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Il Primato di Pietro e la Collegialità dei Vescovi nella Tradizione e nel Concilio Vaticano I

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2014 21:32
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02/10/2012 11:32
 
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Però, come convengono i teologi che negli stessi documenti emanati da un concilio ecumenico non tutte le sentenze devono riguardarsi come infallibilmente dettate, ma soltanto le vere definizioni dottrinali, sicchè l'infallibilità non competa nè agli argomenti che si adducono come prove delle verità che vi si definiscono, né ad altri oggetti ivi solo incidentalmente accennati; così anche negli atti pontificii le sole dottrine direttamente proposte o decise si devono ritener come infallibilmente pronunciate; e perciò anche nella Vaticana Costituzione non è già detto che la prerogativa dell'infallibilità si estenda a tutto il complesso degli atti dal Pontefice promulgati nell'esercizio della sua suprema autorità dottrinale, ma ch'egli è infallibile nel definire la dottrina da professarsi, e quindi l'infallibilità non è da supporsi che nelle vere definizioni, siano poi queste positive o negative, cioè o la proposizione di qualche verità, o la condanna di qualche errore.

Ma la Costituzione Vaticana determina anche la causa efficiente di questa infallibilità nella divina assistenza da Cristo promessa in Pietro anche a tutti i suoi successori nel supremo pontificato. La causa istromentale ne sono dunque tutti i documenti della perpetua dottrina della Chiesa, che il Pontefice può consultare, i concilii o particolari o generali ch'ei può convocare, le sentenze dell'episcopato anche disperso o dei teologi ch'ei può richiedere, tutti gli atti di diligenti esami e studii ch'ei può esercitare: ma tutto questo non potrebbe attribuire a' suoi insegnamenti che una somma probabilità, o una certezza umana, quando si potesse universalmente conoscere che a tutto debitamente si ebbe ricorso per raggiungere la verità; mentre la sola divina assistenza è quella che può conferire quell'infallibilità assoluta, la quale è necessaria per imporre alla mente umana un ossequio di fede. Quindi è della coscienza del Pontefice il non trascurare alcuno di quei mezzi che lo possono umanamente illuminare prima di pronunciare le dottrinali sue decisioni; ma quando queste siansi proferite, a niuno è lecito chiedere, se si abbia avuto ricorso, e nei debiti modi, a tutti quegli amminicoli che al Pontefice poteano assicurare la cognizione del vero. Allora fa d'uopo soltanto di ricordarsi che Gesù Cristo ci ha dato il romano Pontefice qual suo Vicario per la predicazione, la conservazione e la difesa di ogni salutare verità; che a tal fine gli ha promesso l'infallibilità pel corso di tutti i secoli; che la sua infinita bontà e sapienza non può permettere che tutti i fedeli vengano tratti in errore da colui, ai cui insegnamenti egli stesso ingiunse di prestare la più perfetta obbedienza, e che pertanto noi dobbiamo essere pienamente sicuri ch'egli non permetterà mai che il suo Vicario passi a definire una dottrina senza aver usato dei mezzi necessarii per proporre con piena sicurezza la verità, e che quando il Pontefice ha emesso i suoi oracoli, non ci resta che di accettarli con tutta l'adesione della mente e del cuore come infallibilmente proferiti mercè dell'assistenza divina. Certamente noi non possiamo conoscere, nè indagare il modo con cui Gesù Cristo così assiste e premunisce dall'errore il suo Vicario in terra. Ma la questione è la stessa anche relativamente alla Chiesa. Sappiamo che questa è infallibile; ma in qual modo Iddio la renda tale mediante la sua assistenza, non lo sappiamo. Cosi non sappiamo neppure come la grazia divina influisca sullo spirito umano illuminandone l'intelletto ed inclinandone al bene la volontà. Non potendo noi squarciare l'impenetrabil velo della natura divina, dobbiamo umilmente accontentarci di ammettere la realtà di quelle operazioni che nella sua infinita bontà Iddio si è degnato manifestarci, e ripetere con un Padre della Chiesa: Ciò si fa nel modo che Dio sa, senza volerne indagare le arcane ragioni, memori della sua tremenda sentenza: Qui scrutator est majestatis opprimetur a gloria (Prov. 25, 27).

Una necessaria conseguenza della definizione data della papale infallibilità vien da ultimo soggiunta nella Vaticana Costituzione, cioè che tali definizioni pronunciate dai Papi sono irriformabili per sè stesse, e non già pel consenso della Chiesa (Ejusmodi romani Pontificis..... irreformabiles esse). Irriformabile equivale ad infallibile, perchè l'errore è riformabile, e non già la verità. Ma fu prescelta la parola irreformabiles per contrapposto alla quarta proposizione della dichiarazione dell'assemblea gallicana del 1682, in cui fu pronunciato non essere irriformabili i decreti dogmatici dei romani Pontefici a cui non avesse acceduto il consenso della Chiesa. Anche appena prima della celebrazione del Concilio Vaticano mons. Maret nella sua opera Della pace della Chiesa e del Concilio ecumenico proponeva che l'infallibilità del Pontefice risulta dal consenso della Chiesa; ma il cardinal Manning gli rispondeva [4] che allora ei faceva ricevere al Papa dalla Chiesa l'infallibilità, e non viceversa, com'è piuttosto a dirsi, che l'infallibilità papale è quella che rende infallibile la Chiesa. Monsignor Maret replicava [5], non esser tale il suo pensiero; ma egli aver voluto dire che l'infallibilità, non propria della Chiesa separata dal Papa, nè propria del Papa solo, allora gli divien propria quando egli parla in unione alla Chiesa, cioè all'episcopato. Secondo questo concetto l'infallibilità potrebbe in certo modo paragonarsi alla risultanza di una combinazione chimica. La Chiesa ed il Pontefice sono come i due ingredienti che da sè non possedono quella dote; ma se si uniscono insieme, allora l'infallibilità si sviluppa nel loro composto. La falsità di questa ipotesi è dimostrata anche dal solo riflesso che l'infallibilitá non è già nella Chiesa una dote intermittente, che allora soltanto vi si trovi quando il Pontefice e l'episcopato insieme si uniscono per l'ammaestramento dei fedeli; ma è una dote permanente e continua, la quale, se certamente non può supporsi nel solo episcopato separato dal Pontefice, d'uopo è conchiudere che risiede abitualmente nel Pontefice stesso, e da lui viene comunicata alla Chiesa; sicchè è piuttosto a dirsi che infallibile è la Chiesa, perchè infallibile è il di lei capo.

Molto anche disputossi e prima e durante il Concilio, se nel Papa possa o non possa dirsi essere l'infallibilità assoluta, separata e personale. È facile rispondervi. Assoluta non può dirsi in quanto non abbraccia le manifestazioni dottrinali che non si facciano dal Pontefice come Pastore e Maestro universale; ma assoluta è per tutti gli atti ch'egli esercita come tale. Assoluta non è pure nel senso che il Pontefice l'abbia totalmente da sè, come per divina ispirazione; ma lo è nel senso ch'essa non è previamente legata ad alcuna necessaria condizione. Separata è certamente in quanto l'infallibilità egli l'ha direttamente da Dio, e non la riceve dalla Chiesa; non è separata nel senso che il Pontefice sia isolato dalla Chiesa e dalla dottrina della Chiesa, quando egli definisce questioni di fede e di morale. Personale è in lui l'infallibilità in quanto è Pontefice, perchè non ricevendola nè dalla Chiesa nè dall'episcopato, essa è inerente al suo carattere personale di Pastore della Chiesa universale: non è personale nel senso che siano infallibili tutte le manifestazioni dottrinali di un Papa, come individuo o dottore privato.

Infine nella Costituzione Vaticana è pronunziato l'anatema contro chiunque neghi al romano Pontefice, od anche solo ne metta in dubbio l'infallibilità, nel senso in cui venne definita, perchè anche il solo rivocarla in dubbio è un contraddire (contradicere..... praesumpserit) alla verità definita.

Ma un prevosto Antonio Cicuto, che nel numero d'aprile 1871 della Rivista Universale di Firenze si era fatto conoscere qual patrono del cattolicismo liberale con un articolo intitolato Lotta esterna ed interna della Chiesa cattolica, col settembre successivo incominciò a pubblicare in quel periodico alcuni articoli sotto il titolo Il Concilio Vaticano sta nel mezzo degli estremi, in cui studiossi di attenuare la portata delle definizioni vaticane circa la podestà e l'infallibilità papale, egregiamente confutati dalla Civiltà Cattolica in alcuni numeri del 1872. Quanto alla podestà, volle ancora dimostrarla come limitata dalle cavillose restrizioni dei gallicani, dei febroniani e dei giansenisti; e quanto all'infallibilità volle vedere una differenza fra irriformabile ed infallibile, per cui avendo il Concilio Vaticano dichiarato soltanto che le definizioni pontificie sono irriformabili, non avrebbe definito che per sè stesse siano pure infallibili, e che inoltre sono dette irriformabili indipendentemente dal consenso della Chiesa, compreso in questa anche il popolo, e non già indipendentemente dal consenso della Chiesa docente, cioè dell'episcopato. Ma evidente a tutti è l'erroneità di tali distinzioni perchè irriformabile non è che la verità, e quindi una parola vale precisamente l'altra, e noi abbiamo già indicato la ragione per cui la parola irriformabili fu preferita; e parimenti le parole ex consensu Ecclesiae sono da intendersi in relazione alla proposizione gallicana, cioè all'episcopato solo, e non già al consenso anche del popolo cristiano. I predetti articoli del Cicuto sul Concilio Vaticano furono perciò posti all'Indice dei libri proibiti, e condannati dalla S. Congregazione del Santo Ufficio con decreto 11 dicembre 1872, a cui l'autore lodevolmente si sottomise, riprovando anche il suo scritto.

Questa Costituzione intorno all'autorità del romano Pontefice, e specialmente la definizione dell'infallibilità sollevò contro la Chiesa le ire di parecchi governi, anche fra quelli ove cattolica è la gran maggioranza delle popolazioni, e cattolici sono gli stessi sovrani, come già fu detto nei Cenni storici. Il ministero austriaco ne tolse pretesto per dichiarare abolito il già leso concordato; la Baviera ed altri governi tedeschi e svizzeri vietarono la promulgazione ufficiale dell'infallibilità papale; il nuovo impero germanico indi a poco costituito ne prese occasione di proscrivere i gesuiti e la quasi totalità delle altre corporazioni religiose, e di sancire le leggi più lesive della libertà della Chiesa, e tanto in Germania come in Isvizzera si protesse e si promosse coi più larghi favori la nuova setta dei vecchii cattolici, che allora si venne formando. Si allegava per motivo di tutte queste ingiuste misure, susseguite da pene durissime contro i renitenti, che principalmente per la definizione dell'infallibilità papale la costituzione della Chiesa cattolica era mutata; che questa perciò non aveva più diritto ad esigere l'osservanza dei patti anteriori; che il potere civile era minacciato dal nuovo dogma, e che quindi aveva il diritto ed il dovere di premunirsi contro i nuovi pericoli mediante nuove leggi.

Ma basta un semplice sguardo all'intiera Costituzione concernente l'autorità pontificia, per convincersi dell'assoluta insussistenza delle allegate ragioni. I primi due capi non fanno che stabilire nel Pontefice romano quel primato di onore e di giurisdizione, che la Chiesa cattolica sempre gli riconobbe. Il terzo capo, che definisce essere l'autorità del romano Pontefice veramente episcopale e suprema su tutta la Chiesa, non gli attribuisce altra autorità che quella la quale da tutte le scuole veramente cattoliche fu sempre in lui dimostrata. Il quarto capo finalmente, che a lui rivendica l'infallibilità del magistero, non fa che determinare con dogmatica certezza dove propriamente esiste il soggetto dell'infallibilità inerente alla vera Chiesa di Gesù Cristo, confermando anche qui colla stessa divina autorità della Chiesa una dottrina già perpetua e universale nella Chiesa stessa. Nessun vero cangiamento era dunque avvenuto nella dottrina e nella costituzione della Chiesa cattolica per le ultime definizioni del Concilio Vaticano: queste non fecero che imprimere il suggello di una certezza divina all'autorità veramente suprema ed all'infallibilità dottrinale del Capo della Chiesa, le quali erano verità già anche prima generalmente riconosciute come teologicamente certe, e che dagli stessi romani Pontefici erano state costantemente considerate come le basi dei loro diritti e della loro pratica azione. Perciò dalle predette definizioni non s'introduceva punto verun cangiamento neppure nei rapporti fra la Chiesa cattolica e i civili governi, nè da quelle veniva in verun modo a crearsi a questi alcun pericolo o minaccia. Non fu che l'odio del falso liberalismo, dell'eresia e dell'incredulità contro la vera Chiesa, indefettibile custode della pura dottrina di Gesù Cristo, che ne volle trarre partito per tentare di abbatterla con nuovi colpi.

Perciò i vescovi di Germania, di bel nuovo riunitisi a Fulda nell'autunno del 1872, con una Memoria appoggiata alle più solide ragioni non solo dimostrarono l'ingiustizia di tutte le misure già adottate dal governo prussiano contro i gesuiti ed altre corporazioni religiose, e a carico di quei vescovi che contro i nuovi apostati aveano pronunciate le ecclesiastiche censure; ma fecero pur conoscere ad evidenza che le accuso divulgate contro la definita infallibilità papale non erano che calunniose invenzioni dei nuovi ribelli all'indeclinabile autorità del Concilio Vaticano. Siccome poi il Bismarck, principale ministro del governo prussiano e dell'impero germanico, fino dal 1872 avea scritto una lettera circolare agli altri governi per eccitarli a pretendere speciali ingerenze nei futuri conclavi in vista del supposto cangiamento nell'autorità pontificia, la qual lettera non venne a pubblica cognizione che al principio del 1875; così ancora i vescovi di Germania con sollecita risposta nel febbrajo del medesimo anno confutarono tutte le strane asserzioni di quel documento; dimostrarono che le dottrine riguardanti il Pontefice definite nel Concilio Vaticano erano dottrine già riconosciute ed ammesse dagli stessi governi, e ripudiato solo dai giansenisti, dai febroniani, e in parte dai gallicani; ch'esse non avevano punto lesi i diritti dei vescovi, nè ridotti questi alla semplice qualità di vicarii papali, e che l'infallibilità pontificia non intaccava in nessun modo la natura ed i diritti del potere temporale. Essi vi dichiaravano anche esplicitamente: «Il dominio della podestà ecclesiastica del Papa differisce essenzialmente da quello su cui versa la sovranità temporale dei monarchi: perciò i cattolici non impugnano per nulla l'intiera sovranità del loro principe nella sfera civile». E Pio IX loro diceva in proposito nel Breve 2 marzo 1875, con cui si congratulava secoloro della loro risposta: «La vostra dichiarazione presenta la pura dottrina cattolica, e perciò quella del Concilio e di questa Santa Sede».

Ma ad onta delle procelle che le tennero dietro, la definizione dell'infallibilità pontificia fu certamente l'opera più grande e provvidenziale che il Concilio Vaticino poteva compire; perchè riempie quel vuoto che ancor rimaneva nella teoria fondamentale della Chiesa, e può considerarsi come il fine supremo per cui questo concilio fu voluto da Dio. Poco prima ch'essa avvenisse, l'avea detto l'illustre vescovo della Nuova Orléans, scrivendo al suo clero: «Io credo con tutti i buoni preti, con tutti i buoni cattolici, che la definizione dell'infallibilità pontificia è l'opera più rilevante del Concilio Vaticano: tutte le altre questioni, per gravi ch'esse siano, agli occhi del mondo cattolico hanno un interesse secondario». Perenni azioni di grazie dobbiamo dunque innalzare a Dio, perchè con tal definizione abbia corroborato la sua Chiesa in questi tempi di gravissimi perigli, e le abbia assicurato il trionfo sopra i più formidabili attuali nemici suoi e dell'istessa società domestica e civile, l'incredulità ed il razionalismo.

NOTE:
  • Paolo Angelo Ballerini (Milano, 14 settembre 1814 – Seregno, 17 aprile 1897), dal 1848 direttore de L'Amico Cattolico, nel 1853 fu canonico ordinario del Duomo e nel 1855 pro vicario. Accompagnò a Vienna l'arcivescovo di Milano Bartolomeo dei conti Romilli di Bergamo per il concordato dell’Austria con la S. Sede ma, dal 1859, alla morte dell’Arcivescovo Romilli, si erano creati dei forti attriti per la sua successione tra il governo di Torino e la Santa Sede: a questa situazione contingente della città di Milano si deve l’origine dell'Osservatore Cattolico, il giornale a cui don Davide Albertario, sacerdote e giornalista cattolico intransigente, legherà il suo nome negli anni successivi; peraltro Mons. Ballerini fu amico e protettore dell'Albertario.

    L'arcivescovo Romilli era morto il 7 maggio del 1859 in corrispondenza dello scoppio della guerra (II guerra d’Indipendenza), e su proposta dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, secondo il concordato vigente, fra la battaglia di Magenta del 4 giugno (1859) e la pace di Villafranca dell’8 luglio, Pio IX aveva preconizzato alla sede milanese proprio Mons. Ballerini, già vicario generale del defunto arcivescovo, conosciuto come molto devoto alla S. Sede. Il nuovo governo piemontese rifiutò di riconoscere la nomina con la scusa che la proposta imperiale non aveva valore in quanto gli austriaci non erano più padroni di Milano, ma Mons. Ballerini fu consacrato in segreto presso la certosa di Pavia da Mons. Caccia Dominioni, già vicario capitolare della diocesi e ausiliare del Romilli. Ballerini, la cui consacrazione restò segreta, fu oggetto di una violentissima campagna di stampa e fu anche minacciato di morte, si ritirò a Cantù aiutando il parroco nel ministero delle confessioni, dopo aver nominato suo vicario episcopale Mons. Caccia Dominioni che governò la diocesi in sua vece, per lunghi anni obbedendo al Ballerini al quale il governo rifiutava sempre l'exequatur. Contro Caccia Dominioni e Ballerini si scatenerà la stampa cattolico liberale e conciliatorista filo-governativa.

    La difficile situazione della diocesi di Milano si risolse nel 1867 quando Pio IX venne a compromesso con il governo (che si era già trasferito a Firenze): Mons. Ballerini rinunciò all'arcivescovado di Milano e fu promosso Patriarca latino di Alessandria in Egitto, con dimora a Seregno, e mons. Luigi dei conti Nazari di Calabiana fu traslato dalla sede vescovile di Casale Monferrato a quella di Milano. Precedentemente nel '66 era morto il vicario Caccia Dominioni e il Ballerini aveva dovuto manifestare pubblicamente la sua qualità di vescovo di Milano rendendo nullo (almeno per un po'…) il tentativo del governo di porre sulla cattedra di S. Ambrogio un personaggio dell’area liberale e conciliatorista.

    Mons. Ballerini, difensore dell'infallibilità e del Sillabo, morì a Seregno in fama di santità.

    [Fonti: Con il Papa e per il Papa: vita di don Albertario, in Sodalitium, anno XXIII, n° 1, febbraio 2007 pag. 37 sgg.; Luigi Biraghi - Lettere alle sue figlie spirituali vol. III, Brescia 2005, pag. 161-162 (nota). N.d.R.]

    [1] Nel Coustant, Lettere dei Romani Pontefici, e negli Atti del Concilio efesino pubblicati dal Baluzio.

    [2] Nei documenti annessi alla Storia del Concilio Vaticano di monsignor Cecconi, arcivescovo di Firenze, p. 1313.

    [3] Nel Corollario aggiunto all'opera § 8.

    [4] In un'appendice alla sua Lettera Pastorale sul Concilio ecumenico e sull'infallibilità papale.

    [5] Lettera a mons. Manning, in data 5 ottobre 1869.

    http://progettobarruel.zxq.net/novit...bilita_II.html
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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