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Udienza generale del Mercoledì Anno 2022

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2022 18:34
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28/09/2022 12:58
 
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UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 28 settembre 2022

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Catechesi sul Discernimento: 3. Gli elementi del discernimento. La familiarità con il Signore

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Riprendiamo le catechesi sul tema del discernimento, - perché è molto importante il tema del discernimento per sapere cosa succede dentro di noi; dei sentimenti e delle idee, dobbiamo discernere da dove vengono, dove mi portano, a quale decisione - e oggi ci soffermiamo sul primo dei suoi elementi costitutivi, cioè la preghiera. Per discernere occorre stare in un ambiente, in uno stato di preghiera.

La preghiera è un aiuto indispensabile per il discernimento spirituale, soprattutto quando coinvolge gli affetti, consentendo di rivolgerci a Dio con semplicità e familiarità, come si parla a un amico. È saper andare oltre i pensieri, entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa. Il segreto della vita dei santi è la familiarità e confidenza con Dio, che cresce in loro e rende sempre più facile riconoscere quello che a Lui è gradito. La preghiera vera è familiarità e confidenza con Dio. Non è recitare preghiere come un pappagallo, bla bla bla, no. La vera preghiera è questa spontaneità e affetto con il Signore. Questa familiarità vince la paura o il dubbio che la sua volontà non sia per il nostro bene, una tentazione che a volte attraversa i nostri pensieri e rende il cuore inquieto e incerto o amaro, pure.

Il discernimento non pretende una certezza assoluta - non è chimicamente un puro metodo, no, pretende una certezza assoluta, perché riguarda la vita, e la vita non è sempre logica, presenta molti aspetti che non si lasciano racchiudere in una sola categoria di pensiero. Vorremmo sapere con precisione cosa andrebbe fatto, eppure, anche quando capita, non per questo agiamo sempre di conseguenza. Quante volte abbiamo fatto anche noi l’esperienza descritta dall’apostolo Paolo, che dice così: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19). Non siamo solo ragione, non siamo macchine, non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle: gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi, del cuore.

È significativo che il primo miracolo compiuto da Gesù nel Vangelo di Marco sia un esorcismo (cfr 1,21-28). Nella sinagoga di Cafarnao libera un uomo dal demonio, liberandolo dalla falsa immagine di Dio che Satana suggerisce fin dalle origini: quella di un Dio che non vuole la nostra felicità. L’indemoniato, di quel brano di Vangelo, sa che Gesù è Dio, ma questo non lo porta a credere in Lui. Dice infatti: «Sei venuto a rovinarci» (v. 24).

Molti, anche cristiani, pensano la medesima cosa: che cioè Gesù possa anche essere il Figlio di Dio, ma dubitano che voglia la nostra felicità; anzi, alcuni temono che prendere sul serio la sua proposta, quello che Gesù ci propone, significhi rovinarsi la vita, mortificare i nostri desideri, le nostre aspirazioni più forti. Questi pensieri fanno talvolta capolino dentro di noi: che Dio ci chieda troppo, abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, che non ci voglia davvero bene. Invece, nel nostro primo incontro abbiamo visto che il segno dell’incontro con il Signore è la gioia. Quando incontro il Signore nella preghiera, divento gioioso. Ognuno di noi diventa gioioso, una cosa bella. La tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da Dio: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti», dice Gesù al giovane ricco (Mt 19,17). Purtroppo per quel giovane, alcuni ostacoli non gli hanno consentito di attuare il desiderio che aveva nel cuore, di seguire più da vicino il “maestro buono”. Era un giovane interessato, intraprendente, aveva preso l’iniziativa di incontrare Gesù, ma era anche molto diviso negli affetti, per lui le ricchezze erano troppo importanti. Gesù non lo costringe a decidersi, ma il testo nota che il giovane si allontana da Gesù «triste» (v. 22). Chi si allontana dal Signore non è mai contento, pur avendo a propria disposizione una grande abbondanza di beni e possibilità. Gesù mai costringe a seguirlo, mai. Gesù ti fa sapere la sua volontà, con tanto cuore ti fa sapere le cose ma ti lascia libero. E questa è la cosa più bella della preghiera con Gesù: la libertà che Lui ci lascia. Invece quando noi ci allontaniamo dal Signore rimaniamo con qualcosa di triste, qualcosa di brutto nel cuore.

Discernere cosa succede dentro di noi non è facile, perché le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere in modo soave dubbi e timori, rendendo la nostra vita sempre più ricettiva alla sua «luce gentile», secondo la bella espressione di San John Henry Newman. I santi brillano di luce riflessa e mostrano nei semplici gesti della loro giornata la presenza amorevole di Dio, che rende possibile l’impossibile. Si dice che due sposi che hanno vissuto insieme tanto tempo volendosi bene finiscono per assomigliarsi. Qualcosa di simile si può dire della preghiera affettiva: in modo graduale ma efficace ci rende sempre più capaci di riconoscere ciò che conta per connaturalità, come qualcosa che sgorga dal profondo del nostro essere. Stare in preghiera non significa dire parole, parole, no; stare in preghiera significa aprire il cuore a Gesù, avvicinarsi a Gesù, lasciare che Gesù entri nel mio cuore e ci faccia sentire la sua presenza. E lì possiamo discernere quando è Gesù e quando siamo noi con i nostri pensieri, tante volte lontani da quello che vuole Gesù.

Chiediamo questa grazia: di vivere una relazione di amicizia con il Signore, come un amico parla all’amico (cfr S. Ignazio di L., Esercizi spirituali, 53). Io ho conosciuto un vecchio fratello religioso che era il portiere di un collegio e lui ogni volta che poteva si avvicinava alla cappella, guardava l’altare, diceva: “Ciao”, perché aveva vicinanza con Gesù. Lui non aveva bisogno di dire bla bla bla, no: “ciao, ti sono vicino e tu mi sei vicino”. Questo è il rapporto che dobbiamo avere nella preghiera: vicinanza, vicinanza affettiva, come fratelli, vicinanza con Gesù. Un sorriso, un semplice gesto e non recitare parole che non arrivano al cuore. Come dicevo, parlare con Gesù come un amico parla all’altro amico. È una grazia che dobbiamo chiedere gli uni per gli altri: vedere Gesù come il nostro amico, il nostro amico più grande, il nostro amico fedele, che non ricatta, soprattutto che non ci abbandona mai, anche quando noi ci allontaniamo da Lui. Lui rimane alla porta del cuore. “No, io con te non voglio sapere nulla”, diciamo noi. E Lui rimane zitto, rimane lì a portata di mano, a portata di cuore perché Lui sempre è fedele. Andiamo avanti con questa preghiera, diciamo la preghiera del “ciao”, la preghiera di salutare il Signore con il cuore, la preghiera dell’affetto, la preghiera della vicinanza, con poche parole ma con gesti e con opere buone. Grazie.

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Saluti

Saluto cordialmente i polacchi. In particolare i dirigenti, i funzionari e i cappellani del Servizio Penitenziario, venuti a Roma per ringraziare di aver ottenuto san Paolo come loro patrono. Fra qualche giorno inizia il mese di ottobre, tradizionalmente dedicato alla Madonna del Rosario. Recitando questa preghiera nelle comunità e nelle famiglie affidate a Maria le vostre preoccupazioni e i bisogni del mondo, soprattutto la questione della pace. Dio vi benedica!

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Parete e di Battipaglia, auspicando che, con l’impegno di tutti, cresca il fervore religioso delle rispettive comunità parrocchiali. E poi un pensiero alla martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto, quel povero popolo così crudelmente provato. Questa mattina ho potuto parlare con il cardinale Krajewski che era di rientro dall’Ucraina e mi ha raccontato cose terribili. Pensiamo all’Ucraina e preghiamo per questo popolo martoriato.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. La festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, che celebreremo domani, susciti in ciascuno una sincera adesione ai disegni divini. Sappiate riconoscere e seguire la voce del Maestro interiore, che parla nel segreto della coscienza. Anche preghiamo per il corpo della Gendarmeria vaticana che ha san Michele Arcangelo come patrono e lo festeggia dopo domani. Che loro seguano sempre l’esempio del santo Arcangelo e il Signore li benedica per tutto il bene che fanno.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 ottobre 2022

[Multimedia]

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Catechesi sul Discernimento: 4. Gli elementi del discernimento. Conoscere sé stessi

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Continuiamo a trattare il tema del discernimento. La volta scorsa abbiamo considerato come suo elemento indispensabile quello della preghiera, intesa come familiarità e confidenza con Dio. Preghiera, non come i pappagalli, ma come familiarità e confidenza con Dio; preghiera dei figli al Padre; preghiera con il cuore aperto. Questo lo abbiamo visto nell’ultima Catechesi. Oggi vorrei, in maniera quasi complementare, sottolineare che un buon discernimento richiede anche la conoscenza di sé stessi. Conoscere sé stesso. E questo non è facile. Il discernimento infatti coinvolge le nostre facoltà umane: la memoria, l’intelletto, la volontà, gli affetti. Spesso non sappiamo discernere perché non ci conosciamo abbastanza, e così non sappiamo che cosa veramente vogliamo. Avete sentito tante volte: “Ma quella persona, perché non sistema la sua vita? Mai ha saputo quello che vuole …”. Senza arrivare a quell’estremo, ma anche a noi succede che non sappiamo bene cosa vogliamo, non ci conosciamo bene.

Alla base di dubbi spirituali e crisi vocazionali si trova non di rado un dialogo insufficiente tra la vita religiosa e la nostra dimensione umana, cognitiva e affettiva. Un autore di spiritualità notava come molte difficoltà sul tema del discernimento rimandano a problemi di altro genere, che vanno riconosciuti ed esplorati. Così scrive questo autore: «Sono giunto alla convinzione che l’ostacolo più grande al vero discernimento (e ad una vera crescita nella preghiera) non è la natura intangibile di Dio, ma il fatto che non conosciamo sufficientemente noi stessi, e non vogliamo nemmeno conoscerci per come siamo veramente. Quasi tutti noi ci nascondiamo dietro a una maschera, non solo di fronte agli altri, ma anche quando ci guardiamo allo specchio» (Th. Green, Il grano e la zizzania, Roma, 1992, 25). Tutti abbiamo la tentazione di essere mascherati anche davanti a noi stessi.

La dimenticanza della presenza di Dio nella nostra vita va di pari passo con l’ignoranza su noi stessi – ignorare Dio e ignorare noi -, ignoranza sulle caratteristiche della nostra personalità e sui nostri desideri più profondi.

Conoscere sé stessi non è difficile, ma è faticoso: implica un paziente lavoro di scavo interiore. Richiede la capacità di fermarsi, di “disattivare il pilota automatico”, per acquistare consapevolezza sul nostro modo di fare, sui sentimenti che ci abitano, sui pensieri ricorrenti che ci condizionano, e spesso a nostra insaputa. Richiede anche di distinguere tra le emozioni e le facoltà spirituali. “Sento” non è lo stesso di “sono convinto”; “mi sento di” non è lo stesso di “voglio”. Così si arriva a riconoscere che lo sguardo che abbiamo su noi stessi e sulla realtà è talvolta un po’ distorto. Accorgersi di questo è una grazia! Infatti, molte volte può accadere che convinzioni errate sulla realtà, basate sulle esperienze del passato, ci influenzano fortemente, limitando la nostra libertà di giocarci per ciò che davvero conta nella nostra vita.

Vivendo nell’era dell’informatica, sappiamo quanto sia importante conoscere le password per poter entrare nei programmi dove si trovano le informazioni più personali e preziose. Ma anche la vita spirituale ha le sue “password”: ci sono parole che toccano il cuore perché rimandano a ciò per cui siamo più sensibili. Il tentatore, cioè il diavolo, conosce bene queste parole-chiave, ed è importante che le conosciamo anche noi, per non trovarci là dove non vorremmo. La tentazione non suggerisce necessariamente cose cattive, ma spesso cose disordinate, presentate con una importanza eccessiva. In questo modo ci ipnotizza con l’attrattiva che queste cose suscitano in noi, cose belle ma illusorie, che non possono mantenere quanto promettono, e così ci lasciano alla fine con un senso di vuoto e di tristezza. Quel senso di vuoto e tristezza è un segnale che abbiamo preso una strada che non era giusta, che ci ha disorientato. Possono essere, per esempio, il titolo di studio, la carriera, le relazioni, tutte cose in sé lodevoli, ma verso le quali, se non siamo liberi, rischiamo di nutrire aspettative irreali, come ad esempio la conferma del nostro valore. Tu, per esempio, quando pensi a uno studio che stai facendo, tu lo pensi soltanto per promuovere te stesso, per il tuo interesse, o anche per servire la comunità? Lì, si può vedere qual è l’intenzionalità di ognuno di noi. Da questo fraintendimento derivano spesso le sofferenze più grandi, perché nessuna di quelle cose può essere la garanzia della nostra dignità.

Per questo, cari fratelli e sorelle, è importante conoscersi, conoscere le password del nostro cuore, ciò a cui siamo più sensibili, per proteggerci da chi si presenta con parole suadenti per manipolarci, ma anche per riconoscere ciò che è davvero importante per noi, distinguendolo dalle mode del momento o da slogan appariscenti e superficiali. Tante volte quello che si dice in un programma in televisione, in qualche pubblicità che si fa, ci tocca il cuore e ci fa andare da quella parte senza libertà. State attenti a quello: sono libero o mi lascio andare ai sentimenti del momento, o alle provocazioni del momento?

Un aiuto in questo è l’esame di coscienza, ma non parlo dell’esame di coscienza che tutti facciamo quando andiamo alla confessione, no. Questo è: “Ma ho peccato di questo, quello …”. No. Esame di coscienza generale della giornata: cosa è successo nel mio cuore in questa giornata? “Sono accadute tante cose …”. Quali? Perché? Quali tracce hanno lasciato nel cuore? Fare l’esame di coscienza, cioè la buona abitudine a rileggere con calma quello che capita nella nostra giornata, imparando a notare nelle valutazioni e nelle scelte ciò a cui diamo più importanza, cosa cerchiamo e perché, e cosa alla fine abbiamo trovato. Soprattutto imparando a riconoscere che cosa sazia il mio cuore. Perché solo il Signore può darci la conferma di quanto valiamo. Ce lo dice ogni giorno dalla croce: è morto per noi, per mostrarci quanto siamo preziosi ai suoi occhi. Non c’è ostacolo o fallimento che possano impedire il suo tenero abbraccio. L’esame di coscienza aiuta tanto, perché così vediamo che il nostro cuore non è una strada dove passa di tutto e noi non sappiamo. No. Vedere: cosa è passato oggi? Cosa è successo? Cosa mi ha fatto reagire? Cosa mi ha fatto triste? Cosa mi ha fatto gioioso? Cosa è stato brutto e se ho fatto del male agli altri. Si tratta di vedere il percorso dei sentimenti, delle attrazioni nel mio cuore durante la giornata. Non dimenticatevi! L’altro giorno abbiamo parlato della preghiera; oggi parliamo della conoscenza di sé stessi.

La preghiera e la conoscenza di sé stessi consentono di crescere nella libertà. Questo, è per crescere nella libertà! Sono elementi basilari dell’esistenza cristiana, elementi preziosi per trovare il proprio posto nella vita. Grazie.

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Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della parrocchia San Tommaso apostolo in Roma, e quelli della parrocchia di San Giacomo apostolo in Grugliasco. Saluto poi i rappresentanti della Caritas di Teramo-Atri, accompagnati dal loro Vescovo, il gruppo dei Servizi sociali salesiani, e gli studenti della scuola Sacro Cuore di Francavilla Fontana. Invito tutti ad imitare San Francesco, patrono d’Italia, la cui festa abbiamo celebrato ieri: il suo esempio di consacrazione a Dio, di servizio agli uomini e di fraternità con le creature, guidi il vostro cammino.

E non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina, sempre chiedendo al Signore il dono della pace.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Esorto anche voi a mettervi alla scuola del Poverello di Assisi, imitandolo nell’amore e nella contemplazione del Crocifisso.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 12 ottobre 2022

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Catechesi sul discernimento. 5. Gli elementi del discernimento. Il desiderio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In queste catechesi stiamo passando in rassegna gli elementi del discernimento. Dopo la preghiera e la conoscenza di sé, cioè pregare e conoscere se stesso, oggi vorrei parlare di un altro “ingrediente” per così dire indispensabile: oggi vorrei parlare del desiderio. Infatti, il discernimento è una forma di ricerca, e la ricerca nasce sempre da qualcosa che ci manca ma che in qualche modo conosciamo, abbiamo il fiuto.

Di che genere è questa conoscenza? I maestri spirituali la indicano con il termine “desiderio”, che, alla radice, è una nostalgia di pienezza che non trova mai pieno esaudimento, ed è il segno della presenza di Dio in noi. Il desiderio non è la voglia del momento, no. La parola italiana viene da un termine latino molto bello, questo è curioso: de-sidus, letteralmente “la mancanza della stella”, desiderio è una mancanza della stella, mancanza del punto di riferimento che orienta il cammino della vita; essa evoca una sofferenza, una carenza, e nello stesso tempo una tensione per raggiungere il bene che ci manca. Il desiderio allora è la bussola per capire dove mi trovo e dove sto andando, anzi è la bussola per capire se sto fermo o sto andando, una persona che mai desidera è una persona ferma, forse ammalata, quasi morta. È la bussola se io sto andando o se io mi fermo. E come è possibile riconoscerlo?

Pensiamo, un desiderio sincero sa toccare in profondità le corde del nostro essere, per questo non si spegne di fronte alle difficoltà o ai contrattempi. È come quando abbiamo sete: se non troviamo da bere, non per questo rinunciamo, anzi, la ricerca occupa sempre più i nostri i pensieri e le nostre azioni, fino a che diventiamo disposti a qualsiasi sacrificio per poterla placare, quasi ossessionato. Ostacoli e insuccessi non soffocano il desiderio, no, al contrario lo rendono ancora più vivo in noi.

A differenza della voglia o dell’emozione del momento, il desiderio dura nel tempo, un tempo anche lungo, e tende a concretizzarsi. Se, per esempio, un giovane desidera diventare medico, dovrà intraprendere un percorso di studi e di lavoro che occuperà alcuni anni della sua vita, di conseguenza dovrà mettere dei limiti, dire dei “no”, anzitutto ad altri percorsi di studio, ma anche a possibili svaghi e distrazioni, specialmente nei momenti di studio più intenso. Però, il desiderio di dare una direzione alla sua vita e di raggiungere quella meta - arrivare medico era l’esempio - gli consente di superare queste difficoltà. Il desiderio ti fa forte, ti fa coraggioso, ti fa andare avanti sempre perché tu vuoi arrivare a quello: “Io desidero quello”.

In effetti, un valore diventa bello e più facilmente realizzabile quando è attraente. Come ha detto qualcuno, «più che essere buoni è importante avere la voglia di diventarlo». Essere buoni è una cosa attraente, tutti vogliamo essere buoni, ma abbiamo la voglia di diventare buoni?

Colpisce il fatto che Gesù, prima di compiere un miracolo, spesso interroga la persona sul suo desiderio: “Vuoi essere guarito?”. E a volte questa domanda sembra fuori luogo, ma si vede che è ammalato! Ad esempio, quando incontra il paralitico alla piscina di Betzatà, il quale stava lì da tanti anni e non riusciva mai a cogliere il momento giusto per entrare nell’acqua. Gesù gli chiede: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6). Come mai? In realtà, la risposta del paralitico rivela una serie di resistenze strane alla guarigione, che non riguardano soltanto lui. La domanda di Gesù era un invito a fare chiarezza nel suo cuore, per accogliere un possibile salto di qualità: non pensare più a sé stesso e alla propria vita “da paralitico”, trasportato da altri. Ma l’uomo sul lettuccio non sembra esserne così convinto. Dialogando con il Signore, impariamo a capire che cosa veramente vogliamo dalla nostra vita. Questo paralitico è l’esempio tipico delle persone: “Sì, sì, voglio ,voglio” ma non voglio, non voglio, non faccio nulla. Il voler fare diventa come un’illusione e non si fa il passo per farlo. Quella gente che vuole e non vuole. È brutto questo e questo ammalato 38 anni lì, ma sempre con le lamentele: “No, sai Signore ma sai che quando le acque si muovono – che è il momento del miracolo – tu sai, viene qualcuno più forte di me, entra e io arrivo in ritardo”, e si lamenta e si lamenta. Ma state attenti che le lamentele sono un veleno, un veleno all’anima, un veleno alla vita perché non ti fanno crescere il desiderio di andare avanti. State attenti con le lamentele. Quando si lamentano in famiglia, si lamentano i coniugi, si lamentano uno dell’altro, i figli del papà o i preti del vescovo o i vescovi di tante altre cose… No, se voi vi ritrovate in lamentela, state attenti, è quasi peccato, perché non lascia crescere il desiderio.

Spesso è proprio il desiderio a fare la differenza tra un progetto riuscito, coerente e duraturo, e le mille velleità e i tanti buoni propositi di cui, come si dice, “è lastricato l’inferno”: “Sì, io vorrei, io vorrei, io vorrei…” ma non fai nulla. L’epoca in cui viviamo sembra favorire la massima libertà di scelta, ma nello stesso tempo atrofizza il desiderio - tu vuoi soddisfarti continuamente - per lo più ridotto alla voglia del momento. E dobbiamo stare attenti a non atrofizzare il desiderio. Siamo bombardati da mille proposte, progetti, possibilità, che rischiano di distrarci e non permetterci di valutare con calma quello che veramente vogliamo. Tante volte, troviamo gente - pensiamo ai giovani per esempio - con il telefonino in mano e cercano, guardano… “Ma tu ti fermi per pensare?” – “No”. Sempre estroverso, verso l’altro. Il desiderio non può crescere così, tu vivi il momento, saziato nel momento e non cresce il desiderio.

Molte persone soffrono perché non sanno che cosa vogliono dalla propria vita; probabilmente non hanno mai preso contatto con il loro desiderio profondo, mai hanno saputo: “Cosa vuoi dalla tua vita?” – “Non so”. Da qui il rischio di trascorrere l’esistenza tra tentativi ed espedienti di vario tipo, senza mai arrivare da nessuna parte, e sciupando opportunità preziose. E così alcuni cambiamenti, pur voluti in teoria, quando si presenta l’occasione non vengono mai attuati, manca il desiderio forte di portare avanti una cosa.

Se il Signore rivolgesse a noi, oggi, per esempio, a uno qualsiasi di noi, la domanda che ha fatto al cieco di Gerico: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Mc 10,51) – pensiamo il Signore a ognuno di noi oggi domanda questo: “che cosa vuoi che io faccia per te?” -, cosa risponderemmo? Forse, potremmo finalmente chiedergli di aiutarci a conoscere il desiderio profondo di Lui, che Dio stesso ha messo nel nostro cuore: “Signore che io conosca i miei desideri, che io sia una donna, un uomo di grandi desideri” forse il Signore ci darà la forza di concretizzarlo. È una grazia immensa, alla base di tutte le altre: consentire al Signore, come nel Vangelo, di fare miracoli per noi: “Dacci il desiderio e fallo crescere, Signore”.

Perché anche Lui ha un grande desiderio nei nostri confronti: renderci partecipi della sua pienezza di vita. Grazie.

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Saluti

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua tedesca. La Beata Vergine Maria di cui domani ricorderemo le apparizioni a Fatima, sia la nostra guida sul cammino di continua conversione e penitenza per andare incontro a Cristo, sole di giustizia. La sua “luce gentile” ci liberi da ogni male e disperda le tenebre di questo mondo tormentato dalle guerre.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Hoy celebramos a Nuestra Señora del Pilar, Patrona de la Hispanidad. Que Ella interceda por nosotros ante su Hijo, para que podamos descubrir el deseo que Él ha puesto en nuestros corazones, y nos alcance la gracia de llevarlo a cumplimiento. Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.


[Saluto cordialmente tutti i polacchi. Il mese di ottobre è dedicato al Santo Rosario. Recitando questa preghiera, lasciate che la vostra vita e le vostre scelte quotidiane siano illuminate da Cristo, splendore della Verità. Meditando i misteri della luce, fate memoria di San Giovanni Paolo II che ha voluto aggiungerli alla contemplazione degli altri momenti della vita di Gesù. Vi benedico di cuore.]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto il gruppo di coloro che si occupano delle malattie reumatiche, con un pensiero speciale e grato per l’area medica della pastorale della salute della diocesi di Roma. Saluto l’Associazione “Centri e opere sociali di solidarietà” di Molfetta; l’Associazione “Genitori persone con autismo” di Messina e l’Associazione “Genitori di figli con encefalite pediatrica”. Tutti incoraggio a perseverare nella meritevole opera a sostegno dei più fragili. Saluto gli Ufficiali e Militari del Comando militare di Roma, come pure la Delegazione del Comune di Cervia, qui convenuta per il tradizionale dono del sale.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la memoria liturgica di San Giovanni XXIII, che servì con esemplare dedizione Cristo e la Chiesa, adoperandosi con sollecitudine per la salvezza delle anime e per la pace nel mondo. La sua protezione aiuti tutti voi nello sforzo di quotidiana fedeltà a Cristo e vi sostenga nelle quotidiane fatiche. A tutti la mia benedizione.

 




[Modificato da Caterina63 12/10/2022 11:59]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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