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Perchè sono Cattolico, di Chesterton. E Dio è Cattolico? di Rino Cammilleri

Ultimo Aggiornamento: 06/03/2017 17:45
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PERCHÉ SONO CATTOLICO
Cap. 1 da pag. 9-17

Gilbert Keith Chesterton


La difficoltà nello spiegare «perché sono cattolico» consiste nel fatto che vi sono diecimila ragioni, tutte riconducibili ad un'unica ragione: che il cattolicesimo è vero.

Potrei riempire intere pagine con innumerevoli frasi che iniziano tutte con: «È l'unica realtà che...».
Come, per esempio:

1) È l'unica realtà che evita che un peccato rimanga un segreto;
2) è l'unica realtà in cui il superiore non è veramente un superiore, almeno non nel senso altezzoso del termine;
3) è l'unica realtà che libera la persona dalla degradante schiavitù di essere un prodotto del proprio tempo;
4) è l'unica realtà che comunica come se fosse la verità, come se trasmettesse un messaggio rifiutandosi di corromperlo;
5) è l'unico modello di cristianesimo che si rivolge ad ogni tipo di persona, persino a quella rispettabile;
6) è l'unico tentativo serio di cambiare il mondo dall'interno, operando attraverso la volontà e non le leggi; e via di questo passo.


Oppure potrei trattare la materia da un punto di vista personale e descrivere la mia conversione; ma ho il sospetto che questo metodo renderebbe l'argomento molto più ristretto di ciò che in realtà è. Vi sono molte persone di gran lunga migliori di me che si sono convertite a religioni di gran lunga peggiori.

Preferirei tentare di parlare di ciò che differenzia la Chiesa Cattolica dai suoi concorrenti, anche i più rispettabili. Cioè, parlerò degli aspetti strettamente cattolici della Chiesa Cattolica. Vorrei suggerire che si tratta di qualcosa non solo di più vasto dei miei orizzonti, ma di più vasto rispetto a qualsiasi altra cosa esistente nel mondo, qualcosa di più vasto del mondo stesso. Ma, visto che lo spazio a mia disposizione è limitato, mi concentrerò su un aspetto particolare: quello della capacità di salvaguardare la verità. [SM=g27988]

Alcuni giorni fa uno scrittore famoso, solitamente ben informato, ha parlato della Chiesa Cattolica come della avversaria delle nuove idee. È probabile che non si sia accorto che la sua affermazione non era esattamente ciò che si considera un'idea nuova. È una di quelle nozioni che i cattolici si trovano a dover costantemente contrastare, in quanto si tratta di un'idea molto vecchia. Certo è che coloro che ritengono che il cattolicesimo non porta nulla di nuovo, difficilmente dicono qualcosa di nuovo sul cattolicesimo stesso. Come dato di fatto è curioso notare che uno studio approfondito della storia dimostrerebbe il contrario. Se consideriamo le idee come tali, e se le consideriamo in quanto nuove, va ricordato che i cattolici hanno spesso pagato un caro prezzo per sostenerle quando erano veramente delle novità, quando erano talmente nuove che nessun altro era disposto a difenderle. Il cattolico non solo era in prima linea, ma era l'unico in quell'avamposto, incompreso dagli altri che non riuscivano a capire che cosa aveva scoperto.

Così, per esempio, quasi due secoli prima della Dichiarazione d'Indipendenza e della Rivoluzione Francese, in un periodo dominato dall' orgoglio e dal servilismo nei confronti dei principi, il cardinale Bellarmino e lo spagnolo Suarez gettavano le fondamenta per una teoria della vera democrazia. Ma, nell' età del diritto divino, hanno dato l'impressione di essere dei gesuiti sanguinari e sofistici, che strisciano con dei pugnali per commettere il regicidio. E, di nuovo, i casisti delle scuole cattoliche avevano già detto tutto ciò che c'era da dire sui drammi e sui romanzi a tesi, due secoli prima che venissero scritti. Evidenziarono i problemi inerenti alla condotta morale, con l'unico difetto di esserci arrivati duecento anni in anticipo. In un periodo di predicatori fanatici da strapazzo e di improperi a buon prezzo, essi ebbero la nomea di bugiardi e cavillatori, solo perchè erano psicologi prima che la psicologia divenisse una moda.

Sarebbe troppo facile continuare con esempi simili fino ad arrivare ai nostri giorni, quando vi sono ancora idee troppo nuove per essere comprese. Ci sono dei passaggi nella De Rerum Novarum di Leone XIII che solo ora iniziano ad essere utilizzati come spunti da movimenti sociali molto più innovativi del socialismo. E quando Belloc scrisse sullo Stato servile, avanzò una teoria economica così originale che tutt' oggi quasi nessuno ha compreso. Tra qualche secolo, qualcuno probabilmente la riprenderà, e la riprenderà erroneamente. E quindi, se i cattolici hanno qualcosa da criticare, la loro protesta verrà subitamente spiegata dal fatto arcinoto che i cattolici non rispettano le nuove idee. Tuttavia, la persona che ha fatto quell' affermazione sui cattolici voleva dire qualcosa e sarebbe opportuno che lui stesso la comprendesse con più chiarezza rispetto al modo in cui l'ha enunciata. Ciò che voleva dire è che, nel mondo moderno, la Chiesa Cattolica si oppone a molte mode influenti, la maggior parte delle quali si considerano ancora attuali, anche se incominciano ad essere un poco stantie. In poche parole, se voleva dire che la Chiesa spesso si oppone a ciò che il mondo considera, in quel dato momento importante, ha perfettamente ragione. Spesso la Chiesa combatte le mode di questo mondo transeunte, in quanto sa, per esperienza, la rapidità con cui questo mondo cambia. Ma per comprendere esattamente l'argomento è necessario spaziare più ampiamente e considerare l'essenza stessa delle idee in questione, per considerare, quindi, l'idea dell'idea.

Il 90% di ciò che chiamiamo nuove idee sono semplicemente vecchi errori.....
Uno dei principali compiti della Chiesa Cattolica è far sì che la gente non commetta questi vecchi errori, in cui è facile ricadere, ripetutamente, se le persone vengono abbandonate, sole, al proprio destino. La verità concernente l'atteggiamento cattolico nei confronti dell'eresia o, si potrebbe dire, nei confronti della libertà, può essere rappresentata dalla metafora di una mappa. La Chiesa Cattolica possiede una mappa della mente che sembra la mappa di un labirinto, ma che in realtà è una guida per orientarsi nel labirinto. Questa mappa è stata compilata utilizzando conoscenze che, nel mondo della scienza umana, non hanno paragoni. Non vi sono altri casi di istituzioni intelligenti che hanno, con continuità, pensato sul pensiero per duemila anni. È un' esperienza che ricopre quasi tutti i campi esperibili e, in special modo, gli errori. Ne risulta una mappa che evidenzia con chiarezza tutti i vicoli ciechi e le strade dissestate, nonchè le vie che si sono dimostrate fuorvianti grazie alle testimonianze fornite ci da coloro che le hanno seguite.

Su questa mappa della mente gli errori vengono segnati come eccezioni: gran parte di essa è costituita da campi da gioco e terreni di caccia fioriti, dove la mente può spaziare con tutta la libertà che le è propria, per non parlare dei numerosi campi di battaglia intellettuale dove il combattimento è quanto mai incerto e imprevedibile. Ma c'è la responsabilità di segnalare determinate strade che conducono al nulla o alla distruzione, ad un muro cieco o a un precipizio. Così facendo, si previene la possibilità che le persone perdano il loro tempo, o le loro vite, in sentieri che si sono dimostrati ripetutamente, nel passato, vani o disastrosi, ma che possono ancora, in futuro, intrappolare ripetutamente i viandanti. La Chiesa si prende la responsabilità di mettere in guardia il suo popolo su queste realtà, e sta proprio qui l'importanza del suo ruolo. Dogmaticamente essa difende l'umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori.

Adesso tutti questi falsi temi si ripresentano nuovamente, in modo particolare alle nuove generazioni. La prima affermazione sembra sempre inoffensiva e ragionevole. Riporterò solo un paio di esempi.

Sembra inoffensivo dire, come sostiene la maggior parte della gente oggi, che «le azioni sono sbagliate solo se danneggiano la società». Applica questo principio e, prima o poi, ti ritroverai immerso in una città disumana e pagana di folle, che considera la schiavitù il più conveniente e sicuro mezzo di produzione, che tortura gli schiavi per ottenere prove, in quanto l'individuo non conta nulla di fronte allo Stato, che condanna a morte un innocente in nome del popolo, come hanno fatto gli assassini di Cristo.

Allora, forse, ritornerai ai principi cattolici, scoprendo che la Chiesa, oltre ad affermare i nostri doveri nei confronti della società, dice anche altre cose per evitare che si commettano ingiustizie nei confronti dell'individuo.

O, ancora, può sembrare pio dire: «i conflitti morali finiranno con il trionfo della sfera spirituale su quella materiale». Applica questo principio e potresti ripercorrere le pazzie dei manichei, sostenendo che il suicidio è un bene in quanto è un sacrificio, che la perversione sessuale è un bene in quanto non è fonte di vita, che il sole e la luna sono prodotti dal demonio in quanto entità materiali. Allora inizierai a capire perchè il cattolicesimo insiste sull' esistenza degli spiriti malvagi, oltre quelli angelici, e perchè anche gli elementi materiali possono essere sacri come nell'Incarnazione o la Messa, nel sacramento del matrimonio o la resurrezione della carne.

Ora, non vi è un altro sistema di pensiero che, nel mondo, possa garantire una tale capacità di prevenzione nei confronti dell' errore. Il poliziotto arriva tardi, quando si tratta di far sì che le persone non sbaglino. Il dottore arriva tardi, in quanto decide di fare internare il matto, ma non consiglia alla persona sana i metodi per non impazzire. E tutte le altre sette e scuole non sono adeguate allo scopo, e questo non perchè esse non insegnino delle verità, ma proprio perchè insegnano delle verità, e si accontentano di alcune verità. Ma nessuna pretende di possedere la verità, nessuna pretende veramente di avere una visuale universale delle cose.

- La Chiesa non è solo armata nei confronti delle eresie passate o, persino, presenti, ma anche nei confronti di quelle future, che potranno configurarsi come l'esatto opposto di quelle attuali.

- Il cattolicesimo non è ritualismo: in futuro forse dovrà combattere forme superstiziose e idolatriche di eccessivo ritualismo.

- Il cattolicesimo non è ascetismo: ha già, nel passato, più volte, condannato le esagerazioni fanatiche e crudeli dell'ascetismo.

- Il cattolicesimo non è mero misticismo: anche oggi difende la ragione umana dal mero misticismo dei pragmatisti. Ne deriva che, quando il mondo diventò puritano nel XVII secolo, la Chiesa venne accusata di estremizzare la carità fino a sconfinare nella sofistica, rendendo tutto più semplice con l'abitudine lassista del confessionale.


Ora che il mondo si è convertito dal puritanesimo al paganesimo è la Chiesa che protesta contro il lassismo pagano imperante, dall' abbigliamento alle usanze. Sta facendo ciò che i puritani volevano, in quanto è sorta questa necessità. È molto probabile che il meglio del protestantesimo sopravviverà nel cattolicesimo: in questo senso i cattolici diventeranno puritani mentre i puritani diventeranno pagani.

Ne consegue quindi che il cattolicesimo, in un certo senso poco compreso, rimane al di fuori di una disputa tipo quella che si è avuta a Dayton sul darwinismo. Ne rimane al di fuori in quanto la comprende, come una casa comprende i mobili al suo interno. Non è una vanteria- settaria l'affermare che è prima, dopo e oltre tutte queste cose, da tutti i punti di vista. È imparziale nella contesa tra i fondamentalisti e la teoria sull' origine della specie, perchè risale ad un'origine prima di quell'origine; perchè è più fondamentale del fondamentalismo. Sa da dove proviene la Bibbia. Sa anche a dove portano la maggior parte delle teorie sull' evoluzione. Sa che vi erano molti altri vangeli oltre i quattro vangeli e che vennero scartati dall' autorità della Chiesa Cattolica. Sa che vi sono molte teorie evoluzioniste oltre quella di Darwin, e che quest'ultima verrà probabilmente superata da altre scoperte scientifiche.

Non accetta, com'è sua abitudine, le conclusioni della scienza per la semplice ragione che la scienza non giunge mai a conclusioni definitive. Concludere significa finire e l'uomo di scienza difficilmente si ferma: egli non accetta, com' è sua abitudine, ciò che dice la Bibbia, per la semplice ragione che la Bibbia non dice alcunchè. Non si può portare un libro sul banco dei testimoni e pretendere che ci dia spiegazioni.

La controversia fondamentalista in quanto tale distrugge il fondamentalismo. La Bibbia in quanto tale non può essere la base per un accordo quando è la causa del disaccordo; non può venir presa come il minimo comune denominatore tra i cristiani quando c'è chi la interpreta allegoricamente e chi letteralmente. Il cattolico la prende come riferimento in quanto dice qualcosa alla mente vivente, coerente e salda di cui ho già parlato; la mente umana sublime in quanto è guidata da Dio.

Ogni istante aumenta in noi la necessità morale di avere questa mente immortale. Dobbiamo possedete qualcosa che tenga insieme i confini del mondo, mentre facciamo i nostri esperimenti sociali o realizziamo le nostre utopie. Per esempio, dobbiamo raggiungere un accordo ultimativo, anche solo basato sull' evidenza della fratellanza umana, per evitare reazioni di brutalità umana. È molto probabile che oggi la corruzione del governo rappresentativo porti al predominio dei ricchi, calpestando tutte le tradizioni egualitarie, tramite un orgoglio pagano. L'evidenza va riconosciuta dovunque come vera. La semplice reazione e la desolante ripetizione di vecchi errori vanno evitate. Dobbiamo far sì che il mondo intellettuale sia salvaguardato dalla democrazia. Ma nella situazione attuale di anarchia mentale nessun ideale è al sicuro.

Così come i protestanti si appellavano alla Bibbia contro i preti senza rendersi conto che anche la Bibbia poteva esser fatta oggetto di discussione, similmente i repubblicani si appellavano al popolo contro il re senza rendersi conto che anche il popolo poteva rifiutarsi di obbedire. La dissoluzione delle idee, la distruzione di tutte le prove veritiere, che è stata resa possibile dall' abbandonare il tentativo di mantenere ferma una Verità fondamentale e civile per scartare tutte le verità e le tracce e per rifiutare tutti gli errori, non hanno fine.

Da allora, ogni gruppo si è impossessato di una verità singola impegnandosi a trasformarla in una falsità. Vi sono stati una gran quantità di movimenti, o, in altre parole, monomanie. Ma la Chiesa non è un movimento bensì un luogo d'incontro, il luogo dove tutte le verità del mondo si danno appuntamento.

Tratto da Chesterton G. K., Perché sono cattolico ed altri scritti, Gribaudi, Milano, 1994 (originale: 1926)
__________________
"Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (Santa Caterina da Siena)


[SM=g27986]
[Modificato da Caterina63 16/11/2009 12:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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"San Francesco viene definito umano perchè ha tentato di convertire i saraceni senza riuscirci.
San Domenico viene definito fanatico e invasato perchè ha tentato di convertire gli albigesi e c'è riuscito."
[SM=g1740727]


Ovvero, il Tomismo secondo Gilbert Keith Chesterton:

“Questo movimento medievale non è mai sceso a compromessi con il mondo, ne si è mai arreso al paganesimo o all’eresia, e nemmeno si è semplicemente avvalso di aiuti esterni, nemmeno quando ha effettivamente preso a prestito qualcosa. Se vogliamo limitarci al fatto che tendeva alla conoscenza, possiamo paragonarle a un albero che con tutte le sue forze protende il fogliame verso il sole, piuttosto che di un sole che si limita a lasciar trapelare la luce del giorno in una prigione.
In breve, era quello che con un linguaggio paludato si chiama “sviluppo dottrinale”.
A quanto pare, però, c’è una singolare ignoranza del significato del termine “sviluppo”, non solo nella sua accezione aulica ma anche in quella corrente.

Secondo i critici della teologia cattolica non ci sarebbe stato un’evoluzione quanto una diversione cioè, a dir tanto, un adattamento. Nella loro interpretazione, il suo successo sarebbe stato il successo di una capitolazione. Ma questo non è il significato corretto del termine “sviluppo”.
Quando diciamo che un bambino è ben sviluppato, intendiamo dire che è cresciuto e si è si è fatto più robusto con le sue sole forze e non che gli hanno messo delle imbottiture e che lo fanno camminare con i trampoli per farlo sembrare più alto.
Quando diciamo che un cucciolo si sviluppa in un cane, non vogliamo dire che la sua crescita è un graduale compromesso con un gatto; vogliamo dire che diventa più “cane” non meno.

Per “sviluppo” si intende l’accrescimento di tutte le possibilità e le implicazioni di una dottrina, compreso il tempo per distinguerle ed estrapolarle; e qui sta il punto: l’ampliamento della teologia medievale consisteva semplicemente nella sua comprensione totale. […]
È sotto questo aspetto che la poesia popolare di san Francesco è la prosa quasi naturalistica di san Tommaso si rivelano più palesemente come parti del medesimo movimento. Sono entrambe prodotti dello sviluppo del cattolicesimo, che dipendono da fattori esterni come qualsiasi cosa che vive e cresce, nel senso che li assimila e li trasforma, conservando le proprie connotazioni senza assumere le loro. Un buddhista o un comunista possono fantasticare di due cose che si divorano simultaneamente a vicenda, pensando che quella sia una perfetta forma di unificazione. Ma non è il caso degli esseri viventi.

San Francesco amava definirsi il Giullare di Dio, ma non gli sarebbe piaciuto essere il dio dei giullari. San Tommaso non aveva riconciliato Cristo con Aristotele, aveva riconciliato Aristotele con Cristo.[SM=g1740733] 
[…]
Non apportavano innovazioni al cristianesimo, nel senso di introdurvi elementi pagani o eretici; al contrario, portavano il cristianesimo nel cristianesimo.
Il loro compito era di riportarlo indietro contro la pressione di certe tendenze storiche che si erano consolidate come abitudini in molte scuole e correnti autorevoli della Chiesa cristiana; e usavano strumenti ed armi che a molti sembrarono di derivazione eretica e pagana. San Francesco usava la Natura così come san Tommaso usava Aristotele e parve ad alcuni che avessero usato l’uno una dea pagana e l’altro un filosofo pagano.

Ciò che fecero in realtà, e soprattutto ciò che in realtà fece san Tommaso, sarà il principale argomento di queste pagine. Ma è opportuno riuscire sin dall’inizio a metterlo a confronto con un santo più famoso, perché in tal modo potremo ricapitolare l’essenza di tale confronto in un modo più comprensibile da chiunque.

Forse dire che questi due santi ci hanno salvato dalla spiritualità, che è una sorta di maledizione, può suonare paradossale. Forse verrò frainteso se dico che con il suo amore per gli animali san Francesco ci ha salvati dal buddismo, e che con la sua passione per la filosofia greca san Tommaso ci ha salvati dal platonismo. Ma è meglio dire la verità nuda e cruda: sono entrambi la riconferma dell’Incarnazione perché hanno riportato Dio in terra. […][SM=g1740717] [SM=g1740720]

Non sarà possibile tener celato molto più a lungo che il fatto che Tommaso d’Aquino è stato uno dei maggiori artefici dell’emancipazione dell’intelletto umano.
I settari del XVII e XVIII secolo erano essenzialmente degli oscurantisti che sostenevano a spada tratta la diceria secondo cui il grande scolastico fosse un oscurantista. Questa teoria cominciava già a mostrare le corde fin dal XIX secolo e sarebbe stata insostenibile nel XX. Il che non ha nulla a che vedere con l’attendibilità delle loro o della sua dottrina teologica, ma solo con l’attendibilità storica che comincia a riaffiorare solo ora che le dispute cominciano a scemare.

Si può affermare senza tema di essere smentiti, in quanto si tratta di un fatto storico, che Tommaso è stato un grand’uomo che ha riconciliato la religione con la ragione, estendendola al campo della scienza sperimentale, che ha affermato che i sensi sono le finestre dell’anima e che l’intelletto aveva il diritto divino di alimentarsi di fatti concreti, e che era compito della fede assimilare quanto c’era di assimilabile delle più indigeste e materialistiche filosofie pagane.
È un fatto come la strategia militare di Napoleone, che l’Aquinate si sia battuto per tutto quanto c’era di liberale e di illuminato, a differenza dei suoi rivali o, per quel che vale, di quelli che gli sono succeduti o lo hanno soppiantato.

Coloro i quali, per altri motivi, accettano il risultato finale della Riforma, dovranno comunque ammettere che la si deve al grande scolastico e che, al suo confronto i riformatori venuti in seguito erano dei reazionari. Uso questo termine non come un rimprovero dovuto al mio punto di vista, ma come un dato di fatto secondo il punto di vista progressista attuale. Ad esempio, rimanevano inchiodati alla verità testuali delle sacra scritture, quando san Tommaso aveva già parlato della fonte di ispirazione rappresentata dalle filosofie greche. Mentre lui sosteneva la funzione sociale delle opere, loro soltanto la funzione spirituale della fede.
L’essenza della dottrina tomistica è che la ragione è degna di fede; l’essenza della dottrina luterana è che la ragione non è degna di fede.
Quindi, nel momento stesso in cui questo fatto viene riconosciuto per vero, c’è il rischio che tutti gli indecisi di parere contrastante passino improvvisamente all’estremo opposto. Coloro che fino a quel momento avevano accusato lo scolastico di essere un dogmatico, cominceranno ad ammirarlo come il modernista che ha stemperato il dogma. Si diranno subito da fare per adornare la sua effige con tutte le ghirlande appassite del progressismo, per presentarlo come un pensatore in anticipo rispetto ai suoi tempi, il che significa che è sempre d’accordo con il nostro tempo, e gli attribuiamo il merito di essere il padre del pensiero moderno. Scopriranno il suo carisma e arriveranno all’affettata conclusione che era come loro perché era carismatico.
Fino a un certo punto questo è abbastanza perdonabile; fino a un certo punto era già successo nel caso di san Francesco. Ma nel caso di san Francesco non supererebbe un certo limite.

Nessuno, neppure un libero pensatore come Renan o Matthew Arnold, si azzarderebbe a dire che san Francesco fosse qualcosa di più di un buon cristiano o che avesse qualunque altro singolare movente al di la dell’imitazione di Cristo. Eppure anche san Francesco ha prodotto sulla religione un effetto liberatorio rendendola più umana, per quanto più a livello della fantasia che dell’intelletto. Ma nessuno può dire che san Francesco abbia allentato la regola cristiana, dal momento che era anzi evidente che la stringesse, così come stringeva il cordone del suo saio. Nessuno può dire che abbia aperto le porte allo scetticismo, o che abbia dato il via all’Umanesimo paganeggiante, o che abbia guardato avanti al Rinascimento, o che si sia incontrato a metà strada con i razionalisti.
Nessun biografo oserebbe dire che san Francesco, di cui si dice che abbia aperto il Vangelo a caso e abbia letto il grandioso brano sulla Povertà, avesse in realtà aperto l’Eneide e applicato la Sors Virgiliana in segno di rispetto verso la letteratura e la cultura pagane. Nessuno storico oserebbe dire che san Francesco scrisse il Cantico delle Creature a imitazione di un inno omerico dedicato ad Apollo o che amava gli uccelli perché aveva imparato tutti i trucchi degli àuguri romani.
In breve, quasi tutti noi sia cristiani sia pagani, oggi ci troveremmo d’accordo sul fatto che l’idea francescana era innanzitutto un sentimento cristiano, che scaturiva da una fede innocente (o, se preferite, ignorante) nella religione cristiana.

Come ho detto, nessuno direbbe mai che san Francesco trasse ispirazione da Ovidio. E sarebbe altrettanto falso dire che san Tommaso traesse ispirazione da Aristotele.
Tutta la sua vita, specialmente l’inizio, la storia della sua infanzia, la strada che ha scelto, ci dicono senz’ombra di dubbio che era profondamente devoto e che amava incondizionatamente la religione cattolica, molto prima di trovarsi a dover combattere per difenderla.
A riguardo c’è un esempio che collega ancora una volta molto strettamente san Tommaso a san Francesco. È strano, ma pare sia stato dimenticato che nel santificare i sensi o i semplici fatti naturali, entrambi questi santi imitavano un maestro che non era Aristotele e tanto meno Ovidio, quando san Francesco si muoveva con umiltà tra gli animali o san Tommaso disputava cortesemente con i gentili.

Chi non capisce questo, non capisce il punto essenziale della religione, quand’anche si trattasse di una superstizione; peggio ancora, a sfuggirgli è la parte che considererebbero più superstiziosa. Mi riferisco alla sconcertante storia del Dio-uomo del Vangelo.
Alcuni non la capiscono neppure quando conoscono san Francesco e il suo modo genuino e privo di fondamento culturale di essere attratto dal Vangelo. Parlano della disponibilità di san Francesco a imparare dai fiori e dagli uccelli come del segno premonitore di un rinascimento pagano, mentre i fatti dicono chiaramente due cose. La prima è che si tratta di una reminiscenza del Nuovo Testamento; la seconda è che se proprio la si vuol vedere come segno premonitore, lo sarebbe casomai del realismo aristotelico contenuto nella Summa di san Tommaso d’Aquino.
Hanno la vaga sensazione che rendere più umana la divinità significhi renderla pagana, senza accorgersi che l’umanizzazione della divinità è proprio il dogma più forte, più rigoroso e più incredibile del Credo.

San Francesco diventava più simile a Cristo, e non soltanto a Buddha, quando contemplava i gigli del campo o gli uccelli del cielo; e san Tommaso diventava più cristiano, e non soltanto più aristotelico, quando asseriva che Dio e l’immagine di Dio erano venuti in contato con il mondo sensibile attraverso la materia.
Questi santi erano degli umanisti nella più corretta accezione del termine, in quanto affermavano l’enorme importanza dell’essere umano nello schema teologico delle cose. Ma non erano umanisti avviati sulla via del progresso che conduce al modernismo e al totale scetticismo in quanto proprio nel loro umanesimo erano assertori di un dogma che oggi viene spesso considerato come la più vana credenza del superumanesimo. Rafforzavano il vacillante dogma dell’Incarnazione, che gli scettici considerano il più difficile cui prestare fede.
La divinità di Cristo è l’osso più duro di tutta la teologia cristiana.”

(Gilbert K. Chesterton; San Tommaso d'Aquino, 1933)

[SM=g1740733] [SM=g1740722] [SM=g1740721]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Ovvero: "Forse verrò frainteso se dico che con il suo amore per gli animali san Francesco ci ha salvati dal buddhismo, e che con la sua passione per la filosofia greca san Tommaso ci ha salvati dal platonismo." (G. K. Chesterton)


"San Tommaso d’Aquino è ricomparso recentemente nella cultura contemporanea delle università e nei salotti in un modo che anche solo una decina d’anni fa sarebbe stato sorprendente. È la reazione che ha prodotto è fuori di dubbio molto diversa da quello che aveva reso famoso san Francesco quasi vent’anni fa.

Il santo è un farmaco perché è un antidoto.
E per vero questo è un motivo per cui spesso il santo è un martire: viene scambiato per un veleno perché è un antidoto. In genere è uno che cerca di ricondurre il mondo alla ragione, mettendo in evidenza le cose che il mondo trascura che non sono certamente sempre le stesse nelle varie epoche
.

Eppure ogni generazione cerca istintivamente il proprio santo e non si tratta di ciò che la mente vuole ma di quello di cui ha bisogno.
È questo il significato frainteso delle parole rivolte ai primi santi: “voi siete il sale della terra” che ha indotto l’ex Kaiser con affermare con grande solennità che i suoi robusti tedeschi erano il sale della terra, intendendo con ciò soltanto che erano i più grandi e grossi della terra e di conseguenza i migliori. Ma il sale condisce e conserva la carne, non perché è simile ad essa, ma perché è molto diverso.
Cristo non ha detto ai suoi apostoli che erano persone eccellenti o le sole persone eccellenti, ma che erano persone eccezionali, costantemente fuori dalla norma e incompatibili con la norma; e il messaggio circa il sale della terra è veramente acuto, pungente e gustoso come il sapore del sale. E questo perché quelle erano persone eccezionali che non dovevano perdere la loro eccezionalità.

“Se il sale perdesse il suo sapore, con cosa si potrebbe insaporirlo?” è un problema molto più significativo di qualsiasi lagnanza sul prezzo della cane migliore. Se il mondo diventa troppo mondano la chiesa può rimproverarlo, ma se è la chiesa a diventare troppo mondana il mondo non è certo in grado di rimproverarla per la sua mondanità.
Ne consegue che il paradosso della storia è che ciascuna generazione viene convertita dal santo che le si contrappone più nettamente.

San Francesco esercitava una misteriosa e quasi inquietante attrattiva sui vittoriani, cioè su quegli inglesi del XIX secolo che in apparenza erano oltremodo soddisfatti dei loro traffici e si affidavano al loro buon senso. Non soltanto un inglese abbastanza soddisfatto di se come Matthew Arnold
ma anche i liberali inglesi che lui criticava per il loro autocompiacimento cominciarono a scoprire a poco a poco il mistero medievale attraverso la straordinaria storia narrata dalle piume e dalle fiamme dei dipinti agiografici di Giotto.

C’era qualcosa nella storia di san Francesco che riusciva ad aprirsi un varco tra tutte le più famose e più futili caratteristiche degli inglesi, tra tutte quelle caratteristiche di umanità che gli inglesi tengono celate: un cuore sensibile, una mente vagamente poetica, l’amore per la natura e per gli animali. San Francesco d’Assisi è stato l’unico cattolico medievale a conquistarsi fama in Inghilterra per motivi propri. E questo perché i suoi meriti erano gli stessi che il mondo moderno aveva la sensazione di aver trascurato. Il ceto medio inglese aveva trovato il proprio unico missionario nella figura per cui nutriva maggior disprezzo: un mendicante italiano.

Quindi, come il XIX secolo si era aggrappato alla poetica francescana proprio perché aveva trascurato la poesia, così i XX secolo si sta già aggrappando alla teologia razionale tomista perché ha trascurato la logica.
In un mondo troppo statico il cristianesimo era ricomparso nei panni di un vagabondo, e in un mondo diventato troppo tumultuoso il cristianesimo era ricomparso nei panni si un maestro di logica.

Nel mondo di Herbert Spencer la gente cercava un rimedio contro l’indigestione; nel mondo di Einstein cerca un rimedio contro le vertigini. Nel primo caso aveva vagamente percepito il fatto ch era stato dopo un lungo periodo di digiuno che san Francesco aveva composto il cantico delle creature come inno alla terra prodiga di frutti. Nel secondo caso ha già vagamente percepito che anche solo per cominciare a capire Einstein prima era necessario capire come usare l’intelletto.
Si comincia a capire che, come il XVIII secolo si era identificato come l’età della ragione e il XIX secolo come l’età d buon senso, il XX secolo non più neanche lontanamente identificarsi come altro che l’età di una non comune mancanza di buon senso. In queste condizioni il mondo ha bisogno di un santo, ma soprattutto ha bisogno di un filosofo.

E, tanto per rendere giustizia al mondo, va detto che i due casi di cui sopra dimostrano che sa per istinto di che cosa ha bisogno.
La terra era veramente piatta per quei vittoriani che ripetevano a oltranza che era rotonda, e La Verna delle stigmate era l’unico monte che si ergeva su quella pianura.
Ma la terra è un terremoto, un terremoto senza sosta e apparentemente destinato a non finire mai, per i nostri contemporanei per i quali Newton è stato spazzato via insieme a Tolomeo. E per loro c’è qualcosa di più scosceso e di più inimmaginabile di una montagna: un pezzo di terreno veramente solido, o la posizione di una persona veramente equilibrata.

Ecco che ai nostri giorni i due santi anno affascinato due generazioni, quella dei romantici e quella degli scettici”.

(Gilbert Keith CHESTERTON; Saint Thomas Aquinas, 1933)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Interessante articolo di Sandro Magister del 2001....un grazie al Blog di Mic sul CN che lo ha pescato...


Ecumenismo. Brunero, che libro severo
Un libro choc del teologo Brunero Gherardini mette sotto accusa papa e cardinali. Perché dialogano troppo e male. Con chi resta eretico e scismatico

di Sandro Magister






Giovanni Paolo II è appena tornato da uno dei suoi viaggi superecumenici. Ad Atene e Damasco ha abbracciato metropoliti ortodossi e gran muftì musulmani. A giugno andrà in Ucraina e il suo sogno è di volare a Mosca a far pace anche col terribile patriarca Alessio. Ma le critiche più dure a questo suo ecumenismo il papa non le trova fuori. Le ha in casa. A Roma.

Da qualche settimana circola segretamente in Vaticano un libro che sul retro porta scritto: «Non commerciabile». Proprio così. Perché deve passare solo tra mani fidatissime. Capaci di non farlo deflagrare anzitempo.

Le sue 336 pagine, intitolate 'Una sola fede una sola Chiesa', sono infatti il più formidabile atto d'accusa sinora portato contro i vertici vaticani in materia d'ecumenismo. In senso stretto, ecumenismo è il nome che è stato dato al dialogo di riconciliazione tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane da essa separate: le ortodosse e le protestanti. Ha preso il posto degli anatemi contro eretici e scismatici e insiste su ciò che unisce invece che su ciò che divide. Giovanni Paolo II ha puntato tantissimo su questa offensiva di pace. Ma se di risultati ne ha ottenuti pochi, obietta il libro, è perché ha sbagliato quasi tutto. Come altri prima e peggio di lui.

La requisitoria non è anonima, ma firmata. L'autore è Brunero Gherardini, 76 anni, canonico della basilica di San Pietro e decano dei teologi della Pontificia università del Laterano. È lui che ha portato al traguardo la causa di beatificazione di Pio IX, il papa del Sillabo antimoderno e dell'infallibilità. È teologo di scuola classica, ferrato negli studi su Martin Lutero e il protestantesimo: al punto d'aver raccolto la stima e l'amicizia di campioni della teologia protestante come Karl Barth, Oscar Cullmann e Vittorio Subilia, anch'essi dal loro punto di vista molto critici dell'ecumenismo.

E forte di queste sue competenze e credenziali, Gherardini ha voluto mettere per iscritto le sue critiche in un libro stampato a sue spese, da far girare in Vaticano sottotraccia, come una mina a tempo. Sicuro che diverrà oggetto di discussione obbligata nel concistoro di fine maggio tra il papa e i cardinali, dedicato in buona misura proprio al dialogo ecumenico. Ma anche con un pensiero al futuro conclave, quello che deciderà l'uomo e il programma del nuovo pontificato .

Dei cardinali alfieri dell'ecumenismo, passati e presenti, nessuno la passa liscia: dal tedesco Agostino Bea all'olandese Johannes Willebrands, dall'australiano Edward Cassidy all'attuale numero uno del ramo, Walter Kasper, altro tedesco. Il libro martella sul loro «irenismo romantico, ingenuo e sognatore», sul loro «pacifismo snob».

Ne escono invece con onore i protestanti più irriducibili, in testa i valdesi italiani. Gherardini li ammira perché non si uniscono al coro dei dialoganti entusiasti e tengon ferma la diversità delle fedi.

Al capitolo più corrosivo del libro l'autore ha dato per titolo la celebre, superfumosa formula di Aldo Moro: 'Convergenze parallele'.

Il capitolo analizza l'accordo del 1999 tra la Chiesa cattolica e i luterani, sul tema della 'giustificazione'. L'accordo fu annunciato e celebrato da ambo le parti con grande entusiasmo. Ma fu anche accompagnato da critiche al veleno. Per la parte cattolica, il più tenace propugnatore dell'intesa fu Kasper, che anche grazie a questo successo si guadagnò la porpora di cardinale. Occhi al cielo

L'accordo verte proprio su un punto centrale della rottura tra Lutero e il papato: il punto su cui nel Cinquecento il Concilio di Trento fece scattare le sue condanne contro i protestanti.
Con l'intesa del 1999 sia il Vaticano che i luterani riconoscono che all'epoca non ci si era capiti, riscrivono le rispettive tesi in modi accettabili a entrambe le parti e dichiarano «decaduti gli anatemi».

Ma Gherardini obietta che sia Martin Lutero che il Concilio di Trento non hanno nulla a che vedere con queste pacificazioni tutto fumo. «Nel Cinquecento la cristianità non si spaccò in due per sbaglio». A dispetto di tutti gli odierni abbracci di facciata, «le due fedi erano e restano in rotta di collisione». E quindi un simile ecumenismo è solo «capitolazione e confusione dottrinale, al di là della prudenza e della fede».


Il libro si conclude con un appello a un'unità della Chiesa «non falsa ma vera». Scrive Gherardini: «Sogno una Chiesa non più luterana e riformata, anglicana ed ortodossa; per assurdo sogno una Chiesa neanche più cattolico-romana». Dove però a convertirsi dovranno essere solo gli altri.

__________

Il libro:

Brunero Gherardini, 'Una sola fede una sola Chiesa. La Chiesa cattolica dinanzi all'ecumenismo', 2001, Castelpetroso, Casa Mariana Editrice, pagine 336, non commerciabile.

__________

22.5.2001


segue la riflessione del mio amico Chisolm al passo sopra riportato:

Il termine “ecumenismo” mi piace quando, nella sua radice etimologica, richiama in un certo senso tutto ciò che concerne la “terra abitata”, ovvero l’apertura del disegno di salvezza verso ogni uomo.
Non mi piace, invece, quando assume le caratteristiche di un “dicastero del dialogo”, ovvero un luogo asettico, neutrale, nel quale si fa commercio del sacro e in cui si fa molta attenzione a bilanciare quel minimum che appartiene a tutte le religioni.
Eppure, la Chiesa delle origini, possedeva un movimento centrifugo, da centrum fugere, ovvero allontanarsi dal suo centro per irradiarsi a coloro che non la conoscevano: possiamo chiamarla “missione” che è la stessa cosa.

Ecco, quello che si sta perdendo, a mio avviso, è la dimensione missionaria della Chiesa che non essendo più centrifuga, cioè non tende più alla missione esterna, non riesce più ad evocare il movimento di rimando che è il frutto del suo muoversi all’esterno, cioè quella che possiamo definire risposta “centripeta”, centrum petere, tendere al Centro che è Cristo.

Cristo viaggia nella sua terra per presentare il volto paterno di un Dio, fino allora confinato in templi, tra vapori di incensi e muggiti sacrificali di povere bestie.
Incuriosisce, questo Dio-uomo che, nella sua terra, gira come una trottola per dire che c’è un Padre di tutti, che non vuole sangue, che detesta e aborrisce ciò che nasce dalla forma ma non dal cuore. E proprio quando Cristo raggiunge il limite terreno della sua forza centrifuga, ecco che sulla croce Egli diventa il punto d’attrazione perché “quelli di fuori” siano attratti da quel divino campo magnetico.

Esterno e interno, fuori e dentro, divine alchimie della fisica celeste, del suo mistero. Ed è proprio questo Mistero che non può essere accomodato, svenduto, limato per coloro che del Mistero possono accettarne solo un aspetto, solo quella parte che non “offende”, che può essere condivisa in rispetto della Verità.

Ma la Verità, forse l’abbiamo dimenticato, alcune volte è irrispettosa verso le verità che in Essa, solo in parte, si riconoscono. La Verità è unica, centrifuga e centripeta, esce per andare incontro e attrae per accogliere in essa chi realmente la cerca.
“Venite e vedrete”, sembra risuonare da quel centro di missione e di attrazione che è la Croce, il punto nel quale il Padre ha piantato la parte fissa del suo compasso per ruotare all’esterno la sua gamba mobile. Ecco, il cerchio che ne nasce e che ne è contenuto, che fa nascere e che contiene, ebbene solo in esso esiste la vita vera, non possiamo rifiutare questa Verità in nome di chi vorrebbe allargare il cerchio per allontanare dal centro-Croce i punti della sua circonferenza.

Chisolm


*****************************+

la mia risposta Sorriso

Quando Chisolm vola così in alto cerco di aggrapparmi letteralmente alla sua scarpa per tentare di volare con lui  Ghigno

quante volte sentiamo dentro di noi la necessità di abbandonare questa sorta di gravità che ci tiene attaccati nel modo peggiore alle cose di questo mondo, compreso, per restare in tema, questo tortuoso, testardo VOLEMOSE BENE?

Io voglio davvero bene quando al primo posto pongo, come mio primo Prossimo LA VERITA'(=Cristo); quando pongo come mio primo Prossimo l'Eucarestia....non si può dire di volere bene al prossimo quando, per il volemose bene, pongo l'Eucarestia di lato per NON offendere chi non la comprende...

Giovanno cap. 6 san Pietro glielo fa notare: "Signore, IL TUO LINGUAGGIO E' DURO, CHI POTRA' COMPRENDERLO? MOLTI DISCEPOLI SE NE STANNO ANDANDO!!"
Gesù non li ferma, non apre dicasteri, non dice "stavo scherzando ragazzi! tornate qui!!"
no, ma esordisce con un secco: "VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?"

Quanti di noi accetterebbero oggi un amico che ci desse una risposta del genere? Non lo manderemo forse a quel paese per aver offeso la nostra sensibilità?
 Occhiolino

E invece oggi è questo che si fa nella Chiesa: "ehi amico, non andartene, dai non parliamo di ciò che ci divide, parliamo di ciò che ci unisce!! LASCIAMO PERDERE IL RESTO! oppure parliamone TROVIAMO UN ACCORDO...VOLEMOSE BENE "

In tal modo si riscrivono le dottrine, si modifica il Vangelo a seconda delle necessità del momento, si favoriscono gruppi capaci di STORDIRE la gente con nuove invenzioni perchè l'importante è che ci sia AGGREGAZIONE, GUAI SE I DISCEPOLI ANDASSERO VIA, non bisogna agire come Gesù (Volete andarvene anche voi?), ma accomodare Gesù alle esigenze del momento...

Ma non è il Cristo vero che viene offerto, bensì LA SUA IMMAGINE...

Il card Biffi e Chesterton

Pensieri tratti dal libro: Pinocchio, Peppone e l’Anticristo, del card. Giacomo Biffi.

In particolare la parte dedicata a Chesterton.

- Purtroppo la cristianità – che ha dato discreta attenzione a Chesterton fino alle soglie del Concilio Vaticano II – ha cominciato a dimenticarsene proprio quando il suo magistero sarebbe stato più necessario per prevenire e contrastare i nostri guai.
Per Chesterton vi è una certezza…che la conseguenza più deleteria della scristianizzazione dell’Europa non è stato a causa dello smarrimento etico seppur esso gravissimo, ma è stato LO SMARRIMENTO DELLA RAGIONE: < Il mondo moderno – dice - ha subito un tracollo mentale, molto più consistente di quello morale….>
Bè possiamo dire effettivamente che subendo un tracollo mentale e venendo meno la ragione, il tracollo etico e morale ne sono una conseguenza….

In tal senso, spiega Chesterton, il cristiano spesso ha sostituito la speranza evangelica con un ansioso ottimismo mondano: < Non vuol più accettare la dottrina cattolica che la vita umana è una battaglia; VUOLE SOLO SENTIRSI DIRE….CHE E’ UNA VITTORIA! >.

O almeno, spiega il card. Biffi, vuole persuadersi, il cristiano e cattolico, che tra la verità e l’errore, tra il bene e il male, tra Cristo e Belial è come se si fosse firmato un armistizio!!! Nulla di più è, naturalmente, falso!

... dice Chesterton, anzi profetizzava: -La Chiesa aveva ragione nel rifiutare anche le eccezioni, e le eccezioni sono diventate una regola… ...

Un altro aspetto che il card. Biffi analizza attraverso i pensieri di Chesterton è l’Ortodossia ed eterodossia… In nome dell’irenismo, specifica il card. Biffi, E’ DIFFICILE DIVENTARE ERETICI ed è straordinariamente paradossale che anzi, oggi, praticamente non ci siano più eretici e questo perché va sbiadendosi il confine tra l’ortodossia e l’eterodossia e, incomprensibile è che oggi nessuna asserzione è più condannabile, di conseguenza viviamo nel paradosso che pur vivendo in una epoca culturalmente eretica, l’eretico non esiste più….

Ma per Chesterton l’ortodossia è l’unica garanzia per la nostra salvezza! Essa è inconfondibile, è l’unico magistero affidabile dando, invece, all’eresia, una visione positiva, per lui le eresie “sembrano persino corrispondere alla verità e talvolta sono vere, ma nel senso limitato in cui una verità non è la Verità !”

L’eresia, afferma a ragione Chesterton, è quella verità che trascura tutte le altre verità che conducono in sostanza alla vera ed unica Verità!
E’ per questo che Chesterton arriva a concepire la bellezza insita nella Chiesa Cattolica da lui ritenuta l’unico baluardo rimasto a difesa dell’uomo autentico, dell’uomo “normale” e dice: “ La Chiesa… è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento” esse vengono spurgate, ragionate, discusse, corrette, esse diventano una verità nell’ortodossia che è poi quella espressione felice di san Paolo della “Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno DELLA VERITA’” (1Tm.3,15)

...avverte la Scrittura: ma non hanno ascoltato!


[SM=g1740733]




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21/05/2009 12:24
 
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"VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?"

Grazie Caterina di questa citazione. Essa mi interpella e ci interpella quotidianamente, e lo fa sempre quando ci sentiamo stanchi e il cammino sembra una salita senza fine. Questa domanda mi suscita una tenerezza indicibile, è come se fosse stata formulata per me e me solo.
Ogni tanto, la tentazione di “andarsene” è forte, urge, provoca, brucia. La voglia di tirare i remi in barca, leggere magari i gialli al posto di libri più impegnati, andarsene al cinema, mandare tutto e tutti a quel paese, insomma, la voglia di “normalità”, di stare in “basso” e non di “volare” come tu e Mic, immeritatamente mi attribuite causandomi bruciori allo stomaco, mi aleggia intorno sempre all’ora del demone meridiano.

E’ l’ora dell’abbiocco dello spirito, come dico io, quando sonnolenza e torpore ti stuzzicano come una zanzara ingorda. Però è proprio in quel momento, proprio lì, che nel cuore prende forma la domanda “vuoi andartene anche tu?”.

Sai, io mi commuovo sempre quando vedo certi film: trattino d’amore incorrisposto o di “aristogatti”, beh, la lacrimuccia mi scappa. Ma quando nel cuore mi rintocca quella domanda, mi devo chiudere nella stanza d’ufficio per non farmi vedere piangere.
Mi scuserai, anzi mi scuserete, lo sfogo, ma quella domanda per me è la sintesi di ciò che intendo per Verità e Rivelazione: una domanda non “alta”, ma “bassa”, semplice e diretta, dove l’Incarnazione si rivela in tutta la sua povertà infinità per regalarmi, spero un giorno, la mia immeritata ed eterna quiete in Colui che si dispera nella più umana delle passioni, quella di un Amico che teme io possa andarmene e lasciarlo solo.

Se Lui è Via, Verità e Vita, io non posso scorporare questa triunità, non posso dirgli: “scelgo una discesa che la salita è dura”, “magari per la verità mettiamoci d’accordo”, “fammi fare la mia vita”. No. Sono tentato ma quella domanda incombe, tenera e insolente, rovente, ardita, impietosa, mi pungola mentre sento nell’anima quegli Occhi che non smettono di scrutare le mie più intime tentazioni, le mie più fangose bassezze.
Per questo mi viene da piangere in quei momenti, per la Sua umanità che ha assunto la mia fino all’assurdo del dono cruento di Se stesso, accollandosi i miei peccati senza averne mai commesso uno, incontaminata Vittima d’amore.

Ebbene, io dovrei credere che “altrove” esiste un Dio così? Che posso trattare i suoi “attributi” venendo incontro a “meno perfezione e più condivisione”? Ecco perché quel “vuoi andartene anche tu?” mi dà la scossa e mi brucia. Qui non si tratta di teologia “alta”, ma di qualcosa di inscritto dentro, direi di istintivo e connaturale, di voler essere pesce e venir catturato dalla Sua rete per esser issato nella Sua barca e veleggiare verso Casa.

E se anche, come in questi momenti, sembra non esserci vento per la barca di Pietro, Egli è Signore del vento, capace di costruire il maestrale con la bonaccia, di trasformare l’acqua in vino, di resuscitare i morti e di consolare gli afflitti.
Una sola cosa mi chiede, ci chiede: "VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?"
Se Lui è Via, Verità e Vita, non possiamo svendere questo mistero di Grazia perché Cristo è la vera Grazia di Dio…
E dove vuoi che vada, Signore?

Chisolm




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16/11/2009 12:36
 
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Se Dio c’è, di che religione è?

Un libro di Rino Cammilleri cerca di spiegare il cattolicesimo
[SM=g1740722] [SM=g1740721]

di Antonio Gaspari


 
ROMA, lunedì, 9 novembre 2009 (ZENIT.org).-
 
Si trova già nelle librerie online l’ultimo saggio di Rino Cammilleri dal titolo “Dio è cattolico?” (Lindau Edizioni).

Rino Cammilleri è un notissimo saggista, scrittore e giornalista. Autore di rubriche in diverse testate giornalistiche, ha pubblicato decine di libri di successo, tra cui “Il crocifisso del samurai” (Rizzoli), “La vera storia dell’inquisizione” (Piemme), “I mostri della ragione” (Ares), e “Gli occhi di Maria” (Bur Rizzoli).Come ha scritto Ettore Gotti Tedeschi nell’introduzione, “Cammilleri è fra i maggiori apologeti viventi” ed in questo libro tratta “del perché si può essere sicuri del cattolicesimo e dei suoi vantaggi competitivi nei confronti delle altre religioni”.

Secondo Cammilleri nel mondo non funziona più quasi nulla, ma non perché c’è una crisi di valori che non permette più agli uomini di dare un senso agli strumenti di civiltà disponibili, il punto centrale è che “questa crisi di valori discende dalla crisi della fede” nel “non credere più nello stesso Dio”. Il libro analizza duemila anni di cristianesimo affrontando i passaggi storici più controversi e complessi, quali le Crociate e l’Inquisizione, la Riforma, l’Illuminismo, le Sette anticlericali risorgimentali ma soprattutto spiega i meriti unici del cristianesimo.

Come sottolinea Gotti Tedeschi attraverso opportuni ripassi di storia, teologia, filosofia, sociologia, e persino di economia, Cammilleri illustra “perché siamo stati così sciocchi da lasciarci distrarre da altri fedi religiose perdendo la fiducia nella nostra originale e provocando in tal modo il decadimento di quei valori che oggi rimpiangiamo”.

In conclusione l’autore del libro chiede di sostenere e aiutare la Chiesa Cattolica, ora più che mai sotto attacco, “perché è la Chiesa voluta da Dio, non da uomini”.

Per cercare di approfondire questo tema che suscita da millenni un interesse profondo, ZENIT ha intervistato Rino Cammilleri.

Se Dio esiste, di che religione è?

Cammilleri: Gran bella domanda. A farci caso, l’epoca dell’ateismo è alle nostre spalle. Oggi non c’è quasi più nessuno che non affermi di credere in Dio. Solo che, a quel punto, bisognerebbe chiedere a ciascuno: quale? Già, perché a trionfare è la religione fai-da-te, il Dio che ognuno si crea a propria immagine e somiglianza.

E questa immagine-e-somiglianza, guarda caso, è modellata dall’orizzonte culturale. Cioè, oggi come oggi, è politicamente corretta. Ma, se Dio esiste, logica vuole che siamo noi a Sua immagine e somiglianza, non Lui a nostra. Insomma, bisogna sapere cosa vuole Lui da noi, perché, se esiste, cosa noi vogliamo da Lui già lo sa. Bisogna sapere, per prima cosa, Chi è. E non c’è modo migliore che chiederGlielo.

Lei sostiene che l’unico Dio è cattolico. Perchè?

Cammilleri: Nel mio pamphlet un certo Teofilo, un uomo «in ricerca» (come si direbbe oggi) chiede a me chi è Dio. Perché a me? Perché sa che sono un credente. Io (cioè, l’Autore) rispondo per come so farlo. E gli snocciolo i motivi che hanno portato me a ritenere molto probabile che Dio, se esiste, sia cattolico. Cioè, sia esattamente Quello che da duemila anni predica la Chiesa di Roma.

Perchè non potrebbe essere musulmano, ebreo, o di qualche altra religione?

Cammilleri: Oggi, per quanto riguarda la religione, quel che manca è la domanda, non certo l’offerta. Teofilo è uno che a un certo punto, come Pascal, si è detto: se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo. In effetti, uno che si accorge della necessità di un Dio ha già compiuto gran parte del percorso. Ma, quando si guarda intorno, si trova all’interno del supermarket del Sacro, con gli scaffali che presentano una grande varietà. Per definizione, solo una può essere quella giusta, perché Dio, se esiste, non ha alcun interesse a indurci in confusione. Tutto il mio libro è teso a far sì che Teofilo si rivolga direttamente alla Fonte per conoscere la verità.

E perchè non buddista, spiritista, darwinista, adoratore di Gaia o di Carlo Marx?

Cammilleri: Con gran rispetto per tutti i credenti in Qualcosa o Qualcuno, ho ripercorso davanti a Teofilo tutti i ragionamenti che hanno indotto me (sì, perché c’è stato un tempo in cui anch’io ero «in ricerca») a scegliere un prodotto tra gli scaffali dopo avere considerato, soppesato e attentamente osservato tutti gli altri. Teofilo mi ha chiesto: tu in cosa credi e perché? E io gliel’ho detto.

Il libro presuppone che uno creda nell’esistenza di Dio, ma potrebbe essere consigliato anche per gli atei. Vero?

Cammilleri: Naturalmente, nel deserto che ho personalmente attraversato prima di giungere alla Terra Promessa c’è stata la fase atea, subito seguita da quella agnostica. Conosco bene l’ateismo e i suoi argomenti. Per me l’ateismo, di argomenti, non ne ha. Peggiore è l’agnosticismo. L’ateo è uno che sa per certo che un Dio non esiste né può esistere. L’agnostico è uno che non si pone nemmeno il problema. E, di conseguenza, vive una vita puramente (mi si perdoni l’espressione) vegetale. Senza senso. Nasce, cresce e muore, mangia, beve e si diverte (nella misura del possibile) senza sapere perché. Peggio: non gli interessa. Se io fossi Dio (ma per fortuna di tutti non lo sono) mi offenderei: almeno l’odio è un sentimento, l’indifferenza invece…

Che cosa ha il cattolicesimo che le altre religioni non hanno?

Cammilleri: A mio avviso il cattolicesimo ha dalla sua la logica. Un Dio esistente, giusto, sensato, razionale e amorevole si sarebbe comportato esattamente come dice da sempre la Chiesa Romana. Un Dio diverso da così non mi interessa. Questo è quanto ho cercato di spiegare a Teofilo nel mio lavoro.
 
Ovviamente, Teofilo non è tenuto a darmi retta. Tuttavia, se davvero è «in ricerca», si rivolga direttamente all’Interessato. Il quale, se esiste, non avrebbe alcun motivo per non rispondergli. Se non risponde, non esiste. E il caso è chiuso.



[SM=g1740733] [SM=g1740722] [SM=g1740721]


dal blog di Famiglia Cattolica riporto alcune considerazioni interessanti:

 
Gabbianella1., 14/11/2009 18.13:

Di nessuna religione...perche' Dio è vita
via e verita'....


(risponde Daniele)

Il fatto che Dio è vita, via e verità, non esclude affatto che Egli non abbia istituito una religione che lo rappresenti appieno, il già citato "verità" implica che esista una sola verità su Dio che non si basa sul solo sentimentalismo come vorrebbero i cristiani moderni e cose varie, il cristianesimo non è puro sentimentalismo o una istituzione caritatevole, la vera religione, cioè il cristianesimo, è composto da più di tutto ciò, liturgia, dottrina compresi i tanti odiati dogmi, ci spiegano e ci fanno comprendere non solo il Dio in noi ma anche e sopratutto il Dio in sè.
Il puro sentimentalismo sessantottino vorrebbe invece che tutte le religioni sono uguali e che i vari dii altro non sarebbero che lo stesso Dio ma compreso diversamente, questo è puro relativismo, la verità è una ed è oggettiva mai soggettiva e non basta dire: ci basta amare per avere comunione con Dio.
Nessuno imprigiona Dio, qui si sta parlando semplicemente di dove Lo si può trovare con pienezza perché il sentimento buono del fedele trova un suo corrispondente nella pienezza della dottrina, e dove invece il buon sentimento, che pure Dio riconosce, non s’accompagna con la pienezza della verità dottrinale, e dunque la partecipazione alla comunione con Cristo è ridotta.
E' un po' un cliché protestante che far parte di una Chiesa equivalga a delegare il proprio cervello e la propria spiritualità a qualcun altro.
 

[SM=g1740733] 


Gabbianella1., 14/11/2009 18.13:

Di nessuna religione...perche' Dio è vita
via e verita'....

(risponde caterina)


a quanto spiegato da Daniele aggiungiamo qualche altro appunto perchè la frase così si presta a mille fraintendimenti....

Gesù ha rivelato il mistero di Dio, ed è accaduto che il Dio che cerchiamo SI E' FATTO CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI.....
"chi ha visto me ha visto il Padre"- "nessuno va al Padre se non per mezzo di me...."

Ergo Dio, incarnandosi, assumendo TUTTO fuorchè il peccato, ha assunto in se anche il senso RELIGIOSO dell'Uomo...
Dio è dunque rivelazione, anche, della religione, ma NON tutto ciò che l'uomo esprime in religione rappresenta Dio....

Gesù per questo ha fondato LA CHIESA...essa NON è una religione fra le altre, BENSI' ESPRIME LA NECESSITA' DELLA RELIGIONE DELL'UOMO....se l'uomo infatti NON avesse un Dio, lo inventerebbe perchè è troppo forte il suo senso di ricerca del Creatore...

Gesù è l'essenza della religione...ergo la Chiesa ne è la sua espressione che, come diceva Daniele, contiene tutto al suo interno....e come dice san Paolo: TUTTO E' STATO RICAPITOLATO IN CRISTO, per questo non abbiamo bisogno più di sacrifici per ingraziarci Dio...abbiamo Cristo, IL DIO VIVO E VERO....

Dio è CATTOLICO che infatti vuol dire UNIVERSALE...
l'unica attenzione che dobbiamo fare è l'uso del termine RELIGIOSO... ecco perchè difendiamo il CROCEFISSO...anche per questo! Perchè Egli NON è monopolio della Chiesa è un SEGNO UNIVERSALE DELL'AMORE DI DIO PER TUTTI GLI UOMINI...
Per questo difendiamo la Famiglia, la vita umana, ecc...perchè sono valori UNIVERSALI...sono la LEGGE di Dio che appartiene ad ogni UOMO di ogni lingua, popolo, cultura, nazione....

Gesù ha unito la religione con l'umanità, INCARNANDOSI...

questa è la vera religione....le altre identità che si definiscono religiose NON HANNO IL VOLTO DI DIO, ma sono religiose appunto perchè lo cercano... contengono piccole parti di VERITA' ma non la esprimono o ne hanno difficoltà (leggasi la Dominus Jesus e la Ut unum sint) e Gesù solo ha detto: IO SONO LA VERITA', LA VIA E LA VITA....
non ha detto: io DICO la verità, MA IO SONO LA VERITA'...

ergo, Dio è Cattolico... e questo Dio ha esteso il concetto di religiosità fissandolo SULLA CROCE sulla quale ci ha reso fratelli...

- fratelli in senso proprio, ossia diretto dalla nuova generazione mediante il Battesimo che ci riveste di Cristo, e partecipi della Chiesa;
- fratelli in senso escatologico perchè se non lo siamo ancora da qui sulla terra, lo saremo in Cielo nel quale approderanno anche i non battezzati SECONDO IL GIUDIZIO ULTIMO DI DIO....

sempre dal Cristo si dovrà passare....

 


Fraternamente CaterinaLD

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 dal blog di Famiglia Cattolica riporto a seguire dal messaggio precedente, un altra interessante riflessione:
Gabbianella1., 16/11/2009 15.04:

Ho scritto "di nessuna religione "per il senso proprio del termine ...
in qto il termine religione di per se' indica una appartenenza.Qdi un qualcosa che riunisce.O secondo i punti di vista altrui di chi nn crede o crede che tutto è relativo e che tutte le verita' si equivalgano ,divide. Io appartengo alla religione cristiana cattolica.
E' ovvio che si ci etichetti,ma rifacendomi alle Parole di Cristo qdo afferma di se stesso Via Vita e Verita' nn posso che affermare la Sua universalita',Gesù e' il nostro Dio,' il Verbo ,la Parola ,fatta carne,seconda Persona della Santa Trinita'.Persona.Qdi nn qualcosa di astratto, anche se realmente vissuto e morto.Ma una Persona viva ,risorta... 
Intendo dire che nn dovrbbe esserci il termine religione per me ...parlo per me,naturalmente. In qto Dio è Universale ,e' solo Egli stesso e nessun altro.
La nostra ppartenenza a Dio Uno e Trino,Prima Persona ,Padre di Gesù Cristo, dovrebbe essere cosi' naturale come riconosciamo naturale appartenere al nostro papa' e alla nostra mamma in quanto figli. 
 Alla fine credo che nn ci saranno piu' religioni e qdo Gesù tornera' da noi capiremo che solo LUi e' Vita Via Verita'.Gesù ha fortemente voluto qta Chiesa fondata su Pietro ma qdo dico" di nessuna religione" intendo dire che Dio nn si fa etichettare ,che Lui è Uno ,Trino ,nn esistono altri dei,nn esistono altre verita' che nn la Sua. SEmbra che assumi un atteggiamento di superiorita' nei confronti di chi magari ha scelto di aderire ad un'altra verita'(e lo scrivo in minuscolo)ma in realta' e' una profonda convinzione e certezza datami dslla fede che altro nn è che un atto di fiducia consapevole. Fosse anche piccola qta fede ,e' l'unica certezza che ho. Le altre religioni sono avvicinamenti dell'uomo a Dio.Nella nostra religione(e qui devo per forza usare il termine religione)e' Dio che si è manifestato a noi ,e' Lui che ci ha cercato. Poi Dio ,Gesù ,e' entrato nella Storia,con la S maiuscola . Gli autori storici del tempo quali Tacito ect l'hanno nominato ...in ben in male o anche solo omettendo il suo nome (nn fatemi fare storiografia e storia per favore,perche' nn ne sarei in grado)ma Gesù è dentro la nostra vita....il Suo Santo Spirito ha agito nei cuori degli uomini di buona volonta' .. Il Crocifisso di cui tanto si parla e' l'emblema di qta universalita' e i vostri scritti cari Daniele e Tea lo esprimono molto bene. Tutto qto per chiarire le mie parole sopra riportate.





esatto, noi infatti apparteniamo a Cristo, battezzati siamo stati rivestiti di LUI UNICO SACERDOTE ergo siamo dentro la SUA RELIGIOSITA'... il concetto di religione non deve essere letto in modo negativo perchè è questo senso di appartenenza religioso, innestato dentro il dna di ogni uomo dal suo Creatore, che ha permesso a Dio di scegliersi un Popolo, guidarlo, formarlo.... e che ha permesso al Cristo di portare il tutto a compimento maturando nel concetto di CHIESA la perfezione del contesto religioso dentro la quale operano I LAICI, gente NEL mondo, ma non DEL mondo...

Il termine "religione-religioso" ha di conseguenza una importanza fondamentale quando dobbiamo parlare di Cristo SOMMO SACERDOTE attraverso il quale il Sacerdote compie i RITI RELIGIOSI, applica il concetto di religiosità necessario all'uomo per essere nutrito spiritualmente: I SACRAMENTI.... senza il concetto anche culturale di religione, sarebbe difficile evangelizzare agli altri non cattolici il concetto della Messa e del RITUALE che compiamo...

tu dici:

SEmbra che assumi un atteggiamento di superiorita' nei confronti di chi magari ha scelto di aderire ad un'altra verita'(e lo scrivo in minuscolo)ma in realta' e' una profonda convinzione e certezza datami dslla fede che altro nn è che un atto di fiducia consapevole. 

 non sembra, ma è così....religiosamente parlando il cattolicesimo è superiore ad ogni altra religione...ecco perchè non può essere paragonata alle altre fedi, qui si farebbe un torto a quelle culture che pur cercando Dio e avendone una vaga percezione, NON hanno affatto trovato Dio...ma attenzione NON nei confronti delle persone, ma nei confronti dell'idea di un Dio ancora da trovare.... questa sostanziale differenza a causa delle nostre imperfezioni diventa spesso motivo di inimicizia....

Nelle altre fedi e culture religiose è l'Uomo che cerca Dio, nel Cattolicesimo E' DIO CHE SI E' FATTO UOMO, E' ANDATO INCONTRO ALL'UOMO, GLI SI E' RIVELATO IN PIENEZZA...come tu stessa a ragione hai specificato infatti noi possiamo o accoglierlo o rifiutarlo...

sottolinea infatti enricorn sul Crocefisso:

Certo ma questo segno universale si fa concreto, si fa corpo, nella e per la (attraverso, mediante) Chiesa


 esatto! dice il Salmo in chiave cristologica: UN CORPO MI HAI DATO....e non a caso la Chiesa è stata definita da sempre: MADRE E MAESTRA, Mater et Magistra, Colei che ci ha RIGENERATI mediante il Battesimo e che ci insegna IL VERO UMANESIMO giacchè Cristo rivestendo la nostra umanità l'ha anche dispiegata portandola a compimento, ossia salvandola, nel renderla redenta, e nella Risurrezione... ci sono qui tutti gli ingredienti della religione che da sempre vivono e cercano gli Uomini di ogni tempo....NON C'E' ALTRO DIO ALL'INFUORI DI ME, dice il Comandamento...NON NE AVRAI ALTRI....

Il problema è che spesso si rinchiude il concetto religioso al solo aspetto dottrinale... dimenticando invece l'aspetto dell'UMANESIMO, SACRAMENTALE E SACRALE, quando ciò accade si fanno i danni, si creano le divisioni...ed ecco che il concetto di religione assume un significato diverso DISINCARNATO DALL'INCARNAZIONE DEL CRISTO.......ecco perchè l'uso dei termini è fondamentale... 

dottrina ed umanesimo Cristiano, sono un tutt'uono INDIVISIBILI...diversamente si formano i fondamentalismi....un esempio fra i tanti, il Protestantesimo....così come dentro la Chiesa si sono formate due correnti da 40 anni: tradizionalisti e progressisti...la via giusta è il CONSERVATORISMO, lo spiegava Giovanni Paolo II: "NOI siamo CONSERVATORI perchè trasmettiamo il Deposito della fede che ci è stato affidato e la nostra battaglia è di trasmetterlo INTEGRALMENTE senza eccedere da una parte o dall'altra del suo contenuto...L'autentica religiosità di cui siamo riverstiti non è una idea o una filosofia, ma è la PERSONA CRISTO, in Lui tutto, anche la religione è portata a compimento e noi siamo i conservatori, i custodi di una dottrina che non è più schiavitù di una legge da osservare, MA è UMANESIMO DI CUI RIVESTIRCI..."

(Giovanni Paolo II nel libro scritto da Andrea Frossard)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il segreto di Chesterton secondo Ubaldo Casotto

Come la meraviglia vanificò l'agguato del nulla


Qual è il segreto di una persona? Per scoprirlo bisogna innanzitutto credere che esista un segreto nascosto in ogni persona. Superato questo scoglio - e non è così semplice - la cosa migliore è incontrare questa persona, anzi lasciarsi incontrare da essa, il che equivale, sempre, a lasciarsi sorprendere. Può sembrare paradossale, ma se non si è pronti a lasciarsi sorprendere accade che la vita scorra senza colore né sapore, senza quel tocco di magia che permette agli uomini di gustare appieno l'esistenza, pregustando cioè quella gioia che sta "al di là" ma è anche già segretamente riposta nel mistero dell'esistenza quotidiana.

Ha quindi ragione Chesterton quando afferma che "incontrare un uomo è un'esperienza unica, anche se lo si incontra solo per un'ora o due". Per quasi due ore - che sono volate - Ubaldo Casotto domenica scorsa al teatro Manzoni di Roma ha permesso al pubblico di fare quell'esperienza unica, cioè di incontrare nel senso più pieno del termine un uomo, lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), uno dei giganti della letteratura e del pensiero del xx secolo, spesso trascurato dalla cosiddetta critica ufficiale italiana.

Il giornalista Casotto, attualmente vicedirettore de "Il Riformista", è un "amico" di vecchia data di Chesterton avendo dedicato, tra l'altro, la sua tesi di laurea al romanziere londinese. Il pubblico ha così potuto apprezzare il modo sicuro e il tono familiare con cui il relatore si è mosso all'interno dell'opera di Chesterton per illustrarne i punti cardine, i nodi salienti, le spigolature più significative.

Alcune parole-chiave consentono di offrire l'accesso al segreto dell'inventore di padre Brown:  realismo, tradizione, paradosso, ragione, libertà, visione, meraviglia, mistero, avventura.

Ascoltando le tante citazioni dalle opere principali di Chesterton ci si rende conto che pur non avendo avuto figli naturali, lo scrittore inglese ha avuto però diversi figli spirituali; solo per fare qualche nome:  Clive S. Lewis, John R.R. Tolkien, Michael Ende.

In un discorso pubblico del 1986 proprio Ende, lo scrittore tedesco autore del best-seller fantasy La storia infinita, ha affermato che l'essenza della bellezza risiede nel mistero e nella meraviglia. Niente di più vicino alla sensibilità di Chesterton per il quale la vera avventura nella vita non è sposarsi, ma nascere. Nel momento in cui si nasce, trovandosi accolto in una famiglia, l'uomo entra in un'avventura, in qualcosa che egli non può mai controllare del tutto - per questo la vita non è mai noiosa, neanche quando appare ripetitiva e monotona - s'incammina in un sentiero pieno di indizi e di segni che indicano tutti una stessa direzione, la cui unica spiegazione è l'esistenza di un punto, che non vediamo, verso cui tutte quelle frecce convergono.

La realtà dunque implica l'esistenza del mistero perché la indica continuamente. È qui il problema dell'uomo contemporaneo:  non è che non sa risolvere l'enigma del mondo, è che non vede l'enigma. Il punto sta allora nella visione:  se non si è pronti a lasciarsi sorprendere dal reale, l'alternativa, dice Casotto, è il nulla, il nichilismo, l'indifferenza al tutto nella quale sprofondano le nostre giornate, la nausea e la noia che il mondo e gli altri ci trasmettono - e che noi trasmettiamo - quando manca quello sguardo pieno di stupore e gratitudine. Di fronte al mondo noi dobbiamo essere riconoscenti di ogni cosa perché ogni cosa è stata strappata al nulla.

La nostra scoperta del mondo è un elenco da aggiornare quotidianamente, come quella pagina del Robinson Crusoe:  "Un uomo sopra un piccolo scoglio con poca roba strappata al mare:  la parte più bella del libro è la lista degli oggetti salvati dal naufragio. La più grande poesia è un inventario (...) tutte le cose sono sfuggite per un capello alla perdizione:  tutto è stato salvato da un naufragio". Ed è forte l'eco biblica in questa riflessione di Chesterton che cammina nel mondo come dentro una foresta di simboli, un universo di segni; e, come il bambino, si getta golosamente alla scoperta del reale:  "La vita è un'avventura ma solo l'avventuriero lo scopre".

Eppure Chesterton non nasce cattolico, ma arriva alla fede solo nel 1922, dopo un viaggio lungo e non facile. Sottolinea Casotto che Chesterton abbracciò e capì il cattolicesimo perché fece un uso sempre spregiudicato, cioè largo, della ragione, poiché, per lui, il farsi cattolico "dilata la mente". Si comprende allora facilmente il gusto del giovane Joseph Ratzinger nel leggere Chesterton - come all'epoca facevano tra gli altri anche Montini, Luciani, Wojtyla - e dove nasce l'insistenza dell'attuale Pontefice di sottolineare l'esigenza di "allargare la ragione".

Chesterton ha avuto molti "figli" ma anche diversi "padri", a conferma che non si può dare senso e gusto alla vita se non nel solco di una tradizione. Casotto si è soffermato forse sui due principali:  Francesco d'Assisi e Tommaso d'Aquino anche per il fatto che a entrambi i santi cattolici lo scrittore ha dedicato due splendidi racconti biografici. Francesco e Tommaso, come a dire:  la follia per Cristo e la ragione; lo stupore e il senso profondo della libertà; la spiritualità creaturale e la dimensione sanamente materiale della fede. Chesterton - questo il suo segreto - è riuscito a coniugare tutte queste diverse dimensioni nella sua vita e nella sua vasta opera letteraria. (andrea monda)


(©L'Osservatore Romano - 20 gennaio 2010)
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02/03/2010 15:41
 
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La storia e le ragioni della conversione di Gilbert Chesterton


Intervista a Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana



di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- La Lindau ha appena ripubblicato uno dei libri più famosi di Gilbert Chesterton  la "Chiesa Cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento".

Si tratta del libro in cui Chesterton racconta la sua conversione religiosa avvenuta nel 1922

Con la consueta genialità, ironica e brillante, il grande scrittore inglese racconta la trepidazione della sua anima perennemente in bilico durante le tre fasi che precedono l'ingresso nella Chiesa di Roma: l'assunzione di un atteggiamento intellettualmente onesto nei confronti di essa, quindi la sua progressiva e irresistibile scoperta e infine l'impossibilità di abbandonarla una volta entratovi.

Per Chesterton il cattolicesimo è una forza sempre nuova, in grado di competere con le altre religioni (oltre che con le altre confessioni cristiane) e con le ideologie prodotte dalla modernità dei suoi tempi (socialismo, spiritismo).

Al termine del pellegrinaggio lo scrittore inglese arriva alle stesse conclusioni del Pontefice Benedetto XVI, scoprendo che il fondamento della autentica universalità della Chiesa risiede nella razionalità e nella libertà del cattolicesimo.

Nell'introduzione al volume Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana, ha scritto che "quando Chesterton parla di religione, ne parla sempre a partire dalla ragione e dalla vita. Non fa un ‘discorso ecclesiastico' o clericale. Può partire da un pezzo di gesso, un dente di leone o un tramonto per arrivare al rapporto di ciascuno di noi con il Mistero. Perché per lui fu così: il Mistero che fa tutte le cose si manifestò nella sua vita attraverso gli umili ma potenti segni dell'allegria familiare, del gusto del bello scorto nelle cose di tutti i giorni".

Per conoscere a fondo Chesterton e le ragioni che lo portarono alla conversione, ZENIT ha intervistato Marco Sermarini, uno degli italiani che più hanno studiato l'autore inglese.

Perché ha caldeggiato e introdotto questo libro?

Sermarini: E' una delle opere che riescono meglio a far capire il pensiero di Chesterton sul fatto religioso, anzi, sulla sua adesione piena di ragione e di cuore al cattolicesimo; e soprattutto perché è molto utile oggi alle persone che si troveranno a leggerla.

A chi la fede già l'ha avuta in dono, perché permetterà di ripercorrerne le ragioni fondanti. A chi non ce l'ha ma la desidera, perché comprenderà quanto essa sia importante in aiuto alla ragione. A chi non ce l'ha e neppure la cerca, perché troverà un cattolico contento, arguto, intelligente e pure simpaticissimo in grado di fargli venire la voglia di averla.

Chesterton è ancora attuale oggi? Quali sono le opere e i concetti che lo rendono moderno?

Sermarini: Credo di avere in parte risposto. Tante volte tra amici ci troviamo a dire che ci vorrebbe un Chesterton (e vi assicuro che non ce n'è uno alla sua altezza, nessuno si offenda: troppo intelligente, troppo simpatico, troppo leggero e serio al tempo stesso, troppo battagliero e lontano dalle seduzioni di "destra sinistra centro"), ma poi scopriamo che se ci fossero sempre più chestertoniani in giro a far conoscere il suo pensiero sarebbe già molto più di qualcosa.

Ossia, se si riuscisse a far conoscere sempre più il suo pensiero, tutti se ne gioverebbero moltissimo. Infatti, in maniera apparentemente inspiegabile ci troviamo spesso a leggere nelle sue opere cose che stanno accadendo oggi, e che lui cento anni fa aveva già viste e capite. L'inspiegabilità è solo apparente, perché Chesterton aveva un'intelligenza acutissima illuminata da una fede cristallina, e quindi riusciva a leggere molto più lontano di tanti altri quello che già era iscritto nei fatti che stava vivendo e nelle idee del suo tempo.

Fra le sue opere le più rappresentative sono Ortodossia, Autobiografia, Uomovivo, la "saga" di Padre Brown e altre ancora. Ciò che lo caratterizza in modo assoluto è l'uso rigoroso della ragione dietro i fuochi artificiali dei suoi paradossi e della sua scoppiettante ironia. Stanley Jaki, letta l'Ortodossia e in particolare il capitolo "The Ethics of Elfland" (La morale delle favole), disse che quello era il modo assolutamente più sano di usare la ragione... scusate se è poco.

Quali sono le ragioni della sua conversione dall'anglicanesimo al cristianesimo? Quante di queste ragioni sono ancora valide e in che modo molti anglicani potrebbero rientrare nella Chiesa cattolica ripercorrendo il cammino di Chesterton?

Sermarini: I motivi della sua conversione vanno letti in Ortodossia, nella sua Autobiografia e nel libro che ho avuto la gioia di presentare. Chesterton fu battezzato anglicano, ma la famiglia aderì alla fede unitariana. In seguito egli si abbandonò ad una sorta di scetticismo che lo portò, complice anche la frequentazione con ambienti esoterici ed il clima culturale dettato dal decadentismo, sull'orlo della più insana delle idee.

Successivamente ad una sorta di esperienza mistica descritta in una lettera al suo carissimo amico Edmund Clerihew Bentley (vi si afferma che "è imbarazzante parlare con Dio faccia a faccia come si parla con un amico..."), Chesterton comprende il valore immenso della vita, qualunque ne sia la "qualità" o il "livello", e da ciò nasce la gratitudine che egli si darà come compito e vocazione della sua vita. Dirà nel suo diario giovanile di voler passare il resto della sua vita a ringraziare Dio di tutto (cosa che fece, in realtà).

Si riavvicinerà prima alla chiesa anglicana grazie alla moglie Frances Blogg, che ne era una sincera fedele, e ad alcune figure di pastori particolarmente significative. Successivamente, grazie alla frequentazione con l'amico di una vita Hilaire Belloc e con padre John O'Connor (che gli ispirerà il padre Brown degli omonimi Racconti), conosce sempre meglio il cattolicesimo ed inizia a difenderlo con le sue opere. Ortodossia è la punta di diamante della sua produzione in questo versante.

Dico sempre che andrebbe messa in programma nei seminari e nelle università cattoliche come materia di studio, potrebbe solo fare del gran bene. Per anni fu considerato cattolico pur non essendolo ancora, tanto che la notizia della sua conversione nel 1922 colse moltissimi di sorpresa e creò non poche "prese di distanza", non ultima quella di George Bernard Shaw che gli disse: "No, Gilbert, ora stai andando troppo avanti...". Il cattolicesimo per lui è la cosa cercata da gran tempo, come colui che crede di trovare una nuova esotica terra e invece riscopre la sua cara vecchia patria. Il cattolicesimo è la pienezza del cristianesimo, per Chesterton, ed è questo il motivo tuttora attuale che chiunque può adottare nel fare un passo simile a quello di Gilbert.

Chi sono gli unitariani e perché la loro negazione della divinità di Cristo è oggi così diffusa anche in ambiti vicini alla Chiesa cattolica?

Sermarini: Chesterton da giovane frequentò la Chiesa Unitariana, seguendo padre e madre. Gli unitariani predicano una sorta di cristianesimo privato dello scandalo inaccettabile della divinità di Cristo, fatto di amicizia, concordia e pace ma allontanato dalla loro vera autentica scaturigine.

Oggi sembra un'eresia tornata di moda, complice il dilavamento nei discorsi di uomini di Chiesa della sana dottrina (quella che Chesterton nell'Ortodossia vede sintetizzata nel Credo degli Apostoli) ad una sorta di morale civile di più alto rango, il che fa comprendere come mai il senso comune chestertoniano non sia più di casa in certi ambienti mentre passano con facilità tante idee distorte, quali eutanasia, eugenetica, opzioni libere nel cosiddetto orientamento sessuale, tanta intolleranza verso il cattolicesimo vero.

In che modo e perché Chesterton potrebbe aiutare nel rafforzamento della fede cristiana?

Sermarini: Chesterton era integralmente cattolico, intelligentemente cattolico, cordialmente cattolico, allegramente cattolico: chi meglio di lui potrebbe aiutarci? Tra amici spesso diciamo che Chesterton potrebbe essere considerato il San Tommaso d'Aquino del XX e del XXI secolo. Era buono e molto allegro ed amava tutti, anche i suoi avversari culturali (basterà guardare alla sua sincera amicizia con Shaw, Wells e tanti altri personaggi molto distanti da lui culturalmente).

Ci sono delle persone in Gran Bretagna che si stanno organizzando per chiedere la beatificazione di Chesterton. Lei che cosa ne pensa? L'Associazione che lei dirige sta pensando di promuovere iniziative per caldeggiare tale beatificazione?

Sermarini: Nel mondo anglosassone già da qualche tempo si parla della "santità di Chesterton": tanti sono gli indizi che ci fanno pensare che egli abbia vissuto in maniera esemplare la fede cattolica, basti solo elencare le personalità che gli debbono a loro volta la fede, acquistata dopo la lettura delle sue opere: sir Alec Guinness, Clive Staples Lewis, Joseph Pearce e tanti altri.

Molti di noi debbono tanto a Chesterton, per cui già gira una preghiera per chiedere al Signore di manifestare la Sua gloria in Gilbert, che non era solo un grande intellettuale, ma era soprattutto un uomo straordinariamente buono, dal cuore innocente di bambino. Chi vuole può trovare la preghiera nel nostro blog (http://uomovivo.blogspot.com) e in quello della Società Chestertoniana Inglese (in quest'ultimo tradotta in varie lingue). Noi non vogliamo anticipare il giudizio della Chiesa, ma per noi è un grande amico già da adesso, per il mistero della Comunione dei Santi. Inoltre presto uscirà un libretto di preghiere commentate da alcune citazioni di Chesterton, Le preghiere dell'Uomo Vivo, per i tipi di Fede & Cultura.

A Settembre il Pontefice Benedetto XVI si recherà in Gran Bretagna. In che modo la vicenda e le opere di Chesterton potrebbero aiutare la sua opera di nuova evangelizzazione? 

Sermarini: Papa Benedetto fa spessissimo delle uscite... chestertoniane (una volta lo ha anche citato, seppure senza nominarlo), e a Chesterton lo accomuna proprio l'idea dell'amicizia tra fede e ragione ed il considerare la fede cattolica come la più avvincente delle avventure. La Gran Bretagna ha un grande bisogno di Chesterton: deve ritrovare il senso comune, l'amore per le sue vere radici, la sua originaria allegrezza. Chesterton potrebbe essere una delle punte di diamante avanzatissime di un ritorno degli inglesi alla fede cattolica, assieme al venerabile John Henry Newman, al cardinale Manning e a tanti altri che hanno fatto e continuano a fare il passo di Gilbert.

Fraternamente CaterinaLD

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Tradotto per la prima volta integralmente in italiano "The Catholic Church and Conversion" di Gilbert Keith Chesterton

L'architetto della certezza


di Paolo Pegoraro

Gilbert Keith Chesterton aveva 48 anni quando si convertì alla Chiesa di Roma. Il fratello Cecil e alcuni amici erano approdati al cattolicesimo parecchi anni prima; e qualcuno, proprio grazie alle opere di Gilbert. Cosa, allora, lo trattenne così a lungo? Fu, in buona parte, per il debito di gratitudine verso la moglie Frances. Chesterton, racconterà nella sua Autobiografia, si formò in un contesto di rispettabilità atea.
Anche i genitori, nonostante l'adesione al culto unitariano, erano scettici nei confronti del soprannaturale. Non che questo potesse impedire al ventenne Gilbert di sperimentare "la solidità oggettiva del peccato":  attacchi depressivi, un'ossessione morbosa per l'iconografia del male, compagni di college che negavano la distinzione tra giusto e sbagliato, la deriva spiritistica e l'impiego per alcuni mesi in una casa editrice specializzata in occultismo andavano formando in lui una concezione della vita tutt'altro che attraente. Il biennio 1894-95 fu particolarmente cupo. Chesterton cercò di arginare questa "congestione dell'immaginazione" con la sua peculiare dottrina del ringraziamento, secondo la quale qualsiasi cosa era migliore del nulla. Ai suoi occhi era, però, una palese compensazione:  "Chiamavo me stesso ottimista, perché mi trovavo così orribilmente vicino ad essere pessimista".

L'aiuto più solido e duraturo per uscire da quella situazione di stallo gli venne dall'esterno:  nell'autunno 1896 conobbe la sua futura moglie, Frances Blogg. Fu amore a prima vista. Frances era una fervente anglocattolica e Gilbert le fu eternamente grato per averlo traghettato dall'unitarianesimo alla Chiesa d'Inghilterra. Scoprì così che la sua rabberciata "filosofia del ringraziamento" era già stata sistematizzata in secoli di cristianesimo. Fu grazie a padre John O'Connor, però, che Gilbert conobbe la peculiarità della Chiesa cattolica:  era l'unica religione che osasse scendere con lui fino al fondo di se stesso.

Il cattolicesimo ne sapeva più di lui non solo intorno al bene, ma perfino intorno al male. E quando, dopo la conversione, gli verrà chiesto perché fosse passato alla Chiesa di Roma, Chesterton risponderà che "non v'è nessun altro sistema religioso che dichiari "veramente" di liberare la gente dai peccati".

Il confronto con la Chiesa cattolica si fece più serrato intorno al 1910:  Gilbert cominciava a manifestare il desiderio di entrarvi formalmente e suo fratello Cecil compì il passo un paio di anni dopo. A trattenere Gilbert fino al 1922, come egli confidò, fu proprio il timore di ferire profondamente Frances, pregiudicando ai suoi occhi l'anglocattolicesimo come "qualcosa d'insufficiente".

D'altra parte, Chesterton covava ancora incertezze dottrinali. Il suo atteggiamento nei confronti della fede era una simpatia prevalentemente sentimentale, come notò Hilaire Belloc. La conversione di una mente prodigiosa come la sua doveva infilarsi in una strettoia necessaria, la consapevolezza di non vivere tra credi tutti uguali in un cosmo indifferente:  "Il punto non è davvero cosa un uomo sia costretto a credere, bensì che cosa debba credere; che cosa non può fare a meno di credere".

Acquisire sempre maggiore chiarezza gli richiese tempo e studio. Si tuffò negli scritti di John Henry Newman e di san Tommaso d'Aquino.

Sulle sue labbra non fu uno slogan affermare che "diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo". Fu una vera fatica intellettuale, che paragonò allo studio di teoremi matematici; quando ne riemerse - sempre secondo Belloc - era "un architetto della certezza". Nel 1922, infine, lacerato tra l'obbligo morale a riconoscere la verità e l'amore per la moglie, Chesterton chiese a padre O'Connor di sondare il terreno. Saputo che Frances ne sarebbe stata sollevata si fece battezzare quattro giorni dopo. Frances lo avrebbe seguito il primo novembre 1926. L'anno seguente sarebbero comparsi The Catholic Church and Conversion e il quarto volume del ciclo di padre Brown, dedicato proprio a padre O'Connor, dove più nettamente il protagonista compare per quello che è:  un sacerdote cattolico.

La prima opera nella quale Chesterton racconta le ragioni della sua svolta, torna ora nelle mani del lettore italiano - per la prima volta con una traduzione integrale - con il titolo La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento (Torino, Lindau, 2010, pagine 128, euro 13) e una bella prefazione di Marco Sermarini, presidente della Società chestertoniana italiana. Particolarmente interessanti le pagine nelle quali Chesterton descrive le grandi "stagioni esistenziali" della conversione.

Dopo aver messo in dubbio i luoghi comuni disseminati da secoli di propaganda e aver constatato sulla base dell'esperienza la verità del cattolicesimo, cominciò per Gilbert la fase "più vera e terribile", quella in cui cercò di sottrarsi alla conversione. In quell'ultimo periodo tutto appariva ristretto, visto come attraverso una feritoia. Eppure, una volta entratovi, Chesterton constatò che "la Chiesa è molto più grande dentro che fuori", niente meno che "un continente" con dentro "tutto, persino le cose che si rivoltano contro".

Nella Chiesa di Roma lo scrittore inglese riconobbe l'interezza, opposta a questo o quel singolo dogma cavalcato fino allo sfinimento, e la lungimirante sapienza, che permette all'uomo di sottrarsi a mode intellettuali che si danno il cambio ogni 30 o 40 anni, e si rivelano essere solo vecchi errori. In confronto alla Chiesa di Roma niente gli appariva altrettanto ampio, niente così nuovo e familiare:  era come "se un uomo trovasse il suo salotto e il suo focolare nel cuore della Grande Piramide". Dove andrei ora - si chiede infine Chesterton - se abbandonassi la Chiesa cattolica? L'unica alternativa sarebbe stata tornare al paganesimo:  fuggire nei boschi gridando "che quella particolare vetta alpina o albero in fiore è sacro e va venerato".


(©L'Osservatore Romano - 12-13 aprile 2010)
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Nelle indagini del prete nato dalla penna di Chesterton il confronto con misteri non solo polizieschi

Perché padre Brown ha scelto di fare il detective


È appena uscito in libreria Figure spirituali. Volti e voci dell'esperienza religiosa nella creazione letteraria (Padova, Edizioni Messaggero, pagine 111, euro 9). Ne pubblichiamo un capitolo.

di Lucio Coco


Una delle fatiche più grandi per un prete o per un religioso è quando, fuori dalla chiesa o dalle mura della casa che lo ospita, deve dar conto dell'esistenza di Dio. Dov'è il tuo Dio gli possono chiedere in ogni momento. Una domanda a bruciapelo, contro la quale c'è poco da rispondere. Essa è simile a quella della crocifissione:  "Se sei Dio, salva te stesso" (Matteo, 27, 40). Una prova, dimostrami che la tua vita non è fondata sul nulla. L'obiezione muove da una constatazione evidente. Noi non possiamo dire Dio, come si indica una matita.

Tutto parla di Dio, ma niente lo rivela come qualcosa che si può percepire con i sensi. Un prete dovrebbe forse tentare di rispondere così agli attacchi che gli vengono mossi e che anche per lui questo contenuto è lo stesso su cui si interrogano tutti. Anche per il prete esso non è mai una proprietà sicura. Come ci insegna l'esperienza di tutti i giorni, Dio è davvero un possesso difficile ma sicuramente l'unico per il quale vale la pena spendere la vita. E il tesoro che deve essere sempre scoperto, il campo che deve essere sempre venduto per poter correre a comprare quello che nasconde la pietra preziosa (Matteo, 13, 44), la verità che deve essere sempre trovata.
 
Forse per questo, padre Brown, il protagonista degli omonimi racconti di Gilbert Keith Chesterton, ha scelto di fare il detective. Il lettore infatti presto si accorge che il caso e la sua soluzione sono solo un pretesto per altre riflessioni. Egli lascia sempre che si affacci dentro le sue indagini un mistero maggiore di quello che l'enigma poliziesco gli propone al momento.

Molto spesso è nel presagio dei cieli che egli costantemente scruta nelle sue storie:  "Dal luminoso e profondo verde del cielo traspariva qualche stella"; "I lauri (...) si  stagliavano  contro  il  cielo  di  zaffiro e la luna argentea mostrava i vivi colori del sud persino in quella notte"; "Il color viola vivo del cielo e l'oro pallido della luna si attenuavano sempre  più,  svanivano  in  quel  vasto cosmo impallidito che precede i colori dell'alba".

È attraverso questo sguardo sull'infinito che anche le nature più razionali e logiche possono intuire qualcosa che va al di là delle loro competenze scientifiche e settoriali. Così accade, per esempio, al più famoso ispettore di polizia di Parigi, il commissario Aristide Valentin, il quale in un passaggio scarsamente significativo per le indagini, quando incrocia il suo sguardo con "la luce tagliente che lottava con gli ultimi brani della nuvolaglia, avanzo di una tempesta", si ferma a fissarla con una attenzione insolita per un carattere formato scientificamente come il suo, "ma forse - aggiunge Chesterton - tali nature scientifiche hanno un qualche psicologico sentore del più tremendo problema della vita".

Altre volte questo mistero forma una trama indecifrabile. Come dare, per esempio, una risposta alla questione del male nel mondo e del destino ingiusto che rende tristi le vite dei buoni e fa prosperare quelle dei malvagi? Sono le domande che ogni prete deve sempre fronteggiare:  oltre all'esistenza di Dio, il perché del male e dell'ingiustizia; a lui più che ad altri se ne chiede il motivo. La sapienza di padre Brown, il piccolo prete di un villaggio dell'Essex, vuole indicarci una via e ci invita a leggere in questi fatti come nel rovescio di un arazzo:  "Le cose che qui accadono sembra che non abbiano alcun significato; parlo di ciò che avverrà in un altro luogo. In qualche luogo il vero colpevole sarà punito. Qui, il danno sembra colpire una persona invece dell'altra".

Il richiamo al mistero e alla sua decifrazione ha anche straordinari effetti pratici perché aiuta a risolvere molti casi complicati e difficili:  "La mente moderna confonde sempre tra loro due idee diverse:  mistero nel senso di ciò che è meraviglioso, mistero nel senso di ciò che è complesso". Il complesso in questo caso non è altro che la ripetizione ossessiva di schemi razionali; esso costruisce labirinti da cui è impossibile uscire, è un sinonimo di complicato.

La ragione, intesa in questo modo, genera gabbie nelle quali anche l'investigatore più abile rischia di restare imprigionato. Padre Brown invece cerca il sorprendente che riorganizza tutto attorno alla semplicità di un nuovo punto di vista e realizza ogni volta il miracolo della soluzione ("Un miracolo è sorprendente ma è semplice"). La logica apparente del reale è costantemente visitata e messa in crisi da un'altra logica che il prete latino riesce a scorgere sotto la traccia spesso fuorviante del visibile.

Padre Brown gioca continuamente con questo rovesciamento:  "La sua testa acquistava il massimo del suo valore allorché la perdeva". Egli deve fare continuamente i conti con la non-ragione per potere esplorare il mistero che altrimenti rimarrebbe per sempre precluso al detective, insieme con la possibilità di risolvere il caso. Il nuovo ordine che segue alla scoperta contiene dentro di sé questo elemento rovescia-to, che non era stato considerato fino a quel momento e che con il suo apparire ha il potere di far vacillare e sconvolgere la realtà solita, la quale nell'esperienza di alcuni suoi personaggi risulta così trasformata in "un universo pazzo che turbina attorno ai loro orecchi", oppure ad altri può dare l'impressione "di assistere al crollo di ogni ragionevolezza, come se l'universo diventasse tutta una pagliacciata".

Eppure non c'è niente di irrazionale in questo ribaltamento. Niente di casuale perché tutto si riorganizza attorno alla verità come dimostra la soluzione di ogni caso. Negli infiniti mondi possibili che lasciano immaginare i cieli che padre Brown interroga la sera, non c'è niente di irragionevole:  "La ragione - egli ci dice - è sempre ragionevole, anche nell'ultimo limbo, anche al limite ultimo delle cose". Dio stesso non può sfuggire a questa logica.

Credere, per padre Brown, non significa svalutare la ragione, mettendole vicino qualcosa che la impedisce e la ostacola. Credere significa affermare questa fede nella ragione creatrice che ha fatto il mondo con un progetto intélligente; è scoprire "che Dio stesso è legato alla ragione":  attaccare la ragione equivale sempre "a fare cattiva teologia". Tutta l'arte poliziesca di padre Brown consiste proprio in questo, nello svelare le contraddizioni dell'impossibile e nell'affermare la ragione come unica possibilità dell'essere.

"La gloria del cielo s'addensava e diveniva sempre più profonda". Il cielo che Chesterton descrive comprende sicuramente infiniti mondi, ma questa infinità è un fatto puramente fisico, essa non può ammettere in nessun punto dell'universo la contraddizione e il caos, tanto che, a chi gli obietta che il mistero del cielo è impenetrabile e che "altri mondi possono elevarsi più in alto della nostra ragione", il prete cattolico può rispondere con una reductio ad Unum simile nei modi a quella che gli permette ogni volta di chiudere anche i casi più difficili, che l'universo è "soltanto fisicamente infinito, non infinito nel senso che sfugge alle leggi della verità". La ragione e la giustizia comprendono anche le stelle più lontane e solitarie, questo ci insegna la metafisica di padre Brown, e dovunque, nel prossimo come nel lontanissimo, si deve ripetere sempre il miracolo della verità di Dio.


(©L'Osservatore Romano - 18 luglio 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Chesterton, i miracoli e la Madonna di Bra

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Madonna di BraChesterton, i miracoli e la Madonna di Bra

di Matteo Carnieletto

L’esistenza dei miracoli – lo si voglia o no – è una questione di buonsenso. Parola di G.K. Chesterton. Il ragionamento, in fin dei conti, è semplice: «chi crede nei miracoli li accetta (a torto o a ragione) perché ne ha delle prove. Chi non crede nei miracoli non li accetta (a torto o a ragione) perché ha una dottrina contro di essi». È corretto e democratico,

continua Chesterton, credere a una vecchia fruttivendola che ci parla di un miracolo, tanto quanto credere ad una vecchia fruttivendola che racconti di aver assistito ad un assassinio.

È corretto e democratico credere ad un contadino sull’esistenza dei fantasmi, tanto quanto credere ad un contadino sull’esistenza del suo padrone. Uno è liberissimo di non credere alla storia del contadino, ma i casi sono due: «o rifiutate la storia del contadino sul fantasma perché il testimone è un contadino, oppure perché è una storia sui fantasmi. Vale a dire che, o negate il principio basilare della democrazia o affermate il principio basilare del materialismo: l’impossibilità astratta del miracolo. Avete tutto il diritto di farlo, ma in tal caso siete voi i dogmatici. Siamo noi cristiani ad accettare tutte le prove reali, mentre siete voi razionalisti che rifiutate le prove reali perché costretti a farlo dal vostro credo».

Lo scorso primo di gennaio, la Fraternità Sacerdotale San Pio X ha organizzato un pellegrinaggio a Bra dove, il 29 dicembre 1336, accaddero i fatti che ora narreremo. Una giovane donna incinta – Egidia Mathis – mentre era sulla via di casa, si fermò a pregare presso un’edicola, avvolta dai pruni, in cui era rappresentata la Vergine con in braccio il Bambino. Dei soldati malintenzionati – appostati nei paraggi – si diressero verso la donna, ma – prontamente – Egidia abbracciò il pilone e invocò il Santissimo nome di Maria. Apparve quindi una «dignitosa matrona», avvolta in un manto di candida luce, che fece scappare i soldati.

A causa dello spavento, Egidia partorì nei pressi dell’edicola, mentre la Donna che era apparsa «provvide abbondantemente ai bisogni dell’accelerato parto e, continuando la pietosa opera, fu tutta intenta a provvedere i lini opportuni al neonato ed a ristorare la madre». La Donna misteriosa sparì ed Egidia – ripresasi dallo spavento e dalle fatiche del parto – tornò a casa per raccontare ai familiari quanto era successo. I parenti di Egidia si diressero verso l’edicola e, giunti sul luogo, rimasero stupiti: i rami dei pruni, nonostante fosse inverno, erano costellati di fiori bianchi.

Da quell’anno, i pruni cominciarono a fiorire, puntuali, pochi giorni prima della fine di dicembre e, in alcuni casi, nei giorni che precedono l’8 dicembre, giorno in cui si celebra la festa dell’Immacolata Concezione. Solo in gravi momenti storici, come nel 1877, in occasione dell’agonia di Pio IX, nel 1914 e nel 1939 (gli anni dello scoppio delle due Guerre Mondiali), i pruni non fiorirono.

Uno è liberissimo di non credere che Dio può far sbocciare quei fiori candidi nel pieno dell’inverno. Ma noi,  di fronte all’ostinazione con cui questi fiori continuano a nascere nel freddo pungente di dicembre, vediamo il miracolo e ringraziamo Dio per questo dono. I fiori che ogni anno sbocciano a Bra ricordano quanto scritto da Chesterton sulle ripetizioni in natura: «Può darsi che ogni mattina Dio dica: “fallo ancora” al sole e ogni sera dica: “fallo ancora” alla luna. Forse non è un’automatica necessità a rendere le margherite tutte uguali, forse Dio crea ogni margherita separatamente, ma non si stanca mai di farlo.
 
Probabilmente possiede in eterno lo stesso entusiasmo dell’infanzia; noi siamo invecchiati perché abbiamo peccato e nostro Padre è più giovane di noi. Nella natura la ripetizione può non essere un semplice ripresentarsi di un evento, può essere un bis come a teatro». Ed è per questo che ogni anno a Bra Dio ci dona questo splendido bis.



Fraternamente CaterinaLD

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27/01/2011 00:16
 
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Chesterton, era un santo?


di Marco Sermarini

ROMA, venerdì, 7 gennaio 2011 (ZENIT.org).- E' uscito da qualche settimana il volume "The Holiness of G. K. Chesterton", frutto della conference dello scorso anno della Società Chestertoniana Inglese sulla "santità" di Gilbert Keith Chesterton (1874 - 1936), lo scrittore inglese convertito al cattolicesimo autore de I Racconti di Padre Brown e di un vasto numero di pubblicazioni in cui fede e ragione sono coniugate costantemente in reciproco accordo.

Si indaga sulla santità di questo uomo grande nel senso di grosso ma anche nel senso di gigante della fede, visto che sono in molti a sospettare che, dietro il suo corpaccione e la sua allegria contagiosa, si celi un vero eroe del cattolicesimo.

L'impulso è partito da oltre l'Oceano Atlantico, visto che William Oddie, attuale presidente della Società Chestertoniana Inglese, editorialista del Catholic Herald, curatore ed editore del volume, il quale ha preso sul serio la seguente domanda posta da uno dei partecipanti ad un incontro negli USA sull'autore inglese a cui era intervenuto come relatore: "Come va la causa di beatificazione di Chesterton?".

Oddie dovette precisare che non c'era nessuna causa perché non ci sarebbe stata nessuna evidenza o prova della "santità" di Chesterton. Gli fu obiettato che una sala piena di circa quattrocento persone riunite a causa di Chesterton non poteva che essere una tale evidenza.

Oddie prese quindi sul serio la cosa e organizzò nel luglio 2009 una delle conference della Società da lui presieduta sull'argomento invitando alcuni degli studiosi di lingua inglese che più hanno prodotto sull'argomento. Il volume ne è la sintesi. E' curato ed edito dallo stesso Oddie e riporta gli interventi programmati per la due giorni del 2009.

G. K. Chesterton fu uno degli scrittori inglesi del XX secolo più provocatori e amati, noto per la sua attività di giornalista - che lo fece conoscere al grande pubblico - e per i suoi saggi e romanzi. Gli italiani devono sapere che già negli anni '10 del secolo scorso un grande anglista come Emilio Cecchi lo presentò su La Ronda di Prezzolini e Papini pubblicandone a puntate il meraviglioso Le Avventure di un Uomo Vivo, ritornato di recente al grande successo con il titolo originale di Uomovivo e la nuova traduzione resa da Morganti Editori, che ne ha già tirate ben due edizioni in pochi mesi.

Autore di un'ottantina di volumi, circa duecento brevi racconti, almeno quattrocento saggi ed alcune opere teatrali, fu paladino della fede cattolica stretta per mano alla ragione già prima del suo ingresso nella Chiesa di Roma nel 1922 (si veda in proposito il suo capolavoro assoluto Ortodossia, riedito di recente da Lindau in una nuova traduzione). La sua opera è specchio dello stupore e della gioia ritrovate nella loro vera casa.

Uno dei frutti del nascente movimento verso questo brillante scrittore, un interesse decisamente unico è una preghiera, nata in ambiente anglofono ma che già circola negli ambienti chestertoniani di tutto il mondo e tradotta anche in italiano, che parla esplicitamente della fede, della speranza e della carità di Chesterton come fatti evidenti ed utili a tutti coloro che lo hanno in qualche modo incontrato.

Il volume si chiede se queste e tante altre cose siano terreno per considerare la sua canonizzazione, ma tra gli appassionati di Chesterton si osserva che uno dei frutti della lettura delle sue opere è proprio quello del consolidarsi della fede, anzi, dello strutturarsi del cattolicesimo in forma di ragionevolezza. Qualcuno a questo proposito lo ha anche definito "il San Tommaso d'Aquino del XX e del XXI secolo", visto che si ritiene che il suo genio non abbia pari anche oggi.

E' indubbia e numerosa la schiera di persone più o meno note che debbono a lui la conversione al cattolicesimo o più in generale il ritorno alla fede cristiana (mons. Ronald Knox, Clive Staples Lewis, Marshall McLuhan, Joseph Pearce, sir Alec Guinness solo per citare i più noti).

William Oddie, nelle prime righe della sua introduzione, riferisce di un episodio occorso a Maisie Ward prima biografa di Chesterton, che incontrò una vicina di casa del grande scrittore inglese nei giorni successivi alla sua morte e che lo apostrofò subito come "una sorta di santo" la cui vicinanza ("il solo stendergli il cappello", dice la testimone) "faceva sentire maestosi".

L'episodio somiglia molto a quello che interessò un santo molto popolare, il beato Pier Giorgio Frassati, riconosciuto tale da una delle donne di servizio di casa che appuntò sul calendario il giorno stesso della sua nascita al cielo "oggi è morto un santo". La fama di santità è uno degli elementi principali per l'inizio di un processo canonico che valuti quanto un uomo si sia avvicinato alla perfezione cristiana.

Il vero e proprio endorsement della causa chestertoniana Oddie l'ha fatto con un articolo pubblicato sul Catholic Herald all'indomani della visita di Papa Benedetto XVI in Inghilterra lo scorso settembre per la beatificazione del cardinale John Henry Newman, e l'eloquente titolo era: "Chi sarà il prossimo, ora che Newman è stato elevato agli onori degli altari? Sicuramente può essere solo Chesterton".

Oddie intravede delle similitudini tra la vicenda del cardinale inglese e quella dell'autore di Ortodossia, tra cui il fatto che si tratta di due intellettuali di cui inizialmente tutti ammiravano le doti strettamente culturali ma pochi coglievano l'aspetto della santità, oltre che la partenza dal basso dell'interessamento per una simile "elezione".

Il volume fa luce sullo spirito d'infanzia e la metafisica della meraviglia (argomento a cura di John Saward), l'humour e la santità in Chesterton (di Ian Ker), il cristiano come Dottore della Chiesa (con il saggio di padre Aidan Nichols, domenicano inglese già autore del volume Chesterton, Theologian). Nicholas Madden e il gesuita padre Bob Wild si chiedono inoltre se Chesterton fosse un mistico (e pare ve ne siano delle prove) e Sheridan Gilley svolge il tema "Chesterton: Il giornalista come santo".

C'è pure un'interessante appendice dal titolo "Il filosemitismo di G. K. Chesterton", che va a contrastare la diceria diffusa in ambiente inglese sul suo presunto antisemitismo, che riteniamo infondata proprio a fronte delle sue numerose amicizie di una vita intera con molti ebrei.

Il volume allo stato attuale è solo in lingua inglese, anche se ci sono alcuni editori italiani che stanno prendendo in esame la sua traduzione e pubblicazione, visto il crescente interesse sull'argomento Chesterton.

In Italia in questo momento sono almeno cinque o sei gli editori che stanno lavorando con costanza sull'autore inglese e si posso registrare diverse sue opere tradotte ed edite contemporaneamente da più di un editore.


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Dal bambino non nato…

Se ci fossero alti tronchi d'albero e ciuffi d'erba bassa,
come nella fantasia di certe fiabe,
e se più oltre si scorgesse a tratti un mare blu
a rompere la pallida linea dell'orizzonte,

se ci fosse una palla di fuoco appesa in aria
a riscaldarmi durante il giorno,
e se una folta chioma verde ondeggiasse sulle valli,
là saprei cosa fare.

Me ne sto nel buio: sognando che esistano
grandi occhi severi o gentili,
e strade storte e porte silenziose,
e uomini vivi dietro ad esse.

Che venga la bufera: meglio un'ora,
e poter piangere e combattere,
piuttosto che questo infinito vuoto
a misurare l'impero della notte.

Penso che se mi permettessero
di stare in quel mondo
sarei buono per un tempo pari
a questo lungo giorno nel regno delle fate.

Non udrebbero da me una sola parola
di egoismo o disprezzo,
se solo riuscissi a trovare la porta,
se solo nascessi.


(Poesia di Gilbert Keith Chesterton, traduzione di Annalisa Teggi)

dal sito www.chesterton.it




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Affinità e differenze tra Papa Benedetto XVI e G.K. Chesterton


Una lettura chestertoniana del pontificato di Benedetto XVI


di Paul De Maeyer

ROMA, martedì, 7 febbraio 2012 (ZENIT.org).- Presso l'Oratorio dei Padri Filippini in via Lomellini di Genova si terrà sabato 11 febbraio il convegno “Common Sense Day. La paradossale bellezza del quotidano. Una giornata per G.K.Chesterton”.

A concludere la kermesse dedicata interamente al grande scrittore e pensatore inglese sarà Andrea Monda, professore di religione e di “letteratura e cattolicesimo” della Pontificia Università Lateranense, con una relazione su “Buon senso, buona vita e buon umore: G.K. Chesterton e Benedetto XVI”.

Nel corso del suo intervento il prof. Monda fornirà delle anticipazioni del suo prossimo saggio che verrà pubblicato a metà marzo dalla casa editrice Lindau “Benedetta umiltà. Le virtù semplici di Joseph Ratzinger”, una lettura “chestertoniana” del pontificato di Benedetto XVI.

ZENIT lo ha intervistato.

Che relazione c’è tra Chesterton e Joseph Ratzinger?

MONDA: Il giovane Joseph Ratzinger ha letto e apprezzato diversi libri di Chesterton e infatti qua e là, sia prima che dopo l'elezione pontificia, emergono citazioni dirette o indirette dell'opera dell'inventore di padre Brown. Ma quello che ho cercato di fare nel libro e che farò a Genova non è tanto una ricostruzione filologica di queste citazioni, quanto un piccolo ragionamento che si sviluppi, partendo dalle due figure del pensatore inglese e del teologo e pontefice bavarese, attorno ad alcuni temi che poi intersecano quelli posti al centro dell'attenzione dagli organizzatori del convegno: il buon senso, la buona vita e il buon umore.

Nell'immaginario collettivo e mediatico, Papa Benedetto XVI non è associato all'umorismo, questa vulgata corrisponde alla verità?

MONDA: Raramente un'immagine “vulgata” rende ragione della complessità della vita. La verità è che Ratzinger, come ogni uomo, è un mistero, una realtà complessa spesso malridotta dall'immagine che prevale nei mass-media; è da qui che è scaturita in me l'esigenza di scrivere un libro che dia maggiore spessore e prospettiva ad un quadro che altrimenti risulta piatta, bidimensionale: il Papa dei “no”, il Papa tedesco arcigno difensore del rigore della norma morale.. Quello che c'è di vero in tutto questo è che Joseph Ratzinger è una persona seria. Ma, attenzione, dice bene Chesterton quando ricorda, con il suo tipico gusto per il paradosso, che “serio non è l'opposto di divertente, l'opposto di divertente è non divertente, noioso”. Ecco il Papa è una persona seria, che prende sul serio il Vangelo e ogni uomo che incontra, una persona seria e quindi anche divertente, che conosce il valore del buon umore, dell'umorismo e del sorriso.

E' in questo gusto del paradosso il punto di contatto tra Chesterton e Benedetto XVI?

MONDA: Si è no. Senz'altro sì: trattandosi di due persone di grande acume e intelligenza, i loro ragionamenti non sono piatti ma scoppiettanti, a volte spiazzanti, che esigono una flessibilità anche nell'intelligenza dell'interlocutore, insomma pretendono interlocutori adeguati, alla loro altezza. Al tempo stesso sia Chesterton sia il Papa non sono due intellettuali che si accontentano di sfornare frasi paradossali, arguzie o giochi di parole. Il loro ragionamento è finalizzato al dialogo, non è un fuoco d'artificio ma la ricerca di avere un rapporto con l'altro (anche con chi è distante, chi non crede, chi è “nemico” della fede) senza tradire l'adesione alla propria fede che è innanzitutto vissuta, praticata e quindi predicata.

Qual è il rapporto tra i due e il buon senso, la vita buona e il buon umore?

MONDA: Questo è ciò di cui parlerò al bel convegno di Genova. I tre aspetti sono tra loro collegati e in tutti e tre i casi si può notare un analogo comportamento dello scrittore e del pontefice. Riguardo al buon senso: per Chesterton esso è riscontrabile nelle favole dei bambini le cui “morali” sono valide ancora oggi e fa l'esempio di Cenerentola che ha lo stesso significato del Magnificat del Vangelo di Luca: “ha esaltato gli umili”. Lo scrittore inglese procede controcorrente rispetto alla tendenza dell'uomo occidentale moderno e contemporaneo, magari perbene e rispettabile, che ritiene il buon senso come il superamento del mondo dell'infanzia, pieno di amene fantasie irreali, per entrare nel mondo della ragione e magari della scienza sperimentale, vista come unica fonte di verità (ma purtroppo non di significato). Anche Papa Ratzinger procede controcorrente: per lui il buon senso è quello che emerge dal Vangelo e dalla fede cristiana e cioè nel paradosso del dare la vita per amore. Tutto ciò appare come una voce fuori dal coro, perché il “coro” della modernità e della contemporaneità ha relegato il cristianesimo nella stessa stanza delle favole dei bambini, un luogo antico e polveroso in cui magari era piacevole starci durante l'infanzia, ma del tutto superfluo nel momento in cui si raggiunge la maturità e l'autonomia. In questo senso la religione risulta come una vecchia superstizione, una pesante sovrastruttura che opprime il libero dispiegarsi dell'uomo maturo, adulto ed emancipato.

E per quanto riguarda la buona vita?

MONDA: La suddetta vulgata su Papa Ratzinger lo dipinge come custode arcigno della verità e lo ritrae come un ossessionato della verità, che usi la verità come un randello contro la libertà. Invece il rapporto dialettico che sta a cuore al Papa non è quello di verità/falsità ma quello di gioia/noia. La vita buona per Benedetto XVI anche qui, come nel caso del buon senso, è quella che scaturisce dall'adesione al Vangelo. E lo stesso dicasi per Chesterton. E in tutti e due i casi, la vita che così scaturisce è “buona”, ma non è affatto tranquilla ma anzi assomiglia quasi ad una battaglia. La vita buona è il desiderio profondo che anima e agita il cuore di ogni uomo. “Qualsiasi tipo di uomo sia” scrive Chesterton, “egli non basta a se stesso, sia nella pace che nella sofferenza. Tutto il movimento della vita è quello di un uomo che cerca di raggiungere un qualche luogo e che lotta contro qualcosa”. Il Papa gli fa eco quando ricorda che “soltanto l'infinito colma il cuore dell'uomo”, vivere bene non vuol dire essere persone “per bene”, ma significa cogliere e accogliere la vita come avventura. La vita buona non è un accomodamento facile, non è aver trovato la formula per tenere insieme tutto nella propria giornata dell'uomo occidentale indaffarato e segnato dall'attivismo. No, la buona vita è arrendersi a Cristo, segno di contraddizione. Da questa resa nasce la vita della fede come avventura, come incontro non con un'idea, una formula ideologica (che sarebbe pura idolatria, stato-latria o ego-latria alla fine poco cambia) ma l'incontro con una persona. Solo un incontro con qualcuno più grande può rendere felice l'uomo.

Infine, il buon umore, forse lo humour dell'inglese Chesterton è lo stesso del Papa tedesco?

MONDA: Da un certo punto di vista sì, perché in entrambi i casi l'umorismo affonda le radici nell'umiltà. Non è un caso che anche a livello etimologico le due parole nascano da humus, terra. Chi è “terra terra”, chi non si innalza in superbia, è ad un tempo umile e dotato di umorismo, perché conosce l'ironia e l'autoironia, perché avverte magari confusamente che esiste un mondo più grande del proprio io e, oltre questo mondo, Qualcuno ancora più grande. Il mondo moderno da questo punto di vista offre segnali sconfortanti perché non c'è più il buon umore ma la rabbia, non c'è l'ironia ma il sarcasmo, non c'è il sentimento ma il risentimento. Ma una società che perde il senso dell'umorismo, ricordava Maritain, si prepara al suo funerale. Chesterton e Ratzinger, in diversi tempi e modi, gridano però verso questa follia che avvolge la vita degli uomini occidentali e ricordano a tutti che esiste una possibilità per la gioia, non per il piacere, che è sempre più piccolo dell'uomo e sotto il suo controllo, ma per la gioia, che è sempre un mistero grande. La gioia, scrive Chesterton nella pagina finale del suo capolavoro Ortodossia: “è il gigantesco segreto del cristiano”. Ed è il segreto anche di Benedetto XVI che, con il suo sorriso, timido e impacciato, ma fermo, paziente, con la forza di un'intelligenza pulita, nitida, onesta, pacata, e con l'energia di una fede vissuta senza fronzoli con l'abbandono di un bambino, sfida ogni giorno le tentazioni degli uomini suoi contemporanei verso le pigrizie e le scorciatoie, le ideologie e le idolatrie che sempre si rinnovano in un cuore che vive nel malumore e nel risentimento. Da questo punto si può definire Benedetto XVI come Papa della gioia, forse la parola più ricorrente nei suoi discorsi da quando è stato eletto, perché, come ha affermato nel recente libro intervista Luce del mondo:Tutta la mia vita è stata attraversata da un filo conduttore: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti1. Ecco qua, in una frase tutto Ratzinger e, se ci pensiamo bene, tutto Chesterton. Fede, gioia, ragione. Buon senso, buona vita, buon umore.

1 Benedetto XVI, Luce del mondo, LEV, 2010, p.27

*

E' possibile acquistare il libro del professore Andrea Monda cliccando su:
http://www.amazon.it/Benedetta-umilt%C3%A0-pellicani-Andrea-Monda/dp/8871809750/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1328629241&sr=8-1&tag=zenilmonvisda-21

 

 

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[Modificato da Caterina63 07/02/2012 18:29]
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di trionfo in trionfo

 
“Il Cristianesimo è stato dichiarato morto infinite volte.
Ma, alla fine, è sempre risorto, perché Dio conosce bene la strada per uscire dal sepolcro”.

Gilbert Keith Chesterton
 

 

Il Cristianesimo è la Religione della Resurrezione e perciò differisce per esempio dal Buddismo che è la religione della Ricorrenza o del Ritorno, il che in pratica significa poco più di ciò che gli uomini di scienza usavano definire la conservazione dell’energia e cioè con l’idea che ogni forza ed espressione di elementi ritorna sempre sotto qualche altra forma, ma la forma non ritorna. Così pensava Wells quando disse che il Buddismo s’accorda perfettamente con le nostre idee moderne.
 
Sotto molti aspetti esso rassomiglia davvero alle nostre idee moderne, compreso quello dl non essere più un’idea moderna. La conservazione dell’energia parve il più ovvio dei principi cosmici ed i filosofi moderni hanno il gusto delle cose ovvie. Ciò che avvenne poi è superlativamente tipico dei nostri giorni: quando una decina di filosofi moderni ebbero fondate le loro moderne filosofie su questo solido fatto scientifico, gli uomini dl scienza incominciarono a scoprire che il fatto è inesistente. In quale fase sia ora la lotta fra il razionalismo moderno e la scienza ancor più moderna, la profonda verità è che un infinito numero di filosofie antiche e moderne hanno assimilato questo concetto di conservazione e di ricorrenza cosmica dall’ampia filosofia del Buddismo e da quella più limitata di Herbert Spencer. Talvolta queste filosofie accettano una forma d’immortalità, ma si tratta sempre di una forma di reintegrazione e non di Resurrezione.
 
Più spesso fanno propria una delle obbiezioni di San Tommaso d’Aquino contro l’immortalità (una tra le tante obbiezioni che quel razionalista dal pensiero persino troppo disperatamente imparziale allinea con ogni cura contro di sé) e sostengono che un essere non potrà mai riprendere l’identità anteriore una volta abbia veramente perduto la sua forma.
 
Nessuno, fuorché nel credo cristiano, ha mai avuto l’audacia di asserire che una certa cosa riacquisterà la sua forma anteriore. Ed ecco la ragione per cui il Vescovo anglicano di Birmingham chiama materialistica la religione cristiana. Ed ecco perché ad un altro San Tommaso, egli pure un po’ razionalista, venne offerta una prova materiale.
 
Non si potrà capire la storia del Cristianesimo senza comprendere che essa ebbe inizio con il supremo miracolo di un uomo morto che pure viveva e non era uno spettro. Non avvenne allora soltanto il trionfo dello spirito sul corpo, ma anche il trionfo del corpo sul sepolcro.
 
(G. K. Chesterton, La Resurrezione di Roma, Istituto Propaganda libraria, 1950, pp. 142-143)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L’ironia di G.K.Chesterton: è la chiesa ad essere superata dai tempi? In appendice: Piccola antologia di testi di G.K.Chesterton come invito alla sua lettura
del Centro culturale Gli scritti


“Potrei trattare la materia da un punto di vista personale e descrivere la mia conversione; ma ho il sospetto che questo metodo renderebbe l’argomento molto più ristretto di ciò che in realtà è. Vi sono molte persone di gran lunga migliori di me che si sono convertite a religioni di gran lunga peggiori”[1]! La penna di G.K.Chesterton sorprende per la sua incisività tagliente che si scaglia contro i luoghi comuni, obbligando a riflettere.

Nel breve saggio Perché sono cattolico[2], Chesterton affronta la critica, sovente rivolta alla chiesa, di essere nemica del progresso, di non essere al passo con i tempi[3]:

Alcuni giorni fa uno scrittore famoso, solitamente ben informato, ha parlato della Chiesa Cattolica come della avversaria delle nuove idee. E’ probabile che non si sia accorto che la sua affermazione non era esattamente ciò che si considera un’idea nuova. E’ una di quelle nozioni che i cattolici si trovano a dover costantemente contrastare, in quanto si tratta di un’idea molto vecchia. Certo è che coloro che ritengono che il cattolicesimo non porta nulla di nuovo, difficilmente dicono qualcosa di nuovo sul cattolicesimo stesso. Come dato di fatto è curioso notare che uno studio approfondito della storia dimostrerebbe il contrario.

Chesterton non si limita a questa battuta che esige novità da parte di chi guarda alla Chiesa, ma rovescia radicalmente l’assunto, poiché spesso sono le presunte novità ad essere molto meno innovative della sapienza cristiana che non può non essere antica, dato che esiste da duemila anni[4]:

Tuttavia, la persona che ha fatto quell’affermazione sui cattolici voleva dire qualcosa e sarebbe opportuno che lui stesso la comprendesse con più chiarezza rispetto al modo in cui l’ha enunciata. Ciò che voleva dire è che, nel mondo moderno, la Chiesa Cattolica si oppone a molte mode influenti, la maggior parte delle quali si considerano ancora attuali, anche se incominciano ad essere un poco stantie. In poche parole, se voleva dire che la Chiesa spesso si oppone a ciò che il mondo considera, in quel dato momento importante, ha perfettamente ragione. Spesso la Chiesa combatte le mode di questo mondo transeunte, in quanto sa, per esperienza, la rapidità con cui questo mondo cambia. Ma per comprendere esattamente l’argomento è necessario spaziare più ampiamente e considerare l’essenza stessa delle idee in questione, per considerare, quindi, l’idea dell’idea.
Il 90% di ciò che chiamiamo nuove idee sono semplicemente vecchi errori. Uno dei principali compiti della Chiesa Cattolica è far si che la gente non commetta questi vecchi errori, in cui è facile ricadere, ripetutamente, se le persone vengono abbandonate, sole, al proprio destino. La verità concernente l’atteggiamento cattolico nei confronti dell’eresia o, si potrebbe dire, nei confronti della libertà, può essere rappresentata dalla metafora di una mappa. La Chiesa Cattolica possiede una mappa della mente che sembra la mappa di un labirinto, ma che in realtà è una guida per orientarsi nel labirinto. Questa mappa è stata compilata utilizzando conoscenze che, nel mondo della scienza umana, non hanno paragoni. Non vi sono altri casi di istituzioni intelligenti che hanno, con continuità, pensato sul pensiero per duemila anni. E’ un’esperienza che ricopre quasi tutti i campi esperibili e, in special modo, gli errori. Ne risulta una mappa che evidenzia con chiarezza tutti i vicoli ciechi e le strade dissestate, nonché le vie che si sono dimostrate fuorvianti grazie alle testimonianze forniteci da coloro che le hanno seguite.
Su questa mappa della mente gli errori vengono segnati come eccezioni: gran parte di essa è costituita da campi da gioco e terreni di caccia fioriti, dove la mente può spaziare con tutta la libertà che le è propria, per non parlare dei numerosi campi di battaglia intellettuale dove il combattimento è quanto mai incerto e imprevedibile. Ma c’è la responsabilità di segnalare determinate strade che conducono al nulla o alla distruzione, ad un muro cieco o a un precipizio.
Così facendo, si previene la possibilità che le persone perdano il loro tempo, o le loro vite, in sentieri che si sono dimostrati ripetutamente, nel passato, vani o disastrosi, ma che possono ancora, in futuro, intrappolare ripetutamente i viandanti. La Chiesa si prende la responsabilità di mettere in guardia il suo popolo su queste realtà, e sta proprio qui l’importanza del suo ruolo. Dogmaticamente essa difende l’umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori.

L’universalità della chiesa - la sua cattolicità, appunto, nel tempo, nello spazio e nell’eternità! - le conferisce quella ampiezza di prospettiva per la quale nessun elemento viene assolutizzato, ma viene visto a partire dall’insieme, che solo pone al giusto posto ogni particolare[5]:

Vi sono stati una gran quantità di movimenti, o, in altre parole, monomanie. Ma la Chiesa non è un movimento bensì un luogo d’incontro, il luogo dove tutte le verità del mondo si danno appuntamento.

Appendice: Piccola antologia di testi di G.K.Chesterton scaricati dal web come invito alla lettura delle sue opere

Da Manalive, il romanzo più autobiografico, in cui Innocenzo Smith fa il giro del mondo per scoprire… l’Inghilterra, entra di nascosto e ruba… in casa sua, sposa di continuo… sua moglie:
Intendo che Dio mi ordinò d’amare un determinato luogo e di servirlo, me lo fece onorare come potevo, anche con le mie eccentricità… Intendo che il Paradiso è in un certo luogo e non dappertutto; è qualche cosa di preciso e non già qualsiasi cosa. E in fin dei conti non sarei troppo stupito se ci fosse davvero un lampione verde, davanti alla mia casa, su in cielo.

Una frase di Chesterton che J.L.Borges amava ricordare:
Tutto passerà, resterà solo lo stupore e soprattutto lo stupore per le cose quotidiane.

Il sorriso dell’uomo come cifra del senso:
La più semplice verità sull'uomo è che egli è un essere veramente strano: strano quasi nel senso che è straniero a questa terra... solo, fra tutti gli animali, è scosso dalla benefica follia del riso; quasi avesse afferrato qualche segreto di una più vera forma dell'universo e lo volesse celare all'universo stesso.
Questo fu il mio primo problema, quello di indurre gli uomini a capire la meraviglia e lo splendore dell’essere vivi.

Scrive Gianteo Bordero nell’articolo on-line “G.K.Chesterton: l’avventura di un uomo vivo” sul rifiuto dell’irrazionalità che contraddistingue il cristianesimo:
Per Chesterton, non è il Cristianesimo - che è fedeltà al reale, al concreto esistente - ma il diavolo ad amare il mistero come tenebrosa e inquietante stranezza, come bizzarra e complicata fantasticheria:
“È superbo e scaltro. Gli piace essere superiore, e ama terrificare l'innocente con cose capite a metà, e far rabbrividire i bambini. Questa è la ragione per cui ha tanta passione per i misteri e le iniziazioni e le società segrete e tutte le cose del genere” (da I racconti di p.Brown, Paoline 1966, p. 409)...
È un'idea che egli porta avanti anche ne La parrucca rossa, quella del diavolo come colui che distoglie dalla realtà, facendo credere in un falso mistero, in un mistero inteso come tenebra oscura:
“Io conosco il Dio sconosciuto -disse il piccolo prete con una inconsapevole imponenza nella sua certezza, alzandosi simile ad una gigantesca torre di granito- Conosco il suo nome: è Satana. Il vero Dio si fece carne e dimorò fra noi. Ed io vi dico che ovunque voi troviate uomini dominati unicamente dal mistero, questo mistero non è che iniquità. (...) Se voi credete che qualche verità sia insopportabile, sopportatela” (da La saggezza di p.Brown, La parrucca rossa, Paoline, 1966, p.669).

Da Il pugnale alato, BUR, Rizzoli, 2003, p.292, dove padre Brown racconta come ha avuto la prima intuizione sull’identità del colpevole di un misfatto:
Forse, il suo solo errore è stato di scegliere una storia soprannaturale; aveva l'idea che, essendo prete, avrei creduto a qualsiasi cosa. Molte persone hanno di queste idee.

Da I racconti di p.Brown, Paoline 1966, pp.805-6, sull’importanza di riconoscere il proprio male:
Nessun l'uomo può essere veramente buono finché non conosce la sua malvagità, o quella che potrebbe avere; finché non abbia esattamente compreso quanto poco abbia diritto di esprimere tutti quei giudizi e questo disprezzo e di parlare di "criminali" come se fossero scimmie di una foresta lontana mille miglia; (...) finché egli non ha spremuto dalla sua anima l'ultima goccia dell'olio dei farisei...
Io non cerco di guardare l'uomo dall'esterno, cerco di penetrare nell'interno dell'assassino... Anzi, molto di più, non le pare? Io sono dentro un uomo. (...) aspetto di essere dentro un assassino (...) finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, (...) finché vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi (...). Finché anch'io divento veramente un assassino.

Da L'innocenza di p.Brown, Il martello di Dio, p.227, sull’importanza di riconoscere il proprio male:
Sono un uomo -rispose p.Brown, gravemente- e perciò ho il cuore pieno di diavoli.

Da The Catholic Church and Conversion, in G.K.Chesterton, Perché sono cattolico, Gribaudi, 1994, p.135:
La Chiesa Cattolica è la sola capace di salvare l’uomo dallo stato di schiavitù in cui si troverebbe se fosse soltanto il figlio del suo tempo.

Da Tommaso Moro, in G.K.Chesterton, Perché sono cattolico, Gribaudi, 1994, p.115:
L’eresia è quella verità che trascura tutte le altre verità.

Da L’uomo comune, San Paolo, Alba 1955, 34:
L’eretico […] non è colui che ama troppo la verità […] ma è colui che ama la propria verità più della verità stessa.

Da San Tommaso d’Aquino, Piemme, Casale Monferrato 1998, 96:
Il Corpo aveva penzolato su un patibolo. Era risorto dalla tomba. Per l’anima non era più possibile disprezzare i sensi, che erano stati gli organi di qualcosa che era più di un uomo.

Scrive Gianteo Bordero nell’articolo on-line “G.K.Chesterton: l’avventura di un uomo vivo” sulla dottrina cattolica del peccato originale in Chesterton:
La dottrina della Caduta (peccato originale) è “l’unica visione lieta” (dall’Autobiografia, p.175) della vita umana, e la più realistica, in quanto ci ricorda che “abbiamo abusato di un mondo buono, e non siamo semplicemente intrappolati in una realtà malvagia” (da Perché sono cattolico e altri scritti, p.136).

Da Ortodossia, p.322, sul peccato originale:
Il paradosso fondamentale del Cristianesimo è che la ordinaria condizione dell’uomo non è il suo stato di sanità e sensibilità normale: la normalità stessa è una anormalità. Questa è la filosofia profonda della Caduta. […] La massa degli uomini è stata costretta ad essere allegra per le piccole cose, triste per le grandi. Nondimeno […] ciò non è nella natura dell’uomo. L’uomo è più se stesso, è più umano, quando in lui la gioia è fondamentale e il dolore superficiale. […] Il pessimismo è tutt’al più una mezzafesta della commozione; la gioia è il lavoro tumultuario per cui vivono tutte le cose. […] La gioia, che fu piccola appariscenza del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano.

Da Ortodossia, sull’ottimismo cristiano e la sua differenza dal mito del progresso:
Spesso ho preferito chiamarmi ottimista per evitare la troppo evidente bestemmia del pessimismo. Ma tutto l’ottimismo dell'epoca è stato falso e scoraggiante, per questa ragione: che ha sempre cercato di provare che noi siamo fatti per il mondo. L’ottimismo cristiano invece è basato sul fatto che noi non siamo fatti per il mondo.

Da Ortodossia, sulla differenza fra la ricerca della verità ed una verità derivante dall’opportunismo:
Avendo scoperto che l’opportunismo fallisce, sono stato indotto a considerarlo da un punto di vista più generale, scoprendo così che non può non fallire. Mi sono reso conto che è molto più pratico cominciare dal principio, e discutere le teorie. Vedo che gli uomini che si uccidevano per l’ortodossia dell’ “omousios” (Cristo “consustanziale” al Padre, secondo la formula del Concilio di Nicea contro gli Ariani, n.d.r.) erano molto più sensibili degli uomini che discutono sulla legge per l’insegnamento. I dogmatisti cristiani, infatti, cercavano di costruire il regno della santità, e cercavano, anzitutto, di definire il preciso concetto di santità. Ma i nostri teorici dell’ educazione tentano di istituire una libertà religiosa, senza provarsi a stabilire che cosa sia la religione o che cosa sia la libertà. Se i vecchi preti imponevano una opinione alla gente, almeno prima si preoccupavano di renderla lucida. Solo le moderne folle... possono permettersi di perseguitare una dottrina, senza neppure definirla. Per queste ragioni, e per molte altre, sono giunto a credere alla necessità di tornare ai fondamenti.

Da Le mie sei conversioni, in G.K.Chesterton, Perché sono cattolico, Gribaudi, 1994, p.69:
Almeno sei volte durante gli ultimi anni mi sono trovato nella situazione di convertirmi senza esitazione al cattolicesimo, se non mi avesse trattenuto dal compiere il gesto azzardato l'averlo già fatto.

Da Eretici, sulla differenza fra la debolezza della Chiesa e la forza dell’uomo:
Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite. Quando, in un momento simbolico, stava ponendo le basi della Sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edificato la Sua Chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno prevalso su di essa. Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole.

Da L’uomo che fu Giovedì, sull’amicizia:
Non ci sono parole per esprimere l'abisso che corre fra l’essere soli e l’avere un alleato. Si può concedere ai matematici che quattro è due volte due; ma due non è due volte uno: due è duemila volte uno.

Da Tommaso Moro:
Egli è stato “un campione della libertà nella sua vita pubblica e, ancor di più, nella sua morte pubblica. Nella sua vita privata incarna quella verità che non viene colta oggigiorno: la verità che il luogo della libertà è la casa… se gli individui possono sperare di tutelare la propria libertà, devono difendere la loro vita familiare”.

Da What's wrong with the World, New York, Dodd, Mead and Company, 1910, pp. 190-3:
In ogni età, in ogni terra, in ogni tribú e villaggio, è stata intrapresa la grande guerra sessuale fra la Casa privata e la Casa Pubblica. Ho visto una raccolta di poesie inglesi medievali, divisa in sezioni quali «Canti religiosi», «Canzoni di brindisi», eccetera; e la sezione intitolata «Poesie della vita domestica» era costituita per intero (per intero, letteralmente) dai lamenti dei mariti vessati dalle mogli. Per quanto arcaica fosse la lingua, le parole erano in molti casi precisamente identiche a quelle che ho udito nelle strade e nei bar di Battersea, proteste in favore d'un'estensione del tempo e della conversazione, proteste contro la nervosa impazienza e l'utilitarismo divorante della donna. Di tal genere, dico io, è la lite; non può mai essere altro che una lite; ma lo scopo di tutta la morale e di tutta la società è di far sì che rimanga una lite fra innamorati. […]
Ma in quest'angolo chiamato Inghilterra, in questa fine di secolo, è accaduta una cosa strana e sbalorditiva. Scopertamente, e secondo ogni apparenza, questo conflitto ancestrale è silenziosamente e repentinamente finito; uno dei due sessi s'è improvvisamente arreso all'altro. Verso l'inizio del ventesimo secolo, negli ultimi anni, la donna s'è arresa in pubblico all'uomo. Ha seriamente e ufficialmente ammesso che l'uomo ha sempre avuto ragione; che la casa pubblica (ovvero il Parlamento) è veramente più importante della casa privata; che la politica non è (come le donne avevano sempre sostenuto) una scusa per qualche boccale di birra, ma una sacra solennità davanti alla quale si possono inginocchiare nuove adoratrici; che i ciarlieri patrioti dell'osteria sono non soltanto ammirevoli, ma invidiabili; che la conversazione non è uno spreco di tempo, e perciò (come conseguenza, certo) che le osterie non sono uno spreco di denaro. Tutti noi uomini ci eravamo abituati alle nostre mogli e madri, e nonne, e prozie, che tutte sciorinavano un coro di disapprovazione sui nostri passatempi e sport, sulle nostre bevute e sui nostri partiti politici. E adesso viene la signorina Pankhurst con le lacrime agli occhi ad ammettere che tutte le donne avevano torto e tutti gli uomini avevano ragione; a implorare umilmente d'essere ammessa almeno in un cortile esterno, dal quale possa cogliere sia pure di sfuggita uno scorcio di quei meriti maschili che le sue fuorviate sorelle avevano tanto sconsideratamente dileggiato.

Dall’Autobiografia, pp.80-93:
Il periodo della giovinezza, che è pieno di dubbi e di morbosità e di tentazioni, […] nel mio caso ha lasciato per sempre nella mia mente la certezza della solidità oggettiva del peccato. […] Ciò che chiamo il mio periodo di pazzia, coincise con un periodo nel quale mi lasciavo trascinare, non facevo nulla, e non mi potevo dedicare ad un lavoro stabile. Mi occupavo superficialmente di infinite cose […]. Nel tempo del quale scrivo, si trattava di una filosofia molto negativa e persino nichilista. E benché io non la accettassi completamente, essa gettò tuttavia un’ombra sulla mia mente. […] Quest’atmosfera contribuì anche, benché indirettamente, ad un certo umore di irrealtà e di isolamento sterile, che in quel tempo si impossessò di me e, penso, di molti altri […]. Un dubbio metafisico mi faceva sentire come se tutto fosse un sogno. Era come se avessi io stesso proiettato l’universo dal di dentro, con tutti i suoi alberi e le sue stelle: e ciò è così vicino al pretendere di essere Dio, che è evidentemente ancor più vicino al diventar pazzo […]. Come con gli estremi mentali, così era con quelli morali […]: temo di essermi fabbricato da me la maggior parte delle mie morbosità. Ad ogni modo, la verità è che vi fu un periodo in cui avevo raggiunto uno stato di interna anarchia morale […] e di congestione dell’immaginazione […]. Ad ogni modo, si sappia che ho scavato tanto in basso da trovare il diavolo, e perfino, confusamente, di riconoscere il diavolo.

Dall’Autobiografia, pp.93-102:
Dopo di essere stato per alcun tempo nelle profondità più oscure del pessimismo contemporaneo, sentii un forte impulso interiore a ribellarmi, a scacciare l’incubo e a buttar via l’oppressione. Ma
giacché stavo ancora pensandovi e liberandomene da solo, e la filosofia mi giovava poco e la religione non mi dava un vero aiuto, m’inventai una teoria mistica rudimentale ed artificiosa. Era sostanzialmente questa: anche la sola esistenza, ridotta ai suoi limiti più semplici, è tanto straordinaria da essere stimolante. Tutto era magnifico, paragonato al nulla. La luce del giorno poteva essere un sogno, ma un sogno, non un incubo. […] Di fatto, ero arrivato ad una posizione non molto lontana dalla frase del mio nonno puritano, il quale avrebbe ringraziato Dio per averlo creato, diceva, anche se fosse stato un anima perduta. Ero attaccato ai resti della religione con un piccolo filo di riconoscenza. […] Questo modo di vedere le cose […] aveva una specie di mistico minimum di gratitudine […]. Ma i miei occhi erano ancora rivolti verso l’interno piuttosto che verso l’esterno, conferendo, immagino, alla mia personalità morale, uno strabismo tutt’altro che attraente. Ero ancora oppresso dall’incubo metafisico di negazioni nei riguardi dell’anima e della materia, dall’iconografia morbosa del male, dal peso del mio cervello e del mio corpo misteriosi; ma in quel periodo mi trovavo in rivolta contro di essi, e tentavo di costruire una concezione più sana della vita cosmica, anche se sbagliata per esagerazione. Chiamavo me stesso ottimista, perché mi trovavo così orribilmente vicino ad essere pessimista. […] E il male estremo, allora, era semplicemente il peccato imperdonabile di non desiderare il perdono.

Dall’Autobiografia, p.321:
Mi preoccupavo ancora molto; avrei potuto discendere sempre più ad una specie di compromesso o di resa per pura stanchezza, se non fosse stato per questa subitanea visione dell’abisso che si apre sotto i piedi di noi tutti. Fui sorpreso nella mia stessa sorpresa. Che la Chiesa Cattolica sapesse più di me intorno al bene, era facile a credersi. Che sapesse più di me intorno al male, sembrava incredibile.

Dall’Autobiografia, pp.321-322:
Quando la gente chiede a me, o a qualsiasi altro: “Perché vi siete unito alla Chiesa di Roma?”, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: “Per liberarmi dai miei peccati”. Poiché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo, come se non avesse mai peccato. […] Orbene, quando un cattolico ritorna dalla confessione entra veramente, per definizione, nell’alba del suo stesso inizio, e guarda con occhi nuovi attraverso il mondo, ad un Crystal Palace che è veramente di cristallo. Egli sa che in quell’angolo oscuro, e in quel breve rito, Dio lo ha veramente rifatto a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. E’ un esperimento nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta, come dissi, nella luce bianca dell’inizio, pieno di dignità, della vita di un uomo. Le accumulazioni di tempo non possono più spaventare. Può essere grigio e gottoso, ma è vecchio soltanto di cinque minuti.

Dall’Autobiografia, p.322:
M’interessa in modo speciale il fatto che queste dottrine (cattoliche) sembrino tener legata tutta la mia vita fin dall’inizio, come nessuna delle altre dottrine potrebbe fare. Specialmente pare che rendano chiari, simultaneamente, i due problemi della mia felicità di fanciullo, e del mio ansioso meditare di ragazzo. Essi si riferiscono particolarmente ad un’idea centrale della mia vita; non dirò la dottrina che ho sempre insegnato, ma la dottrina che mi sarebbe piaciuto insegnare. L’idea cioè di accettare le cose con gratitudine, ma non di prenderle senza curarsene. Così, il Sacramento della Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive, ma non lo fa come lo fanno gli ottimisti e gli edonisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono vien fatto ad un prezzo, ed è condizionato alla confessione. In altre parole, il nome del prezzo è Verità, che può essere chiamata anche Realtà; ma significa porsi di fronte alla realtà del proprio essere. Quando il processo vien applicato alle altre persone viene chiamato Realismo.
Molti ringraziano la Befana perché mette i doni nella calza, ma non ringraziano mai Dio che ha dato loro i piedi da mettere nelle calze.


Da Il mio nome è Lazzaro, scritta per il proprio ingresso da adulto nella Chiesa cattolica:
Dopo un momento, quando chinai la testa e il mondo si capovolse, e uscii là dove brillava, bianca, l'antica via camminai per le strade e ascoltai ciò che dicevano gli uomini, foreste di lingue, come foglie d'autunno non sparse, non ingrate, ma strane e leggere; vecchi enigmi e nuove fedi, non in contrasto ma dolci, come quando l'uomo ricorda con un sorriso i morti. I saggi hanno cento mappe che disegnano universi fitti come alberi, scuotono la ragione con mille setacci che accantonano la sabbia e lasciano filtrare l'oro: per me tutto ciò vale meno della polvere poiché il mio nome è Lazzaro e sono vivo.

Da Ortodossia, pp.219-220:
Nel chiudere questo caotico volume, riapro lo strano libriccino da cui venne tutto il Cristianesimo; e di nuovo sono turbato da una specie di confermazione. L'immensa figura che riempie i Vangeli s'innalza per questo rispetto, come per ogni altro, su tutti i pensatori che si credettero grandi. Il Suo pathos fu naturale, quasi casuale. Gli stoici antichi e moderni ebbero l'orgoglio di nascondere le loro lacrime. Egli non nascose mai le Sue lacrime. Egli le mostrò chiaramente sul Suo viso aperto ad ogni quotidiano spettacolo come quando Egli vide da lontano la Sua nativa città. Ma egli nascose qualche cosa. I solenni superuomini, i diplomatici imperiali sono fieri di trattenere la loro collera. Egli non trattenne mai la sua collera. Egli rovesciò i banchi delle mercanzie per i gradini del Tempio e chiese agli uomini come sperassero di fuggire alla dannazione dell'inferno. Pure Egli trattenne qualche cosa. Lo dico con riverenza: c'era in questa irrompente personalità un lato che si potrebbe dire di riserbo: c'era qualcosa ch'Egli nascose a tutti gli uomini quando andò a pregare sulla montagna: qualche cosa ch'Egli coprì costantemente con un brusco silenzio o con un impetuoso isolamento. Era qualche cosa di troppo grande perché Dio lo mostrasse a noi quando Egli camminava sulla terra; ed io qualche volta ho immaginato che fosse la Sua allegrezza.


Note

[1] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p.9.

[2] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, pp.9-17. Il saggio è del 1926. Sarà seguito nel 1929 da Perché sono cattolico II, nel quale affronta la differenza fra protestantesimo e cattolicesimo (Id., pp.49-59); ma, come è noto, molti degli scritti di Chesterton affrontano il tema della credibilità della fede cristiana.

[3] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 10.

[4] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 12.

[5] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 17.

[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 18/08/2012 10:03]
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07/05/2015 15:05
 
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  Conferenza su Chesterton. Monda: grande sintonia con stile Francesco




G.K. Chesterton





07/05/2015 



“Un vescovo vestito da clown. Cosa significa fare apologetica nel Terzo Millennio?”. E’ il titolo della quinta conferenza annuale chestertoniana che si terrà sabato prossimo alle ore 17 nella sede de “La Civiltà Cattolica” a Roma. Ad introdurre l’evento sul grande scrittore e polemista inglese saranno il direttore della rivista dei gesuiti, padre Antonio Spadaro, e il direttore del G.K. Chesterton Institute, Ian Boyd. Alessandro Gisotti ha chiesto adAndrea Monda, moderatore della conferenza e presidente dell’associazione “BombaCarta”, di soffermarsi sul tema scelto quest’anno:


R. – Tempo fa siamo stati tutti colpiti nel vedere Papa Francesco mettersi un naso rosso, tipico da clown, parlando con una coppia di persone che facevano clown terapia. E allora a noi organizzatori di questo Convegno annuale - che si svolge a Civiltà Cattolica,  grazie anche all’intervento del Chesterton Institute del New Jersey, sempre riguardo all’opera dello scrittore inglese Chesterton - ci è venuto subito in mente questa famosa espressione: “Un vescovo vestito da clown”. E’ una definizione che diede Emilio Cecchi, grande critico letterario italiano, quando conobbe di persona Chesterton, e disse: “Mi era sembrato di incontrare un vescovo vestito da clown”, cioè una persona capace di grandissima serietà e profondità, ma al tempo stesso anche con un tocco lieve, pieno di humor e di bonomia, capace quindi di trasmettere i valori, i principi della fede con allegria.


D. – Peraltro, anche Giovanni Paolo II amava molto i clown, e anche Benedetto XVI, quand’era ancora il teologo Ratzinger, in “Introduzione al cristianesimo”, il suo capolavoro, inizia proprio partendo da una scena di un circo, di un clown…


R. – C’è un legame molto stretto degli ultimi Papi, a partire da Pio XI, con la figura di Chesterton e con questa immagine farsesca, apparentemente, del pagliaccio, del clown. Benedetto XVI, poco dopo l’elezione a Sommo Pontefice, fu intervistato in Germania da una tv, e citarono proprio una battuta di Chesterton: “Gli angeli possono volare, perché hanno il senso dell’umorismo”. Anzi, fu lui stesso a citarla, perché disse che anche per il Papa è importante avere un granello di questa saggezza, di questo senso dell’umorismo, dell’autoironia che ci permette di volare e di non essere mai pesanti.


D. – In un’omelia a casa Santa Marta – ma poi lo ha ripetuto altre volte – Francesco ha detto, ormai tutti lo abbiamo nell’orecchio e nel cuore – non si può vedere “un cristiano con la faccia da funerale”. Ecco, in qualche modo Chesterton rappresenta un antidoto: è riuscito ad unire fede e umorismo, perfino teologia e comicità e ironia…


R. – Assolutamente sì! Ma addirittura, un “nemico” - se così si può dire - del cristianesimo come Nietzsche diceva: “I cristiani non sono credibili, perché non hanno la faccia da redenti, da persone che credono nel Risorto, nella Risurrezione: sono troppo tristi”. E quindi molte volte anche le accuse che ci vengono fatte dai “nemici” della fede, ci devono aiutare, aiutare a correggere molte volte anche una linea che possiamo prendere forse per routine, per stanchezza, per formalismo, addirittura per bigottismo. E da questo punto di vista è proprio vero che Chesterton, con la sua opera, è un potente antidoto. Chesterton in tutta la sua vita ha combattuto contro gli intellettuali, però quando dibatteva con queste persone, lo faceva sempre con una lealtà, con una sincerità e addirittura con un amore verso l’interlocutore, che forse era poi la cosa che più di tutte convinceva.


D. – In questo si può ritrovare un certo stile chestertoniano in Jorge Mario Bergoglio, che peraltro – sappiamo – anche lui ha amato e ama Chesterton?


R. – E’ un grande ammiratore di Chesterton, credo abbia fatto parte anche della società chestertoniana argentina; ma addirittura direi che sembra quasi un personaggio uscito dai romanzi di Chesterton! Penso, per esempio, ad Innocenzo Smith, il protagonista del romanzo “Le avventure di un uomo vivo” che - direi - incarna perfettamente tutte le cose che abbiamo incominciato a conoscere di questo Papa, venuto dalla fine del mondo: quest’entusiasmo, questa capacità di essere contagioso nell’allegria, travolgente, sconvolgente, sempre spiazzante. In questo romanzo, Innocenzo Smith, arriva nel suo paesino inglese e getta lo scompiglio. Papa Francesco sembra essere arrivato in Occidente, e a capo della Chiesa cattolica, portando un vento di allegria, di fiducia, un vento di misericordia, al quale ancora forse non siamo abituati. Forse, andare a rileggere Chesterton, potrebbe aiutarci a comprendere questo Pontificato. 



ma... alcune affermazioni di Bergoglio non sono affatto in continuità con il pensiero di Chesterton, dei suoi predecessori:

Papa Francesco, intervistato da Scalfari, gli fa questa domanda: «Ma lei, laico e non credente in Dio, in che cosa crede?»

Ampi stralci dell’intervista del fondatore di Repubblica a papa Francesco, che l’ha invitato a Santa Marta per un incontro. «La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio»

 

Papa Francesco «ha sconvolto» il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, a cui aveva già inviato unalettera, invitandolo a Santa Marta per incontrarsi. Oggi Repubblica riporta l’intervista che è risultata da quell’incontro, qui ne trovate ampi stralci.

MALI PIÙ GRAVI OGGI. «I più gravi dei mali che affliggono il mondo in questi anni sono la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra, e il guaio è che non li cercano più. Sono stati schiacciati sul presente. Mi dica lei: si può vivere schiacciati sul presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così? Questo, secondo me, è il problema più urgente che la Chiesa ha di fronte a sé».

NARCISISMO. «Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo. L’agape è l’amore per gli altri, come il nostro Signore l’ha predicato. Non è proselitismo, è amore. Amore per il prossimo, lievito che serve al bene comune. Il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza. Tutti fratelli e tutti figli di Dio. Abba, come lui chiamava il Padre. Io vi traccio la via, diceva. Seguite me e troverete il Padre e sarete tutti suoi figli e lui si compiacerà in voi. L’agape, l’amore di ciascuno di noi verso tutti gli altri, dai più vicini fio ai più lontani, è appunto il solo modo che Gesù ci ha indicato per trovare la via della salvezza e delle Beatitudini. (…) A me la parola narcisismo non piace, indica un amore smodato verso se stessi e questo non va bene, può produrre danni gravi non solo all’anima di chi ne è affetto ma anche nel rapporto con gli altri, con la società in cui vive. Il vero guaio è che i più colpiti da questo che in realtà è una sorta di disturbo mentale sono persone che hanno molto potere. Spesso i Capi sono narcisi».

LA CURIA. «In Curia ci sono talvolta dei cortigiani, la Curia nel suo complesso è un’altra cosa. È quella che negli eserciti si chiama l’intendenza, gestisce i servizi che servono alla Santa Sede. Però ha un difetto: è Vaticano-centrica. Vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio e i presbiteri, i parroci, i Vescovi con cura d’anime, sono al servizio del popolo di Dio».

LA VOCAZIONE. «Non ho sentito la vocazione da giovanissimo. Avrei dovuto fare un altro mestiere secondo la mia famiglia, lavorare, guadagnare qualche soldo. Feci l’università. Ebbi anche una insegnante verso la quale concepii rispetto e amicizia, era una comunista fervente. Spesso mi leggeva e mi dava da leggere testi del Partito comunista. Così conobbi anche quella concezione molto materialistica. (…) Il suo materialismo non ebbe alcuna presa su di me».

SANTI PREFERITI. «San Paolo è quello che mise i cardini della nostra religione e del nostro credo. Non si può essere cristiani consapevoli senza San Paolo.  (…) E poi Agostino, Benedetto e Tommaso e Ignazio. E naturalmente Francesco. Debbo spiegarle il perché? Mi chiede una classifica, ma le classifiche si possono fare se si parla di sport o di cose analoghe. Potrei dirle il nome dei migliori calciatori dell’Argentina. Ma i santi…».

L’ELEZIONE A PAPA. «Adoro i mistici ma io non credo di avere quella vocazione. (…) Il mistico riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi e perfino della pastoralità missionaria e s’innalza fino a raggiungere la comunione con le Beatitudini. A me è capitato raramente. Per esempio quando il Conclave mi elesse Papa. Prima dell’accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza. La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche quello di rifiutarmi ad accettare la carica come del resto la procedura liturgica consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sembro lunghissimo. Poi la luce si dissipò, io m’alzai di scatto e mi diressi nella stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l’atto di accettazione».

L’OBIETTIVO NON È IL PROSELITISMO. «Siamo sempre stati una minoranza ma il tema di oggi non è questo. Personalmente penso che essere una minoranza sia addirittura una forza. Dobbiamo essere un lievito di vita e di amore e il lievito è una quantità infinitamente più piccola della massa di frutti, di fiori e di alberi che da quel lievito nascono. Mi pare d’aver già detto prima che il nostro obiettivo non è il proselitismo ma l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza. Dobbiamo ridare speranza ai giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l’amore. Poveri tra i poveri. Dobbiamo includere gli esclusi e predicare la pace. Il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare».

GOVERNO DELLA CHIESA. «Non sono certo Francesco d’Assisi e non ho la sua forza e la sua santità. Ma sono il Vescovo di Roma e il Papa della cattolicità. Ho deciso come prima cosa di nominare un gruppo di otto cardinali che siano il mio consiglio. Non cortigiani ma persone sagge e animate dai miei stessi sentimenti. Questo è l’inizio di quella Chiesa con un’organizzazione non soltanto verticistica ma anche orizzontale. Quando il cardinal Martini ne parlava mettendo l’accento sui Concili e sui Sinodi sapeva benissimo come fosse lunga e difficile la strada da percorrere in quella direzione. Con prudenza, ma fermezza e tenacia».

CHIESA E POLITICA. «La Chiesa non si occuperà di politica. (…) La politica è la prima delle attività civili ed ha un proprio campo d’azione che non è quello della religione. Le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti. Questo l’hanno detto tutti i miei predecessori, almeno da molti anni in qua, sia pure con accenti diversi. Io credo che i cattolici impegnati nella politica hanno dentro di loro i valori della religione ma una loro matura coscienza e competenza per attuarli. La Chiesa non andrà mai oltre il compito di esprimere e diffondere i suoi valori, almeno fin quando io sarò qui. La Chiesa non è quasi mai stata così. Molto spesso la Chiesa come istituzione è stata dominata dal temporalismo e molti membri ed alti esponenti cattolici hanno ancora questo modo di sentire».

IN COSA CREDE? «Ma ora lasci a me di farle una domanda: lei, laico non credente in Dio, in che cosa crede? Lei è uno scrittore e un uomo di pensiero. Crederà dunque a qualcosa, avrà un valore dominante. Non mi risponda con parole come l’onestà, la ricerca, la visione del bene comune; tutti principi e valori importanti, ma non è questo che le chiedo. Le chiedo che cosa pensa dell’essenza del mondo, anzi dell’universo. Si domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le pone anche un bambino queste domande. E lei?». (…) Scalfari: La risposta è questa: io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti (…). Papa Francesco: «Va bene. Non volevo che mi facesse un compendio della sua filosofia e mi ha detto quanto mi basta». «E io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore. Questo è il mio Essere. (…) Dio è luce che illumina le tenebre anche se non le dissolve e una scintilla di quella luce divina è dentro ciascuno di noi. Nella lettera che le scrissi ricordo d’averle detto che anche la nostra specie finirà ma non finirà la luce di Dio che a quel punto invaderà tutte le anime e tutto sarà in tutti. (…) Ma la trascendenza resta perché quella luce, tutta in tutti, trascende l’universo e e specie che in quella fase lo popolano».

LIBERISMO. «Personalmente penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi. Ci vuole grande libertà, nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento ed anche, se fosse necessario, interventi diretti dello Stato per correggere le disuguaglianze più intollerabili».




[Modificato da Caterina63 19/01/2016 09:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  da G. K. Chesterton, Ortodossia, Morcelliana, Brescia, 2005, pp. 112-139


Quello che ci turba in questo mondo non è che sia un mondo irragionevole e nemmeno ragionevole; quello che ci turba è generalmente che sia un mondo quasi ragionevole ma non completamente. La vita non è illogica; pure, è un trabocchetto per i logici. Sembra un poco appena più matematica e regolare di quel che non sia; la sua esattezza è ovvia, la sua inesattezza è latente; la sua stravaganza è come in agguato. Do un esempio grossolano di ciò che voglio dire: supponete che qualche matematico venga dalla luna a fare dei calcoli sul corpo umano: egli vedrebbe subito che la essenziale caratteristica di questo è di essere duplice. Un uomo è due uomini, dei quali quello di destra somiglia esattamente a quello di sinistra. Visto che c’è un braccio a destra e uno a sinistra, una gamba a destra e una a sinistra, egli potrebbe andare più in là e troverebbe ancora da entrambe le parti lo stesso numero di dita e poi due occhi, due orecchi, due narici e perfino due lobi cerebrali. Prenderebbe questa per una legge e, trovando un cuore da una parte, ne dedurrebbe che c’è un altro cuore dall’altra. Proprio allora, quando egli si crederebbe sicuro di aver ragione, avrebbe torto.

[...]

Ora è questo che io propongo si dica del cristianesimo; non pure che deduce verità logiche, ma che se talora diventa illogico vuol dire che ha trovato – diciamo così – una verità illogica. Non solo va diritto nelle cose, ma va di traverso (se così si può dire) quando le cose vanno di traverso. Il suo piano segue le irregolarità segrete e aspetta l’inaspettato. È semplice intorno alle verità semplici, è ostinato intorno alle verità sottili. Ammetterà che un uomo ha due mani; non ammetterà (sebbene i modernisti lo deplorino) l’ovvia deduzione che egli ha due cuori. Mio solo scopo di questo capitolo è di mettere in rilievo ciò, di mostrare che ogni qualvolta nella teologia cristiana c’è qualche cosa di strambo, troveremo che c’è qualche cosa di strambo nella verità. 

[...]

Dal momento che uno accetta un credo, dev’essere orgoglioso della sua complessità come gli scienziati sono orgogliosi della complessità della scienza: ciò ne mette in rilievo la ricchezza. Se tutto è esatto, è un vanto poter dire che è elaboratamente esatto. Un bastone può turare un buco o una pietra una fossa, per combinazione; ma una chiave e una toppa sono più complicate, e se una chiave gira nella toppa vuol dire che è la chiave buona. 

[...]

Se si domanda a bruciapelo a una persona di intelligenza comune: «Perché preferisci la civiltà alla barbarie?», egli guarderà intorno sbalordito oggetto per oggetto, e riuscirà soltanto a rispondere vagamente: «Perché c’è lo scaffale dei libri e il carbone nel secchio del carbone… e il piano forte… e i poliziotti». Tutta la questione della civiltà è che è una questione complicata. Essa ha fatto molte cose; ma quella stessa molteplicità di prove che dovrebbe rendere la risposta schiacciante, la rende invece impossibile. 

[...]

Tutto quanto avevo appreso in giovinezza di teologia cristiana, me ne aveva allontanato: a dodici anni ero pagano, a sedici completamente agnostico, e non posso capire come uno oltrepassi l’età di diciassette anni senza essersi posto un problema così semplice. Conservai sempre, però, un oscuro rispetto per una divinità cosmica e un grande interesse storico per il fondatore del Cristianesimo; certo, lo considerai come uomo, sebbene forse pensassi che, anche su questo punto, Egli aveva un vantaggio su taluno dei suoi moderni critici. Lessi tutta la letteratura scientifica e scettica del mio tempo - quella almeno che potei trovare scritta in inglese e a portata di mano; e non lessi nient’altro: voglio dire nient’altro che seguisse altro indirizzo filosofico… 

Non avevo letto mai una linea di apologetica cristiana; anche oggi ne leggo il meno possibile. Furono Huxley, Herbert Spencer e Bradlaugh, che mi ricondussero alla teologia ortodossa; essi seminarono nel mio spirito i primi forti dubbi sul dubbio. Le nostre nonne avevano pienamente ragione quando dicevano che [...] i “liberi pensatori” ci sconvolgevano la mente. Era vero. La mia, la sconvolsero in modo orribile. Il razionalista mi costringeva a chiedermi se la ragione serva a qualche cosa; finito che ebbi di leggere Spencer, arrivai a dubitare (per la prima volta) se l’evoluzione si fosse mai verificata. E quando posai l’ultima delle conferenze atee del colonnello Ingersoll, un pauroso pensiero mi attraversò la mente: “Quasi quasi mi persuade ad esser cristiano”. Ero sulla via della disperazione.

Questo strano effetto dei grandi agnostici di suscitare dubbi più profondi del loro proprio dubbio potrebbe essere illustrato in parecchi modi. Ne prendo uno: quando lessi e rilessi tutto quel che di non-cristiano e di anti-cristiano era stato scritto sulla fede, da Huxley a Bradlaugh, un’idea lenta e tenace s’impresse gradualmente ma graficamente nel mio cervello - l’idea che il cristianesimo doveva essere una cosa straordinaria poiché non solo (a quanto io capivo) il cristianesimo aveva i più fiammeggianti vizi, ma aveva avuto evidentemente il mistico talento di combinare insieme vizi che parevano incompatibili l’uno con l’altro

Era attaccato da tutte le parti e per motivi tutti contraddittori. Un razionalista aveva appena dimostrato che era troppo a levante e subito un altro dimostrava con altrettanta chiarezza che era ancora più a ponente. Non prima si era calmata la mia indignazione per la sua angolare e aggressiva quadratura che mi si chiamava ad avvertire e a deplorare la sua snervante e sensuale rotondità. Se qualche lettore non avesse fatto l’esperienza ch’io dico, ecco alcuni esempi, come mi vengono alla mente, di questa auto-contraddizione nella critica scettica […]. 

Ero stato colpito, per esempio, dall’eloquente attacco contro il Cristianesimo come cosa inumanamente oscura; perché io pensavo (ed ancora penso) che il pessimismo quando è sincero sia un imperdonabile peccato. Il pessimismo insincero è un accomodamento sociale, piacevole anzi che no; e fortunatamente quasi tutto il pessimismo è insincero. Ma se il Cristianesimo era, come diceva questa gente, puramente pessimistico e opposto alla vita, ero preparato a scaraventarlo giù dalla Cattedrale di San Paolo. La cosa straordinaria era invece questa: che essi mi provavano nel Capitolo I (con mia completa soddisfazione) che il Cristianesimo era troppo pessimista; e poi nel Capitolo II cominciavano a dimostrarmi che era eccessivamente ottimista

Un’accusa contro il Cristianesimo era che impediva agli uomini con morbose lacrime e terrori, di cercare la gioia e la libertà nel seno della natura; un’altra accusa era che confortava gli uomini con una fittizia provvidenza e li trastullava come bambini in una nursery bianca e rosa: un grande agnostico chiedeva perché la natura non potesse mostrare tutta la sua bellezza e perché ci fossero tanti ostacoli alla libertà; un altro obiettava che era l’ottimismo cristiano era una “veste d’illusioni tessuta da mani pietose” e che ci nascondeva la bruttezza della natura e l’impossibilità di esser liberi. Un razionalista non aveva finito di chiamare il Cristianesimo un incubo che un altro si metteva a chiamarlo il paradiso di un idiota. Ciò mi scompigliava le idee: le accuse mi sembravano incoerenti. 

Il Cristianesimo non poteva essere al tempo stesso una maschera nera su un mondo bianco e una maschera bianca su un mondo nero. La condizione del cristiano non poteva essere tanto comoda da essere una viltà l’aggrapparvisi, né tanto scomoda da essere una pazzia il rimanervi. Se falsificava la visione umana, doveva falsificarla per un verso o per l’altro: non poteva portare insieme gli occhiali verdi e gli occhiali color rosa. Io rimuginavo con terribile gioia, come tutti i giovani del mio tempo, l’insulto gridato da Swinburne contro l’aridità del Cristianesimo: 

Hai vinto, o pallido Nazareno, 
sotto il soffio del tuo respiro il mondo è triste e grigio. 


Ma quando lessi le descrizioni che lo stesso poeta ci dava del paganesimo (come in “Atalanta”) conclusi che il mondo era, se possibile, più triste prima del respiro del Nazareno che dopo. Il poeta sosteneva, del resto, che la vita è per sé stessa come nera pece. E tuttavia, in qualche modo, il Cristianesimo l’aveva resa più nera. Lo stesso uomo che denunciava il Cristianesimo per il suo pessimismo era egli stesso un pessimista. 

Pensai che ci dovesse essere qualche cosa di sbagliato; e mi attraversò la mente il pensiero che, forse, non potevano essere i migliori giudici dei rapporti della religione con la felicità quelli che, per loro dichiarazione, non avevano né l’una né l’altra. Ben inteso, non conclusi frettolosamente che le accuse fossero false o gli accusatori pazzi. Ne dedussi semplicemente che il Cristianesimo dovesse essere più esiziale e più cattivo di quanto lo dipingevano. Una cosa può avere due vizi opposti; ma deve essere, in tal caso, una cosa assai strana. Un uomo può essere troppo grasso in un posto e troppo magro in un altro; ma sarà buffo. A questo punto mi si presentò al pensiero l’idea che la religione cristiana avesse una forma bizzarra; non attribuii alcuna forma bizzarra al pensiero razionalistico

Ecco un altro esempio della stessa specie. Sentivo che un forte argomento contro il Cristianesimo riposava sull’accusa che ci fosse qualche cosa di timido, di monacale, di non-virile in tutto ciò che si chiama “cristiano”, specialmente nel suo atteggiamento riguardo alla resistenza e alla combattività. I grandi scettici del diciannovesimo secolo furono virili nel senso più lato. In confronto, pareva sostenibile che ci fosse qualche cosa di debole e di passivo nell’insegnamento cristiano. 

Il paradosso del Vangelo sull’“altra guancia”, il fatto che i preti non hanno mai combattuto, cento altre cose rendono plausibile l’accusa che il Cristianesimo è un tentativo di far diventare l’uomo simile a una pecora. Queste cose che avevo letto le credevo e, se non avessi letto altro, avrei continuato a crederle. Ma lessi qualche cosa di molto diverso: voltai la pagina del mio manuale agnostico e anche il cervello mi diede di volta. 

Ora trovavo che bisogna odiare il cristianesimo non perché è troppo poco battagliero, ma perché lo è troppo: il Cristianesimo (a quanto pareva) era il padre delle guerre; il Cristianesimo aveva fatto del mondo un lago di sangue. Ero in collera coi cristiani perché non erano stati mai in collera; ora mi si diceva di essere in collera con loro perché la loro collera era stata la più enorme e orribile cosa della storia umana; aveva inondato la terra e oscurato il sole. Quelli che rimproveravano al Cristianesimo la mansuetudine e la non-resistenza dei monasteri erano gli stessi che gli rimproveravano anche la violenza guerresca delle Crociate. In qual mondo di enigmi erano nate questa mostruosa criminalità e questa mostruosa mitezza? La forma del Cristianesimo diventava più bizzarra ad ogni istante. 

Prendo un terzo esempio; il più strano di tutti perché implica la sola reale obiezione alla fede. La sola reale obiezione alla religione cristiana è semplicemente che è una sola religione. Il mondo è grande, pieno di popoli di diversa razza; il Cristianesimo (si può ragionevolmente dire) è un fatto limitato principalmente ad una sola area del mondo: cominciò in Palestina, si è praticamente fermato in Europa. Questo argomento quando ero giovane mi faceva la debita impressione, e mi sentivo molto attirato verso una dottrina spesso predicata nelle società etiche - la dottrina secondo la quale esiste una inconsapevole grande Chiesa di tutta l’umanità fondata sull’onnipresenza della coscienza umana. 

I credi, si diceva, dividono gli uomini; la morale li unisce. Lo spirito può frugare nelle più strane e remote terre ed età, e troverà sempre un essenziale sentimento etico comune. Troverà sotto gli alberi di oriente Confucio che scrive “Tu non ruberai”; decifrerà i più oscuri geroglifici nel deserto e il loro significato sarà “I bambini non devono dire bugie”. Io credetti vera questa dottrina della fratellanza di tutti gli uomini nel possesso di un unico sentimento morale e la credo ancora - ma insieme con qualche cos’altro. Ero fortemente irritato verso il Cristianesimo perché ammetteva (almeno supponevo) che intere età ed imperi sfuggissero totalmente a questa luce di giustizia e di ragione. 

Ma allora mi capitava un fatto sorprendente: trovavo che quelli che dicevano che l’umanità era una sola chiesa da Platone a Emerson erano gli stessi che sostenevano che la morale è sempre cambiata e che quel che era vero in un’età era falso in un’altra. Se io cercavo, per esempio, un altare, mi si rispondeva che non ce n’è bisogno perché gli uomini nostri fratelli ci danno chiari oracoli ed una fede nelle loro universali consuetudini e idealità. Ma se timidamente osservavo che una delle universali consuetudini umane è quella di avere un altare, i miei maestri di agnosticismo rigiravano il discorso e dicevano che gli uomini sono sempre stati avvolti dalle tenebre superstiziose dei selvaggi. 

La loro quotidiana offesa al Cristianesimo era che, mentre era stato la luce di un popolo, aveva lasciato tutti gli altri nell’oscurità; senonché era anche particolare vanto che la scienza e il progresso erano le scoperte di un solo popolo e che tutti gli altri erano immersi nelle tenebre. Quello che era un insulto per il cristianesimo doveva essere un elogio per loro, e sembrava esserci una strana malafede nella loro insistenza su queste due cose. 

Se parliamo di un pagano o di un agnostico, siamo invitati a ricordare che tutti gli uomini hanno una religione; se parliamo di un mistico o di uno spiritualista, siamo invitati a considerare quali assurde religioni certi uomini abbiano avuto. Possiamo fidarci della morale di Epitteto perché la morale è sempre la stessa; non dobbiamo fidarci della morale di Bossuet perché la morale è cambiata. È cambiata in duecento anni, non in venti secoli. La cosa cominciava a diventare allarmante. Sembrava non tanto che il Cristianesimo fosse così cattivo da riunire in sé tutti i vizi, quanto piuttosto che ogni bastone fosse buono per bastonare il Cristianesimo. 

A che dunque somigliava questa cosa stupefacente che tanti erano così ansiosi di contraddire da non badare se contraddicendola contraddicevano se stessi? Da tutti i lati vidi la stessa cosa. 

[...]

Ancora, gli anticristiani dicono che certe frasi delle Epistole o della Messa nuziale dimostrano il disprezzo per l’intelligenza della donna; senonché gli anticristiani stessi mostrano disprezzo per l’intelligenza della donna: quando dicono sogghignando che in chiesa nel Continente non ci vanno che le donne

[...]

Nella stessa conversazione un libero pensatore mio amico biasimava il Cristianesimo perché disprezzava gli ebrei e poi lo disprezzava perché ebraico. Io volli esser giusto allora, come voglio esser giusto ora; perciò non conclusi che l’attacco al Cristianesimo fosse infondato. Conclusi soltanto che se il Cristianesimo era falso, era falso davvero. Tante ostili ripugnanze possono concentrarsi su di una cosa, ma dev’essere una cosa veramente strana e solitaria. Ci sono degli avari che sono anche prodighi, ma sono rari; ci sono sensuali ascetici, ma sono rari. Ma se realmente esiste questo ammasso di folli contraddizioni, quacchero e assetato di sangue, troppo sfarzoso e troppo misero, austero e assurdamente ostentato alla concupiscenza degli occhi, nemico delle donne e loro pazzesco rifugio, solenne pessimista e sciocco ottimista, se questo male esiste c’è in questo male qualche cosa di supremo e di unico. 

Non ho trovato nei miei maestri razionalisti nessuna spiegazione di una simile eccezionale corruzione. Il Cristianesimo (teoricamente parlando) non era ai loro occhi che uno degli ordinari miti ed errori dei mortali. Essi non mi davano la chiave di questa aggrovigliata e innaturale malvagità. Un tale paradosso di male raggiungeva la statura del soprannaturale: era quasi così soprannaturale come l’infallibilità del Papa. Una istituzione storica che non è mai andata diritta è certo altrettanto miracolosa che un’istituzione che non possa andare storta. La sola spiegazione che mi si presentava subito alla mente era che il Cristianesimo non venisse dal cielo ma dall’inferno. In realtà, se Gesù di Nazareth non era Cristo, doveva essere l’Anticristo. 

[...]

Infine (cosa più importante di tutte) questo fatto spiega quel che della storia del Cristianesimo resta inesplicabile a tutti i critici moderni; voglio dire le mostruose guerre intorno a minuscole questioni di teologia, i terremoti di emozione per un gesto o per una parola. C’era la differenza di un pollice, ma un pollice è tutto quando si tratta di raggiungere un equilibrio. La Chiesa non può sgarrare di un capello se deve continuare il suo grande e rischioso esperimento di irregolare equilibrio. Una volta lasciato che un’idea perda di potenza, un’altra idea diventerà troppo potente. Non è un gregge di pecore che il pastore cristiano deve guidare, ma un’orda di bufali e di tigri, di ideali terribili e di dottrine divoranti, ognuna abbastanza forte per trasformarsi in una falsa religione e devastare il mondo. 

Non dimentichiamo che la Chiesa si affermò specificamente per le sue idee pericolose: fu una domatrice di leoni. L’idea della nascita dallo Spirito Santo, della morte di un Essere divino, del perdono dei peccati, dell’adempimento delle profezie sono tutte idee che (ognuno lo comprende) basta un tócco per trasformarle in qualche cosa di blasfemo e di feroce. 

[...]

Una frase erroneamente formulato sulla natura del simbolismo avrebbe distrutto tutte le più belle statue d’Europa; una svista nelle definizioni poteva arrestare tutte le danze, poteva far seccare tutti gli alberi di Natale e rompere tutte le uova di Pasqua. Le dottrine devono essere definite entro limiti rigorosi, anche perché l’uomo possa godere delle generali libertà umane. La Chiesa deve avere tutte le cure se si vuole che il mondo possa essere senza cura. 

Questo è il sensazionale romanzo dell’ortodossia. Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell’ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono e di sicuro. Non c’è, invece, niente di così pericoloso e di così eccitante come l’ortodossia; l’ortodossia è la saggezza, e l’esser saggi è più drammatico che l’esser pazzi; è l’equilibrio di un uomo dietro cavalli che corrono a precipizio, che pare si chini da una parte, si spenzoli da quell’altra, e pure, in ogni atteggiamento, conserva la grazia della statuaria e la precisione dell’aritmetica. 

La Chiesa nei primi tempi fu superba e veloce come un cavallo da guerra; ma è assolutamente antistorico dire che essa seguì puramente la facile via diritta di una idea - come un volgare fanatismo. Essa deviò a destra e a sinistra con tanta esattezza da evitare enormi ostacoli; lasciò da un lato la grande mole dell’arianesimo, dall’altro tutte le forze del mondo che volevano rendere il Cristianesimo troppo mondano, un momento dopo troppo allontanato dal mondo

La Chiesa ortodossa non scelse mai le strade battute, né accettò i luoghi comuni; non fu mai rispettabile. Sarebbe stato facile accettare la potenza terrena degli ariani; sarebbe stato facile, nel calvinistico diciassettesimo secolo, cadere nel pozzo senza fondo della predestinazione. 

È facile esser pazzi; è facile essere eretici; è sempre facile lasciare che un’epoca si metta alla testa di qualche cosa, difficile è conservare la propria testa; è sempre facile essere modernisti, come è facile essere snob. Cadere in uno dei tanti trabocchetti dell’errore e dell’eccesso, che, da una moda all’altra, da una sètta all’altra, sono stati aperti lungo il cammino storico del Cristianesimo - questo sarebbe stato semplice. 

È sempre semplice cadere: c’è un’infinità di angoli da cui si cade, ce n’è uno soltanto a cui ci si appoggia. Perdersi in un qualunque capriccio, dallo Gnosticismo alla Teosofia, sarebbe stato ovvio e banale. Ma averli evitati tutti è l’avventura che conturba; e nella mia visione il carro celeste vola sfolgorante attraverso i secoli, mentre le stolide eresie si contorcono prostrate, e l’augusta verità oscilla ma resta in piedi.



[Modificato da Caterina63 16/05/2015 12:56]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/08/2015 23:51
 
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Cartelli contro l droga fuori dalla discoteca Cocoricò di Riccione
 

«Se le famiglie esercitassero un po’ più di controllo sui figli, non morirebbe un diciottenne la settimana in disco. Se non sai educare non procreare». Le crudeli parole del sindaco di Gallipoli suonano come una condanna a morte per i genitori di Lorenzo, il giovane trovato senza vita fuori dalla discoteca. O per i genitori di Lamberto, 16 anni, ucciso dall'ecstasy a Riccione. O per tutti gli altri padri e madri di "cattivi" figli . A loro, però, viene in soccorso lo scrittore G. K. Chesterton…

di G. K. Chesterton

«Se le famiglie esercitassero un po’ più di controllo sui figli, non morirebbe un diciottenne la settimana in disco. Se non sai educare non procreare».Le crudeli parole del sindaco di Gallipoli, Francesco Errico, suonano come una condanna a morte per i genitori di Lorenzo, il giovane morto fuori dalla discoteca Guendalina. O per i genitori di Lamberto, 16 anni, stroncato da una pastiglia di ecstasy al Cocoricò di Riccione. O per tutti gli altri padri e madri che hanno a che fare con figli segnati dalla droga. Lorenzo Mario Toma,18 anni, di Lecce, è morto all’alba di ieri dopo una notte alla discoteca “Guendalina” di Santa Cesarea Terme, in Salento. Secondo gli amici, avrebbe bevuto qualcosa da una bottiglia offerta da uno sconosciuto e si sarebbe sentito male. Le indagini dei carabinieri battono la pista di qualche pusher che avrebbe invitato Lorenzo ad assaggiare la droga per poi vendergliela. Tre settimane dopo la tragedia del Cocoricò di Riccione e la morte del sedicenne Lamberto Lucaccioni, un altro ragazzo, muore dopo una notte in discoteca. Ma sono decine i giovani che come Lorenzo e Lamberto hanno lasciato la vita in una pasticca di ecstasy, o se la sono cavata per un soffio, ritrovandosi però col fegato distrutto e gravissimi menomazioni fisiche che li accompagneranno per tutta la vita.
Alla loro tragedia, quella dei genitori che in molti casi non sanno dei loro figli: cosa facciano e dove passino le nottate dei loro weekend da sballo. Contro questi genitori, si è scagliato il sindaco di Gallipoli, Francesco Errico, con parole durissime e impietose. Già, ma se il sindaco avesse ragione, quanti figli avrebbero diritto di venire al mondo? Saper educare, certo: è dovere dei genitori, ma le cose a volte non vanno come le buone e perfette teorie educative, o più semplicemente le buone intenzioni, prescrivono o desiderano. E allora? Allora vale la pena si rileggere questa conversazione tra lo scrittore G
. K. Chesterton e Bertrand Russell che dai microfoni della Bbc sosteneva la tesi secondo cui «i genitori sono inadatti per natura a crescere i propri figli». A madri incapaci, argomentava il filosofo ateo, andrebbero sostituiti gruppi di esperti che avrebbero potuto educare alla perfezione e con migliori risultati i bambini. Ecco cosa risponde lo scrittore.  (l. sa.)

 

LONDRA BBC, mercoledì 27 novembre 1935

RUSSELL. Vorrei in primo luogo evitare un possibile fraintendimento. Io sostengo che i genitori siano inadatti per natura a crescere i loro figli, ma non sostengo che esista qualcun altro che per natura sia adatto a ciò. Penso che educare i figli sia un compito assai difficile, per cui non esiste alcuno che per natura sia capace (…). Vi rammento che, dopo tutto, uno degli scopi principali della cura dei bambini è quello di mantenerli vivi e non morti. (…). Attualmente nel mondo occidentale la maggior parte dei bambini raggiunge l’età adulta e questo non lo si deve alle madri, e neppure ai padri. Lo si deve agli studiosi di medicina, alle persone che si sono dedicate ai progressi sanitari, ai politici che si sono spesi per la filantropia e agli inventori (…). Si deve ammettere, in ragione di ciò, che la comprensione del valore di una cosa come la salute è più importante per il benessere del bambino di ciò che si definisce “istintivo amore materno” in qualsiasi forma e grado. (…) Gli altri pilastri su cui si fonda il benessere del bambino dipende dal cibo, dagli abiti, dalla cura in caso di malattia, dall’accoglienza in un ambiente sicuro e, più tardi, dall’istruzione. Ecco, si tratta di cose che la maggior parte dei genitori non può dare ai figli in maniera tanto adeguata come invece le possono dare gli asili (…). 

 CHESTERTON. Dalla massa di osservazioni estremamente interessanti del mio illustre avversario, vorrei sottolineare una affermazione che è buon senso, e cioè l'affermazione che desideriamo i nostri figli vivi e non morti. Pertanto i bambini devono essere educati; è assurdo che i bambini dovrebbero imparare dall'esperienza lasciandoli magari al bordo di un precipizio perché imparino a cadere. Il mio avversario ha cominciato dicendo che genitori sono inadatti per natura a prendersi cura dei loro figli. Dire questo significa lasciare i bambini molto vicino al bordo del precipizio. (….) Ma io mi chiedo, chi sono le persone che sono più adatte ad occuparsi dei figli? (…).
Parlare di dottori, di scienza, medicina, sociologia, asili e così via non è parlare di cose reali. Se tutti i bambini dovessero essere lasciati nelle loro mani, Dio li aiuti. (…) E quanto agli asili e altri posti del genere, di che cosa si tratta? Si tratta semplicemente del fatto che noi andremo a pagare un certo numero di impiegati che fingeranno di avere quel genere di interesse verso i bambini che, di fatto e per qualche misteriosa misericordia di Dio cum Natura, voi e io abbiamo sperimentato nel rapporto con i nostri genitori per legge naturale (…).  Voi andrete a pagare uno stipendio a un gran numero di impiegati affinché facciano ciò che la natura fa già fare a pochi, cioè i genitori. (…) I genitori sono imperfetti: i padri sono imperfetti, le madri sono imperfette. Ci si vuol forse far credere che i dottori sono perfetti, che i maestri di scuola sono perfetti, che gli ispettori degli asili sono perfetti? (…). Non si può aggirare il dato naturale originario, ed è un puro sofisma cercare di aggirarlo. Per una ragione o per l’altra, chiunque sia stato (la dea in cui crede il signor Russell o il Dio in cui credo io) a crearla, esiste indebitamente una forza, un’energia in base a cui un certo compito viene svolto con entusiasmo, con affetto e, proprio perché le persone sono umane, con resistenza e pazienza anche fino al martirio dalle madri e dai padri. (…) Noi sappiamo come dato di fatto, non è sentimentalismo, è un fatto puro e semplice, che la mamma non si stanca del figlio e che lui può anche essere infastidito da lei, ma lei non è infastidita da lui. Cioè, lei senz’altro si arrabbia con lui, ma non è costantemente arrabbiata; come dato di fatto la madre continua ad amare il suo piccolo, vale a dire, è colei che assolve la funzione sociale di chi si prende cura anche fino al punto di sbottare dicendo: “Ma che si impicchi!”. 

RUSSELL. Sottolineo che è molto interessante osservare che, in  base a ciò che dice il signor Chesterton, il tipo di educazione che lui propone si conclude con il povero bambino che viene impiccato.

CHESTERTON. Al contrario, so bene che sarà il tipo di Stato in cui crede il signor Russell a impiccarlo, e si sa che lo Stato, grandioso, scientifico Stato moderno, finisce sempre per impiccare l’uomo sbagliato.

RUSSELL. Quello che volevo dire è: ciò che maggiormente mi colpisce nelle osservazioni del signor Chesterton è che evidentemente lui non capisce lo scopo di una scuola materna ben gestita. Lo scopo di una scuola materna ben gestita è quello di fornire artificialmente un ambiente in cui il bambino non avrà bisogno di essere costantemente seguito, di essere accudito molto meno di quanto è a casa. In casa c’è il camino in cui può cadere dentro, ci sono cose che non deve rompere e ogni tipo di pericolo. Una asilo ben organizzato non contiene nulla del genere e al bambino può essere permesso di fare ciò che vuole; e questo è uno dei principali vantaggi dell’asilo rispetto alla casa. 

CHESTERTON. Posso chiedere, in risposta a tale ultimo punto se il signor Russell o chiunque altro si aspetta che non ci sarebbe mai classi in cui ci sono stati, diciamo, uno, o due, o tre, o quattro, o cinque bambini per due insegnanti? Poiché questa è la condizione della casa. La condizione della casa è che i bambini sono immediatamente sotto la cura responsabile di due persone (…) .

RUSSELL. Scusatemi, ma ritengo che i bambini in casa a volte soffrano di eccesso di attenzione dei genitori. Vorrei aggiungere un altro punto importante : la madre che ha fatto grandi sacrifici per il suo bambino si aspetta un ritorno (…).  Poiché hanno fatto sacrifici enormi per portare in su, e le più sacrifici un genitore fa nel portare un bambino tanto più indesiderabile i sacrifici che si aspettano in cambio, mentre la persona che è semplicemente pagata per occuparsi del bambino non ha quella sensazione.

CHESTERTON. Esattamente! La persona che è pagata per occuparsi del bambino non ha alcun sentimento. Questo è un punto interessante e quindi, in qualsiasi tipo di litigio o di difficoltà o pericolo, quella tal persona tradirà. "Il mercenario fugge perché è un mercenario".

RUSSELL. Non è il termine che ho usato io: “il mercenario”. 

CHESTERTON. Sì, penso di averlo usato io.

RUSSELL. É assai meno probabile che un infermiere fugga davanti a un paziente rispetto a chiunque altro.

CHESTERTON. Anche rispetto a una madre?

RUSSELL. Sì, è molto meno probabile.

CHESTERTON. L'idea è bizzarra e fantasiosa. Sarei pronto a fare un giro per tutta l'Inghilterra per verificare se è vero. Troverei senza’altro un certo numero di madri ubriache, criminali e così via. Ecco questa piccola minoranza potrebbe forse essere indifferente a ciò che capita ai loro figli. Ma mi assumo la responsabilità di dire che la stragrande maggioranza delle madri mostra tutti gli istinti normali, per lo meno tutte le mamme che conosco sono perennemente impegnate a seguire i figli con una fedeltà intensa. Per quel che riguarda gli infermieri, è tutto un altro discorso. La ragione per cui gli infermieri non mollano le loro armi è esattamente perché sono le loro armi. In altre parole, gli infermieri sono addestrati con quel mirabile sistema militare che il signor Russell tanto ammira. Gli infermieri possono concedere o meno delle libertà, ma loro non hanno alcuna libertà; sono assolutamente subordinati a un sistema militare in tutto simile a un reggimento. Ogni infermiere ve lo potrà ben dire, e anche ogni medico: obbediscono a un capitano, a un colonnello e a un sergente proprio come nell’esercito. Ecco perché non mollerebbero mai le loro armi. Dio mi guardi dal disprezzare la fedeltà degli infermieri, che sono magnifici soldati. Il cielo non voglia che io debba dubitare dell'ammirazione del signor Russell per un così splendido sistema di lealtà militare. Ma questo è quello che è. Finché in questi sistemi esiste un certo tipo di vigilanza, ordine e rigore lo si deve al fatto che è stato ereditato dal vecchio sistema militare. Ecco tutto.

RUSSELL. Penso che il signor Chesterton si dia la zappa sui piedi. Ha fatto un così grande elogio di questo mestiere che a me non occorre aggiungere altro.

CHESTERTON. Se il signor Russell ammetterà che è anche una lode entusiasta della professione militare e converrà sul fatto che solo la disciplina militare può riorganizzare i nostri affari, io accetterò la sua conclusione. 

   


EDITORIALE
Chesterton
 

Avvenire parla di chi usa Cheterton contro il Papa. Ma non fa riferimento a nessuno. Una spia del brutto clima che si respira nel mondo cattolico, per chiudere la bocca a chi denuncia, da Paolo VI in poi, il pensiero non cattolico. Ecco perchè Bergoglio dovrebbe proclamare lo scrittore Defensor Veritatis

di Paolo Gulisano

Negli scorsi giorni ho letto su Avvenire un articolo che mi ha fatto sobbalzare: “Insensata pretesa usare Chesterton contro il papa”. Ohibò, mi sono detto nella mia qualità di biografo italiano di GKC nonché Vice-presidente della Società Chestertoniana Italiana - cosa succede? Mi sono perso qualcosa? L’articolo del professor Andrea Monda parlava di un Chesterton “utilizzato come randello contro il Papa”. Monda, di nomi, luoghi e circostanze non ne fa, e così con lo spirito del detective che ho appreso da Padre Brown, Gabriel Gale, Horne Fisher e Basil Grant, i grandi investigatori usciti dalla fantasia del grande scrittore inglese, sono andato in esplorazione sulla rete.

Ho cercato dappertutto, anche sui blog di giornalisti - compreso qualche mite e rispettoso vaticanista - ormai marchiati a fuoco come “anti-bergogliani”. Risultato: nessun uso di Gilbert come arma impropria contro il regnante pontefice. Ho trovato però delle aspre critiche a Benedetto XVI fatte da un saggista sedicente chestertoniano, il quale è peraltro amico di vecchia data dello stesso Monda. 

Dunque, molto rumore per nulla? Non proprio, purtroppo. Questi allarmi, questi appelli alla vigilanza nei confronti degli infedeli critici nei confronti dell’attuale papa (e sottolineo attuale) sono la cartina di tornasole di un brutto clima che si sta creando all’interno del mondo cattolico. 

Visto che nessuno ha fatto l’uso di Chesterton di cui parla l’articolo di Avvenire, ci si può chiedere che senso abbia innescare questo tipo di polemiche. La risposta che mi do è che si vuole chiudere la bocca a chi esprime dubbi, perplessità, preoccupazioni, non tanto nei confronti della persona di Jorge Mario Bergoglio, ma di certe correnti di pensiero presenti all’interno della Chiesa, quel “pensiero non-cattolico” di cui parlò a suo tempo papa Paolo VI. Dov’è finito il mito del “è più importante ciò che unisce di ciò che divide”?

Gilbert Chesterton era un uomo che adorava dibattere, discutere appassionatamente, anche e soprattutto con chi non la pensava come lui. Nella sua opera On the place of Gilbert Chesterton in English LettersHilaire Belloc, a sua volta grande giornalista e scrittore. scrisse dell’amico: «Mi sono stampate nella mente tutte le discussioni (di arte, di politica, di filosofia), in cui mostrò quel suo talento. Tutte le sue tesi erano illuminate dal confronto fra una verità ignota e una già nota; fra un qualcosa di semi-nascosto e qualcosa di ampiamente verificato da noi tutti».

Da questo punto di vista non si può negare che il papa sia effettivamente in linea con Chesterton là dove dichiara, come ha fatto nei giorni scorsi nell’intervista rilasciata a TV2000 e Radio InBlu: “Sono allergico agli adulatori. Perché adulare un altro è usare una persona per uno scopo, nascosto o che si veda, ma per ottenere qualcosa per se stesso. Noi, a Buenos Aires, gli adulatori li chiamiamo lecca-calze”. Invece, prosegue il papa, “i detrattori parlano male di me, e io me lo merito, perché sono un peccatore”.

Meglio quindi delle critiche oneste, sincere, magari cariche di autentico affetto, che delle adulazioni interessate e opportuniste. E meno male che il pastore venuto dall’Argentina se ne è reso conto. La speranza è che rinuncino alla loro aura di intoccabilità anche quei vescovi, cardinali o semplici teologi che pretendono una propria infallibilità nascondendosi dietro la persona del papa. 

Quello che Chesterton ci ha insegnato, inoltre, non è solo la virtù della gioia, della quale fu certamente supremo cantore, ma anche l’amore alla verità, e sulla verità non fece mai sconti a nessuno. Tant’è che la decisione a lungo meditata ma anche difficile e travagliata di lasciare l’Anglicanesimo e diventare cattolico la prese allorquando, agli inizi degli anni ’20, la Chiesa Anglicana decise di ammettere i divorziati a seconde nozze. A quel punto Gilbert comprese che era impossibile a quelle condizioni restare anglicani, cercare di lavorare per un avvicinamento tra quella Comunione e la Chiesa Cattolica. Così fece il passo definitivo ed entrò in quella Chiesa che – sola- coniugava misericordia e giustizia, libertà e verità.

Se un papa degli inizi del XVI aveva un po’ affettatamente definito re Enrico VIII “Difensore della Fede”, titolo di cui fu ampiamente indegno e che nei fatti trasformò in “persecutore della fede”, sarebbe bello che un nuovo pontefice, e magari proprio quello regnante, proclamasse Chesterton difensore della verità.






RIFLETTENDO SU CHESTERTON
 

La tolleranza produce galera, quando non linciaggi e morte civile. Per forza: se ho una convinzione, vuol dire che io ho ragione e chi non la pensa come me ha torto. Tanto più forte sarà la mia convinzione, tanto più dura sarà la mia reazione contro chi non è d’accordo. E' il nemico interno della Chiesa: il politicamente corretto che invoca dialogo e tolleranza. 

di Rino Cammilleri

Quando ho letto l’aforisma che la benemerita agenzia cattolica Zenit.org a posto a esergo del suo lancio del 2 marzo 2017 ho fatto un salto sulla sedia. Eccolo: «La tolleranza è la virtù dell’uomo senza convinzioni». Sarà sfuggito di penna in un’agenzia in genere pacata e clericalmente corretta che, lodevolmente, mai si discosta dallo stile della conferenza episcopale italiana? Boh.

L’aforisma in questione l’ha scritto Gilbert K. Chesterton (1874-1936). Lo scrittore profetico (non a caso c’è chi ne propugna la beatificazione) aveva anche previsto che spade sarebbero state sguainate per sostenere che l’erba è verde e il cielo è azzurro. Infatti – tanto per dirne una - in Spagna le autorità hanno multato e sequestrato un autobus che recava la scritta «I bambini hanno il pene e le bambine hanno la vagina». Sì, perché l’ovvio non si può più dire: è reato di «intolleranza».

Come il goyano sonno della ragione produce mostri, così la c.d. tolleranza produce galera, quando non linciaggi e morte civile. Per forza: se ho una convinzione, vuol dire che io ho ragione e chi non la pensa come me ha torto. Tanto più forte sarà la mia convinzione, tanto più dura sarà la mia reazione contro chi non è d’accordo. Chi ha una convinzione forte farà di tutto per mettere a tacere chi si permette di dissentire. E’ nella natura delle cose.

La «tolleranza» è una forzatura, non ha senso. Infatti, la natura si ribella e rimette le cose a posto. Qualche tempo fa il principe britannico William, figlio di Diana Spencer, fu visto a una festa – privata - mascherato da nazista e successe il finimondo. Era il massimo dell’autoironia in un inglese, ma venne costretto ad abiurare come Galileo. Se si fosse mascherato da khmer rosso nessuno avrebbe avuto da ridire; anzi, nessuno se ne sarebbe accorto.

Potremmo produrlo, ma sarebbe inutile, perché lo conoscono tutti: c’è un elenco preciso di cose che, se le fai o le dici, finisci in galera, e va sotto il nome generico di «politicamente corretto». E’ la dimostrazione che la «tolleranza» non esiste, è stata solo un grimaldello dialettico usato per disarmare gli avversari, ora non serve più. Il famoso detto attribuito a Voltaire? Sì, quello che recita: non sono d’accordo con quel che dici ma darò la vita perché tu possa dirlo. Balle, non solo Voltaire non l’ha mai detto, ma gli insulti riservati a chi non la vedeva come lui dimostrano pure che si sarebbe guardato bene dal dirlo.

Sì, perché chi ha una convinzione chiara, precisa e decisa non «tollera» dissenso. Al massimo lo sopporta momentaneamente. Basta vedere che fine fanno quelli che si permettono di dissentire col papa della «misericordia». Papa Francesco, infatti, ha una convinzione ben precisa e, come tutti quelli che ne hanno una, cerca di imporla. Bando alle ipocrisie, anche io farei lo stesso.

Chesterton ha avuto la vista lunga e ci aveva avvertiti che il re è nudo, ma lo abbiamo ascoltato – ahimè vanamente - soltanto noi «intolleranti», colpevoli solo di avere le idee chiare. E ancora, tanto per cambiare, la Chiesa si ritrova come è sempre stata, con due nemici da combattere, uno interno e l’altro esterno. Quello esterno è, ari-tanto per cambiare, l’islam. Quello interno è il «politicamente corretto», che invoca, a scopo autodemolitorio, il «dialogo» e la «tolleranza», due concetti cioè che – ci si faccia caso - fanno a cazzotti tra loro. 

 


[Modificato da Caterina63 06/03/2017 17:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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