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LA CATASTROFE CHE FU IL LUTERANESIMO

Ultimo Aggiornamento: 09/07/2016 19:53
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28/11/2008 00:19
 
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CAPITOLO VI.

LA RIVOLUZIONE PROTESTANTE.

www.paginecattoliche.it/Cristiani06.htm

UNA CATASTROFE



Vi sono due date particolarmente dolorose nella lunga storia della Chiesa. La prima è quella clic segue lo scoppio dello Scisma fra la Chiesa greca e la Chiesa latina, 16 luglio 1054, con la scomunica lanciata a Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli. La seconda è quella che segna l'inizio della Rivoluzione protestante, con le Tesi sulle Indulgenze pubblicate dal monaco Martin Lutero il 31 ottobre 1517.

Lo scisma greco non è un'eresia vera e propria. Perciò non abbiamo creduto necessario trattarla in questo breve compendio delle eresie. Esso aveva avuto due antecedenti: lo scisma di Acacio, che abbiamo segnalato, e lo scisma di Fozio nel IX secolo. Per due volte fu ristabilita l'unione - nel concilio di Lione del 1274 e nel concilio di Firenze del 1438-1439. Ma entrambe le volte la riconciliazione fu soltanto passeggera.
Pochi punti controversi inquinano in definitiva la dottrina della Chiesa greca, die si definisce e che noi stessi chiamiamo "Chiesa" ortodossa. Nell'insieme la sua fede è autentica. Per questo, quando preghiamo, con tanto ardore, per la riunione delle Chiese, lo facciamo innanzitutto per la riconciliazione delle due Chiese sorelle: la Chiesa romana, madre e centro delle Chiese, e la Chiesa ortodossa.

La Riforma protestante fu purtroppo qualcosa di molto più grave, e perciò, nel parlarne, usiamo qui il sottotitolo: una catastrofe. Della triplice unità voluta da Cristo nella sua Chiesa - unità di fede, unità di comunione, unità di governo - nello scisma si intaccava solo quest'ultima. Invece nella Riforma protestante sono state colpite tutte e tre; l'unità è stata irrimediabilmente spezzata e, secondo il detto consacrato dall'uso, "è stata veramente lacerata la tunica inconsutile del Cristo!"

LE CAUSE DEL PROTESTANTESIMO


Quando si studiano le cause del protestantesimo, si usa fare un quadro a forti tinte degli abusi da cui era contaminata la Chiesa: secolarizzazione del papato e di gran parte del clero in tutti i gradi della gerarchia; invasione del paganesimo dietro il pretesto di un ritorno all'antichità classica greco-latina nell'umanesimo; sviluppo del nazionalismo e inizio di una politica cosiddetta realistica, cioè sdegnosa di ogni regola morale per tenere conto solo dei risultati; politica di cui Machiavelli doveva essere lo storiografo e il teorico entusiasta. Tutto questo è giusto. Ma non è l'essenziale. Potevano esservi dei turbamenti, dei disordini, in seno alla Chiesa. Poteva nascere l'eresia, ma non era certo inevitabile che prendesse la forma di Chiese separate e degenerasse in scismi numerosi e incurabili. La cosa più grave in questa dolorosa rivoluzione fu precisamente il fatto che essa pretese di compiere un rifacimento dei dogmi, ritornare alla purezza del cristianesimo, in una parola accaparrarsi l'altisonante nome di Riforma che circolava da secoli in seno alla cristianità.

Riformare la Chiesa! Grandioso e seducente programma!
Ma era necessario evitare un triplice errore:

1. Quello di credere che la Chiesa, per quanto fosse potuta venir meno al suo ideale primitivo, avesse potuto, in quanto Chiesa, errare nella fede;

2. quello di pensare che la fede pura, perdutasi nella Chiesa, potesse essere ritrovata, come si ritrovava l'antichità classica nei manoscritti greci e latini;

3. quello di ritenere che, una volta ritrovata, per merito di uno o più riformatori, la dottrina cristiana potesse essere per sempre preservata da qualunque nuova alterazione.


Vi era un errore riguardo al passato, poiché la Chiesa, anche corrosa dagli abusi, aveva ricevuto dal suo fondatore la promessa di essere assistita dallo Spirito Santo, di modo che non potesse tradire il deposito della vera fede. Vi era un errore riguardo al presente, poiché non spettava ad alcun potere umano il ritrovare la fede, con il semplice espediente del ricorso alla Scrittura, cioè in definitiva con l'esegesi e la filologia. E vi era un errore riguardo all'avvenire, in quanto questo ricorso alla Scrittura, eretto a principio assoluto di restaurazione, doveva rivelarsi invece come un principio di dispersione e di nuove divisioni senza fine, per quelli stessi che avevano riposto in esso tutta la loro fiducia.
Detto ciò, ricordiamo sommariamente i fatti essenziali.

LUTERO E LA ROTTURA DELL'UNITÀ


Lutero era nato il 10 novembre 1483 a Eisleben, in Sassonia. Il padre era minatore e non gli lasciò altro in eredità se non un temperamento di " rozzo sassone" secondo le parole dello stesso Lutero. La madre. Margherita Ziegler era una casalinga molto credente ma anche molto superstiziosa, che aveva un gusto spiccato per le storie di magie e di stregonerie. La vita di scolaro del giovane Lutero fu intessuta di sofferenze e di privazioni. Compì tuttavia dei buoni studi alla maniera del tempo, cioè secondo le norme di una scolastica decadente e inaridita. Ricevette il grado di dottore in lettere e filosofia nel 1505, all'Università di Erfurt. Il padre, orgoglioso dei suoi successi, pensava di farne un giurista, poiché questa era la carriera più adatta a far fortuna. Fu quindi molto scontento allorché venne a sapere che quel figlio di così spiccato talento era entrato, senza il suo permesso, nel convento degli agostiniani di Erfurt, il 17 luglio di quello stesso anno.

Che cosa era accaduto? Il giovane Lutero, di ritorno dalla sua cittadina natale, il 2 luglio 1505, era stato colto, alle porte di Erfurt, da uno spaventoso uragano. Si era trovato di fronte alla morte. Sperduto, aveva fatto precipitosamente il voto di farsi monaco se fosse sfuggito al fulmine. Quindici giorni dopo manteneva la parola. Questa vocazione troppo poco maturata avrebbe pesato su tutta la sua esistenza. Agli inizi, comunque, tutto andava bene. Lutero fece il noviziato, e quindi emise i voti religiosi. Il 2 maggio 1507 veniva ordinato prete. L'anno seguente passava da Erfurt a Wittemberg, come professore alla nuova Università eretta in questa città. Il viaggio compiuto a Roma nel 1510-1511 per gli affari del suo convento non scosse minimamente la sua fede nel papato, qualunque cosa sia stata detta più tardi. Al suo ritorno, tuttavia, si dichiarò contrario alla stretta osservanza nell'Ordine, preferendo stare sotto l'obbedienza dei superiori " nella fede e nella umiltà ". Si manifesta già in lui una sfiducia verso quella che egli chiamerà più tardi la " giustizia mediante le opere", la "giustizia personale".

Frattanto continuava gli studi, e riceveva nel 1512, il berretto di Dottore in teologia. Disgustato, come molti della sua generazione, della scolastica (la quale era in realtà in piena decadenza, e Lutero subì inconsciamente il nefasto influsso del nominalismo.), si volgeva di preferenza agli studi biblici, non senza convincersi che ritornava in un terreno pressoché abbandonato. Probabilmente egli ignorava, perlomeno agli inizi, che in quel movimento verso la Bibbia non era solo: uomini come John Colet a Oxford, Lefèvre d'Etaples a Parigi ed Erasmo di Rotterdam lo stavano percorrendo con lui.

Iniziò così un commento ai Salmi nel 1514. Dai Salmi passò nel 1515 alla Epistola ai Romani, e qui appunto fece, o credette di fare, scoperte fondamentali per la riforma del dogma cristiano. Noi che abbiamo il modo di guardare panoramicamente la storia, abbiamo la certezza che egli leggesse san Paolo solo attraverso le intime e inconscie esigenze del suo temperamento esuberante ed eccessivo, divorato dagli scrupoli e da tormenti interiori irriducibili.

Noi oggi diciamo che ciò equivale a fare della esegesi soggettiva, cioè piegare i resti all'esperienza intima. Ora, questa esperienza gli rivelava che il peccato, in noi, non può essere vinto, che è inerente alla nostra natura, che la salvezza sarebbe impossibile se consistesse nella purificazione da ogni peccato. Era arrivato infatti a confondere sentire e consentire, a non poter più distinguere tra la concupiscenza e il peccato, a considerare l'uomo e tutte le creature come sottomesse a un ineluttabile fatalismo. Credette di trovare in san Paolo la descrizione precisa del suo stato interiore, e insieme il rimedio sicuro a tutte le sue angosce. Orgoglioso della scoperta, intendeva propagarla in tutta la Chiesa e farne un principio di liberazione, di riforma, di salvezza universale.

Non sembra, tuttavia, che mirasse a una rottura con la Chiesa. Questa rottura sopravvenne senza che se ne rendesse conto. Ma, una volta in possesso della sua dottrina, e a dispetto di molte fluttuazioni e modifiche più o meno volontarie e coscienti, non volle più lasciare la presa. L'occasione - soltanto occasione - della rottura fu la Questione delle indulgenze. Si faceva allora intorno alle concessioni di indulgenze, un traffico che ai nostri giorni giudichiamo giustamente deplorevole, ma che si era insinuato, a poco a poco e per motivi talvolta quasi lodevoli, nella pratica della Chiesa. Si trattava questa volta di raccogliere fondi per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma.

Mormorii di scontento circolarono in Germania, e perfino nelle bettole si criticò l'avidità romana. Lutero aveva già attaccato la dottrina delle indulgenze. Redasse alla svelta 95 Tesi che affisse alle porte della chiesa collegiale di Wittemberg. Vi si leggeva tra l'altro: " I tesori delle indulgenze sono le reti con le quali si pescano ora le ricchezze degli uomini. Se il papa conoscesse le esazioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di san Pietro fosse ridotta in cenere, piuttosto che costruirla con la pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle".

L'impressione prodotta fu enorme. Nessuno si presentò per discutere le Tesi di Lutero, ma tra lui e teologi romani si ingaggiò una disputa scritta. Con la sua rudezza di sassone, Martin Lutero dapprima bistrattò i teologi, poi affrontò il legato del papa, il cardinale Gaetano, ad Asburgo. Non potendo cedere alle sue istanze e non sapendo resistere ai suoi argomenti, lanciò un appello al papa meglio informato (22 ottobre 1518) e in seguito un appello del papa al Concilio generale (28 novembre 1518).
Le indulgenze erano del resto passate subito in secondo piano. Si trattava ora del dogma, essenziale per Lutero, della certezza della salvezza mediante la sola fede, senza le opere. Cosa strana, dopo aver accusato la dottrina e ]a pratica delle indulgenze di generare la sicurezza, egli faceva della sicurezza mediante la fede il dogma centrale del suo insegnamento.

La Disputa di Lipsia (27 giugno - 16 luglio 1519) invece di porre rimedio alle cose le aggravò infinitamente. Il teologo cattolico Giovanni Eck, ricordò le definizioni dei concili, e in particolare di quello di Costanza contro Giovanni Huss. Lutero, piuttosto che cedere, negò l'autorità dei concili, rimettendosi alla sola Scrittura. Da quel momento la condanna da parte di Roma non poteva essere evitata.

A questo punto capitale della sua evoluzione, egli ricevette da una parte gli incoraggiamenti degli umanisti rivoluzionari, come Ulrico di Hutten e Crotus Rubeanus; dall'altra, quelli dei nobili tedeschi molto ostili a Roma. Così appoggiato, si decise alla rottura. Nel suo animo questa ebbe luogo il 10 luglio 1520, poiché in tale data scriveva: " Il dado è gettato? Disprezzo il furore e il favore di Roma: non voglio più riconciliazione né comunione con essa per l'eternità!" E il 17, in una seconda lettera, spiegava: " Silvestro di chaumberg e Francesco di Sickingen (due nobili rivoluzionari tedeschi) mi hanno ormai liberato da qualunque timore umano".

In realtà egli avrebbe trovato un aiuto molto più efficace nel suo sovrano, l'Elettore di Sassonia, di cui ignorava ancora le intime disposizioni.


FORMAZIONE DELLA CHIESA PROTESTANTE


A partire dal 1520 i fatti precipitano. Il 1 agosto, Lutero pubblica il suo Manifesto: Alla Nobiltà cristiana di Germania per la Riforma dello Stato cristiano. Vi affermava che tutti i cristiani sono uguali (sacerdozio universale); che tutti hanno ugualmente il diritto di ricorrere alla Bibbia, la quale non è affatto riservata all'interpretazione della Chiesa (biblicismo integrale); che l'imperatore e i principi hanno più diritto del papa a convocare il Concilio generale (cesaropapismo).

Nell'ottobre seguente, pubblicava il suo secondo grande scritto riformatore: Il Preludio sulla Cattività babilonese della difesa, in cui attaccava la dottrina dei sacramenti, da lui ridotti a due, battesimo e eucaristia, o tuttalpiù a tre, con l'aggiunta della penitenza. Infine, nel novembre, pubblicava il suo opuscolo sulla Libertà del cristiano, che è una delle migliori esposizioni della sua dottrina.

Dottrina che possiamo riassumere nei seguenti punti:

1. Per il peccato originale, l'uomo è completamente decaduto, e tutto ciò che fa è peccato mortale.
La salvezza mediante le opere è impossibile.
2. Dio senza dubbio ci impone la sua Legge nell'Antico Testamento, ma essa è impraticabile. Non ha altro scopo che quello di scoraggiarci, farci disperare, spingerci nelle braccia della misericordia.
3. Quando la legge ci ha portati alla disperazione, la fede fa d'improvviso risplendere ai nostri occhi la certezza della salvezza per i meriti di Gesù Cristo morto per noi sulla croce.
4. Da tutta l'eternità Dio ha predestinalo gli uni all'inferno (quelli ai quali nega la fede), e gli altri al paradiso (quelli ai quali la concede).
5. Il sacramento del Battesimo e quello dell'Eucarestia non hanno altra efficacia se non quella della fede che essi eccitano nei nostri cuori.


Frattanto Roma aveva parlato. La Bolla Exurge Domine del 15 giugno 1520 condannava 41 proposizioni tratte dalle opere di Lutero. Per tutta risposta, egli bruciò pubblicamente la Bolla a Wittemberg, il 10 dicembre, alla presenza degli studenti dell'Università. Il 3 gennaio 1521 veniva scomunicato. L'imperatore lo fece comparire alla Dieta di Worms, per indurlo a ritrattare i suoi errori. Era imperatore a quel tempo il giovane Carlo di Asburgo, noto con il nome di Carlo V. Il 18 aprile 1521, alla sua, seconda comparizione, Lutero fece alla Dieta la seguente dichiarazione che è rimasta famosa: "A meno di essere convinto con prove scritturali e con ragioni evidenti - poiché non credo nè al papa, né ai soli concili, i quali, questo è certo, si sono spesso ingannati e contraddetti - sono legato dai testi che ho recati e la mia coscienza è prigioniera delle parole di Dio. Non posso né voglio ritrattare alcunché, poiché non è né sicuro né conveniente andare contro la propria coscienza. Che Dio mi aiuti. Amen! "

Lo scisma era consumato.

Subito dopo il suo rifiuto di ritrattare l'eresia, Lutero fu messo al bando dall'Impero, ma, protetto da un salvacondotto, prese la via del ritorno e, lungo la strada, per ordine segreto del suo principe, l'Elettore di Sassonia, fu rapito da alcuni uomini a cavallo e portato al castello di Wartburg, sopra Eisenach. Qui sarebbe rimasto dieci mesi, sotto le vesti di cavaliere. In sua assenza, gli amici di Wittemberg continuarono il movimento, e molto presto oltrepassarono le sue previsioni e i suoi piani.

Il canonico Carlostadio e il monaco Zwingli, con gran stupore di Melantone, meno intraprendente, si mettono a capo della rivoluzione, e predicano il matrimonio dei preti, la soppressione dei voti monastici, l'apertura dei conventi e l'abolizione della messa. Da lontano, Lutero freme di impazienza, approva un po' a malincuore, ed è spiaciuto di questa effervescenza eccessiva.

Un bel giorno, vengono a Wittemberg dei profeti che si dicono ispirati dallo Spirito Santo e prescrivono di ribattezzare gli adulti, poiché, secondo loro, il battesimo dei bambini è del tutto senza valore.
Lutero non regge più. Con grave rischio, violando il bando imperiale da cui era stato colpito e contando sulla protezione del suo principe, lascia il proprio rifugio, torna a Wittemberg e vi predica per otto giorni di seguito, per ristabilire l'ordine, ma soprattutto per riprendere l'autorità. Condanna decisamente gli estremisti, che chiama " fanatici " e mette in rotta Carlostadio, il suo rivale e Munzer, il capo dei ribattezzanti o anabattisti. Ma invece di far ritorno alla Chiesa romana, dove, secondo lui, regnava l'anticristo (il papa), organizza una Chiesa regionale, che finisce per porre sotto l'alta autorità del principe. Dopo aver sognato una Chiesa di libertà egli arriva cosi, per una singolare contraddizione, alla Chiesa di Stato (Dopo aver criticato Roma in nome del Vangelo, Lutero fondava così una ortodossia garantita dallo Stato!).

Da quel momento, egli sostiene due posizioni diverse; vuole una Chiesa ordinata, regolare, controllata, in cui tutti, pastori e fedeli, obbediscano alla lettera; ma questa Chiesa rimane ostile a Roma. Egli è quindi ostile a ogni rivoluzione diversa dalla sua. Diventa profondamente conservatore, ma della propria costruzione, e rifugge da ogni compromesso. Quando i contadini, nel 1525, si sollevano in nome del suo Vangelo, egli si erge contro di essi e ne approva la sanguinosa repressione dei nobili: "Nobili diletti - scrive - liberateci, aiutateci, abbiate pietà della povera gente che siamo: infilzate, colpite, sgozzate finché potete... Un anarchico non è degno che gli si portino delle ragioni, poiché non le accetta. E' con il pugno che si deve rispondere a questa gente! "

E siccome i suoi amici protestano contro tanta durezza, egli replica ancor più duramente: "L'asino vuol ricevere percosse e il popolo vuole essere governato con la forza. Dio lo sapeva bene, dal momento che non ha dato ai governanti una coda di volpe, bensì una spada! "

Quasi nello stesso tempo Lutero, infrangendo i voti monastici, sposa una ex-religiosa, Caterina de Bora (13 giugno 1525), dalla quale avrà in seguito cinque figli, tre maschi e due femmine.
Dietro l'esempio della Sassonia, altri Principati abbracciano intanto la sedicente Riforma luterana. Interi paesi disertano la Chiesa cattolica: l'Assia, molte città dell'Impero, la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, come pare, mediante la secolarizzazione, alcune signorie ecclesiastiche e il ducato di Prussia in Polonia.

Si potè costatare la forza crescente dello scisma luterano allorché, nella Dieta di Spira del 1529, cinque principi e 14 città dell'Impero protestarono contro le decisioni della maggioranza cattolica. Da quel momento, i dissidenti ricevettero il nome di protestanti.

Quando Lutero mori, il 18 febbraio 1546, la sua "Chiesa " era solidamente stabilita e aveva preso posto nello scacchiere politico dell'Europa.

Ma, avendo rotto l'unità cristiana, i protestanti non poterono conservarla loro. Si formarono altre Chiese, spesso altrettanto ostili le une verso le altre quanto lo erano nei riguardi della grande Chiesa, Prima di lasciare Lutero, segnaliamo le sue opere principali posteriori alla rottura: nel 1525 il De Servo Arbitrio (Il Servo arbitrio), scritto per confutare Erasmo die aveva difeso l'esistenza del libero arbitrio senza il quale non è concepibile alcuna morale e di conseguenza alcuna genuina religione. Nel 1529 il Piccolo e quindi il Grande Catechismo. Nel 1537 gli Articoli di Smalkalda, esposizione completa della dottrina luterana; e infine, nel 1545, uno scritto veemente determinato dalla convocazione del Concilio di Trento: Contro il Papato fondato a Roma dal Diavolo.

Lutero fu un'anima passionale; un cuore ardente e impetuoso; una mente fertile ma avvolta di bruma, favorita da una prodigiosa sicurezza, da una eloquenza spesso triviale, ma popolare e affascinante; un temperamento violento, incapace di controllo, di ponderazione, di lealtà verso l'avversario, e tuttavia amante dell'ordine materiale, della disciplina civile e religiosa; infine, una immaginazione accesa, ripiena di visioni strane e di ossessioni irresistibili. Gli è stato anclie dato il soprannome di Doctor hyperbolicus - Il Dottore eccessivo)

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[Modificato da Caterina63 13/03/2010 20:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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