È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Il Primato di Pietro e la Collegialità dei Vescovi nella Tradizione e nel Concilio Vaticano I

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2014 21:32
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
02/10/2012 11:30
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740758]  Da: Il Concilio Ecumenico Vaticano
cenni storici ed esposizione delle due sue Costituzioni dogmatiche
per opera di Paolo Angelo Ballerini

  • Dott, in T., Patriarca d'Alessandria

    Canonico ordinario della Metropolitana di Milano
    membro del Collegio teologico di Genova

    Milano 1880
    Esposizione della seconda Costituzione dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano intorno alla Chiesa [Pastor aeternus]


    Traduzione del decreto sull'infallibilità pontificia (pag. 1064-1068).
    Capo IV. Dell'infallibile magistero del Pontefice romano.

    Che poi nell'istesso apostolico primato, posseduto dal romano Pontefice, come successore di Pietro principe degli Apostoli, si comprenda anche la podestà suprema del magistero, la Santa Sede lo ha ritenuto, la perpetua pratica della Chiesa lo conferma, gli stessi concilii ecumenici, e principalmente quelli, nei quali l'Oriente conveniva coll'Occidente per l'unione della fede e della carità, lo dichiararono. Imperocchè i Padri del quarto Concilio costantinopolitano, inerendo sulle orme dei maggiori, emisero questa solenne professione: La prima salute è il custodire la regola della retta fede. E siccome non può trascurarsi la sentenza del nostro Signor Gesù Cristo, che disse: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa; questo, che fu detto, vien provato dagli effetti reali, perchè nella Sede Apostolica sempre si conservò immacolata la cattolica religione, e fu celebrata la santa dottrina. Pertanto desiderando di non separarci dalla fede e dalla dottrina di questa, speriamo meritare di essere in quella sola comunione che è predicata dalla Sede Apostolica, nella quale trovasi l'intiera e vera solidità della cristiana religione. (Dalla formola di papa S. Ormisda, come da papa Adriano II fu proposta ai Padri del concilio ecumenico VIII, costantinopolitano IV, e dai medesimi sottoscritta.) Coll'approvazione poi del secondo concilio di Lione i Greci professarono: Che la santa Chiesa Romana tiene il sommo e pieno primato e principato sull'intiera Chiesa cattolica, cui essa riconosce veramente ed umilmente di aver ricevuto colla pienezza della podestà dallo stesso Signore nel beato Pietro principe ossia capo degli Apostoli, del quale il romano Pontefice è successore; e siccome a preferenza delle altre è tenuta a difendere la verità della fede, così anche se nascano delle questioni intorno alla fede, devono col suo giudizio definirsi. Finalmente il concilio di Firenze definì: il Pontefice romano essere il vero Vicario di Cristo, e capo di tutta la Chiesa e padre e dottore di tutti i cristiani; e a lui nel beato Pietro essere stata conferita dal nostro Signor Gesù Cristo la piena podestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale.

    Onde soddisfare a un tal pastorale dovere, i nostri Predecessori faticarono ognora indefessamente, perchè la salutare dottrina di Cristo venisse propagata presso tutti i popoli della terra, e con pari cura invigilarono, perchè, dove si fosse ricevuta, si conservasse sincera e pura. Per lo che i vescovi di tutto l'orbe, ora separatamente, ora congregati in sinodi, seguendo la diuturna consuetudine delle Chiese e la forma dell'antica regola, a questa Sede Apostolica riferirono quei pericoli principalmente che emergevano circa le cose della fede, affinchè ivi principalmente fossero risarciti i danni della fede, ove la fede non può sentir detrimento (Cf. S. Bern. Epist. CXC.). I Romani Pontefici poi, come lo consigliava la condizione dei tempi e delle cose, ora coll'adunare concilii ecumenici o coll'esplorare il sentimento della Chiesa dispersa nel mondo, ora per mezzo di sinodi particolari, od usando degli altri sussidii, che la divina provvidenza loro apprestava, definirono doversi tenere quelle dottrine le quali. coll'ajuto di Dio, aveano riconosciute consentanee alle sacre Scritture ed alle apostoliche Tradizioni. Imperocchè non fu già promesso ai successori di Pietro lo Spirito Santo, onde per sua rivelazione manifestassero una dottrina nuova; ma perché colla sua assistenza custodissero santamente ed esponessero fedelmente la rivelazione data mediante gli Apostoli, ossia il deposito della fede. E infatti tutti i venerandi Padri abbracciarono la loro apostolica dottrina, e tutti i santi ortodossi Dottori la venerarono e la seguirono, pienissimamente conoscendo che questa Sede di S. Pietro da ogni errore perdura sempre illibata, secondo la divina promessa del Signore Salvator nostro fatta al principe de' suoi discepoli: Io per te ho pregato, acciò non venga meno la tua fede, e tu un tempo converso conferma i tuoi fratelli (Vang. di S. Luca, XXII, 32.).

    Laonde questa grazia della continua indeficienza della verità e della fede fu divinamente conferita a Pietro e a' suoi successori in questa Cattedra, onde adempissero l'eccelso loro ufficio, per la salute di tutti, affinchè l'intiero gregge di Cristo per essi allontanato dal cibo velenoso dell'errore, venisse nutrito col pascolo della dottrina celeste; affinchè tolta l'occasione di scisma, tutta la Chiesa si conservasse una, e poggiata sul suo fondamento, durasse ferma contro le porte dell'inferno.

    Ma siccome in questa medesima età, nella quale è più che mai necessaria la salutare efficacia dell'Apostolico ufficio, trovansi non pochi che detraggono alla sua autorità; giudichiamo essere assolutamente necessario di affermare solennemente la prerogativa, cui l'unigenito Figlio di Dio si degnò congiungere col supremo ufficio pastorale.

    Pertanto Noi fedelmente inerendo alla tradizione ricevuta fin dai primordii della fede cristiana, a gloria del Dio Salvator nostro, ad esaltazione della cattolica religiose e a salute dei popoli cristiani, ciò approvando il sacro Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato: che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, cioè quando esercitando l'ufficio di Pastore e di Maestro di tutti i cristiani, definisce secondo la sua suprema autorità Apostolica una dottrina intorno alla fede od ai costumi che debba tenersi da tutta la Chiesa, mercè dell'assistenza divina nel beato Pietro a lui promessa, gode di quella infallibilità di cui il divin Redentore volle fosse dotata la sua Chiesa nel definire la dottrina circa la fede ed i costumi; e che perciò siffatte definizioni del Romano Pontefice sono irriformabili per sè stesse, e non già per il consenso della Chiesa.

    Se alcuno poi, il che Dio allontani, presumerà di contraddire a questa Nostra definizione; sia anatema.

    Così è.

    Giuseppe, Vescovo di S. Ippolito, Secretario del Concilio Vaticano.
    Dall'articolo IV: Dell'infallibilità del Romano Pontefice
    (pag. 1069-1094)
    § 36.
    I preliminari alla definizione dell'infallibilità.

    Nell'intraprendere di far conoscere, il meglio che possiamo, il senso vero e preciso di quest'ultimo Capo della seconda Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano, prima intorno alla Chiesa, e le ragioni delle cose in esso stabilite non che delle espressioni prescelte, troviamo opportuno di incominciare dal titolo medesimo ad esso Capo imposto, invitando il lettore, a notare come esso non si volle già intitolare in modo più assoluto, De Romani Pontificis infallibilitate, ma con una forma più restrittiva, De Romani Pontificis infallibili magisterio. Così dal titolo stesso del Capo già si faceva emergere chiaramente, sotto qual rapporto soltanto si attribuiva al Pontefice romano la prerogativa dell'infallibilità, benchè non universale e pratica, ma unicamente dottrinale, mentre tutti sanno che esclusivamente questa s'intende quando si parla d'infallibilità papale; poichè la medesima infallibilità dottrinale non nel senso più generico ed assoluto al romano Pontefice si attribuisce, ma solo nell'esercizio del supremo magistero, quando cioè adempie all'ufficio di insegnare e definire per la sua suprema autorità quella dottrina che tutti i membri della Chiesa cristiana debbono abbracciare e tenere. Ci avvisa pertanto già il titolo del decreto conciliare concernente l'infallibilità dottrinale del Pontefice romano, che la definizione di questa prerogativa non si estenderà a qualunque atto con cui il Capo della Chiesa manifesti le proprie opinioni in materia di dottrina; ma si limiterà a quelli soltanto coi quali consti ch'egli ha voluto veramente esercitare l'ufficio suo di maestro della Chiesa universale.

    Quest'ultimo capitolo della Vaticana Costituzione esordisce pertanto dal provare primieramente che alla supremazia, di cui per divina disposizione è investito il romano Pontefice su tutta la Chiesa, appartiene anche l'incarico e l'autorità del supremo magistero sopra di essa. Tale supremazia è quì detta primato apostolico non già nel senso che derivi dagli apostoli anzichè da Cristo, ma perchè, come tosto dopo viene spiegato, è quella che appartiene al romano Pontefice qual successore di Pietro principe degli apostoli. e per cui la Santa Sede medesima vien denominata Sede apostolica. Che poi del primato pontificio debba esser proprio non solo il potere di una suprema universale giurisdizione, ma quello pure di supremo magistero su tutta la Chiesa, emerge evidentemente dal fine del medesimo primato. Imperocchè se questo fu istituito da Cristo principalmente perchè la sua Chiesa si conservasse perpetuamente in compatta unità, non poteva andar da esso disgiunta l'autorità di invigilare sull'insegnamento che in ogni parte della Chiesa venisse impartito ai fedeli dai pastori a lui subordinati; di sciogliere definitivamente i dubbii che potessero elevarsi intorno a qualche punto dottrinale; di decidere in ultima istanza le controversie che potessero insorgere circa le verità di fede, e di condannare e separare dalla Chiesa quelli che durassero pertinaci nelle dottrine riprovate. E in vero la condizione più essenziale dell'unità, vale a dire dell'unione spirituale fra tutti i membri del corpo mistico di Gesù Cristo, è l'uniformità nelle credenze: ora se il capo visibile di questo corpo, cioé il Vicario di Cristo medesimo, non avesse la divisata autorità di supremo magistero sopra di esso, è manifesto che l'unità di dottrina non potrebbe neppure per breve tempo esservi conservata: dunque la ragione stessa ci convince che all'eredità del primato, passata dall'apostolo Pietro nei romani Pontefici suoi successori, dev'essere inerente anche la podestà del magistero supremo su tutta la Chiesa.

    Ma questa verità che già solidamente si deduce dal fine per cui Cristo diede alla sua Chiesa un capo visibile, e al quale partecipò la sua medesima autorità divina, la Costituzione conciliare si limita a dimostrarla coi soli argomenti di fatto, es sendo questi veramente palmari e superiori a qualunque cavillazione. Perciò essa ricorda innanzi tutto come la medesima Santa Sede sempre ritenne di avere una tale autorità, e sempre anche realmente l'esercitò: la quale è già una prova ineluttabile di verità, perché la sapienza di Dio non poteva permettere che l'autorità suprema da lui stabilita per reggere perennemente la sua Chiesa secondo la costituzione datale da lui stesso, si usurpasse fino dai primi secoli delle attribuzioni che essenzialmente ne alterassero la natura. Ricorda in secondo luogo come la realtà di questo diritto, o a meglio dire, di questo dovere, anche dalla pratica perpetua della Chiesa è confermata (perpetuus Ecclesiae usus comprobat), perchè in fatti fu consuetudine perpetua e costantissima nella Chiesa di ricorrere al Vicario di Cristo per averne il suo giudizio nelle controversie che nascevano intorno alle dottrine che dovessero considerarsi come divinamente rivelate, e di considerare tale giudizio quale definitivo. I fatti precedentemente accennati già lo dimostrano ad evidenza, ed altri copiosissimi se ne potrebbero aggiungere. Ma ci limiteremo quì a far menzione dell'eloquentissima testimonianza che ne resero due vescovi delle estreme parti dell'impero d'Oriente nella gran controversia riguardante Nestorio. Questi due prelati. Euterio di Tiana ed Elladio di Tarso, non che varii altri vescovi del partito di Giovanni patriarca d'Antiochia, che con violenze affatto ingiustificabili avea sostenuto la persona di Nestorio, sebbene non ne professasse gli errori, in seguito al pieno trionfo di S. Cirillo alessandrino ed alla nomina del nuovo patriarca costantinopolitano in sostituzione a Nestorio deposto, scrissero al pontefice romano S. Sisto III, onde guadagnarlo alla causa da loro malauguratamente sposata. Nella loro lettera, la sola che pervenne fino a noi fra quelle a lui mandate in tale occasione, i due vescovi sunnominati dicevano al Pontefice: «Come Mosè vinse Giannes e Mambre, e Pietro vinse Simon mago, cosi noi speriamo che tu, nuovo Mosè, conquiderai l'eretico egiziano (S. Cirillo, di cui ingiustamente detestavano i dodici anatematismi da lui formolati a condanna dell'eresia di Nestorio), e salverai l'universo dall'error suo. In mezzo alle tempeste e ai pirati cui siamo in balìa, dobbiamo invocare colui che tiene, da parte di Dio, il timone, ed informarlo del pericolo; ed alla tua sapienza spetta il porvi attenzione e il portarvi rimedio con tutta la costanza che da Dio ti è concessa. L'apostolica tua Sede bastò in ogni tempo a convincere la menzogna, ad abbattere l'empietà, a correggere ciò che doveva esser corretto, ed a salvare il mondo, nè solo ai tempi del beato e santo vescovo Damaso, ma anche sotto più altri dei suoi gloriosi ed ammirandi predecessori..... Noi ci prostriamo dunque ai tuoi piedi per pregarti di stenderci una soccorrevole mano, d'impedire il naufragio del mondo, ed ordinare di tutto questo un'inquisizione e di porvi rimedio in nome del cielo.....» [1]. Sebbene non si conosca la risposta del santo Pontefice, pare però che anche questi vescovi e gli altri rimostranti siano stati da lui indotti a riconoscere i proprii errori, non trovandosi menzione di alcuna loro ulteriore resistenza, anzi constando positivamente che Elladio di Tarso si riunì di poi alla Chiesa. Però dalle espressioni riferite, sebbene questa lettera fosse scritta dietro false supposizioni, trovìamo luminosamente attestato come da ogni parte dell'antica Chiesa anche nelle cause dottrinali si ricorresse in suprema istanza al Pontefice romano, e da lui si attendessero le perentorie decisioni valevoli a levare ogni dubbio, a sedare ogni contesa.

    Il terzo argomento addotto nella Costituzione a provare che l'autorità di supremo magistero è inerente al primato del Pontefice romano, sono le testimonianze degli stessi concilii ecumenici. Queste testimonianze possono essere in certo modo definizioni indirette, se tali concilii riconoscono praticamente come giusta e legittima qualche massima o qualche azione, e in questo senso i concilii ecumenici, per esempio, di Efeso e di Calcedonia riconobbero il diritto di supremo magistero nei romani Pontefici allorchè il primo dichiarò di trovarsi astretto a condannare l'eresia di Nestorio dal giudizio del pontefice Celestino, ed il secondo riconobbe come norma del proprio giudizio la lettera dogmatica del papa S. Leone al patriarca Flaviano. Anche queste testimonianze pratiche sono prove validissime della verità delle dottrine che confermano, perchè la Chiesa docente, moralmente riunita in tali concilii, non può neppure praticamente sanzionare un falso principio. Ma quando poi una massima dottrinale è da essi direttamente stabilita o professata, allora questa è definitivamente imposta alla credenza di tutti i fedeli, sicchè il non assentirvi è un apostatare dalla fede divinamente rivelata. La Costituzione Vaticana, prescindendo dalle preaccennate definizioni indirette, fece appello a quelle soltanto con cui i concilii ecumenici direttamente riconobbero o sancirono come essenziale al primato del Pontefice romano l'autorità del supremo magistero. Anzi siccome innanzi a tutti i dissidenti, tanto scismatici ed eretici orientali, quanto anglicani e protestanti d'ogni specie, la testimonianza stessa della Chiesa d'Oriente dovrebbe avere un gravissimo peso, prescelse quelle sole dichiarazioni, in cui l'Oriente pienamente convenne coll'Occidente. Si produssero quindi le sole testimonianze di quei concilii generali in cui la Chiesa occidentale, ossia latina, trovossi unita coll'orientale in comunione di fede e di carità.

    La prima citata è quella che venne offerta dall'ottavo concilio ecumenico, quarto costantinopolitano, tenuto dall'ottobre dell'anno 869 al febbrajo 870 per l'estinzione dello scisma di Fozio, in cui il pontefice Adriano II fece da' suoi legati proporre alla sottoscrizione di tutti i vescovi orientali che vi erano riuniti la già riferita professione di fede nella supremazia della Sede romana, dal pontefice S. Ormisda imposta ai prelati di Oriente onde sradicare lo scisma creato dal patriarca costantinopolitano Acacio. Questa formola, la quale, come abbiamo già veduto, stabilisce qual regola della retta fede il non separarsi dalla fede e dalla dottrina della Sede Apostolica, a motivo del detto di Cristo Tu es Petrus, ecc., e perchè l'effetto corrispose alla promessa di lui, essendosi sempre nella Sede apostolica conservata immacolata la religione, e celebrata la santa dottrina; questa formola in cui viene esplicitamente professato che nella Sede apostolica sta l'intiera e vera solidità della cristiana religione, fu ricevuta e sottoscritta anche da tutti i prelati di quel concilio universale, e quindi direttamente riconosciuto non esser lecito, senza violare la regola della retta fede, dipartirsi dagli insegnamenti del romano pontificato.

    La seconda è l'altra professione di fede, che parimenti già abbiamo veduto essersi presentata al secondo concilio ecumenico di Lione (anno 1274) dagli ambasciatori del greco imperatore Michele Paleologo, da lui medesimo sottoscritta, la quale sette anni innanzi gli era stata a tal uopo trasmessa dal pontefice Clemente IV. Questa professione di fede aveva già avuto il consentimento di tutti i prelati che costituivano il patriarcato costantinopolitano, e n'era prova altra lettera indirizzata al papa Gregorio X che presiedeva personalmente al concilio, e letta pure in questo, la quale era sottosciritta da ventisei metropoliti, col proprio concilio, cioè a nome anche dei vescovi da ciascuno dipendenti, e da nove altri arcivescovi, e colla quale essi pure facevano piena adesione al romano primato. Ora nella predetta professione di fede primieramente si riconosce alla Chiesa particolare di Roma il primato supremo ed universale su tutta quanta la Chiesa cattolica (Sanctam romanam Ecclesiam summum et plenum primatum et principatum super universam Ecclesiam catholicam obtinere); in secondo luogo si confessa che questo primato non è di diritto umano, ma divino, non essendo una istituzione umana, ma una disposizione di Cristo medesimo nella persona dell'apostolo Pietro, di cui il romano Pontefice è il legittimo snccessore; sicché la Chiesa di Roma nella persona di Pietro insieme al primato ha ricevuto anche la pienezza del potere (quem se ab ipso Domino in beato Petro apostolorum principe sive vertice, cujus romanus Pontifex est successor, cum potestatis plenitudine recepisse veraciter et humiliter recognoscit); da ultimo si conviene che siccome a cagione del primato essa Chiesa romana è tenuta più che ogni altra a difendere la vera fede, così ove insorgano questioni intorno a questa, mediante il suo giudizio si devono definire (et sicut pro caeteris tenetur fidei veritatem defendere, sic et si quae de fide subortae fuerint quaestiones, suo debent judicio definiri). Anche questa professione fa dunque scaturire dalla natura stessa del pontificio primato l'ufficio di suprema tutela della dottrina, quindi l'incarico del supremo magistero nell'insegnarla, e quello di giudicare definitivamente nelle controversie che possono insorgere intorno ad essa. Come poi già più volte abbiamo avuto occasione di rimarcare, ciò che si dice della Chiesa romana riguarda sempre il Pontefice stesso, e ciò anche dal contesto medesimo di questo luogo è manifesto, nel quale si dice la Chiesa romana aver ricevuto il primato da Cristo nel beato Pietro, ed il romano Pontefice esser di Pietro il successore; sicchè il primato e i suoi attributi non propriamente nella Chiesa stessa romana, ma nel Pontefice successore di Pietro vengono ad essere professati. Non v'ha dunque alcun dubbio che la Chiesa greca e l'intiero concilio di Lione riconobbero nel Pontefice romano la suprema autorità di magistero, e di decidere con giudizio definitivo ogni controversia dottrinale. Che se tanto esplicitamente troviamo insistersi anche in questa, come in altre professioni di fede, sul dichiarare la supremazia della Chiesa romana, anzichè esclusivamente del romano Pontefice, se ne ha la ragione nell'importanza di tener fermo il principio che, quantunque Roma più non avesse l'impero del mondo, il primato sulla Chiesa universale, a motivo dell'avere l'apostolo Pietro posto in Roma la stabile sua sede, rimaneva nella stessa Chiesa romana inamovibilmente incardinato, indipendentemente dalle condizioni politiche di quella città; e di mettere anche sempre in rilievo la preminenza di quella Sede sulle altre sedi patriarcali, e principalmente su quella di Costantinopoli, che per essere la sede della città imperiale avea preteso di pareggiare la romana. Ma in allora non si credeva già che l'esaltare le prerogative della Sede potesse tornare a detrimento di quelle del Sedente; anzi si pensava che le une e le altre si identificassero, e che non altri che il Pastore fosse investito delle preminenze della sua Chiesa.

    Da ultimo vien riferita anche la testimonianza del concilio generale di Firenze (anno 1439), ove pure, accordatasi la Chiesa greca colla latina, veniva solennemente definito che il Pontefice romano è il vero Vicario di Cristo, e pertanto rispettivamente alla Chiesa da Cristo fondata, investito della stessa di lui autorità; è il Capo di tutta la Chiesa, perchè così stabilito da Cristo medesimo, essendo il successore del Principe degli apostoli, ed è il Pastore e Dottore, ossia maestro di tutti i cristiani, perché come Vicario di Cristo presso la sua Chiesa, e quindi come Capo di tutta la Chiesa stessa, non può non essere investito di queste prerogative di Padre di tutti i cristiani, che sono la famiglia dei figli adottivi di Dio, e di loro Maestro, perchè a proseguire come suo Vicario la missione di Cristo ei deve continuare nella predicazione della sua dottrina; e ad essere veramente il Capo della Chiesa di Cristo ei deve invigilare colla più scrupolosa attenzione anche al mantenimento inalterato della dottrina lasciataci da Cristo; sicchè a lui veramente nella persona del beato Pietro fu conferita dal nostro Signor Gesù Cristo la piena podestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale. Il pascere è pertanto il primo ufficio di questa piena podestà, ufficio relativo all'intelletto, il cui pascolo è la verità, e in rapporto alla religione è la dottrina della legge naturale e della divina rivelazione, che deve condurre l'uomo all'eterna salute. Dunque è evidente che anche il concilio ecumenico di Firenze definì come inerente alla supremazia universale del romano Pontefice l'ufficio del supremo magistero su tutta quanta la Chiesa.

    Stabilito questo principio colle prove più ineccepibili, si passa ad esporre in tratti generici il pratico esercizio del medesimo pontificio magistero. E primieramente si accenna come i romani Pontefici sempre consacrarono le loro più assidue cure a propagare in ogni parte del mondo la predicazione della salutare dottrina di Cristo, e a conservarne inalterata la purità in tutti quei paesi ove essa era stata diffusa (Huic pastorali muneri..... pura conservaretur). I fasti del romano pontificato dimostrano ad evidenza l'una e l'altra cosa; e se quì volessimo arrecarne le prove speciali, dovremmo ripetere la storia di tutti i secoli della Chiesa. Ci basti pertanto di proporre una sola generale considerazione. Gesù Cristo, bontà e sapienza infinita, che venne a fondar col suo sangue la propria Chiesa a salute del mondo, ne pose per base indistruttibile il romano pontificato, e al romano pontificato impose il perenne dovere di pascere i proprii agnelli, che gli costarono il prezzo infinito del suo sangue e della sua morte. S'egli avesse preveduto che i successori di Pietro non avrebbero avuto cura di emulare il grande apostolo nella sollecitudine di dilatare il regno di Dio, e di conservare il deposito dell'evangelica dottrina, avrebbe egli ben provveduto alla solidità del suo edificio, ed al conseguimento del fine voluto dalla sua carità? Certamente anche i romani Pontefici non vengono svestiti di tutte le debolezze dell'umana natura nell'essere assunti all'eccelsa loro dignità: quindi anche nella loro serie potrà notarsi il più o il meno di zelo e di energia nell'adempiere a questi sacri doveri, la maggiore o minor preferenza accordata ad essi in confronto ad altri di un ordine inferiore. Ma è innegabile che, rimanendo sempre inalterato il rispetto da Dio voluto per l'umana libertà, egli non poteva permettere che, mediante le arcane vie della sua provvidenza il papato non riuscisse per la sua Chiesa e per l'umanità il più benefico stromento delle sue misericordie, quel centro solidissimo di unità, quel fonte inesausto delle celesti benedizioni che la storia realmente in esso ci addita.

    In secondo luogo si tocca anche della universale e costante consuetudine di deferire alla Santa Sede le cause relative alla dottrina (Quocirca totius orbis Antistites..... sentire defectum). E per verità ogni pagina della storia ecclesiastica antica e recente ci insegna come i Pastori delle Chiese particolari, ancorchè o individualmente o riuniti in concilii incominciassero ad esercitare da sè l'ufficio anche loro proprio di giudici della fede all'insorgere di nuovi errori o di contestazioni ad essa relative, pure non mai mancarono di ricorrere al Vicario di Cristo per ottenerne quelle decisioni che sole essi sapevano avere il suggello di una suprema e indeclinabile autorità, perchè, soggiunge la Costituzione colle parole di S. Bernardo anche da noi già riferite, ivi principalmente fossero risarciti i danni della fede, ove la fede non può sentir detrimento. Queste parole alludono dunque all'infallibilità magisteriale del Capo della Chiesa, cioè del Pontefice romano, perchè infatti nè l'intiero episcopato del mondo cattolico poteva con sicurezza invocare il suo oracolo come perentorio in tali questioni, nè i Papi stessi avrebbero potuto o voluto arrogarsi di pronunciare in proposito i loro giudizii come assoluti e irriformabili, se in tutti non fosse stata profondamente radicata la persuasione, che Iddio assisteva talmente il suo Vicario in terra da impedire ch'ei divenisse giammai maestro d'errore alla sua Chiesa. E infatti Gesù Cristo, bontà e sapienza infinita, come avrebbe potuto vincolare la Chiesa tutta a dipendere dagli insegnamenti del di lei Capo, e ad accettarli qual legge suprema e indeclinabile, senza darle l'assicurazione che questi sarebbero stati mai sempre conformi alle verità naturali e rivelate; in una parola, che insieme all'autorità anche l'infallibilità del magistero era stata da lui conferita in perpetuo al suo Vicario in terra? La sola certezza che il divin Redentore ha commesso in Pietro a tutti i suoi successori l'incarico di pascere in perpetuo l'intiero gregge cristiano come maestri supremi della vera dottrina, basta dunque ad assicurarci che dev'essere altresì infallibile un tal magistero.

    Ma in qual modo divisò Iddio di provvedere onde gli insegnamenti ed i giudizii del Capo visibile della sua Chiesa relativi alle dottrine della legge naturale e della sopranaturale rivelazione riuscissero sempre scevri d'errore, cioè sempre conformi alla stessa verità oggettiva? A questa domanda che nasce spontanea dalle cose precedentemente stabilite, passa perciò a rispondere la Vaticana Costituzione (Romani autem Pontifices..... et fideliter exponerent). La divina rivelazione incominciata colle manifestazioni di Dio ai primi nostri progenitori fu compiuta in Cristo e ne' suoi apostoli. e l'intiero tesoro ne rimase deposto nel seno della Chiesa, da trasmettersi alle future generazioni mediante la sua tradizionale orale e i sussidii dei Libri santi, e di tutti gli altri monumenti, in cui sia per mezzo della scrittura, sia per mezzo delle arti la dottrina della Chiesa si sarebbe successivamente come solidificata. Anche i sacri riti, nelle loro forme più essenziali derivati dagli apostoli, dovevano mettere continuamente sotto gli occhi dei fedeli non poche delle verità rivelate. Gli errori che col nascere stesso della Chiesa incominciarono a pullulare, ne resero necessarie le confutazioni da parte dei maestri della vera dottrina, non che le riunioni conciliari che diedero origine ai numerosissimi volumi dei loro Atti, nei quali pure la dottrina della Chiesa venne di mano proposta e ventilata. Prescinderanno i romani Pontefici da tutti questi mezzi onde conoscere i veri insegnamenti divini, confidando unicamente in una sopranaturale illustrazione che loro faccia conoscere in ogni evenienza le dottrine che debbono definire come vere, o condannare come false? Non già, ne insegna la Vaticana Costituzione, ma essi sempre agirono come deve agire l'uomo che in tutti gli atti serii della sua vita deve usare di quelle facoltà naturali di cui Dio l'ha fornito, e di tutti quei mezzi esteriori che possono ajutarlo a raggiungere il fine voluto; e perciò anche i romani Pontefici per definire le insorte questioni dottrinali sempre ebbero ricorso a tutti quei presidii, mercè dei quali l'umana diligenza poteva far loro conoscere quali dottrine fossero conformi o contrarie alla legge naturale e rivelata, e solo dopo siffatti diligenti esami essi vennero a pronunciare le loro solenni definizioni. Quindi secondo che loro sembrò più conveniente in relazione alle condizioni dei tempi ed alle altre circostanze da contemplarsi, ora convocarono essi medesimi dei concilii generali per conoscere con maggior sicurezza la tradizione della Chiesa universale; ora ne interrogarono individualmente i pastori delle Chiese particolari; ora adottarono di prendere i loro avvisi mediante concilii provinciali od anche più estesi, o di giovarsi dell'opera già compiuta da quei concilii, che di moto proprio già avevano discusse le cause della fede. Senza essere vincolati ad usare di un mezzo piuttosto che di un altro per ottenere la piena certezza delle dottrine che stavano per definire, è indubitabile ch'essi non mai trascurarono quei modi, i quali potevano condurli alla sicura cognizione della verità. La divina Provvidenza, la quale avea disposto che mediante la loro parola tutta la Chiesa fosse sempre ammaestrata nella vera dottrina, e fossero condannati tutti gli errori, non poteva permettere ch'eglino s'ingannassero nella scelta dei mezzi onde ottenere i lumi necessarii al retto adempimento del loro ufficio. Perciò dal momento che un Pontefice ha emanato una definizione concernente dottrine di fede o di morale, dobbiamo conchiudere ch'egli ebbe ricorso anche a tutti quei modi, pei quali poteva essere pienamente illuminato onde stabilire e proporre ciò che fosse esattamente conforme alla verità naturale e rivelata.

    Dal fin qui detto emerge pertanto che, siccome viene insegnato relativamente alla Chiesa, che quando essa definisce alcuna verità come di fede, non riceve da Dio una nuova rivelazione, ma propone con autorità decretoria ciò che già essa possedeva nel deposito della divina rivelazione; così anche il romano Pontefice, quando viene a stabilire decretoriamente qualche massima dottrinale, non propone una verità che allora primieramente abbia appresa per sopranaturale comunicazione, ma autenticamente dichiara ciò che esplicitamente o implicitamente già esisteva nella dottrina primitiva della Chiesa, e che fino dai primi secoli sempre venne più o meno chiaramente trasmesso ed iusegnato. Ciò è quanto prosegue ad esporre la Vaticana Costituzione colle parole Neque enim Petri successoribus sino al termine del capoverso. Essa insegna adunque che l'assistenza dello Spirito Santo fu promessa non solo alla Chiesa in generale, ma anche ai successori di Pietro nelsuo primato in particolare, come infatti sempre riconobbe e professò la Chiesa cattolica; ma che questa assistenza non importa già che i romani Pontefici ricevano dal divin Paracleto alcuna nuova rivelazione onde manifestino ai fedeli delle dottrine dapprima ignorate; bensì la sola retta direzione del loro spirito nel desumere da tutti i documenti della già compiuta rivelazione divina, od anche dai principii della legge naturale, le speciali verità dogmatiche o morali da definirsi autorevolmente, sicchè queste definizioni abbiano da accettarsi dalla Chiesa come immuni da ogni errore, ma rappresentanti la dottrina già propria della Chiesa stessa, e non già una dottrina nuovamente venuta dal cielo.

    Perciò l'infallibilità del romano Pontefice, non altrimenti che l'infallibilità della Chiesa, non deve confondersi nè coll'opera stessa della divina rivelazione, nè colla divina ispirazione onde furono diretti gli autori dei Libri santi. Mediante la divina rivelazione Dio manifestò direttamente agli uomini i suoi decreti, e comandi, ed esortazioni, e minaccie, e verità riguardanti la stessa natura divina e le relazioni degli uomini con lui, cose tutte per la maggior parte per sè occulte all'umana intelligenza: mediante la sua ispirazione Iddio eccitò e diresse alcuni individui onde scrivessero diversi documenti in intimo rapporto colla sua medesima rivelazione divina, sia perchè contengono una parte notabile delle dottrine stesse divinamente rivelate; sia perchè tessono la storia della promulgazione successiva delle verità e delle comunicazioni, che Dio volle far conoscere agli uomini cosi nell'antico come nel nuovo Testamento; sia perchè nelle profezie fatte dagli individui che si presentavano come gli inviati di Dio, sanzionate dal loro adempimento, e nei miracoli dai medesimi operati, offrono le prove più irrefragabili della verità della stessa divina rivelazione: mediante la sola infallibilità il corpo insegnante della Chiesa cattolica, cioè l'episcopato, o disperso o riunito in concilio ecumenico, ma sempre in perfetta dipendenza dal romano Pontefice, oppure il Pontefice solo qual capo supremo della Chiesa definisce senza alcun pericolo di errore le verità già contenute o esplicitamente o implicitamente nel deposito della divina rivelazione a lei affidato, od anche verità d'ordine naturale le quali costituiscano come i presupposti della stessa divina rivelazione, e che perciò diconsi preliminari alla fede, praeambulae ad fidem, oppure che siano leggi morali derivanti dai principii della legge naturale, i quali però anche nella divina rivelazione troviamo confermati.

    L'infallibilità di questi decreti, o decisioni, o ammaestramenti dottrinali dei romani Pontefici fu infatti costantemente professata dalla Chiesa cattolica, come già ne abbiamo veduto almeno in parte le principali testimonianze, e perciò soggiunge la Vaticana Costituzione: Quorum quidem apostolicam doctrinam omnes venerabiles Patres amplexi et sancti Doctores orthodoxi venerati atque secuti sunt (il fatto), plenissime scientes, hanc Sancti Petri sedem ab omni semper errore illibatam permanere (la ragione del fatto): le quali ultime parole colpiscono direttamente l'ipotesi immaginata da Bossuet, che la verità possa dirsi indefettibile nella Sede apostolica ancorchè qualche Pontefice, parlando pure come tale, cada in errore; poichè dicendosi che tutti i Dottori santi ed ortodossi pienissimamente sapevano che la Sede di Pietro è sempre illibata da ogni errore, si esclude assolutamente la supposizione che in alcun tempo qualche Pontefice abbia come tale insegnato o possa insegnare l'errore, mentre in tal caso la stessa Sede di Pietro non sarebbe più illibata, bensì macchiata. E di questa perpetua illibatezza nella dottrina si accennano altresì la causa ed il motivo; la causa nella dichiarazione di Cristo, di aver pregato perchè la fede di Pietro non avesse a mancare giammai: Secundum Domini Salvatoris nostri divinam pollicitationem, ecc.; il motivo nell'ufficio dato a Pietro, e in lui a tutti i suoi successori, di confermare nella fede i proprii fratelli: Et tu aliquando conversus, ecc.

    Laonde viene positivamente asserita al Pontefice romano questa immancabile prerogativa dell'infallibilità nell'insegnamento dottrinale, per un dono speciale di Dio: Hujus igitur veritatis..... divinitus collatum est; ma poi si specificano anche le ragioni particolari per le quali Iddio volle insignito di un tanto dono il Capo della Chiesa, le quali sono già tutte contenute nelle parole Confirma fratres . Esse vengono ridotte alle quattro seguenti: Per poter esercitare il proprio sublime ufficio a salute di tutti (ut excelso suo munere in omnium salutem fungerentur), poichè la prima condizione per raggiungere l'eterna salvezza è il possedere, e professare la retta dottrina. che perciò appunto si chiama la dottrina della salute: per poter preservare l'intiero gregge cristiano dagli errori con cui il nemico dell'uman genere cerca continuamente per mezzo de' suoi satelliti di avvelenare e corrompere i pascoli salutari della verità (ut universus Christi grex per eos ab erroris venenosa esca aversus, coelestis doctrinae pabulo nutriretur): per potere mediante la loro continua autorità suprema e ineccepibile conservare costantemente l'unità della Chiesa, la quale non può sussistere senza l'unità della dottrina (ut sublata schismatis occasione Ecclesia tota una conservaretur); e perchè la Chiesa, così basata sopra di un solidissimo fondamento, potesse perpetuamente durare incrollabile contro tutti gli assalti delle potenze infernali, conservando intatto fino alla consumazione dei secoli il deposito affidatole della verità divina (atque suo fundamento innixa, firma adversus inferi portas consisteret).
    § 37. I termini della definizione circa l'infallibilità pontificia.

    Questa infallibile autorità del papale magistero, con tanta certezza professata da quanti vollero essere sinceramente cattolici fino dai primi secoli della Chiesa, ma offesa e rinnegata nell'età più recente dal gallicanismo, dal giansenismo e dal cesarismo, nella nostra epoca medesima, in cui, prosegue la Costituzione, è della massima necessità la salutare efficacia della papale autorità (hac ipsa aetate, qua salutifera apostolici muneris efficacia vel maxime requiritur), non pochi ritrova che l'oppugnano (non pauci inveniantur, qui illius auctoritati obtrectant). E infatti che al tempo nostro sia più che mai necessario che il pontificio magistero possa esercitare con pieno successo la propria azione, scorgesi ad evidenza dal considerare gli spaventosi progressi fatti in ogni parte dall'incredulità, ultimo stadio della negazione protestante, e dal razionalismo che s'infiltra nelle menti degli stessi cattolici, ed altera i genuini concetti delle dottrine divinamente rivelate; sicchè fa d'uopo che colla più indefessa sollecitudine il supremo Maestro e Pastore de' popoli assiduamente gli invigili, corregga, istruisca, ed anche illumini, diriga e sostenga i Pastori a lui subordinati, per preservare i fedeli dal contagio dell'empietà, e per allontanarli da tutti quegli errori che sotto apparenza di progresso nello svolgimento delle stesse dottrine cristiane, e di conciliazione delle verità sopranaturali colle esigenze della ragione, tendono a risolvere in solo naturalismo gli imperscrutabili misteri della fede, e a convertire la santità del cristianesimo in puro umanitarismo. Ma se fra gli stessi popoli cattolici si scuote e si crolla la credenza nell'infallibilità del magistero papale, ognun vede quanto detrimento debba subirne l'efficacia della sua azione, e come anzi questa possa esserne pressochè totalmente paralizzata. Quindi ben a ragione si deplora dalla Costituzione Vaticana che, mentre era di tanta necessità il consolidare sempre più tra i fedeli la riverenza e sommessione all'Apostolico Magistero, la sua infallibilità, che ne costituisce la base, in opposizione all'universale tradizione della Chiesa venisse in questi ultimi tempi da molti impugnata e negata nel seno della Chiesa stessa; e ben a ragione, per provvedere nel modo più efficace all'incolumità ed alla tutela della fede di Cristo ora e in ogni tempo avvenire, il Concilio Vaticano divisò di sanzionare con solenne definizione anche questa prerogativa del romano pontificato, come nella Costituzione stessa viene ulteriormente dichiarato (necessarium omnino esse censemus...... solemniter asserere).

    Quindi il Pontefice, in cui nome la Costituzione è emanata, dietro il voto pressoché unanime dei Padri del Concilio (sacro approbante Concilio), ricordando come in ciò non faccia che seguire fedelmente la tradizione della Chiesa derivata fino dall'origine del cristianesimo (traditioni a fidei christianae exordio perceptae fideliter inhaerendo), e solo per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l'esaltazione della cattolica religione, ed a salute dei popoli cristiani (ad Dei Salvatoris...... populorum salutem), certamente i soli motivi che poterono indurre l'animo nobilissimo e profondamente umile di Pio IX ad aderire su questo punto alle vive istanze della grandissima maggioranza dell'episcopato riunito, insegnava e definiva essere dogma divinamente rivelato (docemus et divinitus revelatum dogma esse definimus), che il romano Pontefice allorchè parla ex cathedra, e, come spiegava egli stesso questa locuzione della scuola, allorchè, esercitando l'ufficio di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, per la sua suprema autorità apostolica definisce qualche dottrina intorno alla fede ed ai costumi, quale da tenersi da tutta la Chiesa, a motivo dell'assistenza divina a lui promessa nel beato apostolo Pietro, fruisce di quella stessa infallibilità, di cui il divin Redentore volle dotata la sua Chiesa nel definire la dottrina concernente la fede od i costumi; e che perciò tali definizioni da lui emanate sono irriformabili per sè stesse, e non già pel consenso della Chiesa (Romanum Pontificem cum ex cathedra...... irreformabiles esse).

    Ciascun concetto di questa definizione merita qualche particolare illustrazione. Primieramente dunque vi si asserisce che la dottrina dell'infallibilità magisteriale del romano Pontefice, la quale viensi a definire, è un dogma divinamente rivelato, e per tal modo questa dottrina, che prima era soltanto un insegnamento comune della Chiesa, colla definizione venne ad essere costituita un formale articolo di fede, sicchè dal momento della sua promulgazione incorre nell'eresia chiunque con cognizione e pertinacia vi nega il suo intimo assenso. Che poi essa sia una verità divinamente rivelata, lo dimostrano anche agli increduli le prove precedentemente addotte, e qui basterà che ripetiamo coll'illustre vescovo di Beverley: «Che la dottrina dell'infallibilità del Papa non è dottrina nuova, nè può essere nuova, perchè scaturisce, per forza di logica invincibile, dalle parole di nostro Signore, dalla missione affidata a S. Pietro, dalla natura dell'ufficio dato al medesimo apostolo, e dalla costituzione della Chiesa» [2].

    Ponderiamo ora la definizione data della stessa papale infallibilità. La Vaticana Costituzione stabilisce, che il romano Pontefice ha la prerogativa di quella medesima infallibilità, che il divin Salvatore ha assicurata alla sua Chiesa allorchè definisce dottrine riguardanti la fede o la morale, e ciò quando egli parla, come si dice, ex cathedra, vale a dire quando come Pastore e Maestro di tutti i cristiani, colla sua suprema autorità apostolica definisce qualche dottrina intorno alla fede o alla morale, la quale sia da tenersi da tutta la Chiesa. È dunque la stessa infallibilità propria della Chiesa, la quale appartiene anche al sommo Pontefice; e come il concetto d'infallibilità non può ammettere gradazioni, così è evidente che non può esistere alcuna differenza fra tale prerogativa considerata come esistente nel Pontefice, e quella che è propria della Chiesa. Una differenza v'è solo in ciò che il Papa può dirsi infallibile, anche fatta astrazione dalla Chiesa; ma la Chiesa non può dirsi nè tenersi infallibile, se la si disgiunge dal Papa.

    Questa infallibilità però, cosi nella Chiesa come nel Papa, non è relativa a qualsiasi genere, di insegnamenti che loro talentasse di dare; ma è limitata soltanto a ciò che importa al conseguimento del fine per cui la Chiesa stessa fu istituita da Cristo, quindi all'insegnamento di ciò che si deve credere e di ciò che si deve operare per conseguire l'eterna salute; e per questo è detto che riguarda la dottrina intorno alla fede e intorno ai costumi; nelle quali espressioni s'intende poi compreso anche tutto ciò che ha una vera relazione colla dottrina da credersi e colla morale, in guisa che gli errori a ciò relativi sarebbero funesti anche alla vera dottrina circa la fede ed i costumi. Laonde a tutto quello a cui si estende l'infallibilità della Chiesa, si estende anche l'infallibilità del Vicario di Cristo; e del resto è pur certo che Papa e Chiesa non saranno mai per imporre ai fedeli alcuna credenza che non entri nella sfera della propria competenza. Basta pertanto che una dottrina si vegga definita dal Papa ex cathedra, o dalla Chiesa, per doverne conchiudere che tale dottrina entra nella competenza dell'ecclesiastico magistero, ed è in intima relazione colla fede e colla morale.

    Però non ogniqualvolta il romano Pontefice esprime i proprii sentimenti su questi oggetti, egli parla con infallibile autorità, come abbiamo veduto. Prescindendo anche da quelle comunicazioni private che può fare puramente come individuo, egli può emanare anche dei pubblici documenti solo quale dottore privato, come dichiarò di fare Benedetto XIV nel pubblicare l'egregia sua opera de Synodo dioecesana, oppure con atto anche solennissimo può voler esprimere soltanto una propria opinione individuale, come dichiarò essere sua mente il pontefice Pio VI allorché in pubblico concistoro qualificò per martire il re Luigi XVI, e come si espresse il papa Leone XII in un breve dei 18 agosto 1827 al vescovo dì Poitiers, di essere personalmente persuaso secondo il suo giudizio particolare, che fosse miracolosa l'apparizione della croce avvenuta a Mignè il 17 dicembre 1826. Quindi si adottò comunemente nelle scuole cattoliche di dire che il Pontefice parla ex cathedra quando intende parlare coll'autorità suprema di Capo della Chiesa per dare a questa formali ammaestramenti, e che pertanto allora solo è infallibile quando parla ex cathedra secondo questo significato.

    Ma si domandava poi anche a quali contrassegni si potesse riconoscere se un Pontefice parlasse ex cathedra od altrimenti, ed enumeravansi anche varii indizii, che si possono vedere presso i teologi, da cui si avesse a dedurre con maggiore o minor certezza se nei loro documenti i Papi avevano veramente inteso di proferire locuzioni ex cathedra. Bossuet nella sua Defensio declarationis [3] proponeva come unico indizio sicuro di tali locuzioni il conseguente consenso della Chiesa, e diceva di non ripugnare ad ammetterle come infallibili, se a Roma si consentiva a riconoscere questo consenso come l'unico sicuro criterio per ritenere che il Papa avesse pronunciato ex cathedra qualche decisione. Ma questo non era che un far dipendere ancora dall'arbitrio della Chiesa l'accettare o no tali decisioni, e il collocar di nuovo l'infallibilità nella sola Chiesa, fatta astrazione dal Papa, e non nel Papa stesso. I criterii per ritenere se egli abbia o non abbia voluto parlare colla sua suprema pontificale autorità, si devono ricercare nella natura stessa dei pontificii documenti, e nelle circostanze della loro pubblicazione; poichè sono gli atti stessi della papale autorità che devono imporre alla Chiesa come obbligatoria la loro accettazione, e non già la Chiesa che debba avvalorarli col proprio assenso. La Costituzione Vaticana, omettendo l'enumerazione di quei criterii speciali che dai teologi vengono indicati per riconoscere se un documento pontificio debba ritenersi qual locuzione ex cathedra, si limitò a stabilire il principio generale che allora il romano Pontefice parla ex cathedra, e quindi con autorità infallibile, quando intende di esercitare in atto l'ufficio suo di Pastore e Maestro della Chiesa universale col definire colla sua suprema autorità apostolica qualche dottrina di fede o di morale, che sia da tenersi da tutta la Chiesa. Infatti questo principio basta da solo a farci riconoscere quali atti pontificii debbano accogliersi come oracoli infallibili del Vicario di Cristo, poichè dal loro stesso tenore, e al più anche dalle circostanze della loro pubblicazione, ognuno può dedurre s'egli abbia voluto realmente parlare come Pastore e Maestro della Chiesa universale.

    È a notarsi poi che nella surriferita definizione della pontificia locuzione ex cathedra, è bensì detto che ciò ha luogo quando il Papa parla qual Pastore e Maestro della Chiesa universale, ma non già che a tal uopo debba sempre dirigere a tutta la Chiesa la sua parola; poichè anche un documento diretto ad un particolare concilio, ad una Chiesa particolare o ad un individuo può essere dettato da un Pontefice coll'intento di esercitare veramente il suo supremo apostolico magistero, ed in tal caso quel documento deve egualmente riconoscersi come infallibile nei dati insegnamenti, e ne diventa obbligatoria in coscienza l'accettazione per tutti coloro che ne vengono in cognizione, sicchè la dottrina in esso proposta o definita è pure da tenersi da tutta la Chiesa.

    (continua)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
    Nuova Discussione
    Rispondi

    Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
    Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
    FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
    Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 17:11. Versione: Stampabile | Mobile
    Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com