Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Il Primato Petrino nei testi dei Successori di Pietro

Ultimo Aggiornamento: 21/10/2014 20:06
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
26/11/2008 14:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Dalla prima lettera pastorale alla Diocesi di Venezia, 5 settembre 1895 di san Pio X:

"..Iddio è discacciato dalla politica colle teorie della separazione della Chiesa dallo Stato; dalla scienza, col dubbio elevato a sistema; dall'arte, avvilita sino al verismo; dalle leggi, informate alla morale della carne e del sangue; dalle scuole, coll'abolizione del catechismo, e per fino dalla famiglia, che si vorrebbe sconsacrata nelle sue origini, e privata della grazia del sacramento...
Bisogna combattere il delitto capitale dell'età moderna, che vorrebbe sacrilegamente sostituito l'uomo a Dio; schiarire coi precetti e coi consigli evangelici e colle istituzioni della Chiesa tutti i problemi,che l'Evangelo e la Chiesa hanno luminosamente e trionfalmente risolti:
-educazione, famiglia, proprietà, diritti e doveri;
-ristabilire l'equilibrio cristiano fra le diverse condizioni della societa';
-pacificare la terra e popolare il cielo;

ecco la missione che io devo proseguire in mezzo a voi, rimettendo ogni cosa sotto l'Impero di Dio, di Gesù Cristo, e del suo Vicario in terra, il Papa.......

Quando si parla del Vicario di Cristo, non bisogna esaminare, ma obbedire; non misurare l'estensione del comando per restringere la prestazione della obbedienza; non cavillare sulla più chiara parola del Papa per travolgerne il senso; non interpretarne la volontà alla stregua di preconcetti, che ne distruggono il valore manifesto; non contrapporre diritti al diritto del Papa di insegnare e di comandare; non pesarne i giudizi, non discuterne gli ordini, per non fare ingiuria diretta a Gesù Cristo medesimo...
La società è ammalata; tutte le parti nobili di questo corpo sono colpite, e i principi di vitalità sono compromessi. L'unico rifugio, l'unico rimedio è il Papa...
Si guardino i sacerdoti dall'accettare nessuna delle idee del liberalismo, che, sotto la maschera del bene, pretende di conciliare la giustizia con l'iniquità...I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle di agnello; perciò il sacerdote, che è veramente tale, deve svelare al popolo, commesso alle sue cure, le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene! Siate forti, ed ubbidite a quel comando che è ricordato in Isaia :"Grida, non darti posa, alza la voce come una tromba, e annunzia al popolo mio le sue scelleratezze e alla casa di Giacobbe i suoi peccati"......"

******************

P.S.
va precisato anche se non ce ne sarebbe bisogno, che quando il Papa dice: l'unico rimedio è il Papa, lo dice non in virtù della propria persona, non in virtù di se stesso, ma in virtù DELL'INCARICO, DEL RUOLO che ha assunto dal Cristo, Signore Gesù, CAPO DELLA CHIESA, Sposo della Chiesa, nostro Signore e nostro Dio....
[SM=g27985]


_______________

"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa"
ALCUNI PASSI BIBLICI SUL PAPA




Isaia 22, 20-22: “In quel giorno il Signore manderà il suo servo Eliakim, figlio di Chelkia; gli farà indossare la tua veste, gli metterà ai fianchi la tua cintura, darà a lui il tuo potere. Egli sarà come un padre per il popolo di Gerusalemme e di Giuda. Gli darà piena autorità sul palazzo di Davide. Gli consegnerà le chiavi: se aprirà nessuno potrà chiudere, se chiuderà nessuno potrà aprire”

Giovanni 21, 15: Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. 18 In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi».

Luca 22, 31: Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; 32 ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».

Ap 3,7 “Così dice il Signore, che è santo e verace, che ha in mano la chiave del regno di Davide; quando egli apre, nessuno può chiudere, e quando egli chiude, nessuno può aprire.”

Alleluia
Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
Alleluia

Dal vangelo Secondo Matteo

Matteo 16, 13-20 “Quando Gesù giunse dalle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: Chi dice la gente che sia il Figlio dell’Uomo?’ Risposero: ‘Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti’. Disse loro: ‘Voi chi dite che o sia?’ Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. E Gesù: ‘Beato te, Simone Figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli”. Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Parola del Signore


Preghiera insieme
PERCHE’ SI ACCETTI IL PAPA


(P. Gian Franco Scarpitta cfr. www.qumran2.net)


O Dio Uno e Trino, che vivi in te stesso la comunione nelle Tre Persone che si vincolano nell’amore vicendevole, ti chiediamo, dopo l’elezione del vicario di Cristo che Tu stesso ci hai concesso, di plasmare i nostri cuori e la nostra mente affinché sappiamo instaurare la perfetta unione con il nostro Papa, ricorrendo alle sole prerogative della fede che superano le umane debolezze.

Gloria al Padre

O Dio Padre, tu che hai detto e manifestato più volte di non fare preferenze esteriori ma di guardare al cuore dell’uomo nelle tue scelte, conferma e avalla nelle nostre convinzioni la scelta del Successore di Pietro: infondi in tutti noi la coscienza che il Papa risponde al tuo progetto di salvezza; redici convinti che Tu stesso, nella sua persona, stai realizzando i tuoi disegni validi per i nostri giorni.

Gloria al Padre

O Dio Figlio Gesù Cristo, che hai eletto Pietro tuo Vicario e fondamento della tua Chiesa e lo hai riabilitato nonostante il triplice suo rinnegamento, incaricandolo di pascere il Tuo gregge, fa’ che l’intero popolo cristiano segua con sollecitudine e senza riserve questo Pastore tuo vicario, accettandolo incondizionatamente quale guida da te eletta per la conduzione del gregge di Dio.

Gloria al Padre

O Dio Spirito Santo, che infondi nell’unico Corpo che è la Chiesa la multiforme grazia dei Carismi che diventano ministeri quando messi al servizio del prossimo, aiutaci a superare inevitabili ed inutili confronti e a valorizzare le qualità in positivo del nuovo pontefice, accettando di buon grado la sua persona e il suo insegnamento.

Gloria al Padre

Ti ringraziamo o Dio Trino ed Uno per averci concesso la garanzia della guida spirituale della tua Chiesa e ti preghiamo di accettarla senza riserve e titubanze di sorta.

Padre nostro che sei nei cieli....
__________________
"Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (S.Caterina da Siena)



[Modificato da Caterina63 26/03/2010 00:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
26/03/2010 00:12
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

618 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale
Homilia Summi Pontificis in die Coronationis pag.619

Omelia di Paolo VI ai Cardinali, per l'incoronazione a Pontefice, giugno 1963



Questo rito, straordinariamente solenne ed espressivo, aggiunge
al suo significato religioso un altro significato, quello
propriamente apostolico.
Noi sappiamo di salire sulla Cattedra di San Pietro e di assumere un ufficio altissimo e formidabile ; e vincendo la paralizzante
trepidazione, propria alla Nostra pochezza, per entrare,
sempre con l'aiuto divino, nella franca coscienza della Nostra
posizione nella Chiesa e nel mondo
, lasciamo che risuonino nel
Nostro spirito le parole dell'Apostolo, di cui a Nostro conforto
abbiamo voluto assumere il nome: spectaculum facti sumus
mundo et angelis et hominibus: 2 « siamo fatti spettacolo al
mondo, agli Angeli e agli uomini » ; e guardiamo a voi, Eminenti
Sodali del Sacro Collegio, a voi Venerabili Fratelli tutti nell'Episcopato,
a voi, diletti figli sacerdoti, religiosi e religiose, a voi,
uomini e donne, fedeli tutti, popolo di Dio, membra del Corpo
mistico di Cristo: genus electum, regale sacerdotium, gens
sancta, populus adquisitionis f guardiamo alla Chiesa; a questa
Chiesa romana, che presiede alla carità 4 di tutta la Chiesa di Dio
sulla terra, una, santa, cattolica ed apostolica
.

Ed è al cospetto di tutta la Chiesa che Noi, tremanti e fidenti,
accettiamo le chiavi del regno dei cieli, pesanti e potenti, salutari
e misteriose, che Cristo ha confidate al Pescatore di Galilea,
fatto Principe degli Apostoli, e che sono ora a Noi tramandate
.

Questo rito parla con voce clamorosa dell'autorità conferita
a Pietro e quindi a chi gli è successore. Noi sappiamo che questa
autorità, tanto da Noi stessi temuta e venerata, Ci investe, e
Ci rende Maestro e Pastore, con somma pienezza, della Chiesa
romana e della Chiesa universale. Urbi et Orbi irradia ora il
Nostro divino mandato.

Ma appunto perchè siamo sollevati
alla sommità della scala gerarchica della potestà, che opera
nella Chiesa militante, Ci sentiamo nello stesso tempo posti
nell'infimo ufficio di servo dei servi di Dio. L'autorità e la responsabilità
sono così meravigliosamente congiunte, la dignità
con l'umiltà, il diritto col dovere, la potestà con l'amore.

Non
dimentichiamo l'ammonimento di Cristo, del Quale siamo fatti
Vicario
: « Colui eh'è maggiore fra voi diventi come il minore,
e colui che presiede come chi è incaricato del servizio » .5 Perciò
Noi abbiamo coscienza, in questo momento, di assumere un
impegno, sacro, solenne e gravissimo : quello di continuare nel
tempo e di dilatare sulla terra la missione di Cristo.

2 1 ¡Cor. 4, 9.
3 1 Petr. 2, 9.
4 S. Ignatii Ant. ad Rom., prol.
* Luc. 22, 26.


Lo assumiamo di fronte alla storia della Chiesa che fu, derivata
con vitale coerenza da Lui, Nostro Signore Gesù Cristo,
che le diede origine e forma, e che vivo e misterioso con amore
la fiancheggia nei secoli.

Lo assumiamo di fronte alla storia
della Chiesa che sarà, e che non altro attende da Noi, se non la
perfetta fedeltà alla iniziale missione evangelica e alla tradizione
autentica che ne scaturì. Lo assumiamo di fronte alla storia
presente della Chiesa, di cui già conosciamo e sempre meglio
Ci studieremo di conoscere le strutture, le vicende, le ricchezze,
i bisogni, e di cui avvertiamo, quasi voci che Ci chiamano, la
vitalità erompente, le sofferenze gravissime, l'ansia comunitaria
e la fiorente spiritualità.

Noi riprenderemo con somma riverenza l'opera dei Nostri
Predecessori : difenderemo la santa Chiesa dagli errori di dottrina
e di costume, che dentro e fuori dei suoi confini ne minacciano
la integrità e ne velano la bellezza ; Noi cercheremo di conservare
e di accrescere la virtù pastorale della Chiesa, che la
presenta, libera e povera, nell'atteggiamento che le è proprio
di madre e di maestra, amorosissima ai figli fedeli, rispettosa,
comprensiva, paziente, ma cordialmente invitante a quelli che
ancora tali non sono
.

Riprenderemo, come già annunciammo, la celebrazione del
Concilio ecumenico ; e chiediamo a Dio che questo grande avvenimento
confermi nella Chiesa la fede, ne rinfranchi le energie
morali, ne ringiovanisca e ne adatti ai bisogni dei tempi le forme,
e così la presenti ai fratelli cristiani, separati dalla sua
perfetta unità, da rendere loro attraente, facile e gaudiosa la
sincera ricomposizione, nella verità e nella carità, al corpo mistico
dell'unica Chiesa cattolica.
E avremo in una parola, con l'aiuto di Dio, cuore per tutti :
Ci basti, in questo momento, ricordare, fra tutti, i figli sofferenti
per l'oppressione alla libertà loro dovuta, e per l'infermità
delle membra e dello spirito.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
25/08/2012 15:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Il primato del successore di Pietro nel mistero della Chiesa


Considerazioni sul recente Documento della Congregazione per la dottrina della fede


del cardinale Vincenzo Fagiolo da 30giorni novembre 1998


Se dovessimo analizzare il significato dei 22 titoli con i quali Dante nella Divina Commedia, nella Monarchia, nelle Epistole definisce e qualifica il papa, finiremmo forse per complicare ancor più la questione ecumenica, che proprio nel problema sui poteri del successore di Pietro trova ancora oggi non lievi ostacoli nel cammino dell’unità.

Eppure quei titoli, anche quando esaltano il romano pontefice fino a farne
l’Ostiarius Regni Coelorum (Mon. III, VIII, 9) e il Claviger Regni Coelorum (Mon. III, 15) nonché Vicarius Dei (Mon. I, II, 2. Nel Medioevo, alcuni papi, per esempio Innocenzo III, si presentarono anche con questo titolo) e Prefetto del Foro Divino (Par. XXX, 142), stando al canone neotestamentario (cfr. Mt 10, 2; 14, 28-31; 16, 16-23; 19, 27-29; 26, 33-35; Mc 3, 16; Lc 6, 14; 22, 32; Gv 1, 42; 6, 67-70; 13, 36-38; 21, 15-19; At 1, 13), non sono affatto infondati.

Ma, per quanto sorretti da un fondamento biblico, presi nel loro nucleo essenziale e riassunti nel titolo più comunemente usato – successore di Pietro – quei titoli storicamente, per circostanze diverse, non da tutte le comunità cristiane sono stati ugualmente interpretati. Il punto cruciale, causa reale o supposta, è stato soprattutto l’
esercizio del potere del papa.

Tra le cause infatti che generarono la divisione tra la Chiesa cattolica e la ortodossa, in Oriente, prima, e poi tra la stessa Chiesa cattolica e le comunità cristiane in Occidente, quella dell’interpretazione del
munus petrinum, dell’ufficio concreto cioè del successore di Pietro, è stata tra le più rilevanti e tra le più ardue a essere spiegata, ancorché «quasi tutti [i cristiani] però, anche se in modo diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata al mondo intero, perché il mondo si converta al Vangelo e così sia salvato per la gloria di Dio» (Unitatis redintegratio 1).

Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno dimostrato con documenti magisteriali e iniziative apostoliche a tutto campo, sia verso l’Oriente che verso l’Occidente, la ferma volontà di proseguire nel cammino ecumenico, che il Vaticano II ha considerato uno dei suoi principali intenti, per raggiungere «il ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i cristiani» (UR 1). In questo senso, nell’enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995), Giovanni Paolo II ha sottolineato la singolare rilevanza che nell’attuale momento della vita della Chiesa presenta la questione del primato di Pietro e dei suoi successori. L’enciclica perciò invita i pastori e i teologi a «trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova» (n. 25).

La Congregazione per la dottrina della fede non ha tardato a raccogliere il voto pontificio e nell’arco di un anno e mezzo ha preparato un simposio prettamente dottrinale su
Il primato del successore di Pietro, che si è svolto in Vaticano dal 2 al 4 dicembre 1996, i cui atti sono stati pubblicati quest’anno dalla Libreria Editrice Vaticana. In appendice al volume (pp. 493-503) c’è il documento che la stessa Congregazione ha fatto pubblicare sull’Osservatore Romano (sabato 31 ottobre 1998, p. 7, che chiameremo Documento) all’evidente scopo di allargarne la conoscenza e sollecitare teologi e pastori ad approfondirne i contenuti, anche – forse soprattutto – in vista di un cammino ecumenico meno arduo, anche se, probabilmente, più lungo se fosse lasciato alla sola riflessione teologica.


Il dato storico a conferma del primato
Sappiamo che, a partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa, già con Giovanni XXIII e poi con Paolo VI e Giovanni Paolo II, sta percorrendo, insieme alla via dottrinale, anche quella della carità, che, come ebbe a esprimersi il patriarca Atenagora, è da preferire. Senza quindi abbandonare quella dottrinale. La storia conferma che il primato visto e stimato come presidenza e servizio di carità, attirò per secoli – i più fecondi per vitalità dottrinale e missionaria – l’affectio delle varie Chiese a quella di Roma, che aveva a vescovo il successore di Pietro. Tanto per fare qualche riferimento, lo dichiarava già, tra i Padri apostolici, sant’Ignazio, vescovo di Antiochia (dopo san Pietro ed Evodio), il quale vedeva le varie comunità ecclesiali unite dalla carità e dalla fede sotto il governo dei legittimi pastori e con il primato della Chiesa di Roma, a motivo che in Roma Pietro e Paolo hanno fissata la loro autorità, e nel nome di essi Roma insegna poi alle altre Chiese (Epist. ad Smyrn. 8, 2; 4, 3). Sono vere tutte quelle Chiese – osservava nel secondo secolo sant’Ireneo – che hanno la nota dell’apostolicità, e, atteso che «longum est ire per singulas» nominandole tutte, basta esaminarne una che tutte le ricapitola: la Chiesa di Roma, fondata dai principi degli apostoli Pietro e Paolo; e come questi apostoli erano i principes tra gli altri, così la Chiesa di Roma ha su tutte le altre una potentior principalitas, dalla quale si desume il criterio di verità circa la Chiesa e la sua costituzione, voluta da Gesù Cristo (cfr. Adv. haer. III, 4, 1).

La primitiva tradizione, attestante il primato della Chiesa di Roma, è rimasta inalterata come dato dogmatico e come fonte di produzione giuridica; essa poggia sul fondamento della rivelazione divina, che con i testi del Vangelo e degli Atti mostra «con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro e al suo ruolo nel gruppo dei dodici. Perciò,» leggiamo nelle considerazioni della Congregazione per la dottrina della fede «già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l’immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell’apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto tra i dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria specifica funzione» (Doc. n. 3). Dalla rivelazione il dogma: «Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa cattolica insegna, come dottrina di fede, che il vescovo di Roma è successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale» (Doc. n. 4). È sul contenuto di quest’insegnamento che va concentrata l’attenzione, sia per non smarrirne il valore dogmatico, perciò sempre vincolante, sia per non sovraccaricarlo di elementi che non gli sono essenziali e che potrebbero rendere più difficile l’esercizio del primato e ostacolare il cammino ecumenico. La primitiva tradizione fissava l’essenzialità del primato nel carisma di Cristo dato a Pietro e in Pietro ai suoi successori, perché fossero principio e fondamento dell’unità della fede e della comunione: fides et caritas. Ne segue che non sussistono dubbi, sotto il profilo biblico, teologico e giuridico sull’origine, finalità e natura del primato, come ben evidenzia la prima parte del Documento della Congregazione per la dottrina della fede, corredato da numerose fonti patristiche, conciliari e del magistero pontificio.


Dal Vaticano II a Giovanni Paolo II

Il più recente magistero pontificio si è sviluppato soprattutto con l’insegnamento del Vaticano I e del Vaticano II. Il primo, dopo aver indicato nel prologo la finalità del primato, dedica il corpo del testo a esporre il contenuto o ambito della potestà inerente, iure divino, allo stesso primato. Il Vaticano II non si è soffermato sul contenuto del primato, per non ripetere quanto già aveva sostenuto il Vaticano I, di cui ha riaffermato l’intera dottrina. Proseguendo nella linea del precedente Concilio, il Vaticano II ne ha completato l’insegnamento, trattando principalmente il tema della finalità. E lo ha fatto con la particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum (cfr. Lumen gentium n. 23). Sul principio teologico della Chiesa communio, il Vaticano II ha fondato le sue considerazioni, che ci consentono di rilevare con maggior chiarezza che la funzione primaziale del vescovo di Roma e la funzione degli altri vescovi si trovano, non già in contrasto, ma in «un’originaria ed essenziale armonia». E a proposito va ricordato che il principio della communio fu tanto avvertito, creduto e voluto già nei primi secoli della Chiesa che ne scaturì il relativo istituto giuridico. In base al quale non erano ritenuti e considerati a pieno titolo membri della Chiesa coloro che non fossero nella communio fidei o nella communio sacramentorum o nella communio disciplinae.
Quest’ultima, certamente non della stessa entità teologica delle prime due, era però ritenuta necessaria, anche perché era a tutela di quelle ed era di guida a viverle.


Sempre con la luce di questo istituto, ci è facile anche ora comprendere le suddette considerazioni della Congregazione romana, particolarmente quando ci ricorda che «il vescovo di Roma appartiene al loro collegio [dei vescovi] ed essi sono i suoi fratelli nel ministero» (Doc. n. 5. Cfr. Ut unum sint n. 95).
Come già nell’antichità, ancora oggi è possibile concepire e valutare, anche concretamente, l’esercizio del potere. Con il principio della communio non è arduo comprendere come ogni parte del corpo, formato da membra diverse con uffici diversi, sia collegata con il capo. Esprimendo questo concetto, san Leone Magno spiegava che «fra tutte le membra privilegiate del corpo mistico, i due apostoli Pietro e Paolo hanno avuto da Dio una funzione davvero speciale. Essi sono quasi due occhi di quel capo, che è Cristo» (Sermo 82, 1, 6-7). E con il discorso (Sermo 4, 1-2) per l’anniversario della sua elezione, ricordava che «tutto il corpo della Chiesa riconosce che il carattere sacro della dignità pontificia è unico». E lo è perché, soggiungeva, non ci si deve fermare «a considerare la nostra povera persona, ma piuttosto la gloria del beato Pietro apostolo [...], colui che si trovò vicino alla sorgente stessa dei carismi e da essa ne fu riempito e come sommerso. Ecco perché molte prerogative erano esclusive della sua persona e, d’altro canto, niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse già in lui». Il problema però sorge dal rovescio di quest’ultima frase, che in sé è dogmaticamente fondata e da ritenere per fede: «Niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse in lui». Ma chiediamoci: c’è qualcosa nei successori che in Pietro non c’è stata? Con questa domanda entriamo nella seconda parte del Documento della Congregazione per la dottrina della fede concernente «l’esercizio del primato e le sue modalità» (nn. 7-15).

Stante la chiara fonte biblica o, più specificatamente, il divino mandato (cfr. Mt 16, 18; Lc 22, 32; Gv 21, 15-17), è dogmaticamente certo che Cristo ha voluto «che il collegio apostolico fosse perfettamente uno, con doppio e strettissimo vincolo. Il primo è quello interiore della fede e della carità che è stata riversata nei cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5, 5). L’altro è quello esterno del governo di uno solo sopra tutti. A Pietro, infatti, fu affidato il primato sugli altri apostoli come a perpetuo principio e visibile fondamento di unità (cfr. Pio XI, Ecclesiam Dei, in AAS 15, 1923, 573 ss.).

Il problema emerge in tutta la sua valenza teologica e giuridica, pastorale ed ecumenica, quando non si coglie nell’esercizio del primato o governo proprio del papa l’elemento che lo collega con il mistero salvifico di Cristo e con la specifica missione della Chiesa. Da questo collegamento si evince subito e con chiarezza che la Chiesa, anche – anzi soprattutto – al suo vertice non è una potenza che possa seguire i parametri del potere civile (classica la distinzione che spesso riecheggia nei testi patristici: Sacerdotium distinto dall’Imperium; Imperatoribus palatia, Sacerdotibus Ecclesiae) e che il primato «non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d’onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico» (Doc. n. 7). Non è però altrettanto immediata la conoscenza dei limiti che circoscrivono la potestas sacra in genere ed in specie quella pontificia. I limiti che il primato non può oltrepassare certamente sono quelli «che procedono dalla legge divina e dall’inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione» (Doc. n. 7).

La Congregazione per la dottrina della fede nell’ambito della
potestas petrina indica quali funzioni del vescovo di Roma anzitutto «una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice» (cfr. LG n. 23; CIC can. 782 § 1), che all’interno di tutta la Chiesa rappresenta ed è un ufficio magisteriale supremo ed universale (cfr. Conc. Vat. I, Pastor aeternus c. 4) e che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell’infallibilità (cfr. LG n. 25; CIC can. 749 § 1; CCEO can. 597 § 1). Insieme alla funzione magisteriale del primato, la missione del successore di Pietro «comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l’unità della fede e di comunione» (Doc. n. 10).


Questa potestà di giurisdizione, in riferimento al suo esercizio è definita «ordinaria, suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa, potestà che [il papa] può sempre esercitare liberamente» (CIC can. 331). Se questa definizione non fa difficoltà, il problema sorge nel determinare quali, quando e se per tutta o una sola parte della Chiesa gli atti di governo siano necessari o convenienti. Questi atti sono stati diversissimi nella vita bimillenaria della Chiesa: ciò che all’inizio non rientrava, almeno di fatto, nell’ambito dell’esercizio primaziale, oggi è norma: oggi il sommo pontefice nomina i vescovi, per secoli non lo ha fatto direttamente; oggi per una parte della Chiesa li nomina e per un’altra parte conferma quelli che sono stati legittimamente eletti (cfr. CIC can. 377 § 1). Il Documento in oggetto esemplifica, indicando “ad esempio” (tra gli atti del governo primaziale «necessari o convenienti per promuovere e difendere l’unità della fede»): «Dare il mandato per l’ordinazione di nuovi vescovi; [...] emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc.» (n. 10).

L’elenco potrebbe continuare con tutte le norme del Codice di diritto canonico che stabiliscono le riserve alla Santa Sede. Ma se facessimo un confronto non solo con gli interventi, e le modalità di essi, che i pontefici dei primi secoli (potremmo allungarci anche oltre il secolo V) esperivano come governo petrino, necessario o conveniente al bene della Chiesa, ma anche con quelli dei papi del tempo delle Decretali (Decretalium Collectiones di Gregorio IX o il Liber sextus Decretalium di Bonifacio VIII o le Constitutiones extravagantes di Clemente V), constateremmo quanto vario e differenziato sia stato il criterio di interventi pontifici “necessari o convenienti”.

Le differenziazioni però vanno interpretate anche alla luce della realtà storica della Chiesa che, pellegrina con le sue istituzioni nell’età presente, porta la fugace figura di questo mondo (cfr.
LG n. 48). Anche per questo – leggiamo nel Documento – l’immutabile natura del primato del successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole (cfr. n. 12). E la stessa Chiesa si è ravveduta quando ha constatato che la figura di questo mondo l’ha così offuscata da indurla ad atti che erano al di fuori o non necessari né convenienti alla sua missione. Comunque sotto il profilo dottrinale, sia teologico che giuridico, il criterio che ci ricorda ora il Documento non solo è valido, ma anche unico; il resto è nella saggezza e prudenza di chi avendo il potere deve esercitarlo, conformemente alla natura e alle finalità del divino mandato.
E se è giusto che
prima sedes a nemine iudicatur, è altrettanto giusto non far discendere da questo principio “un potere assoluto” del papa; anzi ascoltare la voce della Chiesa (e oggi è divenuta una prassi, giuridicamente anche consolidata; si vedano ad esempio i cann. 342-348 sul Sinodo dei vescovi) è un contrassegno del valore dell’unità, una conseguenza del corpo episcopale e del sensus fidei dell’intero popolo di Dio. In questa linea non entrano e non possono entrare tutte quelle istanze tendenti a vincolare giuridicamente il successore di Pietro nell’esercizio del suo ministero. Si imboccherebbe la strada svincolata dalla divina costituzione della Chiesa, che verrebbe ridotta ad una societas puramente umana se tale strada fosse seguita sino in fondo.

Per non cadere in pericoli del genere, è fondamentale il
discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio. Discernimento da compiersi nella Chiesa, ossia sotto l’assistenza dello Spirito Santo, con la vitalità dell’Eucaristia operante nell’interno della Chiesa, quale centro e radice di comunione ecclesiale, in dialogo fraterno del romano pontefice con gli altri vescovi. Secondo le esigenze concrete della Chiesa sarà poi il papa (o il papa con il Concilio ecumenico), quale successore di Pietro, a dover pronunciare autoritativamente il giudizio definitivo, a profitto della Chiesa universale (cfr. Doc. n. 13).


Questo richiamo al soprannaturale è parte integrante del primato e del suo esercizio. Ecco perché l’attuale movimento ecumenico – quale il Vaticano II e il conseguente magistero pontificio hanno voluto e programmato – è nato e si snoda sotto l’azione dello Spirito Santo, con il continuo e pressante invito ad ascoltare «quello che lo Spirito Santo dice alle Chiese» (Ap 1, 7). La preghiera, che il papa – e con lui oggi la Chiesa “divisa” – rivolge al Padre per mezzo del suo Figlio Gesù, è che i cristiani non resistano allo Spirito Santo che li sprona a ricomporre l’unità visibile dei cristiani.

[SM=g1740733]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
22/12/2012 23:21
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


S.LEONE MAGNO

Nacque sul finire del secolo quarto, da genitori toscani. Si trovava nelle Gallie per una delicata missione diplomatica quando, alla morte di papa Sisto III, fu acclamato suo successore sul soglio di Pietro. Il 29 settembre 440 fu consacrato vescovo di Roma, e la data rimase cara al suo cuore, tanto che ebbe la consuetudine di convocare spesso in quel suo giorno "natale" il sinodo dei vescovi suffraganei e di celebrarne il ricordo nei suoi discorsi, alcuni dei quali sono pervenuti fino a noi.

Leone fu una personalità potente; visse in un'epoca critica di transizione, in cui la decadenza della colossale organizzazione dell'Impero Romano venne a coincidere con l'avvento del Cristianesimo da un lato e con l'irrompere delle civiltà barbariche dall'altro. Papa Leone Magno seppe far fronte con pari energia e pari intelligenza al pericolo delle invasioni barbariche e a quello dell'eresia monofisita, che minacciava la fede della Chiesa nel mistero dell'Incarnazione. Se riuscì a contenere la minaccia di Attila che pesava sull'Italia, dovette assistere impotente, tre anni più tardi, al sacco di Roma compiuto dalle soldataglie di Alarico, re dei Goti (455). Sul piano dottrinale, la battaglia di S.Leone in difesa di una teologia cristologica che affermasse della persona di Gesù sia la vera umanità (contro Nestorio) sia la vera divinità (contro Eutiche), fu ratificata dal Concilio di Calcedonia (451): "Pietro ha parlato per bocca di Leone", esclamarono i Padri.

E' interessante riconoscere lo stile particolarissimo di questo scrittore e oratore, che pur appartenendo ad un tempo tanto combattuto e inquieto, ha saputo esprimersi con ammirabile serenità e armonia.


I DISCORSO DI SAN LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO NEL GIORNO DELLA SUA CONSACRAZIONE

«Le mie labbra proclamino la lode del Signore»: l'anima mia e il mio spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome. Infatti non è indice di modestia, ma di ingratitudine tacere i benefici divini, ed è cosa conveniente che si incominci a prestare la venerazione al consacrato pontefice innalzando un sacrificio di lode al Signore. Egli «nella nostra bassezza si ricordò di noi», e ci ha benedetti; «Lui solo ha operato cose meravigliose» per me, quando l'affetto della vostra santità mi ha tenuto a voi presente, mentre un viaggio, lungo e necessario, mi aveva portato lontano. Per questo rendo grazie al nostro Dio e sempre lo ringrazierò per quanto mi ha donato.

Nello stesso tempo esalto con i dovuti ringraziamenti la libera decisione del vostro favore, comprendendo chiaramente quanta riverenza, quanto amore e quanta fiducia mi offrono le vostre devote attenzioni, mentre io bramo con pastorale sollecitudine la salvezza delle anime vostre, che hanno dato di me un giudizio così sacrosanto, quando io non avevo nessun precedente merito.

Dunque, vi scongiuro per la misericordia del Signore, aiutate con le preghiere colui che avete richiesto con desiderio, affinché lo Spirito di grazia resti in me e le vostre decisioni non abbiano a barcollare. Conceda a noi tutti il bene della pace colui che dona a voi l'amore per la concordia. In ogni giorno della mia vita, servendo l'onnipotente Dio e accogliendo la vostra obbedienza, io possa supplicare con fiducia il Signore: «Padre santo, conserva nel tuo nome coloro che tu mi hai dato».

Mentre voi progredite di continuo nella via della salvezza, l'anima mia magnifichi il Signore e nel premio del futuro giudizio l'esercizio del mio sacerdozio appaia agli occhi del giusto giudice in modo che voi con le vostre opere buone siate il mio gaudio, voi siate la mia corona, che con la buona volontà avete reso una sincera testimonianza nella vita presente. Per Gesù Cristo, nostro Signore.





S.Leone Magno

SECONDO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

I - La generosità della divina bontà

Dilettissimi, la divina degnazione ha reso venerando per me il presente giorno. Il Signore, innalzando alla somma dignità la mia umile persona, ha mostrato di non disprezzare nessuno dei suoi. Onde, nonostante sia necessario, conoscendo i miei demeriti, stare sempre in timore, è sensibilità religiosa rallegrarsi per il dono: poiché egli che mi ha affidato un tal peso, mi offre il suo aiuto. Colui che mi ha conferito questa dignità, mi donerà anche la forza perché io non soccomba sotto l'immensità della grazia.

Dunque, nella ciclica ricorrenza del giorno in cui il Signore ha voluto dare inizio al mio ufficio episcopale, io ho un giusto motivo di rallegrarmi a gloria di Dio. Egli, affinché io molto lo ami, mi ha perdonato molto: e per mostrare mirabile la sua grazia ha elargito i suoi doni a colui nel quale non ha trovato titoli speciali di merito. Con questo fatto il Signore ha voluto suggerire e raccomandare ai nostri cuori che nessuno presuma della propria santità e nessuno diffidi della misericordia di lui, la quale con più evidenza è glorificata quando il peccatore viene santificato e chi giace viene rialzato.

La misura dei doni celesti non dipende dalla natura delle nostre opere. In questo mondo dove tutta la vita è un servizio , non si attribuisce a ciascuno ciò che merita. Se, infatti, il Signore stesse a far caso dei peccati, nessuno potrebbe reggere al suo giudizio.

II - La venerazione dei vescovi per il successore di S.Pietro

Ora, dilettissimi, «magnificate il Signore con me, e insieme esaltiamo il suo nome», perché il motivo della festa di oggi deve essere riferito totalmente a lode di Dio. Per quel che riguarda propriamente il mio affetto, confesso di godere moltissimo per la vostra devozione. E quando contemplo questa splendidissima presenza di tanti miei venerabili vescovi, ho l'impressione che a noi sia presente uno stuolo di angeli . Sono certo che oggi noi siamo visitati da più abbondante grazia della divina presenza, quando simultaneamente sono presenti e risplendono di una sola luce tanti fulgidissimi tabernacoli di Dio, tante eccellentissime membra del corpo di Cristo. Non è assente da questa assemblea - ne ho piena fiducia - la pia degnazione e il sincero amore del beatissimo apostolo Pietro: egli non trascura la devozione vostra e la riverenza che a lui portate e che ora vi ha qui riuniti. Certamente pure lui si rallegra del vostro affetto e si compiace in quelli che gli sono soci nella dignità, per la grande venerazione con cui circondano la Sede Apostolica, istituita dal Signore, approvando l'ordinatissima carità di tutta la chiesa che accoglie Pietro nella sede di Pietro e non si intiepidisce nell'amore di un tanto pastore neppur quando ne è successore una persona così meschina. E perché, dilettissimi, questa venerazione che voi all'unisono offrite alla mia persona, possa raggiungere il risultato che merita, pregate supplichevolmente la misericordiosissima clemenza del nostro Dio, affinché nei nostri giorni prostri quelli che ci fanno guerra, difenda la nostra fede, accresca la carità, aumenti la pace e si degni farmi idoneo a tanto lavoro e utile alla vostra edificazione, giacché ha voluto che io, suo servo, presiedessi al governo della sua Chiesa per mostrare l'abbondanza della sua grazia. Egli si degni far sì che il tempo del nostro servizio sia proteso verso questo scopo, che cioè il prolungamento della nostra età giovi alla religione. Per Cristo, nostro Signore. Amen.






S.Leone Magno

TERZO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

I - L'origine soprannaturale del sacerdozio cristiano

Ogni qualvolta la misericordia di Dio si degna rinnovarci il giorno della sua grazia, vi è giusto e ragionevole motivo di essere lieti, purché si riferisca a gloria di Dio l'origine dell'ufficio ricevuto. Io so che questo atteggiamento dell'animo, conveniente a tutti i sacerdoti, è necessario soprattutto a me, perché, guardando la mia pochezza e la grandezza dell'ufficio ricevuto, pure io debbo esclamare con la frase del profeta: «Signore, io ho udito il tuo annuncio e ho temuto; son preso dal timore per l'opera tua». Che c'è di più insolito e più terribile della fatica per chi è debole, della grandezza per chi è umile, della dignità per chi non la merita? Tuttavia non disperiamo, né veniamo meno, perché non presumiamo di noi stessi ma di colui che opera in noi. Per questo abbiamo cantato all'unisono il salmo di David, non per nostra esaltazione, ma per gloria di Cristo Signore.

Infatti è lui del quale con spirito profetico è stato scritto: «Tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec»: cioè non al modo di Aronne, il cui sacerdozio, propagandosi attraverso la generazione, appartiene a un ministero temporaneo, e di fatto è cessato insieme alla legge del Vecchio Testamento; ma al modo di Melchisedec in cui si significò prima la figura del pontefice eterno. E siccome non viene riferito da quali genitori sia nato, si comprende che in lui è mostrato quegli la cui generazione non può narrarsi. Così, pervenendo all'umana natura il mistero di questo divin sacerdozio, non si propaga per via della generazione, né viene eletto quel che la carne e il sangue ha formato. E' cessato il privilegio dei padri; è abolita la gerarchia delle famiglie: la Chiesa riceve come pastori quelli che lo Spirito santo ha preparato. In tal modo, nel popolo, adottato alla figliolanza divina, totalmente sacerdotale e regale, non ottengono l'unzione i privilegiati dall'origine terrena, ma fa nascere il sacerdozio il favore della grazia celeste.

II - Cristo in San Pietro

Dilettissimi, nel ministero che il nostro ufficio ci impone ci ritroviamo deboli e pigri, giacché, se abbiamo desiderio di fare qualcosa con devozione e prontezza, siamo ritardati dalla fragilità della nostra stessa condizione. Tuttavia, avendo a nostro favore l'ininterrotta propiziazione dell'onnipotente ed eterno sacerdote, il quale, simile a noi e uguale al Padre, ha abbassato la divinità fino alle cose umane, e ha innalzato l'umanità fino alle cose divine, degnamente e con pietà ci rallegriamo della sua glorificazione. Infatti, benché abbia delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato la custodia del suo amato gregge. Da questo singolare ed eterno sostegno deriva anche la protezione della fortezza della Sede Apostolica, che certamente non resta inattiva rispetto alla sua missione. La stabilità della base, su cui s'innalza l'edificio della chiesa, non viene meno, comunque sia grande la mole del tempio che la sovrasta. Infatti la fortezza di quella fede, lodata nel principe degli apostoli, è perpetua: e come resta quel che Pietro ha creduto in Cristo, così persiste quello che Cristo ha istituito in Pietro. In realtà, avendo il Signore, come la pericope evangelica ha narrato, domandato ai discepoli chi essi lo credessero, tra tante diverse opinioni degli altri, e avendo san Pietro risposto: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente», il Signore disse: «Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli».

III - San Pietro nei suoi successori

Resta dunque, la deliberazione della verità; e Pietro, perseverando in quella fermezza di pietra che ha ricevuto, non abbandona il governo della Chiesa, che una volta ha assunto. Egli è stato messo al sommo della gerarchia, sicché quando viene detto Pietra, quando lo si afferma fondamento, quando lo si costituisce portinaio del regno dei cieli e quando lo si istituisce arbitro che lega e scioglie con decisione valida anche nei cieli, noi possiamo comprendere quale unione egli abbia con Cristo attraverso i misteri contenuti nei suoi titoli.

Egli adesso compie con più perfezione e potenza quanto gli è stato commesso, ed esegue ogni parte del suo ufficio e della sua cura insieme a quegli e in quegli dal quale è stato glorificato. Se, dunque, qualcosa è da noi compiuta bene e rettamente giudicata, se si ottiene qualcosa dalla misericordia di Dio con le quotidiane suppliche, è opera e merito di colui del quale la potestà vive e l'autorità eccelle nella propria sede.

Dilettissimi, quella confessione che, ispirata da Dio Padre al cuore dell'apostolo, trascese tutte le incertezze delle opinioni umane e ricevette la stabilità della pietra, al fine di non essere scossa da nessun attacco, ha ottenuto questo felice risultato. Infatti, in tutta la Chiesa Pietro ogni giorno esclama: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente»; e ogni lingua, che confessa il Signore, viene ammaestrata dal magistero di questa voce. Questa fede vince il diavolo e spezza le catene che tengono stretti gli schiavi. Questa fede fa entrare nel cielo quelli che sono stati liberati: contro di essa le porte dell'inferno non possono vincere: è stata premunita divinamente con tanta fortezza che mai potrà corromperla l'eretica iniquità, né superarla la pagana perfidia. Soltanto così, dilettissimi, viene celebrata con intelligente venerazione la festività di oggi, sicché si veda e si onori nella mia umile persona colui nel quale persevera la sollecitudine di tutti i pastori e la cura delle pecore che gli sono state affidate, e la cui dignità non viene meno neppure nell'indegno successore. Per questo la presenza desiderata e degna di ogni onore, dei miei venerabili fratelli nell'episcopato, è più sacra e più devota se trasferiscono la venerazione verso questa sede, nella quale si sono degnati di venire, principalmente a colui che non solo conoscono essere il presule di questa sede, ma anche il primate di tutti i vescovi.

Quando, dunque, rivolgiamo le nostre esortazioni all'attenzione della vostra santità, pensate che vi parla colui del quale noi facciamo le veci: noi vi ammoniamo con l'affetto di lui e non altro vi predichiamo che la dottrina da lui insegnata. Vi scongiuro, che cinti i fianchi della vostra mente, conduciate una vita casta e sobria nel timore di Dio: la mente non acconsenta, dimentica del proprio dominio, alle concupiscenze della carne. Le gioie dei piaceri terreni sono brevi e caduche, e tentano di allontanare dal sentiero della vita quelli che sono chiamati all'eternità. L'uomo, religioso e fedele, brami le cose celesti, e, avido delle divine promesse, si innalzi all'amore del bene incorruttibile e alla speranza della vera luce.

Siate certi, dilettissimi, che la vostra fatica con cui resistete ai vizi e combattete i carnali desideri, è gradita e preziosa al cospetto di Dio e gioverà non solo a voi, ma anche a me presso la misericordia di Dio, perché il sollecito pastore si gloria del progresso che fa il gregge del Signore. Infatti come dice l'apostolo, «la nostra gioia, la nostra corona siete voi», se la vostra fede, predicata in tutto il mondo fin dai primordi del Vangelo, rimarrà nella carità e nella santità. E' vero, tutta la Chiesa, diffusa nel mondo intero, deve fiorire di tutte le virtù; ma tra gli altri popoli voi dovete eccellere per merito di devozione, perché siete fondati sul baluardo della pietra apostolica. Infatti, Gesù Cristo, nostro Signore, pur avendo redenti tutti, ammaestrò meglio di tutti san Pietro apostolo. Per lo stesso Cristo, nostro Signore. Amen.





S.Leone Magno

QUARTO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

I - La comune dignità dei cristiani

Dilettissimi, mi rallegro per il religioso affetto della vostra devozione, e ringrazio Dio perché vedo in voi l'amore per l'unità cristiana. Come lo attesta lo stesso vostro accorrere qui, voi siete convinti che questo giorno è motivo di gioia per tutti e che l'annua festa del pastore deve essere celebrata con la venerazione di tutto il gregge. Infatti la Chiesa di Dio, secondo distinti gradi gerarchici, è ordinata in modo che attraverso i differenti membri sussista l'integro suo corpo. Quindi, come dice l'Apostolo, «tutti siete un solo uomo in Cristo Gesù»; né alcuno, benché sia un umilissimo membro, è diviso dalla funzione di un altro così da non appartenere per connessione al capo. Perciò nella unità della fede e del battesimo noi formiamo una indistinta società, dilettissimi, e abbiamo una generale dignità, secondo l'insegnamento di san Pietro apostolo, che dice: «E voi pure, come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo sacerdozio, per offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo»; e un poco più avanti: «Voi però siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo».

Infatti, tutti i rigenerati in Cristo sono trasformati in re dal segno della croce e consacrati sacerdoti dall'unzione dello Spirito santo. Perciò, salvo il servizio del nostro speciale ministero, tutti i cristiani, divenuti spirituali e sapienti, si riconoscono di stirpe regale e partecipi di un ufficio sacerdotale.

Che cosa è più regale di un animo sottomesso a Dio, dominatore del proprio corpo? Che cosa è tanto sacerdotale, quanto sacrificare al Signore una coscienza pura e offrire vittime immacolate sull'altare del cuore? Questo per grazia di Dio è diventato a tutti comune. Tuttavia è per voi cosa pia e ottima godere per il giorno della nostra esaltazione quasi come fosse a vostro onore, perché si celebri in tutto il corpo della Chiesa l'unico sacramento dell'episcopato che, con l'effusione dell'unguento consacrato, è scorso, bensì, più abbondantemente nelle parti più alte, ma è anche disceso non scarsamente nelle parti inferiori.

II - Il primato di Pietro

Pertanto, dilettissimi, avendo noi grande motivo di rallegrarci per questa nostra comune dignità, sarà per noi più vera ed eccellente causa di letizia se non vi fermerete a considerare la nostra umile persona. E', infatti, molto più utile e più conveniente innalzare lo sguardo della mente a contemplare la gloria del beatissimo Pietro e soprattutto celebrare questo giorno in ossequio a lui che è stato inondato dal fonte stesso di tutti i carismi con grazie abbondantissime, tanto che, avendo Pietro molto ricevuto da solo, nulla passa agli altri che non sia partecipazione a quanto è stato dato a lui.

Il Verbo, fatto carne, già abitava tra noi. Cristo già si dedicava totalmente alla redenzione del genere umano. Tutto era ben disposto dalla sua sapienza; nulla era arduo per la sua potestà. Gli elementi del mondo si piegavano soggetti, gli spiriti obbedivano, gli angeli servivano: in nessun modo poteva riuscire senza risultato il mistero della redenzione che era operato allo stesso tempo da Dio uno e trino.

Eppure di tutti gli uomini soltanto Pietro è scelto perché sia preposto all'economia divina, che chiama tutte le genti alla salvezza, e sia il capo di tutti gli Apostoli e di tutti i Padri della Chiesa.

E' vero, nel popolo di Dio molti sono i sacerdoti e molti i pastori, tuttavia Pietro a titolo proprio governa tutti quelli che in modo principale sono guidati da Cristo.

Dilettissimi, la divina bontà ha favorito questo uomo di una grande e mirabile partecipazione alla potenza divina. E se volle che gli altri principi della Chiesa avessero qualcosa in comune con lui, mai donò, senza far passare per Pietro, quello che ha elargito agli altri.

Il Signore interroga tutti gli apostoli che cosa pensino di lui gli uomini. E più suona simile la loro risposta e più appare evidente l'ambiguità della ignoranza umana. Ma quando si chiede quale sia il parere degli apostoli, nel confessare il Signore è primo colui che è il primo nella dignità apostolica. E appena disse: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente», Gesù gli rispose: «Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli». E voleva dire: precisamente per questo sei beato, cioè perché il Padre mio ti ha ammaestrato; non ti sei lasciato ingannare da congetture terrene, ma è stata l'ispirazione celeste a istruirti; non un uomo mi ha svelato a te, ma colui del quale io sono l'unigenito.

«E io dico a te»: cioè, come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io faccio nota a te la tua eccellenza.

«Perché tu sei Pietro»: cioè come io sono pietra inviolabile, pietra di angolo che unisco i due in un solo popolo, così anche tu sei pietra, perché in forza della mia virtù acquisti stabilità e quelle prerogative che mi appartengono per potestà sono comuni tra me e te per comune partecipazione.

«E su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei»: cioè, sopra questa pietra voglio costruire un tempio eterno e la grandezza della mia Chiesa, che deve essere trapiantata nel cielo, si eleverà con la fermezza di questa fede.

III - Poteri e grazie agli Apostoli attraverso san Pietro

Le porte dell'inferno non fermeranno questa confessione, né i lacci della morte la legheranno. Queste parole, infatti, sono parole di vita: come esaltano fino al regno celeste quelli che le ritengono, così fanno scendere nell'inferno quelli che le negano. Per questo è detto a san Pietro: «E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». Il diritto di questa potestà è stato trasmesso anche agli altri apostoli, però non senza ragione è attribuito a uno quel che si dice a tutti. Lo si afferma singolarmente di Pietro, perché l'esempio di Pietro è proposto a tutti i rettori della Chiesa. Resta, dunque, la prerogativa di Pietro, dovunque sia emessa sentenza in conformità alla giustizia di lui: non vi è troppa severità né troppa indulgenza dove nulla sarà sciolto e nulla legato se non ciò che avrà sciolto o legato san Pietro. Mentre era imminente la passione, che doveva scuotere la costanza degli apostoli, il Signore disse a Pietro: «Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli, perché non cadiate in tentazione».

Il pericolo della prova e della paura era comune a tutti gli apostoli e tutti avevano ugualmente bisogno dell'aiuto della divina protezione, perché il diavolo voleva molestare e piegare tutti; però il Signore si prende cura speciale di Pietro e prega propriamente per la fede di Pietro, quasi che la condizione degli altri sarebbe più sicura, qualora la mente del capo non fosse sconfitta. Dunque, in Pietro è difesa la fortezza di tutti e l'aiuto della divina grazia è ordinato in modo che, donato a Pietro per mezzo di Cristo, è distribuito agli apostoli attraverso Pietro.

IV - Il buon Pastore

Perciò, dilettissimi, vedendo l'aiuto divino che ci è stato donato, giustamente e con ragione ci rallegriamo dei meriti e della dignità della nostra guida. Rendiamo pure grazie a Gesù Cristo, Signore, eterno re e nostro redentore, perché ha investito di tanti poteri colui che ha fatto capo di tutta la Chiesa, sicché se nei nostri tempi noi operiamo bene e governiamo a dovere, bisogna attribuirlo all'opera e al governo di colui al quale è detto: «E tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli», e al quale, dopo la sua risurrezione, il Signore, invitandolo con mistica allusione alla triplice professione di eterno amore, tre volte disse: «Pasci le mie pecore».

Certamente anche ora egli pascola e, qual pio pastore, esegue il comando del Signore dandoci forza con le sue esortazioni e non cessando di pregare per noi, affinché nessuna tentazione ci superi. Ma se estende, come è da credersi, questa cura amorosa dovunque e a tutto il popolo di Dio, quanto più si degnerà donare il suo aiuto a noi che siamo i suoi protetti e che abbiamo vicino a noi, nella sacra tomba, ove beato riposa, quello stesso corpo che qui presiedette?

Perciò, a sua gloria questo giorno natalizio del nostro servizio! A lui ascriviamo questa festa: infatti, solo per il suo patrocinio abbiamo meritato di essere suoi successori in questa sede.

Ci aiuti in tutto la grazia di Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna con Dio Padre e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.



S.Leone Magno

QUINTO DISCORSO DI S.LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

I - Dio origine di ogni grazia

Dilettissimi, come è onore dei figli la dignità dei padri, così è letizia del popolo il gaudio del vescovo. Or questo proviene dal dono divino, infatti, «ogni grazia eccellente, ogni dono perfetto, discendono dall'alto, dal Padre della luce»; perciò dobbiamo ringraziare l'autore di tutti i beni, poiché sia riguardo agli sviluppi naturali, sia riguardo alle istituzioni morali, «egli ci creò e di lui siamo». Quando con pietà e fedeltà confessiamo questa verità, non gloriandoci in noi, ma nel Signore, con il ciclo del tempo i nostri voti con frutto si rinnovano, e le feste religiose costituiscono dei gaudi giusti, perché celebrandoli non siamo ingrati tacendo dei doni ricevuti, né siamo superbi presumendo dei nostri meriti.

Dilettissimi, riferiamo ogni motivo dell'odierna festività a colui che ne è l'origine e il capo. Lodiamo con dovuto ringraziamento colui nelle mani del quale stanno la dignità degli uffici e gli istanti del tempo. Se, infatti, volgiamo lo sguardo a noi e alle cose nostre, difficilmente troviamo qualche cosa da poterne meritatamente godere, giacché, circondati da carne mortale e soggetti alla fragilità della corruzione, non siamo mai del tutto liberi e sicuri dagli attacchi della guerra. In tale lotta non si ottiene mai una vittoria così completa, che dopo i trionfi non sorgano nuove battaglie. Per questo nessun pontefice è così perfetto, nessun vescovo è tanto immacolato che possa offrire la vittima di propiziazione soltanto per i delitti del popolo e non debba offrirla anche per i suoi peccati.

II - L'universale sollecitudine del Vescovo di Roma

Se tale condizione è propria di ogni vescovo, quanto più aggrava e lega noi, per i quali la stessa grandezza dell'ufficio ricevuto è prossima occasione d'inciampo? I singoli pastori presiedono con particolare sollecitudine ai loro greggi e sanno che dovranno rendere conto delle pecorelle loro affidate. Ma noi abbiamo una cura comune con tutti: non vi è amministrazione di alcuno che non sia parte della nostra fatica. Infatti, se da una parte da tutto il mondo si ricorre alla sede di Pietro, dall'altra si esige dal nostro ministero quella carità verso la Chiesa universale che il Signore raccomandò a san Pietro. E noi siamo tanto più consapevoli del peso che portiamo, quanto è maggiore il nostro debito verso tutti. Tra questi motivi di timore potremmo noi nutrire fiducia per l'esercizio del nostro ministero per altro, se non perché non sonnecchia né dorme chi custodisce Israele? se non perché si degna essere non solo il custode del gregge, ma anche il pastore dei pastori colui che ai discepoli suoi disse: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo»? Egli non si vede con sguardo corporeo, ma si sente presente con intuito spirituale: è assente con il corpo per cui poteva essere visto, è presente con la divinità con la quale è sempre e dovunque. Infatti «il giusto vive di fede» e la giustizia del credente è proprio questa, che, cioè, accolga con l'animo quello che non vede con l'occhio. «Quando il Signore è asceso in alto, ha trascinato con sè i prigionieri: ha dato doni agli uomini»; cioè, ha dato la fede, la speranza e la carità che sono virtù grandi, forti e preziose per il fatto che senza vedere con gli occhi della carne, con mirabile affetto del cuore si crede, si spera, si ama.

III - La perenne presenza di Cristo nella Chiesa

E' vero, dunque, dilettissimi, che noi non senza motivo ma seguendo la fede confessiamo che Gesù Cristo, il Signore, è in mezzo ai credenti. Benché egli sieda alla destra del Padre, finché avrà posto i suoi nemici a scanno dei suoi piedi, tuttavia il Pontefice sommo non è assente dall'assemblea dei suoi pontefici. Giustamente a lui si canta con le labbra di tutta la Chiesa e di tutti i sacerdoti: «Il Signore ha giurato e non si pente: tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec». Egli è il vero ed eterno vescovo, la cui cura non può mutare né finire. Egli è colui del quale il pontefice Melchisedec fu figura offrendo a Dio non le vittime giudaiche, ma il sacrificio di quel sacramento che il nostro Redentore consacrò nel suo corpo e nel suo sangue. Egli è colui del quale il Padre con attestato di inviolabile giuramento istituì il sacerdozio non al modo di Aronne, che doveva passare insieme con il tempo della legge, ma al modo di Melchisedec che si doveva in perpetuo celebrare.

Come tra gli uomini il giuramento si usa nelle questioni che sanciscono patti perpetui, così anche la conferma del giuramento divino si trova in quelle promesse che si stabiliscono con decreti immutabili. E perché il pentirsi significa la mutazione della volontà, Dio non si pente in quelle cose che, secondo l'eterno beneplacito, non può volere diversamente da quel che ha voluto.

IV - La continua cura di san Pietro per il gregge di Cristo

Perciò, dilettissimi, non è una festa presuntuosa la nostra, quella con cui, memori del dono divino, onoriamo l'anniversario della nostra esaltazione a pontefice, poiché con pietà e verità confessiamo che in tutto quello che operiamo di bene è presente Cristo che compie l'opera del nostro ministero. E non ci gloriamo in noi stessi, che senza di lui nulla possiamo, ma soltanto in lui che è la nostra sufficienza. Si aggiunge, inoltre, come motivo della nostra solennità, non solo la dignità apostolica, ma anche quella episcopale di san Pietro, che non cessa di presiedere nella sua sede e che possiede una inalienabile partecipazione con l'eterno sacerdote. La fermezza che dalla Roccia, cioè Cristo, ha ricevuto, divenendo egli stesso Pietra, si tramanda anche nei suoi eredi e, dovunque c'è stabilità, appare evidente la fortezza del pastore. Se, infatti, a tutti i martiri e dovunque, in premio della pazienza con cui hanno accolto le sofferenze e perché si manifestino i loro meriti, è stata data la possibilità di portare soccorso alle persone che si trovano in pericolo, di allontanare le malattie, di scacciare gli spiriti immondi e di curare innumerevoli infermità, chi sarà così ignaro della gloria di san Pietro, chi così invidioso estimatore, da credere che le diverse parti della Chiesa non siano governate dalla sua sollecitudine e non siano incrementate dal suo aiuto? Fiorisce, senza dubbio, e vive nel principe degli apostoli quella carità di Dio e degli uomini che non i recinti del carcere, né le catene, né il furore dei popoli, né le minacce dei re poterono spaventare; e vive in lui quella fede insuperabile che non cessò di combattere, né si intiepidì per la vittoria.

V - A Pietro la venerazione dei popoli

Ma poiché ai nostri giorni la tristezza è cambiata in letizia, la fatica in riposo, la guerra in pace, noi riconosciamo di essere aiutati dai meriti e dalle preghiere del nostro presule e con prove frequenti sperimentiamo che egli presiede ai sani consigli e ai giusti giudizi, sicché, rimanendo presso noi il diritto di legare e di sciogliere, chi dai decreti di san Pietro è stato condannato sia richiamato a penitenza e chi è stato riconciliato sia graziato dal perdono. E perciò tutta quella venerazione che, e con la degnazione dei fratelli e con la pietà dei figli, voi avete reso a me, siate convinti di averla, con più devozione e verità, resa insieme con me a colui alla sede del quale noi godiamo non tanto di presiedere, quanto di servire. Abbiamo fiducia che, per le preghiere di lui, Dio misericordioso benignamente riguardi i tempi del nostro ministero e si degni sempre di custodire e pascere il pastore delle sue pecore.

[SM=g1740771]



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
24/07/2013 12:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

DISCORSO DEL SANTO PADRE PIO X
AI SACERDOTI DELL'UNIONE APOSTOLICA
IN OCCASIONE DEL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO
DELLA FONDAZIONE

Lunedì, 18 novembre 1912


https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/21/Pius_X.jpg

 

Vi ringrazio, diletti confratelli, del delicato pensiero che vi ha condotti al Vaticano per celebrare qui con l'antico confratello il cinquantesimo anniversario della fondazione dell' Unione Apostolica. Vi ringrazio di tutto cuore, e prego il Signore che voglia ricompensarvi per questo atto di squisita carità.

Mi congratulo poi con voi di esservi ascritti a questa Unione, perchè con tale atto avete preso impegno di adempiere fedelmente tutti gli obblighi sacerdotali: obblighi che io ho procurato di riassumere nell'Exhortatio ad clerum, pubblicata in occasione del mio Giubileo sacerdotale, e coll'adempimento dei quali potremo mantenerci fedeli alla vocazione alla quale ci ha chiamato il Signore: vocavit vocatione sua sancta: potremo cioè conseguire la santità necessaria per il sacerdozio a cui fummo chiamati. Se parlando dei semplici cristiani san Pietro li chiamava gens sancta, genus electum, regale sacerdotium, quanto più si dovrà questo dire di noi rappresentanti di Dio sulla terra e suoi ministri, quos elegit Deus in Christo ante mundi constitutionem, ut essemus sancti et imrnaculati in caritate, quos non dixit servos sed amicos, pro Christo legatione fungentes, ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei?

Per raggiungere pertanto questa santità vi raccomando di mantenervi sempre fedeli alla osservanza delle regole della vostra Unione, guardandovi bene dal dispensarvi in nessun giorno e per nessun motivo dagli obblighi che da esse vi sono imposti, cioè dalla meditazione, dalla lettura spirituale, dall'esame, dalla visita al SS. Sacramento, perchè osservando quest'ordine, vi conserverete buoni e diverrete santi.  [SM=g1740722]

Distratti da tante altre occupazioni, è facile dimenticare le cose che conducono alla perfezione della vita sacerdotale; è facile illudersi e il credere che occupandosi della salute delle anime altrui, si lavori di proposito anche alla propria santificazione. Ma non v'induca in errore questa lusinga, perchè nemo dat quod non habet; e per santificare gli altri bisogna non trascurare alcuno dei mezzi proposti a santificare noi stessi.

Avete poi detto assai bene che caratteristica dei sacerdoti del-1' Unione Apostolica e loro particolare divisa dev'essere, ed è di fatto, l'amore pel Papa, e anche questo contribuirà mirabilmente alla vostra santificazione. Per amarlo poi basta riflettere chi è il Papa:

Il Papa è il guardiano del dogma e della morale; è il depositario dei principi che formano onesta la famiglia, grandi le nazioni, sante le anime; è il consigliere dei principi e dei popoli; è il capo sotto del quale nessuno sentesi tiranneggiato, perchè rappresenta Dio stesso; è il padre per eccellenza che in sé riunisce tutto che vi può essere di amorevole, di tenero, di divino.  [SM=g1740721]

Sembra incredibile, ed è pur doloroso, che vi siano dei sacerdoti ai quali debbasi fare questa raccomandazione, ma siamo purtroppo ai nostri giorni in questa dura, infelice condizione di dover dire a dei sacerdoti: amate il Papa!

E come si deve amarlo il Papa? Non verbo neque lingua, sed opere et veritate. Quando si ama una persona si cerca di uniformarsi in tutto ai suoi pensieri, di eseguirne i voleri, di interpretarne i desideri. E se nostro Signor Gesù Cristo diceva di sè: si quis diligit me, sermonem meum servabit, così per dimostrare il nostro amore al Papa è necessario ubbidirgli.

Perciò quando si ama il Papa, non si fanno discussioni intorno a quello che Egli dispone od esige, o fin dove debba giungere l'obbedienza, ed in quali cose si debba obbedire; quando si ama il Papa, non si dice che non ha parlato abbastanza chiaro, quasi che Egli fosse obbligato di ripetere all'orecchio d'ognuno quella volontà chiaramente espressa tante volte non solo a voce, ma con lettere ed altri pubblici documenti; non si mettono in dubbio i suoi ordini, adducendo il facile pretesto di chi non vuole ubbidire, che non è il Papa che comanda, ma quelli che lo circondano; non si limita il campo in cui Egli possa e debba esercitare la sua autorità; non si antepone alla autorità del Papa quella di altre persone per quanto dotte che dissentano dal Papa, le quali se sono dotte non sono sante, perchè chi è santo non può dissentire dal Papa.

È questo lo sfogo di un cuore addolorato, che con profonda amarezza faccio non per voi, diletti confratelli, ma con voi per deplorare la condotta di tanti preti, che non solo si permettono discutere e sindacare i voleri del Papa, ma non si vergognano di arrivare alle impudenti e sfacciate disubbidienze con tanto scandalo dei buoni e con tanta rovina delle anime.

Questo lamento non è provocato (lo ripeto) da voi, diletti confratelli, che, osservanti delle regole dell'Unione, professate solennemente il vostro ossequio, il vostro affetto, la vostra pietà verso il Papa. - Iddio vi mantenga in questi santi propositi e vi conforti della sua benedizione; quella benedizione che invoco sopra di voi, sui vostri confratelli, sulle vostre famiglie, sulle persone tutte a voi care e che avete in mente, perchè a tutti sia. apportatrice di ogni consolazione.


AVVERTENZA

A togliere l' equivoco che certi giornali vanno creando in mezzo al clero ed ai fedeli, si dichiara che la santa Sede non riconosce per conformi alle direttive pontificie ed alle norme della Lettera di Sua Santità all' Episcopato Lombardo, in data del 1° Luglio 1911, i giornali seguenti: L'Avvenire d'Italia, Il Momento, Il Corriere d'Italia, Il Corriere di Sicilia, L'Italia, ed altri dello stesso genere, checchè ne sia delle intenzioni di alcune egregie persone che li dirigono ed aiutano. [SM=g1740721]


  [SM=g1740733]

 




[Modificato da Caterina63 24/07/2013 12:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
21/10/2014 20:06
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

  In principio era il Primato




Alla fine del primo secolo la Chiesa era strutturata gerarchicamente e il Vescovo di Roma ne era a capo. Una prova.


 


Non sono pochi, anche tra i cattolici, quelli che mettono in dubbio il Primato della Chiesa romana, basato sul mandato che Cristo stesso affidò a Simon Pietro: "E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa" (Mt 16,18).
Eppure, esistono documenti extrabiblici che attesta no e testimoniano come, sin dalla fine del primo secolo, nelle comunità cristiane fosse viva la consapevolezza di una Chiesa strutturata gerarchicamente, con al vertice il vescovo di Roma, ovvero il Papa.

La prova sta in una lettera di Papa Clemente I, scritta sul finire del primo secolo, pervenuta ci sia attraverso il Codice Biblico Alessandrino (V sec.), sia attraverso il Codice Greco 54 (XI sec.), custodito a Gerusalemme.
Ecco i fatti. Nella comunità di Corinto alcuni fedeli avevano sollevato una sedizione contro i capi della Chiesa locale e l'eco di tali disordini, sfociati nella ingiusta rimozione di alcuni presbiteri, era arrivata sino alla Chiesa di Roma, che stava subendo la persecuzione di Domiziano.
La lettera di Clemente I si riferisce proprio a questa persecuzione, da poco terminata quando il Papa mette mano allo scritto, per giustificare il fatto di "aver troppo tardato a dirimere alcune questioni che sono in discussione tra voi".

Come potrebbe dirimere alcunché ci domandiamo - chi non ha la necessaria autorità? E perché mai dovrebbe farlo il vescovo di Roma, se ha già i suoi bravi problemi dovuti alle continue persecuzioni? La Chiesa di Corinto, oltretutto, si trovava molto lontana da Roma, ma evidentemente il Papa avverte il suo intervento come un dovere.

Dovere che, a nostro avviso, nasce dalla consapevolezza di sedere sulla cattedra di Pietro e di possedere, per ciò stesso, una indiscussa autorità sulla Chiesa universale.

Sta di fatto che il vescovo di Roma, sicuro di essere ascoltato, richiama all' ordine i ribelli e li ammonisce, ricordando loro la responsabilità che hanno di fronte a Cristo: "Ma se qualcuno non obbedisce a ciò che per nostro tramite Egli [Cristo] dice, sappiamo che si vedrà implicato in una colpa e in un pericolo non indifferente. Noi però saremo innocenti di questo peccato".
Il richiamo all' obbedienza da parte del Papa è significativo al pari delle minacce spirituali riservate a chi disobbedisce. Siamo di fronte, indubbiamente, ad un gesto di correzione fraterna da parte di chi deve confermare i suoi fratelli nella fede, ma anche alla consapevolezza della propria responsabilità sulla Chiesa intera.

Da Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica, IV, 23, 11) sappiamo che tale avvertimento pontificio venne accolto, ascoltato e messo in pratica, con ciò confermando l'autorità normativa e disciplinare di chi aveva pronunciato tale monito.

Che importanza ha per noi questo documento? Enorme. Se da un lato ci dimostra che sin dalle origini e persino in comunità fondate direttamente dagli apostoli (Corinto) esistevano dissidenti e teste calde, d'altro lato questa epistola riveste il valore di prova che alla Chiesa di Roma e al suo Vescovo veniva riconosciuto il Primato sia giuridico che di governo rispetto alle altre chiese.
 
 
 
 
BIBLIOGRAFIA

Gianpaolo Barra, Il Primato di Pietro nella storia della Chiesa, Mimep-Docete, Pessano (MI) 1995.
Francesco Gligora - Biagia Catanzaro, Storia dei papi da san Pietro a Giovanni Paolo II, 2 voll., Panda edizioni, Padova 1989.
Enciclopedia Cattolica, voce Clemente I, vol. III, coll. 1809-1815.




IL TIMONE – N. 3 - ANNO I - Settembre/Ottobre 1999 - pag. 7





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:54. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com