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LA CATASTROFE CHE FU IL LUTERANESIMO

Ultimo Aggiornamento: 09/07/2016 19:53
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11/08/2012 19:02
 
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5.3/ La grande questione della Chiesa e della Tradizione

da E. Iserloh, La riforma protestante, in H. Jedin, Storia della chiesa, VI, Jaca, Milano, 1975, p. 79

Io sono in grande angoscia, per il fatto che non dubito quasi più che il papa sia il vero e proprio anticristo, che secondo l’opinione generale il mondo si attende (WABr 2, 48 s).

da Martin Lutero, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, sulla riforma dell’ordine cristiano in E. Iserloh, La riforma protestante, in H. Jedin, Storia della chiesa, VI, Jaca, Milano, 1975, p. 79

I cristiani tutti appartengono allo stato ecclesiastico; né esiste tra di loro differenza alcuna, se non quello dell’ufficio (o ministero), e ciò avviene perché tutti abbiamo un solo battesimo, un solo vangelo, una sola fede... che ci fa tutti chierici e tutti popolo di Dio... Ciò infatti che si riceve dal battesimo ben si può vantare che valga come essere consacrati sacerdoti, vescovi o papi, sebbene non a ciascuno si addica di esercitare tali uffici (WA 6,407, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, sulla riforma dell’ordine cristiano, p. 130-132).

Se il papa e i vescovi hanno mancato, è compito delle categorie cosiddette terrene porvi rimedio: «Pertanto, ove necessità lo imponga e il papa sia di scandalo alla cristianità, il primo che lo può, come membro fedele dell’intero corpo, deve far sì che si tenga un concilio davvero libero; ma ciò nessuno può farlo bene quanto la spada secolare, in special modo perché essa è pure parte della cristianità, sacerdote come noi, spirituale come noi, con uguale potestà in tutte le cose, e perché il suo ufficio e l’opera sua, che da Dio le sono dati sopra chiunque, devono procedere liberi là dove sia utile e necessario procedere» (WA 6, 413; Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, sulla riforma dell’ordine cristiano, 140-141). «...Orsù, svegliamoci, miei cari Tedeschi, e temiamo più Dio che gli uomini, acciocché non veniamo a far parte di tutte quelle povera anime, che così miseramente vennero perdute a cagione dello scandaloso e diabolico regime dei romani...» (WA 6, 415; Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, sulla riforma dell’ordine cristiano, 143).

-un’immagine chiave: Crocifissione di Lucas Cranach, dipinta per la chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Weimar (1555)

da Joseph Ratzinger, L’ecclesiologia del Vaticano II, in Chiesa, ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1987, pp. 9-16

Alla Chiesa appartiene essenzialmente l’elemento del “ricevere”, così come la fede deriva dall’ascolto e non è prodotto delle proprie decisioni o riflessioni. La fede infatti è incontro con ciò che io non posso escogitare o produrre con i miei sforzi, ma che mi deve invece venire incontro. Questa struttura del ricevere, dell’incontrare, la chiamiamo “Sacramento”. E appunto per questo rientra ancora nella forma fondamentale del Sacramento il fatto che esso viene ricevuto e che nessuno se lo può conferire da solo. Nessuno si può battezzare da sé; nessuno può attribuirsi da sé l’ordinazione sacerdotale; nessuno può, da sé, assolversi dai propri peccati.
Da questa struttura di incontro dipende anche il fatto che un pentimento perfetto, per sua stessa essenza, non può restare interiore, ma urge verso la forma di incontro del Sacramento. Perciò non è semplicemente un’infrazione contro prescrizioni esteriori del diritto canonico se ci si porge da sé l’Eucarestia e la si prende da sé, ma è una ferita della più intima struttura del Sacramento. Il fatto che in quest’unico Sacramento il prete possa egli stesso somministrarsi il Sacro Dono rinvia al “mysterium tremendum” al quale è esposto nell’Eucarestia; agire “in persona Christi” e così, nello stesso tempo, rappresentarlo ed essere un uomo peccatore, che vive completamente dall’accogliere il suo Dono.

La Chiesa non la si può fare, ma solo riceverla, e cioè riceverla da dove essa è già, da dove essa è realmente presente: dalla comunità sacramentale del suo Corpo che attraversa la storia. Ma c’è da aggiungere ancora qualcosa, che ci aiuta a comprendere questo difficile termine “comunità conformi al diritto”: Cristo è dovunque intero. Questa è la prima importantissima cosa che il Concilio ha formulato, in unità coi fratelli ortodossi. Ma egli è dovunque anche uno solo, e perciò io posso avere l’unico Signore solo nell’unità che egli stesso è, nell’unità con gli altri che sono anche essi il suo Corpo e che, nell’Eucarestia, lo devono sempre di nuovo diventare.

da Joseph Ratzinger, Chiesa universale e Chiesa locale. Il compito del vescovo, in La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, pp. 55-74

Questo “noi” [della Chiesa] non va inteso solo in senso sincronico, ma anche in senso diacronico. Il che significa che nella Chiesa nessuna generazione è isolata. Nel corpo di Cristo il limite della morte non conta più; in lui passato, presente e futuro si compenetrano. Il vescovo non rappresenta mai solo se stesso, né ciò che predica è il suo proprio pensiero; il vescovo è un inviato, e in quanto tale un ambasciatore di Gesù Cristo. L’indicatore della strada che introduce nel messaggio è per lui il “noi” della Chiesa, e precisamente il “noi” della Chiesa di tutti i tempi. Se da qualche parte venisse a formarsi una maggioranza contro la fede della Chiesa di altri tempi, non sarebbe affatto maggioranza: nella Chiesa la vera maggioranza è diacronica, abbraccia tutte le epoche, e solo se si ascolta questa totale maggioranza si rimane nel “noi” apostolico.

da A. Sabetta, Sacramento e parola in Lutero, apparso  in “Rassegna di teologia” 51 (2010), pp. 583-606

La Confessio augustana (CA) definisce la chiesa «l'assemblea dei santi nella quale si insegna il Vangelo nella sua purezza e si amministrano correttamente i sacramenti» (VII), Parola e Sacramenti che, «in virtù della disposizione e dell'ordine di Cristo, sono efficaci anche se sono amministrati da malvagi» (VIII)[1].

Nell'Apologia della CA, redatta da F. Melantone, la Parola e i riti-sacramenti vengono accomunati e presentati come due forme dell'agire di Dio nel cuore dell'uomo perché si generi nei cuori la fede. Dunque, il sacramento e la Parola sembrerebbero inseparabili, in quanto hanno la stessa origine, Dio, e producono lo stesso effetto; nell'Apologia viene usata questa immagine: «come la Parola penetra nell'orecchio, per toccare il cuore, così il rito colpisce gli occhi, per agire sul cuore. La Parola e il rito producono un identico effetto, come dice magnificamente Agostino: il sacramento è il Verbo visibile»[2].

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Colpisce, perciò, quello che all'inizio del sec. XX scriveva A. von Harnack. Nel suo Lehrbuch der Dogmengeschichte, egli giudicava la presenza e la riflessione luterana sui sacramenti come una ricaduta nel Medio Evo e un punto debole della riforma la cui originalità, invece, sarebbe consistita esattamente in una sorta di “desacramentalizzazione”[3].

Bisogna, tuttavia, riconoscere, allo stesso tempo, che è diventata opinione condivisa, tra gli studiosi di Lutero, l'insostenibilità di questa posizione che ridimensiona il senso dei sacramenti rispetto al primato della Parola. È vero, come leggiamo nell'Apologia della CA, che sussiste un'asimmetria tra Parola e sacramento[4]: «mentre infatti può accadere, e di fatto accade frequentemente, che la Parola biblica risuoni senza che vi sia celebrazione del sacramento, non può darsi il caso contrario. La Parola biblica è costitutiva anche del gesto della grazia, almeno nella forma delle parole evangeliche alle quali la chiesa si riferisce quando li celebra»[5].

Piuttosto è nella posizione di altri riformatori (Zwingli e Calvino) che il primato della parola predicata confina i sacramenti ad una funzione complementare. Sappiamo, però, quanto Lutero abbia polemizzato con una simile posizione difendendo il carattere esterno e oggettivo della Parola, tanto nella predicazione quanto nei sacramenti. È anche vero che la coordinazione fra Parola e sacramento, tipica di Lutero, si attenua nella tradizione riformata, tanto che per Ebeling se l'abolizione dei sacramenti comprometterebbe l'essenza stessa della Chiesa cattolica, non ne uscirebbe snaturata quella della Chiesa evangelica[6], pur ripetendo che il sacramento non comunica «doni diversi da quelli che ci comunica la parola orale, anche se in modo diverso»[7].

Direi, invece, che la questione dei sacramenti ha focalizzato ed è rimasta centrale nella teologia di Lutero, se si considera che tutto il decennio 1519-1528 è fortemente attraversato da una riflessione sulla tematica sacramentale, volta non solo a determinare la natura del sacramento e i suoi elementi costitutivi, ma anche ad analizzare i due sacramenti della fede, cioè il battesimo e la santa cena. [...]

Per concludere, in aggiunta alle considerazioni svolte durante il testo circa il rapporto parola-segno, centralità della parola ed ineliminabilità del segno, possiamo affermare che la tematica dei sacramenti in Lutero per essere adeguatamente compresa va inserita nel più ampio processo della giustificazione.

La riflessione del riformatore appare segnata dal confronto e dall'opposizione a due prospettive, quella cattolica, rea di ridurre la giustificazione a questione di opere e non di fede, e quella riconducibile al fronte spiritualista e radicale della riforma, che tendeva a minimizzare la rilevanza della parola esterna e del segno nel processo della giustificazione e della vita cristiana.

Così Lutero da un lato sviluppa una dottrina dei sacramenti come segni esterni della promessa di Dio (verbum promissionis), a cui l'uomo risponde accogliendoli con una fede fiduciale che deve fondarsi solo sulla Parola di Dio, poiché, ripetendo Agostino, non sacramentum sed fides sacramenti justificat; dall'altro, discutendo con alcuni riformatori, enfatizza il fatto che la salvezza, come dono gratuito dall’esterno (ab extra), è portata alla persona attraverso segni esterni veri e reali dati da Dio, la Parola e il sacramento, come leggiamo negli articoli di Smalcalda: «ci incombe il dovere e l'obbligo di tener fermo questo punto: Dio non vuole entrare in rapporto con noi uomini se non per mezzo della sua Parola esterna e dei sacramenti»[8]. E allora l'obbedienza alla volontà di Dio diventa l'argomento per l'esistenza, l'uso e l'irrinunciabilità dei sacramenti secondo l’ermeneutica letterale delle parole della Scrittura.

Parola e sacramento sono le forme dell'agire di Dio sui cuori, poiché è mediante la parola e i sacramenti che Dio si manifesta e viene incontro all'uomo, il quale si salva in forza dell'affidarsi a delle realtà a lui esteriori. In questo modo è bandito ogni soggettivismo o spiritualismo, poiché la fede si dà di fronte a realtà oggettive che rappresentano le mediazioni scelte da Dio.

La grazia di Dio, come leggiamo negli articoli di Smalcalda, si manifesta a noi in modi diversi: il Vangelo, infatti, viene in nostro aiuto anzitutto tramite la parola orale «mediante la quale il perdono dei peccati viene predicato nel mondo intero - ed è questa la funzione specifica del Vangelo. In secondo luogo, tramite il battesimo. In terzo luogo, tramite il sacramento dell'altare. In quarto luogo, tramite il potere delle chiavi e anche tramite il colloquio e la reciproca consolazione dei fratelli»[9].



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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