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Udienza generale del Mercoledì Anno 2022

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2022 18:34
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22/06/2022 12:39
 
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UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 22 giugno 2022

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Catechesi sulla Vecchiaia: 15. Pietro e Giovanni 

Cari fratelli e sorelle, benvenuti e buongiorno!

Nel nostro percorso di catechesi sulla vecchiaia, oggi meditiamo sul dialogo tra Gesù risorto e Pietro al termine del Vangelo di Giovanni (21,15-23). È un dialogo commovente, da cui traspare tutto l’amore di Gesù per i suoi discepoli, e anche la sublime umanità del suo rapporto con loro, in particolare con Pietro: un rapporto tenero, ma non melenso, diretto, forte, libero, aperto. Un rapporto da uomini e nella verità. Così, il Vangelo di Giovanni, così spirituale, così alto, si chiude con una struggente richiesta e offerta d’amore tra Gesù e Pietro, che si intreccia, con tutta naturalezza, con una discussione tra di loro. L’Evangelista ci avverte: egli rende testimonianza alla verità dei fatti (cfr Gv 21,24). Ed è in essi che va cercata la verità.

Possiamo chiederci: siamo capaci noi di custodire il tenore di questo rapporto di Gesù con i discepoli, secondo quel suo stile così aperto, così franco, così diretto, così umanamente reale? Com’è il nostro rapporto con Gesù? È così, come quello degli apostoli con Lui? Non siamo, invece, molto spesso tentati di chiudere la testimonianza del Vangelo nel bozzolo di una rivelazione “zuccherosa”, alla quale aggiungere la nostra venerazione di circostanza? Questo atteggiamento, che sembra rispetto, in realtà ci allontana dal vero Gesù, e diventa persino occasione per un cammino di fede molto astratto, molto autoreferenziale, molto mondano, che non è la strada di Gesù. Gesù è il Verbo di Dio fatto uomo, e Lui si comporta come uomo, Lui ci parla come uomo, Dio-uomo. Con questa tenerezza, con questa amicizia, con questa vicinanza. Gesù non è come quell’immagine zuccherosa delle immaginette, no: Gesù è alla mano nostra, è vicino a noi.

Nel corso della discussione di Gesù con Pietro, troviamo due passaggi che riguardano precisamente la vecchiaia e la durata del tempo: il tempo della testimonianza, il tempo della vita. Il primo passo è l’avvertimento di Gesù a Pietro: quando eri giovane eri autosufficiente, quando sarai vecchio non sarai più così padrone di te e della tua vita. Dillo a me che devo andare in carrozzina, eh! Ma è così, la vita è così: con la vecchiaia ti vengono tutte queste malattie e dobbiamo accettarle come vengono, no? Non abbiamo la forza dei giovani! E anche la tua testimonianza – dice Gesù – si accompagnerà a questa debolezza. Tu devi essere testimone di Gesù anche nella debolezza, nella malattia e nella morte. C’è un passo bello di Sant’Ignazio di Loyola che dice: “Così come nella vita, anche nella morte dobbiamo dare testimonianza di discepoli di Gesù”. Il fine vita dev’essere un fine vita di discepoli: di discepoli di Gesù, perché il Signore ci parla sempre secondo l’età che abbiamo. L’Evangelista aggiunge il suo commento, spiegando che Gesù alludeva alla testimonianza estrema, quella del martirio e della morte. Ma possiamo ben intendere più in generale il senso di questo ammonimento: la tua sequela dovrà imparare a lasciarsi istruire e plasmare dalla tua fragilità, dalla tua impotenza, dalla tua dipendenza da altri, persino nel vestirsi, nel camminare. Ma tu «seguimi» (v. 19). La sequela di Gesù va sempre avanti, con buona salute, con non buona salute, con autosufficienza e con non autosufficienza fisica, ma la sequela di Gesù è importante: seguire Gesù sempre, a piedi, di corsa, lentamente, in carrozzina, ma seguirlo sempre. La sapienza della sequela deve trovare la strada per rimanere nella sua professione di fede – così risponde Pietro: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (vv. 15.16.17) –, anche nelle condizioni limitate della debolezza e della vecchiaia. A me piace parlare con gli anziani guardandoli negli occhi: hanno quegli occhi brillanti, quegli occhi che ti parlano più delle parole, la testimonianza di una vita. E questo è bello, dobbiamo conservarlo fino alla fine. Seguire Gesù così, pieni di vita.

Questo colloquio tra Gesù e Pietro contiene un insegnamento prezioso per tutti i discepoli, per tutti noi credenti. E anche per tutti gli anziani. Imparare dalla nostra fragilità ad esprimere la coerenza della nostra testimonianza di vita nelle condizioni di una vita largamente affidata ad altri, largamente dipendente dall’iniziativa di altri. Con la malattia, con la vecchiaia la dipendenza cresce e non siamo più autosufficienti come prima; cresce la dipendenza dagli altri e anche lì matura la fede, anche lì c’è Gesù con noi, anche lì sgorga quella ricchezza della fede ben vissuta durante la strada della vita.

Ma di nuovo dobbiamo interrogarci: disponiamo di una spiritualità realmente capace di interpretare la stagione – ormai lunga e diffusa – di questo tempo della nostra debolezza affidata ad altri, più che alla potenza della nostra autonomia? Come si rimane fedeli alla sequela vissuta, all’amore promesso, alla giustizia cercata nel tempo della nostra capacità di iniziativa, nel tempo della fragilità, nel tempo della dipendenza, del congedo, nel tempo di allontanarsi dal protagonismo della nostra vita? Non è facile allontanarsi dall’essere protagonista, non è facile.

Questo nuovo tempo è anche un tempo della prova, certamente. Incominciando dalla tentazione – molto umana, indubbiamente, ma anche molto insidiosa –, di conservare il nostro protagonismo. E alle volte il protagonista deve diminuire, deve abbassarsi, accettare che la vecchiaia ti abbassa come protagonista. Ma avrai un altro modo di esprimerti, un altro modo di partecipare nella famiglia, nella società, nel gruppo degli amici. Ed è la curiosità che viene a Pietro: “E lui?”, dice Pietro, vedendo il discepolo amato che li seguiva (cfr vv. 20-21). Ficcare il naso nella vita degli altri. E no: Gesù dice: “Stai zitto!”. Deve proprio stare nella “mia” sequela? Deve forse occupare il “mio” spazio? Sarà il mio successore? Sono domande che non servono, che non aiutano. Deve durare più di me e prendersi il mio posto? E la risposta di Gesù è franca e persino ruvida: «A te che importa? Tu seguimi» (v. 22), Come a dire: prenditi cura della tua vita, della tua situazione attuale e non ficcare il naso nella vita altrui. Tu seguimi. Questo sì, è importante: la sequela di Gesù, seguire Gesù nella vita e nella morte, nella salute e nella malattia, nella vita quando è prospera con tanti successi e nella vita anche difficile con tanti momenti brutti di caduta. E quando noi vogliamo metterci nella vita degli altri, Gesù risponde: “A te che importa? Tu seguimi”. Bellissimo. Noi anziani non dovremmo essere invidiosi dei giovani che prendono la loro strada, che occupano il nostro posto, che durano più di noi. L’onore della nostra fedeltà all’amore giurato, la fedeltà alla sequela della fede che abbiamo creduto, anche nelle condizioni che ci avvicinano al congedo della vita, sono il nostro titolo di ammirazione per le generazioni che vengono e di grato riconoscimento da parte del Signore. Imparare a congedarsi: questa è la saggezza degli anziani. Ma congedarsi bene, con il sorriso; imparare a congedarsi in società, a congedarsi con gli altri. La vita dell’anziano è un congedo, lento, lento, ma un congedo gioioso: ho vissuto la vita, ho conservato la mia fede. Questo è bello, quando un anziano può dire questo: “Ho vissuto la vita, questa è la mia famiglia; ho vissuto la vita, sono stato un peccatore ma anche ho fatto del bene”. E questa pace che viene, questo è il congedo dell’anziano.

Persino la sequela forzatamente inoperosa, fatta di emozionata contemplazione e di ascolto rapito della parola del Signore – come quella di Maria, sorella di Lazzaro – diventerà la parte migliore della loro vita, della vita di noi anziani. Che mai questa parte ci sarà più tolta, mai (cfr Lc 10,42). Guardiamo gli anziani, guardiamoli, e aiutiamoli affinché possano vivere ed esprimere la loro saggezza di vita, che possano darci quello che hanno di bello e di buono. Guardiamoli, ascoltiamoli. E noi anziani, guardiamo i giovani sempre con un sorriso: loro seguiranno la strada, loro porteranno avanti quello che abbiamo seminato, anche quello che noi non abbiamo seminato perché non abbiamo avuto il coraggio o l’opportunità: loro lo porteranno avanti. Ma sempre questo rapporto di reciprocità: un anziano non può essere felice senza guardare i giovani e i giovani non possono andare avanti nella vita senza guardare gli anziani. Grazie.

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Saluti

APPELLO
 

Nelle scorse ore, un terremoto ha provocato vittime e danni ingenti in Afghanistan. Esprimo la mia vicinanza ai feriti e a chi è stato colpito dal sisma e prego in particolare per quanti hanno perso la vita e per i loro familiari. Auspico che con l’aiuto di tutti, si possano alleviare le sofferenze della cara popolazione afghana.

Esprimo altresì il mio dolore e sgomento per l’uccisione in Messico, l’altro ieri, di due religiosi gesuiti, fratelli miei, e di un laico. Quante uccisioni in Messico! Sono vicino con l’affetto e la preghiera alla comunità cattolica colpita da questa tragedia. Ancora una volta, ripeto che la violenza non risolve i problemi, ma accresce le inutili sofferenze.

I bambini che erano con me nella papamobile erano bambini ucraini: non dimentichiamo l’Ucraina. Non perdiamo la memoria della sofferenza di quel popolo martoriato.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le parrocchie di Macerata, Maddaloni e Salerno; l’Accademia Militare di Modena e l’Accademia Ufficiali della Guardia di Finanza; brave Armi!

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. La festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì prossimo, e la memoria del Cuore Immacolato di Maria, che la Chiesa si appresta a celebrare, ci richiamano l’esigenza di corrispondere all’amore misericordioso di Cristo e ci invitano ad affidarci con fiducia all’intercessione della Madre del Signore.

A tutti voi la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 10 agosto 2022

[Multimedia]

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Catechesi sulla Vecchiaia: 16. “Vado a prepararvi un posto” (cfr Gv 14,2). La vecchiaia, tempo proiettato al compimento.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

siamo ormai alle ultime catechesi dedicate alla vecchiaia. Oggi entriamo nell’intimità commovente del congedo di Gesù dai suoi, ampiamente riportato nel Vangelo di Giovanni. Il discorso di commiato inizia con parole di consolazione e di promessa: «Non sia turbato il vostro cuore» (14,1); «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (14,3). Belle parole, queste, del Signore.

Poco prima, Gesù aveva detto a Pietro: tu «mi seguirai più tardi» (13,36), ricordandogli il passaggio attraverso la fragilità della sua fede. Il tempo della vita che rimane ai discepoli sarà, inevitabilmente, un passaggio attraverso la fragilità della testimonianza e attraverso le sfide della fraternità. Ma sarà anche un passaggio attraverso le entusiasmanti benedizioni della fede: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi» (14,12). Pensate che promessa è questa! Non so se ci pensiamo fino in fondo, se ci crediamo fino in fondo! Non so, alle volte credo di no…

La vecchiaia è il tempo propizio per la testimonianza commossa e lieta di questa attesa. L’anziano e l’anziana sono in attesa, in attesa di un incontro. Nella vecchiaia le opere della fede, che avvicinano noi e gli altri al regno di Dio, stanno ormai oltre la potenza delle energie, delle parole, degli slanci della giovinezza e della maturità. Ma proprio così rendono ancora più trasparente la promessa della vera destinazione della vita. E qual è la vera destinazione della vita? Un posto a tavola con Dio, nel mondo di Dio. Sarebbe interessante vedere se nelle Chiese locali esiste qualche riferimento specifico, destinato a ravvivare questo speciale ministero dell’attesa del Signore – è un ministero, il ministero dell’attesa del Signore – incoraggiando i carismi individuali e le qualità comunitarie della persona anziana.

Una vecchiaia che si consuma nell’avvilimento delle occasioni mancate, porta avvilimento per sé e per tutti. Invece, la vecchiaia vissuta con dolcezza, vissuta con rispetto per la vita reale scioglie definitivamente l’equivoco di una potenza che deve bastare a sé stessa e alla propria riuscita. Scioglie persino l’equivoco di una Chiesa che si adatta alla condizione mondana, pensando in questo modo di governarne definitivamente la perfezione e il compimento. Quando ci liberiamo da questa presunzione, il tempo dell’invecchiamento che Dio ci concede è già in sé stesso una di quelle opere “più grandi” di cui parla Gesù. In effetti, è un’opera che a Gesù non fu dato di compiere: la sua morte, la sua risurrezione e la sua ascensione in Cielo l’hanno resa possibile a noi! Ricordiamoci che “il tempo è superiore allo spazio”. È la legge dell’iniziazione. La nostra vita non è fatta per chiudersi su sé stessa, in una immaginaria perfezione terrena: è destinata ad andare oltre, attraverso il passaggio della morte – perché la morte è un passaggio. Infatti, il nostro luogo stabile, il nostro punto d’arrivo non è qui, è accanto al Signore, dove Egli dimora per sempre.

Qui, sulla terra, si avvia il processo del nostro “noviziato”: siamo apprendisti della vita, che – tra mille difficoltà – imparano ad apprezzare il dono di Dio, onorando la responsabilità di condividerlo e di farlo fruttificare per tutti. Il tempo della vita sulla terra è la grazia di questo passaggio. La sicumera di fermare il tempo – volere l’eterna giovinezza, il benessere illimitato, il potere assoluto – non è solo impossibile, è delirante.

La nostra esistenza sulla terra è il tempo dell’iniziazione alla vita: è vita, ma che ti porta avanti a una vita più piena, l’iniziazione di quella più piena; una vita che solo in Dio trova il compimento. Siamo imperfetti fin dall’inizio e rimaniamo imperfetti fino alla fine. Nel compimento della promessa di Dio, il rapporto si inverte: lo spazio di Dio, che Gesù prepara per noi con ogni cura, è superiore al tempo della nostra vita mortale. Ecco: la vecchiaia avvicina la speranza di questo compimento. La vecchiaia conosce definitivamente, ormai, il senso del tempo e le limitazioni del luogo in cui viviamo la nostra iniziazione. La vecchiaia è saggia per questo: i vecchi sono saggi per questo. Per questo essa è credibile quando invita a rallegrarsi dello scorrere del tempo: non è una minaccia, è una promessa. La vecchiaia è nobile, non ha bisogno di truccarsi per far vedere la propria nobiltà. Forse il trucco viene quando manca la nobiltà. La vecchiaia è credibile quando invita a rallegrarsi dello scorrere del tempo: ma il tempo passa e questo non è una minaccia, è una promessa. La vecchiaia che ritrova la profondità dello sguardo della fede, non è conservatrice per sua natura, come dicono! Il mondo di Dio è uno spazio infinito, sul quale il passaggio del tempo non ha più peso. E proprio nell’Ultima Cena, Gesù si proiettò verso questa meta, quando disse ai discepoli: «Da ora non berrò più di questo frutto della vite, fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio» (Mt 26,29). È andato oltre. Nella nostra predicazione, spesso il Paradiso è giustamente pieno di beatitudine, di luce, di amore. Forse gli manca un po’ la vita. Gesù, nelle parabole, parlava del regno di Dio mettendoci più vita. Non siamo più capaci di questo noi, nel parlare della vita che continua?

Cari fratelli e sorelle, la vecchiaia, vissuta nell’attesa del Signore, può diventare la compiuta “apologia” della fede, che rende ragione, a tutti, della nostra speranza per tutti (cfr 1 Pt 3,15). Perché la vecchiaia rende trasparente la promessa di Gesù, proiettandosi verso la Città santa di cui parla il libro dell’Apocalisse (capitoli 21-22). La vecchiaia è la fase della vita più adatta a diffondere la lieta notizia che la vita è iniziazione per un compimento definitivo. I vecchi sono una promessa, una testimonianza di promessa. E il meglio deve ancora venire. Il meglio deve ancora venire: è come il messaggio del vecchio e della vecchia credenti, il meglio deve ancora venire. Dio conceda a tutti noi una vecchiaia capace di questo!

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Saluti

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Vi auguro che il periodo di vacanze sia per voi un tempo di riposo, ma anche l’opportunità per ravvivare i legami con Dio e con gli uomini. Non trascurate la preghiera quotidiana, la partecipazione all’Eucaristia domenicale e la condivisione del tempo con gli altri. Contemplate la bellezza del creato, glorificando l’amore del Creatore. Vi accompagni la sua benedizione.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, esortando tutti ad essere costruttori di unità e di pace in famiglia, nella Chiesa e nella società. Non è facile essere costruttori di pace, sia nella famiglia che nella Chiesa… l’unità; ma dobbiamo farlo, perché è un bel lavoro. Un pensiero anche al popolo dell’Ucraina, che ancora soffre questa guerra così crudele. E preghiamo anche per i migranti che stanno arrivando continuamente.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. La festa liturgica di San Lorenzo, diacono e martire della Chiesa dei Roma, susciti in ciascuno il desiderio di testimoniare il Vangelo, sempre disponibili verso i poveri e quanti si trovano in difficoltà.

A tutti la mia benedizione.




UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 17 agosto 2022

[Multimedia]

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Catechesi sulla Vecchiaia - 17. L’“Antico dei giorni”. La vecchiaia rassicura sulla destinazione alla vita che non muore più

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Le parole del sogno di Daniele, che abbiamo ascoltato, evocano una visione di Dio misteriosa e al tempo stesso splendente. Essa è ripresa all’inizio del libro dell’Apocalisse e riferita a Gesù Risorto, che appare al Veggente come Messia, Sacerdote e Re, eterno, onnisciente e immutabile (1,12-15). Egli posa la sua mano sulla spalla del Veggente e lo rassicura: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre» (vv. 17-18). Scompare così l’ultima barriera del timore e dell’angoscia che la teofania ha sempre suscitato: il Vivente ci rassicura, ci dà sicurezza. Lui pure è morto, ma ora occupa il posto che gli è destinato: quello del Primo e dell’Ultimo.

In questo intreccio dei simboli – qui ci sono tanti simboli – c’è un aspetto che ci aiuta forse a comprendere meglio il legame di questa teofania, questo apparire di Dio, con il ciclo della vita, il tempo della storia, la signoria di Dio per il mondo creato. E questo aspetto ha proprio a che fare con la vecchiaia. Cosa c’entra? Vediamo.

La visione comunica un’impressione di vigore e di forza, di nobiltà, di bellezza e di fascino. Il vestito, gli occhi, la voce, i piedi, tutto è splendido in quella visione: si tratta di visione! I suoi capelli però sono candidi: come la lana, come la neve. Come quelli di un vecchio. Il termine biblico più diffuso per indicare l’anziano è “zaqen”: da “zaqan”, che significa “barba”. La chioma candida è il simbolo antico di un tempo lunghissimo, di un passato immemorabile, di una esistenza eterna. Non bisogna demitizzare tutto coi bambini: l’immagine di un Dio vegliardo con la chioma candida non è un simbolo sciocco, è un’immagine biblica, è un’immagine nobile e anche un’immagine tenera. La Figura che nell’Apocalisse sta fra i candelabri d’oro si sovrappone a quella dell’“Antico dei giorni” della profezia di Daniele. È vecchio come l’intera umanità, ma anche di più. È antico e nuovo come l’eternità di Dio. Perché l’eternità di Dio è così, antica e nuova, perché Dio ci sorprende sempre con la sua novità, sempre ci viene incontro, ogni giorno in una maniera speciale, per quel momento, per noi. Si rinnova sempre: Dio è eterno, è da sempre, possiamo dire che c’è come una vecchiaia in Dio, non è così, ma è eterno, si rinnova.

Nelle Chiese orientali, la festa dell’Incontro con il Signore, che si celebra il 2 febbraio, è una delle dodici grandi feste dell’anno liturgico. Essa mette in risalto l’incontro di Gesù con l’anziano Simeone al Tempio, essa mette in risalto l’incontro tra l’umanità, rappresentata dai vegliardi Simeone e Anna, con Cristo Signore piccolo, il Figlio eterno di Dio fatto uomo. Una sua bellissima icona si può ammirare a Roma nei mosaici di Santa Maria in Trastevere.

La liturgia bizantina prega con Simeone: «Questi è Colui che è stato partorito dalla Vergine: è il Verbo, Dio da Dio, Colui che per noi si è incarnato e ha salvato l’uomo». E prosegue: «Si apra oggi la porta del cielo: il Verbo eterno del Padre, assunto un principio temporale, senza uscire dalla sua divinità, è presentato per suo volere al tempio della Legge dalla Vergine Madre e il vegliardo lo prende tra le braccia». Queste parole esprimono la professione di fede dei primi quattro Concili ecumenici, che sono sacri per tutte le Chiese. Ma il gesto di Simeone è anche l’icona più bella per la speciale vocazione della vecchiaia: guardando Simeone guardiamo l’icona più bella della vecchiaia: presentare i bambini che vengono al mondo come un dono ininterrotto di Dio, sapendo che uno di loro è il Figlio generato nell’intimità stessa di Dio, prima di tutti i secoli.

La vecchiaia, incamminata verso un mondo in cui potrà finalmente irradiarsi senza ostacoli l’amore che Dio ha messo nella Creazione, deve compiere questo gesto di Simeone e di Anna, prima del suo congedo. La vecchiaia deve rendere testimonianza – questo per me è il nocciolo, il più centrale della vecchiaia – la vecchiaia deve rendere testimonianza ai bambini della loro benedizione: essa consiste nella loro iniziazione – bella e difficile – al mistero di una destinazione alla vita che nessuno può annientare. Neppure la morte. Dare testimonianza di fede davanti a un bambino è seminare questa vita; anche, dare testimonianza di umanità e di fede è la vocazione degli anziani. Dare ai bambini la realtà che hanno vissuto come testimonianza, dare il testimone. Noi vecchi siamo chiamati a questo, a dare il testimone, perché loro lo portino avanti.

La testimonianza degli anziani è credibile per i bambini: i giovani e gli adulti non sono in grado di renderla così autentica, così tenera, così struggente, come possono fare gli anziani, i nonni. Quando l’anziano benedice la vita che gli viene incontro, deponendo ogni risentimento per la vita che se ne va, è irresistibile. Non è amareggiato perché passa il tempo e lui sta per andarsene: no. È con quella gioia del buon vino, del vino che si è fatto buono con gli anni. La testimonianza degli anziani unisce le età della vita e le stesse dimensioni del tempo: passato, presente e futuro, perché loro non sono solo la memoria, sono il presente e anche la promessa. È doloroso – e dannoso – vedere che si concepiscono le età della vita come mondi separati, in competizione fra loro, che cercano di vivere ciascuno a spese dell’altro: questo non va. L’umanità è antica, molto antica, se guardiamo al tempo dell’orologio. Ma il Figlio di Dio, che è nato da donna, è il Primo e l’Ultimo di ogni tempo. Vuol dire che nessuno cade fuori dalla sua eterna generazione, fuori dalla sua splendida forza, fuori dalla sua amorevole prossimità.

L’alleanza – e dico alleanza – l’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà la famiglia umana. Dove i bambini, dove i giovani parlano con i vecchi c’è futuro; se non ci sarà questo dialogo fra vecchi e giovani, il futuro non si vede chiaro. L’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà la famiglia umana. Potremmo, per favore, restituire ai bambini, che devono imparare a nascere, la tenera testimonianza di anziani che possiedono la saggezza del morire? Questa umanità, che con tutto il suo progresso ci sembra un adolescente nato ieri, potrà riavere la grazia di una vecchiaia che tiene fermo l’orizzonte della nostra destinazione? La morte è certamente un passaggio difficile della vita, per tutti noi: è un passaggio difficile. Tutti dobbiamo andare lì, ma non è facile. Ma la morte è anche il passaggio che chiude il tempo dell’incertezza e butta via l’orologio: è difficile, perché quello è il passaggio della morte. Perché il bello della vita, che non ha più scadenza, incomincia proprio allora. Ma incomincia dalla saggezza di quell’uomo e di quella donna, anziani, che sono capaci di dare ai giovani il testimone. Pensiamo al dialogo, all’alleanza dei vecchi e dei bambini, dei vecchi con i giovani, e facciamo in modo che non venga tagliato, questo legame. Che i vecchi abbiano la gioia di parlare, di esprimersi con i giovani e che i giovani cerchino i vecchi per prendere da loro la saggezza della vita.

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Saluti

[Saluto cordialmente i Polacchi. In questi giorni, migliaia di pellegrini si recano a piedi al santuario di Jasna Góra, pregando per la pace e la riconciliazione nel mondo. Tra di loro ci sono molti Ucraini che hanno trovato nel vostro Paese una casa ospitale. Affidiamo il destino dell’Europa e del mondo alla Madonna Nera. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto gli universitari di diversi Paesi e diverse religioni che partecipano alle giornate di incontro promosse dall’“Opera Giorgio La Pira”: cari amici vi incoraggio a percorrere cammini di dialogo e di confronto per costruire un mondo di pace.

Saluto con particolare affetto le Suore dell’Immacolata – erano nella curia di Buenos Aires, le conosco bene –, che celebrano il Capitolo Generale: care sorelle, invoco su di voi copiosi doni dello Spirito Santo e vi invito a cooperare generosamente per l’evangelizzazione, specialmente delle giovani generazioni e delle persone più fragili. E preghiamo per le vocazioni!

Il mio pensiero, come sempre, va all’Ucraina: non dimentichiamo quel popolo martoriato.

E infine il mio pensiero come di consueto, agli anziani, agli ammalati, ai giovani e agli sposi novelli. La solennità dell'Assunzione, che abbiamo celebrato da pochi giorni, ci ha invitato a vivere con impegno il cammino di questo mondo costantemente rivolti ai beni eterni. Maria aiuti ciascuno a mettere sempre al primo posto Cristo e il Vangelo.

A tutti la mia benedizione.






[Modificato da Caterina63 17/08/2022 15:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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