieme la comunità dei credenti sulla terra e nel Cielo.

In questo senso, la relazione di amicizia che posso costruire con un fratello o una sorella accanto a me, posso stabilirla anche con un fratello o una sorella che sono in Cielo. I santi sono amici con cui molto spesso intessiamo rapporti di amicizia. Ciò che noi chiamiamo devozione a un santo – io sono molto devoto a questo santo, a questa santa – questa che noi chiamiamo devozione è in realtà un modo di esprimere l’amore a partire proprio da questo legame che ci unisce. Anche, nella vita di tutti i giorni si può dire: “Ma, questa persona ha tanta devozione per i suoi vecchi genitori”: no, è un modo di amore, un’espressione di amore. E tutti noi sappiamo che a un amico possiamo rivolgerci sempre, soprattutto quando siamo in difficoltà e abbiamo bisogno di aiuto. E noi abbiamo degli amici in cielo. Tutti abbiamo bisogno di amici; tutti abbiamo bisogno di relazioni significative che ci aiutino ad affrontare la vita. Anche Gesù aveva i suoi amici, e ad essi si è rivolto nei momenti più decisivi della sua esperienza umana. Nella storia della Chiesa ci sono delle costanti che accompagnano la comunità credente: anzitutto il grande affetto e il legame fortissimo che la Chiesa ha sempre sentito nei confronti di Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Ma anche lo speciale onore e affetto che ha tributato a San Giuseppe. In fondo, Dio affida a lui le cose più preziose che ha: suo Figlio Gesù e la Vergine Maria. È sempre grazie alla comunione dei santi che sentiamo vicini a noi i Santi e le Sante che sono nostri patroni, per il nome che portiamo, per esempio, per la Chiesa a cui apparteniamo, per il luogo dove abitiamo, e così via, anche per una devozione personale. Ed è questa la fiducia che deve sempre animarci nel rivolgerci a loro nei momenti decisivi della nostra vita. Non è una cosa magica, non è una superstizione, la devozione ai santi; è semplicemente parlare con un fratello, una sorella che è davanti a Dio, che ha percorso una vita giusta, una vita santa, una vita esemplare, e adesso è davanti a Dio. E io parlo con questo fratello, con questa sorella e chiedo la sua intercessione per i miei bisogni.

Proprio per questo mi piace concludere questa catechesi con una preghiera a San Giuseppe alla quale sono particolarmente legato e che recito ogni giorno da più di 40 anni. E’ una preghiera che ho trovato in un libro di preghiere delle Suore di Gesù e Maria, del 1700, fine del Settecento. È molto bella, ma più che una preghiera è una sfida a questo amico, a questo padre, a questo custode nostro che è San Giuseppe. Sarebbe bello che voi imparaste questa preghiera e possiate ripeterla. La leggerò: “Glorioso Patriarca San Giuseppe, il cui potere sa rendere possibili le cose impossibili, vieni in mio aiuto in questi momenti di angoscia e difficoltà. Prendi sotto la tua protezione le situazioni tanto gravi e difficili che ti affido, affinché abbiano una felice soluzione. Mio amato Padre, tutta la mia fiducia è riposta in te. Che non si dica che ti abbia invocato invano, e poiché tu puoi tutto presso Gesù e Maria, mostrami che la tua bontà è grande quanto il tuo potere”. E finisce con una sfida, questo è sfidare San Giuseppe: “Poiché tu puoi tutto presso Gesù e Maria, mostrami che la tua bontà è grande quanto il tuo potere”. Io mi affido tutti i giorni a San Giuseppe, con questa preghiera, da più di 40 anni: è una vecchia preghiera.

Avanti, coraggio, in questa comunione di tutti i santi che abbiamo in cielo e in terra: il Signore non ci abbandona.

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Conclusa la Catechesi il Santo Padre ha pronunciato queste parole:

Abbiamo sentito, alcuni minuti fa, una persona che gridava, gridava, che aveva qualche problema, non so se fisico, psichico, spirituale: ma è un fratello nostro in problema. Io vorrei finire pregando per lui, il nostro fratello che soffre, poveretto: se gridava è perché soffre, ha qualche bisogno. Non dobbiamo essere sordi al bisogno di questo fratello. Preghiamo insieme la Madonna per lui: Ave o Maria, …

Saluti

APPELLI

Da un anno a questa parte, ormai, assistiamo con dolore alle violenze che insanguinano il Myanmar. Faccio mio l’appello dei Vescovi birmani affinché la Comunità Internazionale si adoperi per la riconciliazione tra le parti interessate. Non possiamo voltare lo sguardo da un’altra parte, di fronte alle sofferenze di tanti fratelle e sorelle. Chiediamo a Dio, nella preghiera, la consolazione per quella popolazione martoriata; a Lui affidiamo gli sforzi di pace.

* * *

Dopodomani, 4 febbraio, si celebrerà la Seconda Giornata Internazionale della Fratellanza Umana. È motivo di soddisfazione che le Nazioni del mondo intero si uniscano in questa celebrazione, volta a promuovere il dialogo interreligioso e interculturale, come auspicato anche nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio del 2019 ad Abu Dhabi del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib e da me. Fratellanza vuol dire tendere la mano agli altri, rispettarli e ascoltarli con cuore aperto. Auspico che si compiano passi concreti, insieme ai credenti di altre religioni e alle persone di buona volontà, per affermare che oggi è tempo di fraternità, evitando di alimentare scontri, divisioni e chiusure. Preghiamo e impegniamoci ogni giorno affinché tutti possiamo vivere in pace da fratelli e sorelle.

* * *

Stanno per aprirsi a Pechino i Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali, rispettivamente il 4 febbraio e il 4 marzo prossimi. Rivolgo di cuore il mio saluto a tutti i partecipanti; auguro agli organizzatori il miglior successo e agli atleti di dare il meglio di sé. Lo sport, con il suo linguaggio universale, può costruire ponti di amicizia e di solidarietà tra persone e popoli di ogni cultura e religione. Ho apprezzato, pertanto, che allo storico motto olimpico Citius, Altius, Fortius – Più veloce, più in alto, più forte – il Comitato Olimpico Internazionale abbia aggiunto la parola Communiter, cioè Insieme, perché i Giochi Olimpici facciano crescere un mondo più fraterno.

Con un particolare pensiero abbraccio tutto il mondo paralimpico. La medaglia più importante la vinceremo insieme se l’esempio delle atlete e degli atleti con disabilità aiuterà tutti a superare pregiudizi e timori e a far diventare le nostre comunità più accoglienti e inclusive. Questa è la vera medaglia d’oro! Inoltre, seguo con attenzione ed emozione le storie personali di atlete e atleti rifugiati. Le loro testimonianze contribuiscano a incoraggiare le società civili ad aprirsi con sempre maggiore fiducia a tutti, senza lasciare nessuno indietro. Alla grande famiglia olimpica e paralimpica auguro di vivere un’esperienza unica di fratellanza umana e di pace. Beati gli operatori di pace! (Mt 5,9)

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti che partecipano al corso promosso dall’Università della Santa Croce, il Gruppo “Amici di Spello” e il Coro “Tau” delle Suore Francescane Missionarie dei Poveri.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la festa della presentazione del Signore al tempio di Gerusalemme. Da questo mistero emerge un messaggio per tutti: Cristo si propone come esempio nell’offerta al Padre, indicando con quale generosità occorra aderire alla volontà di Dio e al servizio ai fratelli. Oggi è anche la festa dell’Incontro, dell’incontro di Gesù con il suo popolo, e anche specialmente dell’incontro di Gesù bambino con i vecchi. Mi raccomando, andiamo avanti sviluppando questo atteggiamento di incontro fra i bambini e i nonni, i giovani con i vecchi: questo atteggiamento è una risorsa dell’umanità. I vecchi ci danno la forza per andare avanti, la loro memoria, la loro storia; e i giovani la portano avanti. Lavoriamo anche noi per questo incontro dei nipoti con i nonni, dei giovani con i vecchi.

A tutti, la mia benedizione!


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 9 febbraio 2022

[Multimedia]

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Catechesi su San Giuseppe: 11. San Giuseppe patrono della buona morte

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nella scorsa catechesi, stimolati ancora una volta dalla figura di San Giuseppe, abbiamo riflettuto sul significato della comunione dei santi. E proprio a partire da questa, oggi vorrei approfondire la speciale devozione che il popolo cristiano ha sempre avuto per San Giuseppe come patrono della buona morte. Una devozione nata dal pensiero che Giuseppe sia morto con l’assistenza della Vergine Maria e di Gesù, prima che questi lasciasse la casa di Nazaret. Non ci sono dati storici, ma siccome non si vede più Giuseppe nella vita pubblica, si pensa che sia morto lì a Nazaret, con la famiglia. E ad accompagnarlo alla morte erano Gesù e Maria.

Il Papa Benedetto XV, un secolo fa, scriveva che «attraverso Giuseppe noi andiamo direttamente a Maria, e, attraverso Maria, all’origine di ogni santità, che è Gesù». Sia Giuseppe sia Maria ci aiutano ad andare a Gesù. E incoraggiando le pie pratiche in onore di San Giuseppe, ne raccomandava in particolare una, e diceva così: «Poiché Egli è meritamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi, essendo spirato con l’assistenza di Gesù e di Maria, sarà cura dei sacri Pastori di inculcare e favorire […] quei pii sodalizi che sono stati istituiti per supplicare Giuseppe a favore dei moribondi, come quelli “della Buona Morte”, del “Transito di San Giuseppe” e “per gli Agonizzanti”» (Motu proprio Bonum sane, 25 luglio 1920): erano le associazioni del tempo.

Cari fratelli e sorelle, forse qualcuno pensa che questo linguaggio e questo tema siano solo un retaggio del passato, ma in realtà il nostro rapporto con la morte non riguarda mai il passato, è sempre presente. Papa Benedetto diceva, alcuni giorni fa, parlando di sé stesso che “è davanti alla porta oscura della morte”. E’ bello ringraziare il Papa Benedetto che a 95 anni ha la lucidità di dirci questo: “Io sono davanti all’oscurità della morte, alla porta oscura della morte”. Un bel consiglio che ci ha dato! La cosiddetta cultura del “benessere” cerca di rimuovere la realtà della morte, ma in maniera drammatica la pandemia del coronavirus l’ha rimessa in evidenza. È stato terribile: la morte era dappertutto, e tanti fratelli e sorelle hanno perduto persone care senza poter stare vicino a loro, e questo ha reso la morte ancora più dura da accettare e da elaborare. Mi diceva una infermiera che una nonna con il covid stava morendo e le disse: “Io vorrei salutare i miei, prima di andarmene”. E l’infermiera, coraggiosa, ha preso il telefonino e l’ha collegata. La tenerezza di quel congedo…

Nonostante ciò, si cerca in tutti i modi di allontanare il pensiero della nostra finitudine, illudendosi così di togliere alla morte il suo potere e scacciare il timore. Ma la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla. Prima o poi, tutti noi andremo per quella porta.

La vera luce che illumina il mistero della morte viene dalla risurrezione di Cristo. Ecco la luce. E scrive San Paolo: Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (1 Cor 15,12-14). C’è una certezza: Cristo è resuscitato, Cristo è risorto, Cristo è vivo tra noi. E questa è la luce che ci aspetta dietro quella porta oscura della morte.

Cari fratelli e sorelle, solo dalla fede nella risurrezione noi possiamo affacciarci sull’abisso della morte senza essere sopraffatti dalla paura. Non solo: possiamo riconsegnare alla morte un ruolo positivo. Infatti, pensare alla morte, illuminata dal mistero di Cristo, aiuta a guardare con occhi nuovi tutta la vita. Non ho mai visto, dietro un carro funebre, un camion di traslochi! Dietro a un carro funebre: non l’ho visto mai. Ci andremo soli, senza niente nelle tasche del sudario: niente. Perché il sudario non ha tasche. Questa solitudine della morte: è vero, non ho mai visto dieto un carro funebre un camion di traslochi. Non ha senso accumulare se un giorno moriremo. Ciò che dobbiamo accumulare è la carità, è la capacità di condividere, la capacità di non restare indifferenti davanti ai bisogni degli altri. Oppure, che senso ha litigare con un fratello o con una sorella, con un amico, con un familiare, o con un fratello o una sorella nella fede se poi un giorno moriremo? A che serve arrabbiarsi, arrabbiarsi con gli altri? Davanti alla morte tante questioni si ridimensionano. È bene morire riconciliati, senza lasciare rancori e senza rimpianti! Io vorrei dire una verità: tutti noi siamo in cammino verso quella porta, tutti.

Il Vangelo ci dice che la morte arriva come un ladro, così dice Gesù: arriva come un ladro, e per quanto noi tentiamo di voler tenere sotto controllo il suo arrivo, magari programmando la nostra stessa morte, essa rimane un evento con cui dobbiamo fare i conti e davanti a cui fare anche delle scelte.

Due considerazioni per noi cristiani rimangono in piedi. La prima: non possiamo evitare la morte, e proprio per questo, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l’accanimento terapeutico (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2278). Quella frase del popolo fedele di Dio, della gente semplice: “Lascialo morire in pace”, “aiutalo a morire in pace”: quanta saggezza! La seconda considerazione riguarda invece la qualità della morte stessa, la qualità del dolore, della sofferenza. Infatti, dobbiamo essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette “cure palliative”, ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile. Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano a uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti. Ma io vorrei sottolineare qui un problema sociale, ma reale. Quel “pianificare” – non so se sia la parola giusta – ma accelerare la morte degli anziani. Tante volte si vede in un certo ceto sociale che agli anziani, perché non hanno i mezzi, si danno meno medicine rispetto a quelle di cui avrebbero bisogno, e questo è disumano: questo non è aiutarli, questo è spingerli più presto verso la morte. E questo non è umano né cristiano. Gli anziani vanno curati come un tesoro dell’umanità: sono la nostra saggezza. Anche se non parlano, e se sono senza senso, sono tuttavia il simbolo della saggezza umana. Sono coloro che hanno fatto la strada prima di noi e ci hanno lasciato tante cose belle, tanti ricordi, tanta saggezza. Per favore, non isolare gli anziani, non accelerare la morte degli anziani. Accarezzare un anziano ha la stessa speranza che accarezzare un bambino, perché l’inizio della vita e la fine è un mistero sempre, un mistero che va rispettato, accompagnato, curato, amato.

Possa San Giuseppe aiutarci a vivere il mistero della morte nel miglior modo possibile. Per un cristiano la buona morte è un’esperienza della misericordia di Dio, che si fa vicina a noi anche in quell’ultimo momento della nostra vita. Anche nella preghiera dell’Ave Maria, noi preghiamo chiedendo alla Madonna di esserci vicini “nell’ora della nostra morte”. Proprio per questo vorrei concludere questa catechesi pregando tutti insieme la Madonna per gli agonizzanti, per coloro che stanno vivendo questo momento di passaggio per questa porta oscura, e per i familiari che stanno vivendo il lutto. Preghiamo insieme:

Ave Maria…

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Saluti

Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. Zachęcam Was do ofiarowania Waszych modlitw za wstawiennictwem św. Józefa, wypraszając, by chorzy odzyskali zdrowie, zagubieni doznali nawrócenia i pokoju, a wszyscy wierni w godzinę przejścia do Domu Ojca otrzymali łaskę dobrej śmierci. Z serca Wam błogosławię!

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Vi invito a offrire le vostre preghiere per intercessione di San Giuseppe, chiedendo che i malati riacquistino la salute, gli smarriti sperimentino la conversione e la pace e che tutti i fedeli, nell’ora del passaggio alla Casa del Padre, ricevano la grazia della buona morte. Vi benedico di cuore!]

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APPELLI

Desidero ringraziare tutte le persone e le comunità che il 26 gennaio scorso si sono unite nella preghiera per la pace in Ucraina. Continuiamo a supplicare il Dio della pace, perché le tensioni e le minacce di guerra siano superate attraverso un dialogo serio, e affinché a questo scopo possano contribuire anche i colloqui nel “Formato Normandia”. Non dimentichiamo: la guerra è una pazzia!


Dopo domani, 11 febbraio, si celebra la Giornata Mondiale del Malato. Desidero ricordare i nostri cari malati perché a tutti siano assicurate le cure sanitarie e l’accompagnamento spirituale. Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle, per i loro familiari, per gli operatori sanitari e pastorali, e per tutti coloro che se ne prendono cura.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto la Comunità del Seminario Regionale di Potenza, accompagnata dai Vescovi della Basilicata, e i Frati Minori delle Province di Puglia e Molise.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. Dopo domani, celebreremo la memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes. Auguro a ciascuno di imitare la Vergine Santa nella piena disponibilità nei confronti della volontà divina. Il suo esempio e la sua intercessione siano di stimolo per rafforzare la vostra testimonianza evangelica.

A tutti, la mia benedizione!


[Modificato da Caterina63 09/02/2022 18:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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