A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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San Girolamo

Ultimo Aggiornamento: 27/11/2008 00:51
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27/11/2008 00:26
 
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La cattedra del Vescovo di Roma rappresenta, pertanto, non solo il suo servizio alla comunità romana, ma la sua missione di guida dell’intero Popolo di Dio.

Celebrare la “Cattedra” di Pietro significa, perciò, attribuire ad essa un forte significato spirituale e riconoscervi un segno privilegiato dell’amore di Dio, Pastore buono ed eterno, che vuole radunare l’intera sua Chiesa e guidarla sulla via della salvezza. Tra le tante testimonianze dei Padri, mi piace riportare quella di san Girolamo, tratta da una sua lettera scritta al Vescovo di Roma, particolarmente interessante perché fa esplicito riferimento proprio alla “cattedra” di Pietro, presentandola come sicuro approdo di verità e di pace.

Così scrive Girolamo: “Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa” (Le lettere I, 15,1-2).

(Benedetto XVI -Mercoledì 22.2.2006)


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Dal "Commento su Gioele" di san Girolamo, sacerdote
(PL 25,967-968)
Ritornate a me

"Ritornate a me con tutto il vostro cuore" (Gl 2,12) e mostrate la penitenza dell'anima con digiuni, pianti e battendovi il petto: affinché, digiunando adesso, dopo siate satollati; piangendo ora, dopo ridiate; battendovi ora il petto, dopo siate consolati. Nelle circostanze tristi ed avverse vi è consuetudine di strapparsi le vesti. Così fece, secondo il vangelo, il sommo Sacerdote per rendere più grave l'accusa contro il Signore, nostro Salvatore, e così pure Paolo e Barnaba all'udire parole blasfeme. Ebbene Gioele dice: "Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza" (Gl 2,13).

Ritornate dunque al Signore vostro Dio, da cui vi siete allontanati per il male che avete fatto, e non disperate mai del perdono per la gravità delle colpe, perché l'infinita misericordia le cancellerà tutte per quanto gravi. Il Signore infatti è buono e misericordioso. Vuole piuttosto la penitenza che la morte del peccatore. E paziente e ricco di compassione e non imita l'impazienza degli uomini, ché anzi aspetta per lungo tempo la nostra conversione. Il Signore "è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi …" (Gl 2,13-14). È pienamente disposto a perdonare e a pentirsi della sentenza di condanna che aveva preparata per i nostri peccati. Se noi ci pentiamo di quanto abbiamo fatto di male, egli si pentirà della decisione di castigo che aveva preso e del male che aveva minacciato di farci. Se noi cambiamo vita anch'egli cambierà la sentenza che aveva predisposto. Quando diciamo che ci ha minacciato del male, certo non ci riferiamo a un male morale, ma a una pena dovuta giustamente a chi ha mancato.

Gioele dopo aver rilevato la misericordia di Dio verso chi si pente, soggiunge: "Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione" (Gl 2,13-14). Il profeta intende dire: lo assolvo il mio mandato, vi esorto alla penitenza perché so che Dio è oltremodo clemente, come si ricava anche dalla preghiera di David: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia: nella tua grande bontà cancella il mio peccato" (Sal 50,1.3). Però siccome non possiamo conoscere la profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio - è sempre il pensiero del profeta Gioele - mitigo la mia affermazione e, più che presumere, auguro dicendo: "Chi sa che non cambi e si plachi?". Dicendo: "Chi sa?" bisogna intendere che è cosa impossibile, o per lo meno difficile a sapersi.La frase: Offerta e libazione per il Signore nostro Dio (cfr. Gl 2,14) l'interpretiamo così: dopo che il Signore avrà elargito la sua benedizione e avrà perdonato i nostri peccati, noi possiamo offrire i nostri sacrifici a Dio.


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Dal "Commento all'Ecelesiaste" di san Girolamo, sacerdote
(PL 23,1057-1059)
Cercate le cose di lassù




"Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze e beni, ha anche facoltà di goderli e prendersene la sua parte, e di godere delle sue fatiche: anche questo è dono di Dio. Egli non penserà infatti molto ai giorni della sua vita, poiché Dio lo tiene occupato con la gioia del suo cuore" (Qo 5,18-19). A paragone di colui che si nutre delle sue sostanze nel turbinio delle sue preoccupazioni e dei suoi affanni e, con grave peso e tedio della vita, accumula cose destinate poi a perire, il sapiente afferma che è migliore colui che gode di quanto gli sta davanti. In questo secondo caso, infatti, per quanto piccola, una certa soddisfazione c'è e precisamente nell'uso dei beni. Nel primo caso c'è solo un cumulo di fastidi. Il sapiente dimostra anche perché deve ritenersi un dono di Dio poter godere delle ricchezze affermando: "non penserà molto ai giorni della sua vita".
Certamente il Signore concede gioia al suo cuore: non sarà nella tristezza, non sarà tormentato dall'ansia, assorbito com'è dalla letizia e dal piacere presente. Ma è meglio, secondo l'Apostolo, scorgere il bene da godere non tanto nel cibo e nella bevanda materiale, ma nel nutrimento dello spirito concesso da Dio. C'è un bene nelle fatiche proprio perché solo attraverso fatiche e sforzi possiamo arrivare alla contemplazione dei veri beni. Ed è proprio ciò che dobbiamo fare: rallegrarci nelle nostre occupazioni ed attività. Quantunque però questo sia un bene, tuttavia "fino a che Cristo nostra vita non si sarà manifestato" (cfr. Col 3,4) non è ancora il bene completo.

Deve ritenersi veramente saggio colui che, istruito nelle divine Scritture, ha tutta la sua fatica sulle sue labbra e la sua brama non è mai sazia (cfr. Qo 6,7), dal momento che sempre desidera di imparare. In questo il savio si trova in condizione migliore dello stolto (cfr. Qo 6,8), perché, sentendosi povero (quel povero che è proclamato beato dal vangelo), si affretta ad abbracciare ciò che riguarda la vera vita, cammina sulla strada stretta e angusta che conduce alla vita ed è povero di opere malvage, e sa dove risiede Cristo, che è la vita.



Dall'"Omelia ai Neofiti sul salmo 41" di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa
(CCL 78,542-544)
Andrò nel luogo del mirabile tabernacolo




"Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Sal 41,2). Dunque come quei cervi anelano ai corsi d'acqua, così anche i nostri cervi che, allontanandosi dall'Egitto e dal mondo, hanno ucciso il faraone nelle loro acque ed hanno sommerso il suo esercito nel battesimo, dopo l'uccisione del diavolo, anelano alle fonti della Chiesa, cioè al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Che il Padre sia sorgente, è scritto nel profeta Geremia: "Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne: screpolate che non tengono l'acqua" (Ger 2,13). Del Figlio poi leggiamo in un passo: "Hanno abbandonato la fonte della Sapienza" (Bar 3,12). Infine dello Spirito Santo si dice: "Chi beve dell'acqua, che io gli darò … (questa) diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14). L'evangelista spiega il passo dicendo che questa parola del Signore si riferisce allo Spirito Santo. I testi citati provano chiarissimamente che il mistero della Trinità è la triplice fonte della Chiesa.

A questa fonte anela l'anima del credente, questa fonte brama l'anima del battezzato, dicendo: L'anima mia ha sete di Dio, fonte viva (cfr. Sal 41,3). Non ha desiderato infatti freddamente di vedere Dio, ma l'ha desiderato con tutta la brama, ne ha avuto una sete ardentissima. Prima di ricevere il battesimo parlavano tra loro e dicevano: "Quando verrò e vedrò il volto di Dio?" (Sal 41,3). Ecco, si è compiuto quello che domandavano; sono venuti e stanno in piedi dinanzi al volto di Dio e si son presentati davanti all'altare e al mistero del Salvatore.

Ammessi a ricevere il Corpo di Cristo e rinati nella sorgente della vita, parlano fiduciosamente e dicono: Mi avanzerò nel luogo del tabernacolo mirabile, fino alla casa di Dio (cfr. Sal 41,5 volg.). La casa di Dio è la Chiesa, questo è il tabernacolo mirabile, perché in esso si trova "la voce della letizia e della lode e il canto di quanti siedono al convito".
Voi che vi siete rivestiti di Cristo e, seguendola nostra guida, mediante la parola di Dio siete stati tratti come pesciolini all'amo fuori dei gorghi di questo mondo, dite dunque: In noi e mutata la natura delle cose. Infatti i pesci, che sono estratti dal mare, muoiono. Gli apostoli invece ci hanno estratti dal mare di questo mondo e ci hanno pescati perché da morti fossimo vivificati. Finché eravamo nel mondo i nostri occhi guardavano verso il profondo dell'abisso e la nostra vita era immersa nel fango, ma, dopo che siamo stati strappati ai flutti, abbiamo cominciato a vedere il sole abbiamo cominciato a contemplare la vera luce ed emozionati da una gioia straordinaria, diciamo all'anima nostra: "Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (Sal 41,6).



parto da San Girolamo tracciando una sintesi della sua vita e opere... insegnamento spirituale:



GIROLAMO (santo)

I. Vita e opere. Eusebius Hieronymus nasce tra il 340 e il 347 da famiglia cristiana benestante a Stridone, località ai confini tra la Dalmazia e la Pannonia, nella Croazia settentrionale. Adolescente, verso il 359, è inviato a Roma per studiare grammatica, retorica e filosofia. Acquisisce tutto ciò che le lettere profane possono offrire.



Maggiorenne, verso il 366, comincia per lui un periodo di ansiosa ricerca religiosa. Si fa battezzare a Roma. Viaggia nelle Gallie, e a Treviri sente il richiamo del monachesimo. Ad Aquileia si associa ad un gruppo di entusiasti della vita cenobitica. Non ancora soddisfatto, si dirige verso il Medio Oriente. Affaticato nella mente e nel corpo, sosta ad Antiochia (374-375). Ascolta con discernimento le spiegazioni bibliche di Apollinare di Laodicea. Prosegue verso il deserto di Calcide (375-378), dove studia l'ebraico. Le lotte per l'episcopato lo richiamano ad Antiochia, dove viene ordinato sacerdote nel 378. Si trasferisce a Costantinopoli (379-382). Ascolta le spiegazioni bibliche di Gregorio Nazianzeno, e si addentra nelle opere di Origene.



Dal 382 in poi, si prodiga in un'attività intensamente produttiva. Trasferitosi a Roma fa da segretario a papa Damaso ( 384): prepara lettere e trattati, diviene maestro per il clero romano, ne castiga i costumi, corregge il testo latino dei Vangeli e dei salmi, edifica donne pie, spiega la Bibbia, offre consigli religiosi. L'ambiente romano non gradisce la sua opera, sicché alla morte del papa, gli fa un'opposizione sistematica e sleale. Allora G. parte per il Medio Oriente, nel 385, e nel 386 si stabilisce a Betlemme dove fino alla morte, nel 419 o 420, continua la sua opera di maestro e di consigliere spirituale.



La vastità e la profondità della sua cultura, soprattutto in campo biblico, storico, geografico e filologico, fanno di lui un grande maestro tra i Padri del IV e V secolo. In qualità di fecondo esegeta resta un valido referente perché commenta i libri sacri in chiave letteraria e allegorica, in modo da offrire considerazioni scientifiche e spirituali al tempo stesso. Della sua vasta produzione ricordiamo, oltre ai lavori di revisione e di traduzione dei libri sacri, i commenti a diversi libri della Sacra Scrittura. Tra gli scritti storici va ricordata soprattutto la preziosa opera, nonostante le imprecisioni, le parzialità e a volte le confusioni, De viris illustribus.



Di non minore importanza è il suo epistolario che comprende 125 Lettere a vari destinatari. Tra queste particolare menzione meritano quelle ascetiche. Vanno, infine ricordati i Discorsi ai monaci, raccolti dal Morin nel 1895, 1897 e 1901 1 che comprendono commenti spirituali ai salmi, al Vangelo di Marco e diverse omelie.



II. Insegnamento spirituale. L'itinerario spirituale personale di G. si sviluppa attraverso tre tappe. Adolescente, gusta i piaceri della mente (lettere profane) e del corpo (cibo lauto, sensualità). Maggiorenne, intraprende un lungo cammino di distacco dai piaceri e di avvicinamento a Cristo. Il distacco comincia con la prima partenza da Roma per decisione propria e si completa ad Antiochia con la rinuncia alle lettere profane per intervento di Cristo che gli appare in sogno e lo accusa di essere ciceroniano, non cristiano. Nel deserto di Calcide vive questo distacco, penoso ma gratificante. " Nudos amat eremus ", il deserto, l'eremo predilige gli uomini nudi, scrive in questo periodo G. L'avvicinamento a Cristo va di pari passo con il contatto con la Bibbia. Prima del sogno, nei momenti di ravvedimento, invece di Tullio o Platone legge i profeti, ma il loro discorso incolto lo disgusta. Dopo il sogno s'immerge nella lettura della Bibbia, sforzandosi di cogliere il senso cristiano dell'AT. In questo modo tenta una vera e propria esegesi del testo sacro, cercando di condurre fuori dal testo i suoi contenuti effettivi, il suo messaggio spirituale, la sua verità. Lo sforzo diventa delizia quando assapora i commentari biblici di Origene.



Adulto, diviene veramente cristiano. Vive il mistero di Cristo e cerca di comunicarlo agli altri. A Roma lo addita al clero e alle donne pie. A Betlemme lo spiega con la parola ai monaci vicini, con le lettere alle pie donne lontane, con i commentari biblici a tutti. Lo difende con le opere polemiche, lo illustra con le opere storiche e lo fa passare nell'AT con la nuova versione latina (Volgata). La sua ricetta: non deporre mai i Vangeli.



Ma è soprattutto nell'epistolario che G. manifesta la profondità del suo pensiero spirituale. A parte il suo richiamo continuo alla rinuncia per il regno, egli indica il cammino verso Dio nello studio e nella meditazione della Parola. E proprio il contatto con la Parola che rivela i segreti di Dio e rende capaci di dedicarsi alla preghiera e al digiuno che, a loro volta, alimentano la carità e reprimono le tentazioni rafforzando lo spirito. E ancora la Parola fatta carne, cioè l' Eucaristia, che offre al credente sicurezza nel suo cammino spirituale. Partecipando alla vita del Cristo, il cristiano otterrà il premio della corona. Quest'ultima è riservata in particolare ai vergini che, come Maria, sono gli sposi fedeli che, con purezza, offrono tutto se stessi a Cristo. Per questo motivo, egli considera la verginità superiore al matrimonio per il suo carattere di donazione totale e di condivisione piena della vita del Cristo.



Commento a Marco 13, 32-33 di S.Girolamo

II passo del Vangelo di cui ci occupiamo oggi, necessita di un'ampia spiegazione. Prima di accostarci ai sacramenti, dobbiamo togliere ogni dubbio: non ne resti alcuno nell'anima di coloro che si preparano a ricevere i sacramenti. Infatti coloro che stanno per ricevere il battesimo, debbono credere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

Ma qui, ora, il Figlio dice: Circa poi quel giorno e. quell'ora, nessuno sa nulla, neanche gli angeli in cielo, ne il Figlio, fuorché il Padre 1. Ebbene, se noi riceviamo il battesimo ugualmente dal Padre dal Figlio e dallo Spirito Santo, se unico è il nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, cioè Dio, e questa è la nostra fede, e se uno solo è Dio, in qual modo possono esservi nell'unica divinità diversi gradi di conoscenza? Cos'è più grande essere Dio, o conoscere tutto? Se il Figlio è Dio, in qual modo può ignorare qualche cosa? Sta scritto del Signore e Salvatore: " Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e niente è stato fatto senza di lui "2. Se tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, anche il giorno del giudizio che dovrà venire è stato fatto per mezzo di lui. Forse egli può ignorare quanto ha fatto?

Può l'artigiano non conoscere la sua opera? Leggiamo cosa dice l'Apostolo, di Cristo: " In lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza "3. Considerate quanto dice l'Apostolo: In Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. Non dice che alcuni di questi tesori sono in Cristo e altri non vi sono: ma dice che tutti i tesori della sapienza e della scienza sono nascosti in lui. Quindi tutto ciò che è in lui, non può non esser presente a lui, anche se a noi è celato. Orbene, se in Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza, dobbiamo cercare perché sono nascosti. Ecco, se noi uomini conoscessimo il giorno del giudizio, se sapessimo, per esempio, che il giorno del giudizio verrà tra duemila anni, se fossimo certi che cosi sarà, oggi cesseremmo di prenderci cura della nostra anima. Diremmo: Perché debbo preoccuparmi, dato che il giorno del giudizio verrà tra duemila anni? Pertanto, ciò che il Figlio dice, affermando di ignorare il giorno del giudizio, giova alla nostra salvezza, perché appunto a noi giova non conoscere il giorno del giudizio finale.

Considerate ora quanto segue. State attenti, vegliate e pregate, perché non sapete quando sarà quel tempo4, dice Gesù. Non dice " perché non sappiamo ", ma dice " perché non sapete ". Sembra che finora abbiamo fatto violenza alla Scrittura, e che non ne abbiamo spiegato il senso. Dopo la risurrezione, gli apostoli interrogano il Signore e Salvatore, dicendo: " Signore, quando sarà restaurato il regno d'Israele? "5. O apostoli, — sembra dire il Signore, — avete sentito prima della risurrezione che io non conosco quel giorno e quell'ora: e mi chiedete di nuovo quello che non so? Ma gli apostoli non credono che il Salvatore non sappia. State attenti al mistero. Colui che prima della passione non sapeva, dopo la risurrezione sa. Che cosa risponde infatti agli apostoli che, dopo la risurrezione, lo interrogavano sulla fine del mondo, chiedendogli l'epoca in cui sarebbe stato restaurato il regno d'Israele? " Non sta a voi — risponde — conoscere i tempi che il Padre ha riserbato in suo potere "6. Non dice " non so ", ma dice " non sta a voi conoscere ", perché non giova alla vostra salvezza conoscere il giorno del giudizio. Vegliate dunque, perché, non sapete quando venga il padrone della casa.

Potremmo dire molte altre cose a proposito di queste parole: ci limitiamo a questo perché il nostro scopo è di allontanare ogni dubbio, qualsiasi supposizione che colui nel quale voi vi preparate a credere ignori qualcosa.

3 Col. 2, 3.

4 Me. 13, 33.

5 Atti, 1. 6.

6 Atti, 1, 7.

7 Me. 14, 3.

8 Cant. I, 2.

9 Cf. Sai. 75, 2.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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