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LA CATASTROFE CHE FU IL LUTERANESIMO

Ultimo Aggiornamento: 09/07/2016 19:53
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06/04/2009 15:41
 
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Luigi NEGRI
Lutero e il cristianesimo moderno. «Sola Fide et sola Scriptura»
tratto da: Luigi NEGRI, False accuse alla Chiesa. Quando la verità smaschera i pregiudizi, Piemme, Casale Monferrato 1997, p. 128-144.

1. La formazione di Lutero

Il termine «riforma» usato per la Riforma protestante è sostanzialmente inesatto: la riforma, infatti, è una dimensione costante dell'esperienza cristiana, perché la fede implica una necessità di rigenerazione e ritorno continui all'avvenimento di Cristo che costituisce la Chiesa, un ritrovamento dell'origine e una rinnovata disponibilità dell'intelligenza e del cuore a vivere questo avvenimento. In questo senso, la riforma costituisce una dimensione dell'esperienza cristiana. I Padri della Chiesa (che furono riletti e approfonditi dalla grande tradizione culturale del Medioevo), avevano usato una formula significativa da questo punto di vista: Ecclesia semper reformanda. Infatti, i movimenti di ripresa dell'avvenimento ecclesiale lungo tutto il Medioevo, sono stati legati a veri e propri movimenti di riforma. La Riforma protestante, invece, non ha questa natura, e lo vediamo delinearsi con chiarezza dal 1514, ossia dal momento della esperienza di fede della novità di Lutero.

Il modo in cui Lutero intuisce la novità, di conseguenza la sua responsabilità e il suo compito, si consuma in sette anni, dal 1514 al 1521, anno della bolla di scomunica definitiva di Lutero. In questi sette anni, la Riforma prende sostanzialmente corpo nel cuore e nella mente di Lutero, e incomincia la sua straordinaria avventura nella società; la Riforma protestante è stata infatti un'avventura velocissima e straordinaria, accompagnata da un successo imprevedibile, dovuto al suo raccogliere alcune tensioni caratteristiche dell'epoca. La Riforma protestante è un ripensamento radicale della fede, è una rottura. Non è una riforma del dato o della tradizione, che pure Lutero aveva ricevuto; è un ripensamento totale. Questo è essenziale non solo per comprendere il passato, ma anche per comprendere la condizione e la situazione in cui viviamo.
Lutero è espressione della cultura ecclesiastica del suo tempo: ha studiato teologia scolastica ed è entrato nell'ordine degli Agostiniani. E inutile discutere sulla verità o meno della sua vocazione, che pare legata a un voto pronunciato in un momento di grandissimo spavento, perché è inutile giudicare le vicende di un uomo a partire da queste circostanze. Lutero ha studiato una teologia scolastica nella quale certamente è prevalso l'aspetto nominalistico, della pura discussione, della pura critica, della pura dialettica. La fede, nella teologia nominalistica, è più lo spunto per una serie di problematizzazioni infinite sui campi fondamentali dei dogmi e della morale, che non il tentativo amoroso di incrementare la conoscenza dell'avvenimento di Cristo. Accanto a questa formazione nominalistica, egli ha vissuto un'adesione alla Chiesa, e in particolare al suo ordine, di tipo evidentemente moralistico e volontaristico. Si tratta dunque di una concezione e di una prassi ecclesiale tese fra la visione problematica della fede e il tentativo di appropriarsi della fede stessa, e di attuarla in termini di volontarietà e di adulazione. Per la tradizione cattolica che lo precede, invece, la religiosità è l'esperienza dell'incontro con l'avvenimento di Cristo, da cui l'uomo - tutto l'uomo - viene sostanzialmente cambiato nella sua intelligenza e volontà, redento, chiamato a partecipare della vita nuova di Cristo.

Lutero è diventato maestro di teologia, ed è anche, per breve tempo, chiamato ad assumere responsabilità di primissimo piano nel suo Ordine, ma è profondamente insoddisfatto della sua esperienza di fede, della sua formazione.

La religiosità, con Lutero, tende a diventare un momento dell'esperienza affettiva, un vissuto sentimentale. L'uomo comincia a essere come separato: da una parte la ragione, che non può conoscere la fede (la fede non si conosce, la fede si sente, si prova), dall'altra una fede che ha alla sua base una domanda che non è quella totalizzante («Qual è il senso della vita? qual è il significato ultimo dell'esistenza? come Cristo è il significato della vita?»). La domanda che muove Lutero è invece una domanda di liberazione dall'angoscia; i sentimenti che Lutero prova per sé sono l'angoscia irresistibile per il proprio peccato e, insieme, la paura dell'ira di Dio. «Non ho mai pensato a Cristo come a un Dio misericordioso», confidava in uno dei suoi ultimi discorsi a tavola (i punti in cui si coglie di più il sentimento vero di Lutero sono quell'insieme di volumi che sono stati pubblicati come ‘Discorsi a tavola', cioè i discorsi che faceva con i suoi più stretti collaboratori e amici durante i pranzi e le cene).

Legando l'esperienza religiosa al sentimento, Lutero ha compiuto una restrizione della religione dalla totalità dell'uomo all'aspetto affettivo e sentimentale, restrizione di cui noi portiamo ancora le conseguenze, tanto è vero che diciamo «non lo sento più, quindi non è vero». La religiosità, per Lutero, è la liberazione dall'angoscia: un'angoscia che è caratterizzata dalla paura della morte, dalla coscienza del peccato, collegato all'inesorabile ira di Dio. A un tale uomo, appare giustamente inadeguato qualsiasi tentativo di trovare la salvezza con le proprie mani, con le proprie opere, facendo qualche cosa che possa avere valore davanti a Dio, perché (e in questo Lutero è veramente cattolico) di fronte a Dio non c'è niente che possa valere, che possa meritare. La religiosità è per lui un'esperienza in un senso soggettivistico, individualistico: è un vissuto personale, essenzialmente incomunicabile.

Nel 1514, in un momento ben determinato della sua vita religiosa, egli fa la sua esperienza determinante (quello che, nella sua biografia e quindi nella storia della Riforma, va sotto il nome di «esperienza della torre», perché è avvenuta mentre egli studiava la Sacra Scrittura in una torre del convento): la percezione immediata ed istintiva che Dio aveva avuto misericordia di lui, che Dio lo aveva salvato. Egli formulerà allora il concetto di iustitia Dei passiva: io sono oggetto passivo di un atto, di un'azione che ha assolutamente travolto, cambiato, trasformato i termini obiettivi della mia esperienza. Solo Cristo, solo la fede in Lui: è solo la fede che salva, non le opere.

Questa intuizione di Lutero è assolutamente cattolica, ma il modo con cui si determinerà è quanto di più lontano dal cattolicesimo si possa pensare: questo è il dramma di Lutero. Cristo è una grazia assoluta: di fronte a Lui non c'è niente da fare se non abbandonarsi totalmente, incondizionatamente alla certezza che solo la sua presenza salva l'uomo, perché solo nella sua presenza si rivela il volto misericordioso di Dio. Dio non è più il giudice che punisce i peccati che violano i comandamenti, Dio non è più il giudice che rivela la sproporzione fra la legge di cui Egli è il supremo legislatore e l'esperienza dell'uomo; Cristo è il Dio che ha misericordia. In senso sostanziale, quest'esperienza della torre porta Lutero alle radici del cattolicesimo, ma siccome l'uomo che ha questa intuizione è ormai strutturato in modo non cattolico (anzitutto perché è diviso fra sentimento e ragione, per cui la fede è soltanto un dato di tipo affettivo, in secondo luogo perché pensa al cristiano anzitutto come individuo singolo, non come persona che vive dentro un popolo), tutto lo sviluppo di questa intuizione cattolica si formulerà in termini sostanzialmente non cattolici.

Lutero, nel folto di un momento di gravissima crisi del mondo cattolico, ha percepito l'assoluta novità del fatto cristiano, ma è stato quasi costretto, forse al di là delle sue immediate intenzioni, a formulare la sua percezione in modo tale che successivamente il suo discorso e la sua prassi hanno rappresentato il più grande attacco alla realtà del cattolicesimo del mondo moderno. Lutero ha giudicato la fede a partire da qualche cosa che ormai non era più possibile mettere in discussione: la separazione fra sentimento e ragione, l'assoluta negatività dell'esperienza dell'uomo, e infine l'individualismo, per cui l'uomo è immediatamente al centro del mondo e della storia (Cfr. J. MARITAIN, I tre riformatori, Morcelliana, Brescia 1976), e si appropria di tutto.


2. Lo sviluppo delle intuizioni di Lutero ed il contesto storico

La riforma è un'intuizione cattolica che si flette in modo non cattolico: anzi, più radicalmente, in modo totalmente ostile e alternativo al cattolicesimo. Per questo non è una riforma: se fosse stata l'intuizione della radicalità della grazia e il richiamo, per gli uomini di Chiesa del suo tempo, alla priorità della grazia, avrebbe potuto determinarsi un movimento di riforma come quelli che di secolo in secolo hanno percorso, animato e rigenerato la vita della Chiesa. Invece, quest'intuizione cattolica si è formata e determinata in senso decisamente avverso al cattolicesimo.

Sui papi che hanno avuto a che fare con Lutero (Leone X, Adriano VI e poi Clemente VII), possiamo dire tutto quello che, giustamente, la storiografia ha detto sul modo - certo non straordinariamente coerente - con cui vivevano la loro fede cristiana a livello di vita morale, ma non possiamo dire che non hanno avuto un'intuizione chiarissima di ciò che era in questione: era in questione l'esistenza stessa del cattolicesimo! Quando, nei primi mesi del 1515, fu mandato in Germania un nunzio, un funzionario altissimo della Curia, per occuparsi di queste questioni, gli fu detto «Vai a sistemare questo beghinaggio di frati», ma in pochi mesi apparve ben chiaro all'autorità suprema della Chiesa che quello che era in questione era invece qualcosa di essenziale.

Il corso della vicenda di Lutero è tale che questa originalità, questa profonda originalità cattolica, viene non solo corrotta, ma si rivolta: questo avviene all'interno delle circostanze storiche concrete in cui la Riforma viene a galla e si formula nei suoi termini essenziali. È il cosiddetto problema delle indulgenze.
Lutero certamente non affisse le tesi (come invece sostiene una certa apologetica protestante), ma intervenne pesantemente sulla teoria e sulla prassi delle indulgenze. Cos'è l'indulgenza? È la possibilità di partecipare a tutto il tesoro di santità della Chiesa, della Chiesa Trionfante - la Chiesa dei Santi - e quindi la possibilità di far diventare positiva la propria vita, attraverso una serie di pratiche di pietà e di elemosine. Periodicamente, venivano lanciate queste indulgenze che, non c'è nessuna vergogna a riconoscerlo, di solito si legavano a obiettive necessità di carattere economico, per esempio al bandire una crociata o alla ristrutturazione di luoghi santi. Una delle più grosse indulgenze, quella che fece nascere l'idea dell'anno santo, era legata al desiderio di Paolo V di ristrutturare completamente la basilica di S. Pietro, per darle la forma che possiede tuttora.

In Germania, in quel momento (1515-16), la circostanza è assolutamente insolita: Alberto, che è già arcivescovo di Magdeburgo e di Albestratten, due grosse e importanti città della Germania, viene chiamato dal capitolo della città di Magonza (il capitolo eleggeva il vescovo) a diventare arcivescovo di Magonza. L'arcivescovo di Magonza era uno dei tre elettori ecclesiastici dell'Imperatore; l'Imperatore del Sacro Romano Impero infatti era eletto da tre elettori ecclesiastici (gli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri) e da quattro elettori laici (il conte del Palatino, il duca di Sassonia, il marchese di Brandeburgo e il re di Boemia). Tuttavia, era vietato cumulare le cariche arcivescovili: non si poteva essere, nonostante il lassismo che imperava in quel tempo, arcivescovo di tre diocesi così importanti. Occorreva una deroga alla disciplina, deroga che la Chiesa di Roma concesse: Alberto avrebbe potuto diventare arcivescovo di Magonza pagando alla Curia romana 24.000 scellini d'oro. Per questa esazione, era autorizzato a prendere la metà di quello che sarebbe stato raccolto dalla predicazione delle indulgenze nel territorio tedesco.

Ciò era già avvenuto decine di volte prima, e sarebbe avvenuto anche dopo, ma Lutero reagisce immediatamente, attaccando le indulgenze perché non ritiene assolutamente legittima, dal punto di vista teologico, la continuità Cristo-Chiesa. Quello che non può accettare è la concezione sacramentale della Chiesa, il fatto che il mistero di Cristo che mi salva (che secondo Lutero mi arriva attraverso una illuminazione di carattere psicologico e affettivo: «mi sento salvato»), avviene in un luogo oggettivo. Per la dottrina cattolica, Cristo mi raggiunge attraverso la comunità visibile guidata autorevolmente, attraverso l'organismo dei sacramenti, dentro un concreto contesto. A partire dal concetto di Chiesa come sacramento, la dottrina delle indulgenze sta in piedi; se invece si assume un concetto di Chiesa di tipo prevalentemente giuridico, se ne vedono soltanto gli aspetti per cui si tratta di un modo di far denaro.

L'intervento contro le indulgenze (uno scritto del 1516), mette in evidenza che Lutero non crede già più alla Chiesa. La Chiesa di Lutero non è dalla parte di Cristo, ma da quella degli uomini: essa vive tutta e solo là dove è proclamata la Parola e dove ci sono uomini che fanno l'esperienza di essere salvati. È dunque una Chiesa totalmente invisibile e spirituale. La Chiesa visibile è certamente qualcosa che non si giustifica dal punto di vista di Cristo o dei Vangeli.

Incomincia in questo periodo, da parte di Lutero, una discussione radicale sulla realtà della Chiesa, sulla sua necessità, sui poteri e sulle responsabilità effettive del Papa, sul valore dei Sacramenti. Questi ultimi vengono, nel giro di qualche tempo, totalmente azzerati: rimane soltanto il Battesimo, perché la stessa Eucarestia viene ridotta a cena, a un semplice ricordo. Comincia ad affermarsi un senso del tutto soggettivo degli avvenimenti di Cristo: non è necessaria la continuazione di Cristo, perché l'esperienza di Cristo, oggi, è legata all'illuminazione che il suo Spirito fa al mio sentimento. Non è necessario nient'altro, anzi, al di fuori di questo si sono realizzate tutte le condizioni per le quali questa esperienza originale purissima fosse adulterata. Il Papa, fin da questi tempi, viene da Lutero identificato con l'Anticristo; la Chiesa di Roma con la sinagoga di Belzebù, la struttura ecclesiastica con quello che Lutero nominerà infinite volte, i preti di Baal. Non è necessaria la Chiesa perché Cristo sta tutto ed esclusivamente nell'illuminazione particolare, individualistica, ultimamente incomunicabile, che fa di sé a un uomo.
È qui che il cattolicesimo viene sostanzialmente rifiutato: la forza del cattolicesimo è di affermare la possibilità di un continuo incontro fra l'oggetto, l'avvenimento di Cristo, e il soggetto, la persona del fedele. La fede è questo incontro obiettivo e continuo, è una sintesi vitale e esistenziale. L'avvenimento sta nella sua oggettività dentro il mistero della Chiesa, sta nella parola così come è proclamata, sta nel sacramento così come è obiettivamente celebrato, sta nella vita concreta della comunità e nella sua vita di carità così come è obiettivamente guidata. Questo avvenimento oggettivo deve essere soggettivato, ovvero assunto personalmente: la Chiesa sta come maestra, comunica l'oggetto ed educa il soggetto a prendere sul serio l'oggetto.

Per Lutero questo non è vero: invece, tutto è determinato dal soggetto che, stando in sé e per sé, deve realizzare il suo rapporto con Dio e con Cristo in modo assolutamente soggettivo. Per realizzare quest'azione, totalmente soggettiva, basta la Scrittura: la Scrittura è lo strumento che Dio ha fissato per sempre come occasione obiettiva ed unica. La Scrittura interessa Lutero non in quanto termine di una esegesi di tipo scientifico, ma come spunto per una emozione, per una commozione.

C'è una conseguenza impressionante di questa riduzione in senso soggettivistico e individualistico della fede. Chi stabilisce che uno è chiamato e uno non è chiamato? Chi stabilisce la differenza abissale tra l'uomo che fa l'esperienza della salvezza nell'intuizione soggettiva di essere salvato dalla Chiesa e l'uomo che non la fa, e che, dunque, non è chiamato? Lutero (e ancor più, dopo di lui, Calvino), è costretto a introdurre nell'immagine stessa di Dio un aspetto assolutamente ripugnante alla coscienza cattolica: è Dio che sceglie totalmente. È questo il tema della predestinazione. Dio, in una massa che è tutta votata alla dannazione, sceglie alcuni, in un modo assolutamente arbitrario. E l'arbitrarietà divina, il protestantesimo radicale giungerà addirittura ad affermare «Dio sceglie chi vuole senza nessuna continuità fra questa sua scelta e l'esperienza dell'uomo». Dio può scegliere i peggiori, gli immorali, quelli che non hanno nessuna predisposizione alla vita della fede. Per il cattolicesimo, invece, c'è una chiamata di tutti alla salvezza nell'avvenimento di Cristo proclamato, la differenza nasce dalla libertà, che risponde o meno. Nel protestantesimo, la differenza è stabilita in modo assolutamente irragionevole da Dio, e infatti è un Dio che è oltre ogni ragione.


3. Le conseguenze

«In definitiva - come scriverà Maritain in un brano straordinariamente lucido, soprattutto se si pensa che è stato scritto agli inizi degli anni '20 - tocca all'uomo operare la propria redenzione, sforzandosi a una sconfinata fiducia in Cristo. La natura umana non avrà che da rigettare, come un vano accessorio teologico, il mantello della grazia che non è nulla per lei, e riportare sopra se stessa la sua fede e fiducia, per divenire quella bella belva affrancata che il nostro secolo ha conosciuto». Maritain indica così nel protestantesimo una delle radici delle grandi ideologie totalitarie del mondo, perché si tratta di un'esperienza assolutamente individuale in cui il soggetto umano prende spunto da Cristo per una emozione di tipo affettivo, sentimentale, psicologico. La salvezza è questa, la Chiesa è qui: il resto disturba e corrompe. In questo senso, è un'ideologia totalitaria.

Questa svolta ha alcune conseguenze rilevanti, sul piano storico. Innanzitutto il disprezzo obiettivo della Chiesa nei suoi termini liturgici, sacramentali, canonici, giuridici di vita ecclesiastica e, in secondo luogo, il radicalismo luterano (che era oltre le stesse intenzioni di Lutero): questi fattori congiunti distrussero immediatamente la vita religiosa, per cui ci fu, così, l'abolizione dei conventi, l'irrisione pubblica di coloro che avevano fatto i voti, l'equiparazione del laicato al clero, la distinzione dalla vita ecclesiale con delle conseguenze di carattere morale per la vita delle comunità sociali e civili di allora impressionanti. La fede, questa esperienza assolutamente individuale e personale, nessuno la vede, nessuno la può giudicare. Ma poiché essa tende a diventare avvenimento sociale, quella realtà che si era buttata fuori dalla porta in modo esplicito (la realtà giuridica e temporale della Chiesa), si riforma, ma non su base sacramentale, bensì su base politica, tanto che ne diventano subito responsabili i capi dei nuovi Stati territoriali: i prìncipi.

Tutto questo succede perché la Riforma protestante incontra una esigenza storica assolutamente evidente: la trasformazione in atto nella vita sociale e politica della Germania. L'Impero, in Germania, è in crisi, e a questa crisi sta seguendo il crearsi di Stati territoriali, centrati intorno al principe che esercita il suo dominio su un determinato territorio. Per incrementare questa nascente forma politica (che nel resto dell'Europa darà luogo agli Stati nazionali), occorreva un collante religioso: i prìncipi capiscono che Lutero dava loro in mano uno strumento formidabile di dominio delle coscienze. Prima del 1520 - cioè prima della scomunica - Lutero scrisse una lettera ai principi della nazione tedesca, con la quale affidava loro la custodia della Chiesa. Evidentemente, sarebbe stato in contraddizione con se stesso se avesse affidato ai principi la custodia della Chiesa spirituale, perché la Chiesa spirituale non è custodibile da nessuno; essa fiorisce nel mio cuore nel contatto della mia fede con il mistero di Cristo. Invece, consegnava ai principi della nazione tedesca la struttura giuridica, canonica, educativa e morale. Deriva da ciò un altro particolare che qualifica questa Riforma: è una riforma tedesca, ovvero una riforma in cui lo spirito, la mentalità, le circostanze di un certo popolo, o meglio di una serie di popoli, trovano la loro accoglienza e la loro valorizzazione. La Messa è tedesca, non soltanto perché è detta in tedesco, ma perché è riformulata secondo un'immagine e una fisionomia tipiche della mentalità tedesca.

La Chiesa continua come struttura giuridica e come struttura pedagogica, ed è affidata all'autorità politica. La religione, da problema di coscienza, diventa struttura del regno. Il protestantesimo è responsabile di questa trasformazione della dimensione religiosa (e, quindi, dell'appartenenza al mistero di Cristo), da fatto eminentemente personale a fatto giuridico-sociale. La dottrina cuius regio, eius et religio comincia con Lutero ancora vivente, e la Ginevra calvinista diventa una cittadella in cui i riformatori religiosi sono allo stesso tempo i capi della vita politica.

Dunque, la prima conseguenza è che la Chiesa, distrutta sul piano sacramentale, continua sul piano giuridico, pedagogico e amministrativo, affidato al potere politico.

La seconda è già dentro questa prima: il protestantesimo accetta, senza porre nessuna condizione, l'assolutismo politico dell'età moderna. Che la dimensione politica sia la dimensione totalizzante e che chi detiene il potere dello Stato sia quindi in qualche modo il punto di riferimento definitivo per la vita concreta e storica, non è in discussione, perché la fede non c'entra con la vita concreta e storica, non ha niente da dire sulla struttura politica dello Stato territoriale del principe elettore. Federico il Saggio - che è il grande sponsor di Lutero - non ha niente da dire neanche sulla struttura dello Stato. La fede, come giudizio di carattere logico, potrà protestare eticamente, ma non si traggono dall'appartenenza ad essa criteri e categorie per giudicare il presente, per giudicare la storia. Per questo Karl Barth ha stupito, ma solo coloro che non avevano capito niente di protestantesimo, quando trent'anni fa scrisse ad un pastore della Chiesa protestante dell'Europa orientale: «Non preoccuparti: Stalin e Hitler per noi non esistono, non sono niente, non abbiamo niente da dire». Il protestantesimo è puramente escatologico: quindi, il mondo e la storia devono essere vissuti e giudicati con le categorie del mondo e della ragione. La ragione per sua natura non ha alcun rapporto con la fede, ma solo con l'uomo e con la società che esiste fra gli uomini. Il protestante è impegnato con tutti gli altri uomini utilizza categorie umane e sociali come se non avesse la fede. Il protestantesimo non solo ha assistito, ma ha addiritura favorito la nascita dello Stato moderno come Stato assoluto, mettendosi al servizio di questo Stato non come avvenimento di fede ma come struttura ecclesiastica. Non ha servito l'assolutismo in quanto esperienza di fede (perché essa è assolutamente personale e quindi unica e incomunicabile), ma in quanto struttura liturgica, pedagogica, culturale, in quanto vita associata, congregazione. La congregazione dei fedeli vive dentro il mondo assolutistico moderno, non lo disturba e non ne è disturbata.

L'ultima conseguenza riguarda il rapporto fra il protestantesimo e il capitalismo. L'Europa su cui la Riforma attecchisce è un'Europa che sta facendo un sostanziale passo verso una trasformazione di carattere economico. La classe dei signori territoriali ha dietro di sè un'altra classe emergente: la classe borghese, la classe mercantile che sta avviando il passaggio dall'Europa agricola all'Europa industriale. La logica del profitto, la logica del capitale, era stata per secoli imbrigliata dalle regole e dalle preoccupazioni di carattere etico-religioso del cattolicesimo. Il protestantesimo tace su questo punto: se l'economia ha una sua logica, bisogna viverla secondo questa logica: se il profitto ha una sua giustificazione di carattere razionale e scientifico, è impossibile mutuare dall'esperienza della fede ragioni contro questa. Senza l'avvallo esplicito del protestantesimo, il capitalismo non si sarebbe mai affermato in Europa: questo non lo dice la storiografia cattolica, ma quella protestante. Il Troeltsch e il Tawney hanno studiato in maniera molto acuta le connivenze teoriche e pratiche del protestantesimo col capitalismo.


4. Conclusione

Uno schema riassuntivo può dare un'immagine sufficientemente chiara di tutto quanto fin qui evidenziato.
Nel cattolicesimo, c'è Cristo in rapporto con l'uomo: in partenza non c'è il problema, ma l'avvenimento. Il singolo si trova di fronte a quest'avvenimento che gli è proclamato, e deve prendere posizione. Questo è lo schema, la struttura di fondo dell'uomo cattolico, e ha due esplicitazioni fondamentali: una che riguarda Dio, e una che riguarda l'uomo. Cristo mette l'uomo in condizione di conoscere Dio - questo è tutto il campo della teologia come conoscenza di Dio - ma lo mette anche in grado di conoscere veramente se stesso - l'antropologia, il discorso sull'uomo, secondo quello che Giovanni Paolo II tante volte in questi anni ha detto: «Cristo rivela all'uomo tutta la verità su di lui» -.

La rivelazione dell'uomo a se stesso è il potenziamento della sua ragione e della sua volontà: la fede illumina la ragione e la lancia nell'impresa della conoscenza, illumina e potenzia la volontà e la lancia nell'impresa della costruttività morale e sociale. L'università medioevale è l'esempio più sintetico di tutto ciò: università significa che c'è un verso solo, un solo senso della realtà, e questo senso unitario, posseduto, diventa la chiave di lettura di tutto lo scibile. L'uomo cattolico vive dentro un avvenimento, ne prende coscienza e quest'avvenimento lo cambia, potenziando la sua capacità di conoscere e di amare, rendendolo protagonista del sapere e dell'amore.

Questo schema finisce con Lutero. Al centro c'è l'uomo, l'individuo, non in quanto capacità di rapporto, ma in quanto sente il problema della sua vita col sentimento. Con il sentimento va verso Dio, un Dio non conoscibile, non categorizzabile, un Dio che al massimo - esperienza della torre - gli fa sentire in modo invincibile che egli è salvo. È un dato puramente sentimentale, dal quale la ragione è esclusa, perché essa ha sempre corrotto la Chiesa, discutendo e problematizzando senza però mai irrobustire la fede. L'uomo è realmente separato in sé: da una parte, il sentimento, con cui sente l'angoscia della vita e cerca un Dio che possa liberarlo dal male; dall'altra, la ragione, impotente a cercare Dio, ma potentissima per risolvere i problemi della vita. È una ragione scientifica, è una ragione matematica, è una ragione economica, artistica, politica, organizzativa. L'uomo organizza quindi la conoscenza e la società in termini assolutamente razionali: la società è assolutista e capitalista perché la ragione del suo tempo gli dice che l'assolutismo è una società più razionale di quella precedente e che il capitalismo è un'economia più razionale di quella precedente. Successivamente, diventerà liberale, perché il liberalismo è un'economia più intelligente, e così via. La ragione, che è impotente per la conoscenza del Mistero, è però potentissima sulla realtà. Scientia ab potentia, diceva Bacone, in questo antesignano della modernità: la scienza serve per aver potere nel mondo.
Questo dunque è lo schema moderno (i programmi delle scuole sono ancora strutturati così!): il protestantesimo è la religione che fa riferimento a Cristo, per quelli che hanno il problema dell'angoscia della vita. Se nascesse della gente - Rousseau, Cartesio - con una concezione ottimista, che invece di dire che noi siamo per natura peccatori e meritevoli d'ira, dicesse che siamo per natura buoni, il protestantesimo avrebbe meno spazio. Se l'incremento della ragione dimostrerà poi che questi problemi sono di origine psicologica o addirittura neurologica, si faranno dei manicomi di Stato per liberare gli uomini dalla religione.

Da questo nasce ora una grande domanda: venendo meno il mondo moderno, come di fatto è venuto meno, il protestantesimo ha ancora una ragione d'essere? L'avvenimento di Cristo non si lega a nessun tempo e a nessuna storia: il cattolicesimo giudica l'uomo, lo rivela a se stesso. L'uomo non può giudicare il cattolicesimo. Per Lutero, invece, ciò che è indiscutibile è questo tipo di uomo, la divisione di questo uomo tra sentimento e ragione, e infine l'incomunicabilità dell'esperienza religiosa, per sua natura individuale. Quando questo tipo d'uomo venisse meno, finirebbe in qualche modo l'esperienza della fede protestante.
Il passaggio che avviene con Lutero è davvero epocale: quando si dice Sola Fide, si dice ancora una cosa cattolica; quando si dice Sola Scriptura, è già avvenuto il rovesciamento. Distruggendo il corpo di Cristo, che è la Chiesa e tutto quanto vi è connesso, si distrugge l'esperienza stessa del cattolicesimo, che sopravvive depotenziato, come Chiesa di Stato, una Chiesa che non discute l'assolutismo e il capitalismo, e che quindi in qualche modo diventa la giustificazione religiosa della modernità. Mentre la Chiesa cattolica ha continuato la sua battaglia contro la modernità, dimostrando in tutti i suoi interventi che la modernità non salva l'uomo, il protestantesimo ha accettato di essere l'avvallo ecclesiastico di un uomo, che, però, se è moderno fino in fondo, non può, presto o tardi, non diventare ateo. Contro l'ateismo, il protestantesimo non ha ragioni, perché la fede non ha ragioni, e dunque non ha la possibilità di giudicare nulla, non è capace di creare nessuna alternativa alla situazione attuale, che viene sempre giustificata. Dice benissimo Lutero in un passaggio del suo libretto liturgico ‘La Messa della nazione tedesca': «Noi non siamo coloro che hanno già piantato i piedi nella Gerusalemme celeste, siamo coloro a cui si deve ricordare cosa è accaduto a Isaia, a Davide, a Gesù Cristo, ai Santi».

Il protestantesimo non è un evento in cui l'uomo entra e viene cambiato, ma solo uno spunto per una mozione individualistica, che lascia però assolutamente incapaci di giudizio e ultimamente impotenti di fronte al mondo.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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