A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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San Gregorio Magno

Ultimo Aggiornamento: 21/02/2015 12:34
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La Chiesa e noi di San Gregorio Magno


In questo Anno dedicato alla Vita Consacrata, ma anche per noi Laici impegnati nelle famiglie e nel mondo, così come nei vari Terz'Ordini, giunge davvero a proposito un bellissimo paragrafo di San Gregorio Magno dal Commento al Libro del Cantico dei cantici. In questo passo, che vi offriamo in audio e con il testo scritto in italiano e in latino

www.youtube.com/watch?v=kd5KwppTd4E

il santo Pontefice ci aiuta intanto a come predisporci per una lettura edificante e fruttuosa del testo, poi spiega davvero in modo semplice la visione escatologica della Chiesa quale Sposa e del Signore in quanto Sposo, le promesse e la fedeltà del Signore, così quale è il nostro ruolo e il nostro compito di Battezzati.
Ci aiuta a comprendere il valore dei due Sacramenti quali il Matrimonio e l'Ordinazione sacra i quali, lungi dall'essere contrapposti o in lotta fra loro, bensì diversi fra loro - non separati - ma uniti in un unico scopo: vivere in pienezza l'unione sponsale di Dio con la Chiesa sua Sposa e noi, membra unite dal Battesimo e, da questa Sposa, rigenerate in Cristo, per Cristo e con Cristo, il degnissimo ed amabile Sposo.

[SM=g1740738] Buona meditazione a tutti.

****

8. Bisogna notare che nella Scrittura il Signore definisce se stesso talvolta signore, talvolta padre, talvolta ancora sposo. Si fa chiamare signore quando vuole incutere timore, padre quando chiede onore, sposo quando vuol essere amato30. Per bocca del profeta dice: Se sono il Signore, dov’è il timore che m'appartiene? E se io sono padre, dov'è l'onore che m'è dovuto?31. E ancora: Ti ho resa mia sposa nella giustizia e nella fedeltà32. Quindi: Mi sono ricordato del tempo del tuo fidanzamento nel deserto33. Certamente in Dio non c'è un tempo e un tempo, ma come vuol essere prima temuto per essere anche onorato e vuol essere prima onorato perché si giunga ad amarlo, così egli si fa chiamare signore per essere temuto, padre per essere onorato e sposo per essere amato.

È infatti attraverso il timore che si giunge all'onore e attraverso l'onore si giunge all'amore. E quanto più l'onore supera in dignità il timore, tanto più Dio preferisce farsi chiamare padre anziché signore; e quanto più caro è l'amore rispetto all'onore, tanto più Dio preferisce farsi chiamare sposo anziché padre. Perciò in questo libro il Signore e la Chiesa vengono chiamati non "signore" e "ancella", ma "sposo" e "sposa", così che essa lo serva non col solo timore e neppure con la sola riverenza, ma anche con l'amore, e con queste parole esteriori venga suscitato l'affetto interiore.

Quando si presenta col nome di signore indica che noi siamo sue creature; col nome di padre indica che noi siamo figli adottivi; e col nome di sposo la nostra unione con lui. Ed essere uniti a Dio è cosa ben più grande che essere semplici creature o figli adottivi. In questo libro, dove lo si chiama col nome di sposo, si insinua dunque qualcosa di sublime, in quanto in esso si mostra un patto di unione.

A questi nomi nel Nuovo Testamento si ricorre ripetutamente, poiché qui viene celebrata l'unione del Verbo e della carne, di Cristo e della Chiesa. Per questo Giovanni dice, riferendosi al Signore che viene: Colui che possiede la sposa è lo sposo34.

E il Signore stesso afferma: Gli amici dello sposo non digiuneranno finché lo sposo è con loro35. E alla Chiesa viene detto: Vi ho promesso a un unico sposo, per presentarvi a Cristo quale vergine casta36.

E ancora: Al fine di far comparire la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga . E nell'Apocalisse, Giovanni esclama: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!38. E infine: Vidi anche la sposa scendere dal cielo, come appena sposata39 .

9. Il fatto che questo poema venga collocato al terzo posto fra i libri di Salomone non contrasta con la grandezza del mistero. Gli antichi affermavano infatti che sono tre gli ordini della vita: morale, naturale e contemplativo, e i Greci li definivano etica, fisica e teorica40. I Proverbi hanno come oggetto la vita morale, dove si dice: Figlio mio, ascolta la mia sapienza e porgi l'orecchio alla mia intelligenza41 .

L'Ecclesiaste invece tratta la vita naturale, in quanto prende in considerazione il fatto che ogni cosa tende al suo fine quando dice: Vanità delle vanità, tutto è vanità42 . Infine, il Cantico dei cantici presenta la vita contemplativa, in quanto in esso trova espressione il desiderio della venuta e della contemplazione del Signore, quando si dice nelle parole dello sposo: Vieni dal Libano, vieni43 .

Questi gradi sono raffigurati anche dalla vita dei tre patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe.

Abramo ha vissuto la vita morale obbedendo44 . Isacco è immagine della vita naturale scavando i pozzi, poiché il gesto di scavare pozzi in profondità significa, mediante la riflessione sulla natura, aprire un varco scrutando tutte le realtà inferiori. Giacobbe, infine, ha coltivato la vita contemplativa, poiché ha visto gli angeli salire e scendere 45.

E poiché la contemplazione della natura non conduce alla perfezione se prima non si coltiva la vita morale, a ragione l'Ecclesiaste è collocato dopo il libro dei Proverbi. E poiché non si può volgere lo sguardo alla contemplazione delle realtà superiori se prima non lo si allontana dalle cose inferiori, giustamente il Cantico dei cantici si trova dopo l'Ecclesiaste.

Dunque, occorre anzitutto mettere ordine nella vita morale, poi considerare le cose presenti come se non ci fossero, in terzo luogo contemplare le cose superiori e interiori con lo sguardo acuto del cuore. Questi gradi dei libri [di Salomone] sono così disposti come una scala che porta alla contemplazione di Dio.

Infatti, compiendo bene dapprima tutto ciò che in questo mondo è onesto, poi allontanando lo sguardo anche da ciò che è buono, si arriva infine a contemplare i misteri nascosti di Dio. Così, in questo libro, attraverso la voce della Chiesa, si esprime in generale l'attesa della venuta del Signore, mentre in particolare ogni anima guarda la venuta di Dio nel proprio cuore, come sposo che entra nella camera nuziale.

10. Bisogna sapere che in questo libro vengono messi in scena quattro personaggi che intervengono con la parola: cioè lo sposo e la sposa, le giovinette che accompagnano la sposa e il gruppo dei compagni dello sposo.

La sposa rappresenta la Chiesa nella sua perfezione; lo sposo il Signore; le giovinette che accompagnano la sposa sono le anime principianti, destinate a crescere nel nuovo compito; i compagni dello sposo, infine, sono sia gli angeli che spesso, venendo da lui sono apparsi agli uomini, sia i perfetti che nella Chiesa sanno annunciare agli uomini la verità.

Tuttavia, coloro che singolarmente sono giovinette o compagni, tutti insieme sono la sposa, perché tutti insieme formano la Chiesa. Ma anche considerati singolarmente possono attribuirsi i tre nomi. Chi infatti ama perfettamente Dio è la sposa; chi annuncia lo sposo è un compagno; chi infine segue la via del bene come principiante è come una giovinetta. Siamo dunque invitati ad essere sposa; tuttavia, se non ne siamo ancora capaci, siamo almeno compagni; e se neppure di questo siamo all'altezza, andiamo almeno tutti insieme come le giovinette verso la camera nuziale. Poiché dunque abbiamo detto che lo sposo e la sposa sono il Signore e la Chiesa, ascoltiamo anche noi le parole dello sposo come fanno le giovinette e i compagni, ascoltiamo le parole della sposa e impariamo dai loro discorsi il fervore dell'amore.

11. Così, la santa Chiesa, che ha atteso a lungo la venuta del Signore, e che intensamente è assetata della fonte della vita, proclami come aspiri a contemplare lo sposo presente e quanto lo desideri.



NOTE

30 In tutto questo paragrafo, attraverso le tre figure del signore, del padre e dello sposo, Gregorio ripropone un itinerario tradizionale, ereditato da Origene, da Ambrogio e da Agostino. Partendo dal grado iniziale del timore reverenziale, rivolto a Dio ancora concepito come un signore o un padrone, passa attraverso l'onore a lui dovuto come padre, per approdare infine all'amore, come verso uno sposo mediante l'incarnazione del Figlio.

31 MI 1,6.

32 Os 2,19-20.

33 Ger 2,2.

34 Gv 3,29.

35 Mt 9,15.

36 2Cor 11,2.

37 Ef 5,27

38 Ap 19,9

39 Ap 21,2

40 Gregorio riprende sinteticamente in queste righe una teoria, diventata tradizionale fin dal commento origeniano al Cantico/ secondo la quale i libri salomonici venivano classificati in relazione alle scienze profane: ai Proverbi corrispondeva l'etica, al Qoelet la fisica e al Cantico la logica o la teologia. Tale classificazione dei libri di Salomone, veniva a proporre i gradi di un progresso spirituale.

41 Pr 5,1

42 Q0 1,2

43 Ct 4,8

44 cfr Gn 12,4

45 Gn 28,12



fonte: Commento al Cantico dei Cantici di San Gregorio Magno - Ed. Glossa - coll. Sapientia

www.cooperatoresveritatis.net/it/la-chiesa-e-noi-di-san-gregor...


Si legga anche: LETTERA DI SANT'AGOSTINO AI PENTECOSTALI A.D.2014
www.cooperatoresveritatis.gomilio.com/it/lettera-di-santagostino-ai-pentecostali-...

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[SM=g1740758] in latino

8. Et notandum, quia aliquando se dominus in scriptura sacra dominum uocat, aliquando patrem, aliquando sponsum. Quando enim uult se timeri, dominum se nominat; quando uult honorari, patrem; quando uult amari, sponsum. Ipse per prophetam dicit: Si dominus ego sum, ubi est timor meus? Si pater ego sum, ubi est honor meus? Et rursum dicit: Desponsaui te mihi in iustitia et fide. Vel certe: Recordatus sum diei desponsationis tuae in deserto. Et quidem apud deum quando et quando non est; sed, quia prius timeri se uult ut honoretur, et prius honorari ut ad eius amorem perueniatur, et dominum se propter timorem nominat et patrem propter honorem et sponsum propter amo- rem: ut per timorem ueniatur ad honorem, per honorem uero eius perueniatur ad amorem.

Quanto ergo dignius est honor quam timor, tanto plus gaudet deus pater dici quam dominus: et, quanto carius est amor quam honor, tanto plus gaudet deus sponsus dici quam pater. In hoc ergo libro dominus et ecclesia non «dominus» et «ancilla», sed «sponsus» nominatur et «sponsa»: ut non soli timori, non soli reuerentiae, sed etiam amori deseruiatur et in his uerbis exterioribus incitetur affectus interior. Cum se dominum nominat, indicat quod creati sumus; cum se patrem nominat, indicat quod adoptati; cum se sponsum nominat, indicat quod coniuncti. Plus autem est coniunctos esse deo, quam creatos et adoptatos.

In hoc ergo libro, ubi sponsus dicitur, aliquid sublimius insinuatur, dum in eo foedus coniunctionis ostenditur. Quae nomina in testamento nouo (quia iam peracta coniunctio uerbi et carnis, Christi et ecclesiae, celebrata est) frequenti iteratione memorantur. Vnde Iohannes dicit, domino ueniente: Qui habet sponsam, sponsus est. Vnde idem dominus dicit: Non ieiunabunt filii sponsi, quandiu cum illis est sponsus. Vnde ecclesiae dicitur: Desponsaui uos uni uiro uirginem castam exhibere Christo. Et rursum: Vt exhiberet gloriosam ecclesiam, non habentem maculam aut rugam. Et rursum in Apocalypsi Iohannis: Beati, qui ad coenam nuptiarum agni uocati sunti Et rursum ibidem: Et uidi sponsam quasi nouam nuptam descendentem de caelo.

9. Nec hoc a magno mysterio abhorret, quod liber iste Salomonis tertius in opusculis eius ponitur. Veteres enim tres uitae ordines esse dixerunt: moralem, naturalem et contemplatiuam; quas graeci uitas ethicam, fisicam, theoricam nominauerunt. In Prouerbiis quoque moralis uita exprimitur, ubi dicitur: Audi, fili mi, sapientiam meam et prudentiae meae inclina aurem tuam. In Ecclesiasten uero, naturalis: ibi quippe, quod omnia ad finem tendant, consideratur, cum dicitur: Vanitas uanitantium et omnia uanitas.

In Canticis uero canticorum contemplatiua uita exprimitur, dum in eis ipsius domini aduentus et adspectus desideratur, cum sponsi uoce dicitur: Veni de Libano, ueni. Hos etiam ordines trium patriarcharum uita signauit: Abraham, Isaac uidelicet et Iacob. Moralitatem quippe Abraham oboediendo tenuit. Isaac uero naturalem uitam puteos fodiendo figurauit: in imo enim puteos fodere est per considerationem naturalem omnia, quae infra sunt, perscrutando rimari. Iacob uero contemplatiuam uitam tenuit, qui ascendentes et descendentes angelos uidit. Sed, quia naturalis consideratio ad perfectionem non perducitur, nisi prius moralitas teneatur, recte post Prouerbia Ecclesiastes ponitur.

Et, quia superna contemplatio non conspicitur, nisi prius haec infra labentia despiciantur, recte post Ecclesia- sten Cantica canticorum ponitur. Prius quippe est mores conponere; postmodum omnia, quae adsunt, tamquam non adsint considerare; tertio uero loco munda cordis acie superna et interna conspice- re. His itaque librorum gradibus quasi quandam ad contemplationem dei scalam fecit: ut, dum primum in saeculo bene geruntur honesta, postmodum etiam honesta saeculi despiciantur, ad extremum etiam dei intima conspiciantur. Sic autem generaliter ex uoce ecclesiae aduentus domini in hoc opere praestolatur, ut etiam specialiter unaquaeque anima ingressum dei ad cor suum tamquam aditum sponsi in thalamum adspiciat.

10. Et sciendum quia in hoc libro quatuor personae loquentes introducuntur: sponsus uidelicet, et sponsa, adulescentulae uero cum sponsa, et greges sodalium cum sponso. Sponsa enim ipsa perfecta ecclesia est; sponsus, dominus; adulescentulae uero cum sponsa sunt inchoantes animae et per nouum studium pubescentes; sodales uero sponsi sunt siue angeli, qui saepe hominibus ab ipso uenientes apparuerunt, seu certe perfecti quique uiri in ecclesia, qui ueritatem hominibus nuntiare nouerunt.

Sed hi, qui singillatim adulescentulae uel sodales sunt, toti simul sponsa sunt, quia toti simul ecclesia sunt. Quamuis et iuxta unum quemque tota haec tria nomina accipi possint.

Nam, qui deum iam perfecte amat, sponsa est; qui sponsum praedicat, sodalis est; qui adhuc nouellus uiam bonorum sequitur, adulescentula est. Inuitamur ergo, ut simus sponsa; si hoc necdum praeualemus, simus sodales; si neque hoc adepti sumus, saltem adhuc thalamum adulescentulae conueniamus. Quia igitur sponsum et sponsam dominum et ecclesiam diximus, uelut adulescentulae uel ut sodales audiamus uerba sponsi, audiamus uerba sponsae, et in eorum sermonibus feruorem discamus amoris.

11. Itaque, sancta ecclesia, diu praestolans aduentum domini, diu sitiens fontem uitae, quomodo optet uidere praesentiam sponsi sui, quomodo desideret, edicat.

Laudetur Jesus Christus






[SM=g1740738]


CRISTO SI È MESSO IN MEZZO ALLA NOSTRA STRADA

Se la sapienza avesse voluto nascondersi, si sarebbe dovuto cercarla.

Ma dopo che essa ha mostrato in pubblico i misteri della sua incarnazione, dopo che ha offerto ai superbi gli esempi della sua umiltà, si è messa proprio in mezzo alla strada per cui passiamo, così che, anche se non la vogliamo cercare, andiamo a sbatterle contro.

La via della sapienza incarnata sono tutte le azioni che essa ha compiuto nel tempo; sono le norme di vita che ha disposto per quelli che vanno al Signore. Ma siccome i superbi non si curano degli esempi dell’umiltà del Signore, essi non vogliono conoscere le sue vie. Vie spregevoli a vedersi, ma degne di riverenza se si capiscono; poiché altro è ciò che si vede, e altro ciò che se ne attende. In questa vita non ci ha fatto vedere che umiliazioni, sputi, derisioni e morte.

Ma attraverso questo abbassamento si sale in alto.
Capire le vie di Dio vuol dire sopportare con umiltà le cose transitorie, aspettare con perseveranza quelle eterne con l’esempio del Signore, cercare la gloria duratura in mezzo alle sofferenze temporali, guardare fisso non a ciò che uno sopporta ora, ma a quello che aspetta poi.

L’umiltà accende la luce dell’intelligenza, la superbia la nasconde.

(Gregorio Magno, Moralia 25,30)


[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 21/02/2015 12:34]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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 3 Settembre


SAN GREGORIO MAGNO, PAPA E DOTTORE DELLA CHIESA

ANTIFONA D'INGRESSO
Cfr. Sir 45,24

Il Signore ha stabilito con lui un'alleanza di pace; lo ha fatto principe del suo popolo e lo ha costituito suo sacerdote per sempre.
PRIMA LETTURA

Dal libro del Siracide 39,1c-10
Il saggio è esperto nelle Scritture

L'uomo saggio indaga la sapienza
di tutti gli antichi, si dedica allo studio delle profezie.
Conserva i detti degli uomini famosi,
penetra le sottigliezze delle parabole,
indaga il senso recondito dei proverbi
e s'occupa degli enigmi delle parabole.
Svolge il suo compito fra i grandi,
è presente alle riunioni dei capi,
viaggia fra genti straniere,
investigando il bene e il male in mezzo agli uomini.
Di buon mattino rivolge il cuore
al Signore, che lo ha creato,
prega davanti all'Altissimo,
apre la bocca alla preghiera,
implora per i suoi peccati.
Se questa è la volontà del Signore grande,
egli sarà ricolmato di spirito di intelligenza,
come pioggia effonderà parole di sapienza,
nella preghiera renderà lode al Signore.
Egli dirigerà il suo consiglio e la sua scienza,
mediterà sui misteri di Dio.
Farà brillare la dottrina del suo insegnamento,
si vanterà della legge dell'alleanza del Signore.
Molti loderanno la sua intelligenza,
egli non sarà mai dimenticato,
non scomparirà il suo ricordo,
il suo nome vivrà di generazione in generazione.
I popoli parleranno della sua sapienza,
l'assemblea proclamerà le sue lodi.

SECONDA LETTURA

Dalle "Omelie su Ezechiele" di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 1,11,4-6; CCL 142,170-172)
Per amore di Cristo non risparmio me stesso nel parlare di lui

"Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele" (Ez 3,16). È da notare che quando il Signore manda uno a predicare, lo chiama col nome di sentinella. La sentinella infatti sta sempre su un luogo elevato, per poter scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita per poter giovare con la sua preveggenza.

Come mi suonano dure queste parole che dico! Così parlando, ferisco me stesso, poiché né la mia lingua esercita come si conviene la predicazione, né la mia vita segue la lingua, anche quando questa fa quello che può.
Ora io non nego di essere colpevole, e vedo la mia lentezza e negligenza. Forse lo stesso riconoscimento della mia colpa mi otterrà perdono presso il giudice pietoso.

Certo, quando mi trovavo in monastero ero in grado di trattenere la lingua dalle parole inutili, e di tenere occupata la mente in uno stato quasi continuo di profonda orazione. Ma da quando ho sottoposto le spalle al peso dell'ufficio pastorale, l'animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché è diviso tra molte faccende.
Sono costretto a trattare ora le questioni delle chiese, ora dei monasteri, spesso a esaminare la vita e le azioni dei singoli; ora ad interessarmi di faccende private dei cittadini; ora a gemere sotto le spade irrompenti dei barbari e a temere i lupi che insidiano il gregge affidatomi.

Ora debbo darmi pensiero di cose materiali, perché non manchino opportuni aiuti a tutti coloro che la regola della disciplina tiene vincolati. A volte debbo sopportare con animo imperturbato certi predoni, altre volte affrontarli, cercando tuttavia di conservare la carità.
Quando dunque la mente divisa e dilaniata si porta a considerare una mole così grande e così vasta di questioni, come potrebbe rientrare in se stessa, per dedicarsi tutta alla predicazione e non allontanarsi dal ministero della parola?

Siccome poi per necessità di ufficio debbo trattare con uomini del mondo, talvolta non bado a tenere a freno la lingua. Se infatti mi tengo nel costante rigore della vigilanza su me stesso, so che i più deboli mi sfuggono e non riuscirò mai a portarli dove io desidero. Per questo succede che molte volte sto ad ascoltare pazientemente le loro parole inutili.
E poiché anch'io sono debole, trascinato un poco in discorsi vani, finisco per parlare volentieri di ciò che avevo cominciato ad ascoltare contro voglia, e di starmene piacevolmente a giacere dove mi rincresceva di cadere.

Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza?
Però il Creatore e Redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l'elevatezza della vita e l'efficienza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di Lui.


O Dio, che governi il tuo popolo con la soavità e la forza del tuo amore, per intercessione del papa san Gregorio Magno, dona il tuo spirito di sapienza a coloro che hai posto maestri e guide nella Chiesa perché il progresso dei fedeli sia gioia eterna dei pastori.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

Amen.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/12/2008 15:31
 
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In papa Gregorio si ritrovano, in grado eminente, tutte le qualità dell'uomo di governo, il senso del dovere, della misura e della dignità. In lui lo storico protestante Harnack ammira "la saggezza, la giustizia, la mitezza, la forza di iniziativa, la tolleranza", e Bossuet lo ritiene "il modello perfetto di come si governa la Chiesa".


S. Gregorio Magno era nato per diventare papa. Alla morte di suo padre Gordiano, Gregorio, ancor giovanissimo (era nato verso il 540), era già "praefectus urbis".
 
Ammiratore dell'eccezionale figura di S. Benedetto, decise ben presto di trasformare i suoi possedimenti a Roma (sul Celio) e in Sicilia in altrettanti monasteri. Ma egli stesso non vi potè dimorare a lungo, poiché il papa Pelagio II lo inviò come apocrisario, cioè come nunzio, a Costantinopoli. Rientrato nella quiete del monastero sul Celio, ne godette per pochissimo tempo, chiamato al supremo pontificato dall'entusiasmo del popolo e dalle insistenza del clero e del senato di Roma.

Fisicamente non era un colosso e la salute sua fu sempre cagionevole: la sua prima serie di Omelie sul Vangelo la dovette leggere un notaio, per l'impossibilità di tenersi ritto. E tuttavia la sua attività, in quattordici anni scarsi di pontificato (dal 3 settembre 590 al 12 marzo 604), ha dell'incredibile: organizza la difesa di Roma minacciata da Agilulfo, col quale intesse poi rapporti di buon vicinato; amministra la cosa pubblica con puntigliosa equità, supplendo all'incuria dei funzionari imperiali; ha cura degli acquedotti; favorisce l'insediamento dei coloni eliminando ogni residuo di servitù della gleba; animato da zelo, promuove la missione in Inghilterra di S. Agostino di Canterbury. Capace di allargare lo sguardo oltre i confini della cristianità, non sdegnava le cure minute della vita quotidiana. Poco prima di morire trovò il modo di far pervenire al vescovo di Chiusi un mantello per l'inverno.


L'epistolario (ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo ci documentano ampiamente sulla sua molteplice attività. Ovunque ha lasciato un'impronta, basti ricordare in campo liturgico la promozione del canto "gregoriano". La sua familiarità con la Sacra Scrittura appare dalle Omelie su Ezechiele e sul Vangelo, mentre i Moralia ne attestano l'ammirazione per S. Agostino. Profondo influsso nella spiritualità ha esercitato, insieme alla Vita di S. Benedetto, il suo Liber regulae pastoralis, stimolante ancor oggi.

[SM=g1740722]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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