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Per dialogare con la modernità ci vuole SanTommaso e la vera Pace di Cristo

Ultimo Aggiornamento: 08/05/2016 00:07
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San Tommaso e la teologia morale in un convegno all'Angelicum

Passa ancora per Aquino il dialogo con la modernità




Il 28 novembre l'università Angelicum a Roma ospita un convegno organizzato in occasione del trentesimo anniversario della fondazione della Società Internazionale Tommaso d'Aquino. Pubblichiamo l'intervento dell'arcivescovo segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica.

di Jean-Louis Bruguès

Al termine del noviziato, il maestro aveva l'abitudine di chiamare ciascuno dei novizi e di tracciare con lui un bilancio di questa prima esperienza di vita domenicana, cercando di orientarlo e indirizzarlo.
Di quella esperienza conservo vivo il ricordo e risuonano ancora nella mia mente le parole che egli mi rivolse: "Per l'avvenire, vi potrà essere chiesto di assumere delle responsabilità di governo e allo stesso tempo l'insegnamento". Ciò non era un giudizio sbagliato. Di fatti, nell'anno che seguì la mia ordinazione sacerdotale, fui nominato socius del provinciale e, contemporaneamente, docente alla facoltà di teologia dell'Institut catholique di Tolosa.

All'inizio, provavo una certa difficoltà per questa duplice attività: era impossibile dedicarmi come avrei voluto alle letture, alla ricerca, alla riflessione, tutte cose necessarie per chi è chiamato a insegnare. Successivamente, ho cominciato a considerare che le due vene si nutrono vicendevolmente. La conoscenza dei meandri del cuore umano, la scoperta di sensibilità, di modi di essere e di comportarsi dell'uomo, costituisce una base essenziale della teologia morale, che il Signore mi ha fatto la grazia di acquistare, non primariamente sui libri, ancora meno nei manuali, ma nella consuetudine giornaliera con gli altri frati impegnati, come me, nell'esperienza unica della sequela Christi. Da questo punto di vista posso affermare che la direzione di un convento vale ben più di una biblioteca.

In questo duplice apprendimento, ho avuto la grande fortuna di essere accompagnato da un fratello anziano, un maestro di teologia morale: il padre Marie-Michel Labourdette, assegnato come me al convento di Tolosa. Vivevo, nel rapporto che avevo con lui, l'esperienza tangibile dell'originalità della vita domenicana: era il mio maestro nell'insegnamento, mentre io ero il suo superiore in comunità. Egli aveva una capacità singolare, che ho ritrovato qualche anno dopo in un certo cardinale Joseph Ratzinger, di esporre con la più grande semplicità le problematiche più spinose e difficili, e di far nascere, se posso dirlo, in ciascuno l'impressione di scoprire da solo la soluzione cercata. Egli chiariva ciò che sembrava oscuro di primo acchito.

"Perché non ci sono arrivato prima?" mi chiedevo ogni volta. La verità era che quando mi trovavo solo facevo ancora molta fatica a ricostruire le problematiche e a trovare vie di soluzione.
Mi sembra così utile questa mattina riportare due lezioni di vita da lui ricevute. In quel tempo la teologia morale, almeno in Francia, era caduta in un profondo stato di abbandono. Per due anni, i seminaristi di Tolosa non ricevettero alcun insegnamento in questa materia, reputata tanto ingrata e noiosa da non trovare nessuno disposto a insegnarla. Come si faceva a interessarsi ancora di morale, dopo il maggio del 1968? Siccome io ero il più giovane, la sorte toccò a me: mi fu chiesto di occupare una cattedra trascurata da tempo.

Il padre Labourdette cercava di incoraggiarmi: "Lei si occupa di una materia oggi disprezzata, ma abbia pazienza: verrà il giorno in cui sarà invidiata dalle altre". Quel momento arriverà all'inizio degli anni Ottanta. Dopo gli eccessi del "tutto è politica" del maggio 1968, ci si rese conto che le questioni all'ordine del giorno presentavano una dimensione etica sempre più marcata. Basti ricordare il grande interesse per l'ecologia e l'amore per la natura, o anche gli interrogativi posti dallo straordinario sviluppo delle tecniche mediche applicate alla vita umana - quindi la bioetica. Ed ecco che, dall'oggi al domani, gli "eticisti" - neologismo barbaro coniato per non dire "moralisti", in quanto la parola "morale" faceva ancora paura - erano richiesti da tutte le parti. L'etica "faceva tendenza": tutti la volevano, ovunque si faceva etica, nel disordine più completo - a cominciare da quello terminologico. In breve, il mio vecchio professore aveva visto giusto: la teologia morale stava diventando la materia più apprezzata, l'unica branca della teologia a essere davvero richiesta in una società secolarizzata.

La seconda lezione che riporterò del padre Labourdette ci introduce in maniera ancora più diretta nella riflessione di queste due giornate. Negli anni Settanta, gli studenti appartenenti al clero erano caratterizzati da una mentalità fondamentalmente critica: l'idea stessa di fare riferimento a maestri della Tradizione suscitava in loro reazioni allergiche. Era impossibile anche solo pronunciare il nome di Tommaso d'Aquino: si rischiava di veder tappare di colpo tutte le orecchie. Avevo voluto sottrarmi al discorso sistematico-critico e al "decostruttivismo" che regnava allora in maniera assoluta sulle cattedre parigine, per beneficiare, grazie a una dispensa personale, di ciò che era rimasto della teologia a Saint-Maximin, poi nella città dove riposa il corpo di san Tommaso. Confidando queste difficoltà al padre Labourdette, mi sentii dare un consiglio, sul tomismo: "Lo insegni sempre, ma senza mai pronunciarne il nome". Pertanto, ho praticato per anni un tomismo per così dire anfibio. Finalmente, un giorno, mi sono sentito chiedere delle lezioni imperniate proprio sulla teologia morale di san Tommaso: il tempo del tomismo "clandestino" era terminato.
Molte ragioni possono essere portate per spiegare tale mutamento. Innanzitutto il cambio generazionale. La generazione del maggio 1968, che si definiva critica, si era rifiutata di trasmettere la cultura e la tradizione cristiane; così la generazione successiva si era trovata pressoché priva di ogni forma di cultura cristiana: sapeva di non sapere. Ciò portò a non condividere i pregiudizi dei predecessori e si poté ricominciare daccapo e ripartire dai grandi maestri. Il Catechismo della Chiesa cattolica è il testo che meglio di altri riflette tale cambiamento.

Promulgato nel 1992, il Catechismo è stato preceduto da molte versioni preparatorie. La seconda bozza provvisoria era stata inviata ai vescovi del mondo intero tra il 1988 e il 1989. I rilievi critici più consistenti manifestati dai vescovi si riferivano alla terza parte, quella morale; circa 9.000 rilievi ed emendamenti - su un totale di 24.000! Gli esperti della commissione, tra cui il sottoscritto, si rimisero al lavoro, rivedendo il progetto da cima a fondo. Si introdussero così due correzioni fondamentali, che permettono di affermare che la morale del Catechismo si ispira a san Tommaso, come mai era accaduto in precedenza in un testo magisteriale di tale importanza. La prima correzione verteva sulla morale particolare: come esporla? A partire dai comandamenti, come avrebbero suggerito quanti si riferivano a una morale della legge, o a partire dalle virtù come fa la Summa? Il cardinale Ratzinger dispose che fosse esposta a partire dai comandamenti, così da restare fedeli all'uso tradizionale, ma ogni comandamento, dopo la sua enunciazione, doveva essere spiegato in maniera dinamica: dalle virtù morali e teologali, che nella tradizione cristiana si rifanno a quel determinato comandamento. Il primo comandamento, per esempio, è immediatamente seguito dal richiamo alle tre virtù teologali; il quarto è articolato intorno alle virtù che si riferiscono alla vita familiare e politica; il sesto è centrato sulle virtù legate alla castità, ecc.

La seconda correzione riguardava la morale generale. Gli esperti seguirono più da vicino lo schema della Gaudium et spes, inserendovi molta dottrina di san Tommaso. L'esposizione della morale cristiana, come nella Summa, comincia con la creazione dell'uomo a immagine di Dio. Il trattato tomista della beatitudine non figurava in quanto tale nel testo conciliare; esso appariva dopo la creazione a immagine di Dio; le virtù, poi, si trovavano appena evocate nel testo conciliare: con le passioni, diventano le articolazioni dello sviluppo della persona umana.

Il Catechismo si basa su una convinzione che è opportuno approfondire: le grandi intuizioni della morale di san Tommaso costituiscono lo strumento migliore di dialogo critico con la modernità. I concetti di persona umana, di dignità e di libertà, che sono divenuti emblemi della modernità, non trovano in essa le fondamenta più solide? Nell'introduzione al Catechismo Giovanni Paolo ii scriveva: "Il catechismo, dunque, conterrà dell'antico e del nuovo". Ma è precisamente l'antico che offre le migliori chiavi interpretative del nuovo. In maniera logica, dunque, l'enciclica Fides et ratio ci ricorda che san Tommaso è stato sempre proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero a cui riferirsi costantemente (n. 43). Le sue intuizioni riguardanti il ruolo dello Spirito Santo per far maturare e crescere la conoscenza umana (n. 44) ci autorizzano a presentare la morale cristiana non come un sistema, né come una filosofia particolare, piuttosto come un'arte del vivere, l'arte di incarnare l'infinito nel finito, il senso dell'eternità nelle scelte concrete dell'atto libero.

Per concludere, vorrei indicare due direzioni della ricerca morale nelle quali il pensiero di san Tommaso offre dei solidi punti di riferimento per un dialogo costruttivo tra la teologia morale e la modernità. Prima direzione: san Tommaso fonda la sua morale sul concetto di natura umana, partendo dalla creazione a immagine e somiglianza di Dio. Ebbene, le grandi questioni etiche dell'oggi gravitano tutte attorno alla questione della natura - che cos'è una natura propriamente umana? quali sono i limiti dell'intervento della tecnica sulla natura? Le pressioni delle opinioni dominanti possono permettere alla coscienza personale di accedere alla conoscenza corretta della legge naturale?

Seconda direzione: con le virtù morali e teologali, san Tommaso sviluppa un modello che Michel Foucault avrebbe definito "modello della costruzione di sé". Ora, il "modello del codice", che esercitava la sua supremazia sulla teologia cattolica fin dal XVI secolo, si sta disfacendo sotto i nostri occhi. Possiamo quindi scommettere che la teoria delle virtù stimolerà un rinnovamento della teologia morale. Del resto, lo constatiamo già negli Stati Uniti, con l'importanza che ha assunto la corrente neo-aristotelica detta "contestualismo". In breve, l'insegnamento della teo- logia morale a partire dalle grandi intuizioni del tomismo ha ancora un luminoso futuro davanti a sé.



(©L'Osservatore Romano - 29 novembre 2008)
[Modificato da Caterina63 22/12/2010 19:04]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Fede, ragione e dialogo tra le religioni

Se conosciamo noi stessi
possiamo confrontarci con gli altri



Pubblichiamo ampi stralci della lezione tenuta dal cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso in occasione del dottorato honoris causa che gli è stato conferito dall'Institut Catholic di Parigi.

di Jean-Louis Tauran


Ci sono coincidenze nella storia che in realtà sono appuntamenti. Il 25 agosto 1900, a Weimar, uno scrittore moriva nella follia, Friedrich Nietzche. Qualche tempo prima, aveva composto una sorta di biografia, Ecce Homo, rivelatrice dell'angoscia che lo attanagliava:  "Dov'è Dio?" si chiedeva. "Ve lo dirò io:  l'abbiamo ucciso, voi e io. Dio è morto, siamo noi ad averlo ucciso".

Nello stesso momento, a Roma, un vecchio Papa, Leone xiii (aveva allora 90 anni) redigeva quella che sarebbe stata l'enciclica Tametsi futura, resa pubblica il 1° novembre 1900. "Bisogna reintegrare il Signore Gesù nel suo ambito; molti sono lontani da Gesù Cristo, più per ignoranza che per perversità; numerosi sono quelli che studiano l'uomo e la natura, ben pochi quelli che studiano il Figlio di Dio. Supplichiamo quanti sono cristiani di fare tutto il possibile per conoscere il loro Redentore com'è veramente".

L'accostamento dei due testi rivela il dramma spirituale che vivono ancora gli uomini e le donne di quel tempo. Da un lato, la ribellione dell'intelligenza e dall'altro l'adesione a un Dio che esercita la sua sovranità sulla mente di ognuno nella concretezza del quotidiano. Abbiamo sperimentato cos'è il mondo senza Dio:  l'inferno. L'umanità nel secolo scorso ha conosciuto la notte dei due totalitarismi che hanno generato gli eccessi che conosciamo fin troppo bene. Essi avevano annunciato la morte di Dio, organizzato la persecuzione dei credenti ed escluso definitivamente la religione dalla sfera pubblica.

Ma Dio, che era stato congedato, in realtà era sempre lì. Come poteva essere diversamente? L'ateismo insegnato e praticato non è mai riuscito a eliminare Dio dall'orizzonte dell'uomo.
 
La ricerca di Dio nasce più forte che mai, il sacro interroga, la presenza di un islam europeo che si afferma, il successo delle sette, l'attrazione esercitata dalle forme di saggezza provenienti dall'Asia, il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II che ha ridato alla Chiesa la sua visibilità e l'insegnamento di Papa Benedetto XVI che le dà la sua interiorità, hanno contribuito a farci ricordare che l'uomo è prima di tutto la creatura che s'interroga sul "senso del senso" (Paul Ricouer). È la coscienza - la facoltà di riflettere sul proprio destino, sul senso della vita e della morte - a distinguere l'uomo dai regni vegetale e animale. Egli è il solo a prevedere un aldilà. La religione non è un momento particolare della storia, essa appartiene alla natura dell'uomo. Nelle nostre società multiculturali e plurireligiose, credenti o non credenti, tutti, ci poniamo le tre domande fondamentali di Emmanuel Kant:  che cosa posso conoscere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare?

Credenti o non credenti, aspettiamo qualcosa che dia senso alla nostra esistenza, che salvi la nostra vita dall'inutilità e dall'abisso. Alcuni lo trovano nella politica, altri nell'apparire, altri ancora nell'edonismo. Come ha così ben osservato Dostoevskij:  "L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa (...) se l'uomo rifiuta Dio, s'inginocchierà davanti a un idolo. Noi siamo tutti idolatri e non atei". Il desiderio di credere è così forte nell'uomo che, dopo aver espulso Dio dalla propria vita, un'altra fede vi s'insedierà:  la fede in un altro assoluto che non è altro che l'uomo stesso:  "Homo homini deus" per dirla come Feuerbach. Ieri Dio era assente; oggi ci sono troppi dei!

È in questo contesto che si situa il dialogo interreligioso. Quando i credenti dialogano, cercano di conoscersi e di arricchirsi gli uni gli altri con il loro patrimonio spirituale, rispettando allo stesso tempo la libertà di ognuno, al fine di considerare quello che possono fare insieme per il bene della società. Il dialogo interreligioso non ha come fine la conversione dell'altro, sebbene spesso la favorisca. Il dialogo interreligioso sarà però autentico solo se ognuno resterà fedele alla propria fede. Non la si mette affatto fra parentesi; al contrario la si approfondisce per essere meglio in grado di darne conto.

Direi che tre atteggiamenti s'impongono:  il dovere dell'identità, avere un'identità spirituale (problema dell'ignoranza in materia di religione); il coraggio dell'alterità, gli altri credenti possono arricchirmi; la franchezza delle nostre intenzioni, testimoniamo, proponiamo, evitando gli eccessi del proselitismo. Ma il paradosso sta nel fatto che le religioni sono spesso percepite come un pericolo:  fanatismo, fondamentalismo, derive settarie, sono di frequente associate alla religione, e ciò soprattutto a causa di azioni terroristiche ispirate da motivi religiosi, perpetrate da adepti sviati e minoritari di una religione.

"Nessuna circostanza vale a giustificare tale attività criminosa, che copre di infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale". Non conosco condanna più sferzante di quella di Benedetto XVI pronunciata davanti al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede all'inizio del 2006. In effetti le religioni - o piuttosto alcuni credenti - sono capaci del meglio come del peggio. Le religioni possono mettersi al servizio di un progetto di santità o di alienazione:  possono predicare la pace o la guerra. Da qui la necessità per i loro responsabili di coniugare fede e ragione.
Cosa possono apportare le religioni alla società? Sono una risorsa?

La mia risposta è evidentemente affermativa. Se esiste un umanesimo, esso affonda le sue radici nell'humus cristiano:  la persona umana come valore supremo, la sua dignità, i suoi diritti fondamentali, il principio di solidarietà e di sussidiarietà, la giustizia e la pace sono valori cristiani. La prima scuola nel continente europeo è fondata da un monaco, Alcuino, alla corte di Carlo Magno. È la Chiesa cattolica a fondare le prime università. Le élite del continente africano e di quello asiatico sono state formate in istituti d'istruzione cristiani. Ci sono pensatori e teologi all'origine del diritto delle genti.

È il Papato a realizzare le prime meditazioni di pace.

Infine, bisogna ricordare che è stato il cristianesimo a riuscire a far inscrivere nelle società moderne la distinzione fra il fatto politico e il fatto religioso, principio che ha sconvolto le relazioni internazionali. Tutte le religioni ritengono la famiglia come l'ambito in cui s'impara a vivere insieme; che la terra, quella in cui sono nato, con la sua storia, modella la mia identità; che l'educazione è non solo conoscenza ma anche trasmissione di valori e che la politica e l'economia non sono il tutto dell'uomo; infine che la vita interiore è necessaria.

La grandezza dell'ebraismo, come quella dell'islam, consiste indubbiamente nel denunciare l'idolatria. La grandezza del cristianesimo nel ricordare che Dio si è fatto uomo affinché diventassimo suoi figli. Insieme dobbiamo denunciare ogni pretesa dell'uomo a farsi Dio. Non dimentichiamo mai che la tentazione del paganesimo è di divinizzare tutto.
Tutti i credenti dovrebbero poter unire le loro buone volontà quando si tratta di servire, di curare, di educare. Purtroppo però due grandi ostacoli condizionano il diffondersi dei credenti:  la crisi dell'intelligenza e la difficoltà della trasmissione dei valori.

La crisi dell'intelligenza:  siamo uomini e donne superinformati, ma abbiamo grandi difficoltà a pensare, a mettere in ordine le nostre idee, ad assaporare il silenzio. Ciò che manca di più all'uomo di oggi è una vita interiore. Pascal diceva:  "La grande disgrazia degli uomini è che non sanno stare a riposo nella propria stanza".
La crisi della trasmissione dei valori:  siamo assicurati contro tutti gli infortuni, salvo la malattia e la morte, e ciò che importa è sentirsi senza vincoli, anche se per questo si deve sacrificare un amico, un parente, un collega. Si pratica un umanesimo sociale che si riduce a dire:  non facciamo il male, ma non abbiamo bisogno di Dio per fare il bene! È un mondo chiuso a Dio! L'uomo è capace di vere imprese; non si deve aspettare nulla da Dio!

Ora noi cristiani faremo sempre resistenza di fronte a questo mondo. Con le parole di Pascal:  "Al di fuori di Gesù Cristo non sappiamo né cos'è la vita, né cos'è la morte, né cos'è Dio, né cosa siamo noi stessi". Ma è a questo mondo, al nostro mondo, che dobbiamo annunciare Gesù Cristo e il suo Vangelo, "con dolcezza e rispetto", come raccomanda Pietro. Di fatto l'unico problema esistente, e che è il valore fondamentale da trasmettere e da proporre, è di sapere se c'è stato un caso unico in cui un uomo ha avuto il diritto di dire di essere Dio; non perché quest'uomo si è fatto Dio, ma perché Dio si è fatto uomo. È tutto qui! Non è un'utopia!

Ecco cosa dobbiamo proporre, ecco cosa celebriamo. Se proviamo a volte qualche dubbio, un po' di sconforto, ricordiamoci di quei due doni magnifici con cui Dio ci ha gratificati:  un'intelligenza per comprendere e un cuore per amare.

Non dobbiamo essere complessati. Si dice che siamo minoritari. Diciamo che siamo una minoranza che conta! Nel Collège des Bernardins, Benedetto XVI ha magistralmente ricordato la novità dell'annuncio cristiano. Questa novità non è altro che la possibilità di dire ora a tutti i popoli:  "Egli si è mostrato. Egli personalmente. La novità dell'annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto:  Egli si è mostrato". Il Papa proseguiva dicendo che i nostri contemporanei, nonostante le apparenze, sono essi stessi alla ricerca di Dio e devono essere messi in condizione di poter "cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui:  questo oggi non è meno necessario che in tempi passati". E concludeva:  "Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi". La ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo restano ancora oggi il fondamento di qualsiasi cultura vera.

Il dialogo interreligioso non può riposare su una base d'ignoranza globale. Noi abbiamo delle radici; dobbiamo conservare il patrimonio umano e spirituale che ci ha modellati. Abbiamo un ruolo da svolgere dal momento che tanti giovani sono eredi senza eredità e costruttori senza modello.
Nel 1905 Ferdinand Buisson non esitò a scrivere:  "Per l'educazione di un bambino che deve diventare uomo, è bene che sia, di volta in volta, messo a contatto con i versetti appassionati dei profeti d'Israele e con i filosofi greci, che abbia conosciuto e sentito qualcosa della Città antica.
 
Sarà bene che gli si facciano conoscere e ascoltare le più belle pagine del Vangelo, come pure quelle di Marco Aurelio, che abbia sfogliato, come Michelet, tutte le Bibbie dell'umanità, che gli si faccia attraversare, non con pregiudizi e con spirito critico, ma con calorosa simpatia, tutte le forme di civiltà che si sono succedute. Ciò che risulterà da questo studio non sarà il disprezzo, l'odio, l'intolleranza, al contrario sarà una profonda simpatia, un'ammirazione rispettosa per tutte le manifestazioni del pensiero incessantemente in cammino verso un ideale incessantemente in crescita".

Il secolo che inizia ha ereditato da quello che l'ha preceduto:  come lo scorso secolo anche questo è dominato dall'economia, dalle guerre e dalle disuguaglianze. Ma è anche arricchito dai progressi delle scienze e della tecnica. I nostri contemporanei sono più consapevoli delle loro responsabilità nella gestione delle risorse naturali e nell'uso da fare dei risultati della ricerca scientifica. Dopo aver dominato le realtà fisiche, ci si avventura ora nel dominio del vivente. Una domanda sorge spontanea:  andiamo verso uno scontro o verso un dialogo fra culture e religioni? Come cristiani quale sarà il nostro contributo? Saremo ispiratori o accompagnatori? È indubbiamente difficile rispondere, ma sono convinto che il cristianesimo, che non è mai stato tanto universale come lo è oggi, saprà, come ha saputo fare nel corso della sua lunga storia, approfittare della globalizzazione - che è un dato di fatto - per offrire il suo contributo a due necessità che quest'ultima non è stata in grado di assicurare:  la giustizia e la pace. Lo faremo nella Chiesa, questa Chiesa talora con il volto segnato, ma sempre nascente, che genera apostoli capaci di osare affinché questa terra non sia mai priva di speranza e di amore.

Si pone spesso la domanda:  il cristianesimo morirà? Personalmente mi pongo un'altra domanda; quando il cristianesimo inizierà a esistere?
Ciò che è allo stesso tempo magnifico e terrificante è che Dio ci lascia liberi. Noi possiamo dire "no" a Dio! Abbiamo il potere di salvarci o di perderci. Il problema non è né la morte, né l'assurdo, è la libertà. Tale è Dio, tale è l'uomo. Il che faceva dire al grande poeta tedesco contemporaneo di Goethe, Friedrich Hölderlin:  "Dio ha creato l'uomo, come il mare fa i continenti, ritirandosi".


(©L'Osservatore Romano - 23 dicembre 2010)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/01/2011 12:42
 
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Laicismo e fondamentalismo, due facce della stessa medaglia


Vi alleghiamo l’estratto di un commento di Massimo Introvigne – apparso su La Bussola quotidiana del 16 dicembre scorso (che potrete trovare qui) – sull’interpretazione del regnante pontefice Benedetto XVI del concetto di libertà religiosa, che tanti problemi interpretativi ha dato dopo l’uscita della Dignitatis humanae (cfr. qui) del Concilio Vaticano II. Il S. Padre legge questo documento “alla luce Tradizione”. Il testo del Messaggio di Benedetto XVI per la giornata della pace 2011 lo potete trovare qui.

Cacius

[…] Il messaggio per la Giornata del 2011 riveste particolare importanza per il suo tema: la libertà religiosa. Anzitutto, il Papa ritiene opportuno intervenire dopo un anno segnato da «terribili atti di violenza» soprattutto ai danni dei «cristiani [i quali] sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede».

In secondo luogo, Benedetto XVI – il cui Magistero è fin dal suo esordio rivolto a un’interpretazione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II nel solco della Tradizione della Chiesa, evitando quella che chiama una loro «ermeneutica della discontinuità e della rottura» – offre ora preziose indicazioni per interpretare uno dei documenti conciliari più discussi, la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.

Quanto al primo aspetto – la gravità della situazione attuale – il Papa denuncia due diversi tipi di discriminazione e persecuzione. La prima, che riferisce particolarmente a regioni dell’Africa e dell’Asia, è in atto in tutte quelle «regioni del mondo [dove] non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale». In queste regioni, ricorda il Papa, chiedere la libertà di celebrare il culto è necessario ma non è sufficiente. È necessario che sia riconosciuto il diritto alla missione e che nessuno debba «incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra religione», una chiara allusione a sistemi e pratiche giuridiche fondate sull’islam e sull’induismo che in alcuni Paesi puniscono direttamente o indirettamente la conversione al cristianesimo come apostasia.

La seconda forma di persecuzione è la nostra, quella dei «Paesi occidentali», i quali manifestano «forme più sofisticate di ostilità contro la religione». Quando i governi sono laicisti, queste ostilità «si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini». In talune zone dell’Occidente le autorità addirittura «fomentano l’odio e il pregiudizio» contro la religione storicamente maggioritaria, cioè contro il cristianesimo.

Ma che cos’è la libertà religiosa? Interpretando la Dignitatis humanae lo stesso Benedetto XVI ha spiegato più volte che dal punto di vista giuridico non si tratta di un diritto positivo – il quale dovrebbe comprendere anche un «diritto all’errore» che, come ribadisce il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2108, la Chiesa non ha mai riconosciuto – ma di un diritto negativo, che anche questo Messaggio chiama «immunità dalla coercizione». Questa immunità acquista certo un profilo specifico negli Stati moderni, per definizione incompetenti in materia di religione, ma corrisponde al principio antico secondo cui – come recita il Messaggio – «la professione di una religione non può essere […] imposta con la forza».

Se si può parlare di «diritto», in senso giuridico, si tratta del diritto a non essere turbati da un’intromissione dello Stato moderno nella formazione delle proprie convinzioni in materia di religione.Rispetto a interventi precedenti, vi è qui però un secondo elemento, certamente non nuovo ma il cui collegamento inscindibile con il primo è ribadito con particolare forza. La libertà religiosa che la Chiesa proclama «va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità». Da un punto di vista filosofico, un’analisi di che cos’è la persona viene «prima» delle soluzioni giuridiche. La persona è ordinata alla verità ed è dotata di libertà per la verità. Il libero arbitrio consente certamente il cattivo uso della libertà, contro la verità e addirittura contro Dio. Ma in questo caso, spiega Benedetto XVI, la libertà erode il suo stesso fondamento. «Una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti, non ha una “identità” da custodire e costruire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dunque reclamare il rispetto da parte di altre “volontà”, anch’esse sganciate dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere altre “ragioni” o addirittura nessuna “ragione”. L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani».

Un altro equivoco, indotto da una lettura secondo il Papa errata, ma per anni dominante, della nozione di libertà religiosa e della Dignitatis humanae, è quello che vorrebbe confinare la religione in una dimensione meramente privata, quasi che quando la Chiesa chiede leggi conformi alle verità naturali che fanno parte del suo insegnamento consueto – anzitutto nelle materie, specificamente richiamate nel Messaggio, della vita, della famiglia e della libertà dell’educazione (i famosi «valori non negoziabili» di Benedetto XVI) – stia negando la libertà religiosa dei non cattolici attraverso un’indebita ingerenza nella vita politica. Non solo i principi della morale naturale valgono per tutti, credenti e non credenti. Ma, sia pure «nel rispetto della laicità positiva delle istituzioni statali», l’orientamento della libertà alla verità non può rinunciare a una dimensione politica. «La dimensione pubblica della religione deve essere sempre riconosciuta» e «le leggi e le istituzioni di una società non possono essere configurate ignorando la dimensione religiosa dei cittadini o in modo da prescinderne del tutto».

«Non essendo questa [dimensione religiosa della persona] una creazione dello Stato, non può esserne manipolata, dovendo piuttosto riceverne riconoscimento e rispetto». Tutto questo è riassunto in un’espressione molto forte sul ruolo della società per la salvezza delle anime, che ricorda analoghe e celebri espressioni del venerabile Pio XII: «Anche la società, dunque, in quanto espressione della persona e dell’insieme delle sue dimensioni costitutive, deve vivere ed organizzarsi in modo da favorirne l’apertura alla trascendenza».Questa ricostruzione della vera nozione di libertà religiosa esclude dunque anzitutto «la strada del relativismo, o del sincretismo religioso» – cose diverse, spiega il Papa, dal dialogo tra le religioni condotto nella chiarezza e nella verità – e consente di evitare i due errori opposti del fondamentalismo e del laicismo, anch’essi più volte richiamati nel Magistero di Benedetto XVI. «Non si può dimenticare – scrive ora il Papa – che il fondamentalismo religioso e il laicismo sono forme speculari» fra loro. Entrambe infatti negano il corretto rapporto fra fede e ragione. Nel fondamentalismo, la fede nega la ragione.

Nel laicismo la ragione, o meglio il razionalismo, nega la fede. Entrambi sono nemici della libertà religiosa: il fondamentalismo vuole imporre la religione con la forza, il laicismo con la forza vuole imporre l’irreligione. Mentre solo l’equilibrio fra fede e ragione – senza confusione, ma anche senza separazione – garantisce la libertà religiosa che, ci assicura il Papa, «è all’origine della libertà morale» e dunque di ogni vera libertà...

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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04/01/2011 00:06
 
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Il Sultano sottopose a San Francesco D'Assisi un'altra questione:


FF. 2690-2691


II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca, dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici;


rispose il beato Francesco:


"Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato.

Gesù infatti ha detto: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino". Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima.

Altrove, oltretutto, è detto: "Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio.


Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete.
Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi".


Approfondimenti:


Fraternamente CaterinaLD

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05/01/2011 16:27
 
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San Tommaso e l'Islam (Angela Ambrogetti)

Riceviamo (dal Blog di Raffaella) e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

San Tommaso e l'Islam

Angela Ambrogetti

A pochi giorni dall’annuncio a sorpresa di papa Benedetto XVI che sarà ad Assisi per i 25 anni dell’incontro tra le religioni, è interessante riflettere sul rapporto tra i dottori della Chiesa e le altre religioni.
 
In particolare quale era la visione di San Tommaso d’Aquino nei confronti dell’Islam? Se ne parlerà martedì prossimo, 11 gennaio alla Libreria Internazionale Paolo VI per la presentazione di : “Tommaso d’Aquino e l’Islam”, primo numero dei Quaderni Aquinati, Collana di studi e documenti diretta da Tommaso Di Ruzza e co-edita dalla Libreria Editrice Vaticana e dal Circolo San Tommaso d’Aquino.
Relatori il vescovo Jean-Louis Bruguès, Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, autore della Prefazione, e la principessa Wijdân al-Hâshemi, Ambasciatore di Giordania.

Nel volume sono contenuti gli Atti del convegno “Tommaso d’Aquino e il dialogo con l’Islam”, tenutosi ad Aquino il 7 marzo 2009. L’indice del volume è di assoluto prestigio: i saluti introduttivi sono del cardinal Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, di S.E. Mons. Luca Brandolini, vescovo emerito della diocesi di Sora Aquino Pontecorvo, e di Tommaso Di Ruzza, Presidente del Circolo San Tommaso d’Aquino. La lectio magistralis è tenuta da p. Joseph Ellul, domenicano, esperto di dialogo con l’Islam. Il libro si conclude con gli interventi nel dibattito di Wijdân al-Hâshemi, del Mons. Lluís Clavell, Presidente della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino e di p. Vincenzo Benetollo, presidente del Società Internazionale Tommaso d’Aquino, uno dei massimi esperti in Italia del pensiero dell’Aquinate.

Gli atti del convegno, ancorché di un anno fa, si presentano di grande attualità. P. Ellul, dopo aver analizzato gli scritti di Tommaso d’Aquino, conclude che «è vero che il linguaggio usato da Tommaso quando descrive la fede musulmana e l’operato di Maometto è durissimo e oggi sarebbe del tutto inaccettabile, ma, detto questo, si deve ammettere anche che tale posizione non escludeva la sua curiosità intellettuale e il suo vedere i sapienti musulmani (e ebrei) come compagni di viaggio nel lungo cammino verso la verità divina». Chiosa l’ambasciatore Al Hashemi: «Quello che è altrettanto straordinario è il modo in cui Tommaso sembra cambiare opinione sia sull’Islam che sull’Ebraismo e come sia stato disponibile ad imparare da entrambe le culture per sviluppare il suo pensiero».

«I Quaderni Aquinati – afferma Tommaso Di Ruzza, Presidente del Circolo San Tommaso d’Aquino – sono un segno concreto dell’impegno che un gruppo di giovani di Aquino si è preso appena un anno fa: quello di raccogliere la sfida di Paolo VI, in visita ad Aquino 35 anni fa, e formare proprio ad Aquino un progetto culturale fondato sulla figura di Tommaso d’Aquino, fondato nella dottrina cristiana ed aperto ai nuovi linguaggi della cultura e dell’arte».

Il Circolo San Tommaso d’Aquino è un circolo culturale fondato 2009. È riconosciuto dalla Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo ed incluso nel Progetto culturale della Chiesa cattolica italiana. Nel 2010 ha istituito il Premio internazionale Tommaso d’Aquino, destinato ad una figura che si distingue nel mondo della cultura o dell’arte, ed il Concorso Veritas et Amor, rivolto a giovani studiosi ed artisti.

Il volume è disponibile in versione cartacea ed elettronica, e si può acquistare e scaricare on-line dal sito
www.circolosantommaso.it.

Il Portone di Bronzo

Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/07/2015 16:36
 
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  Dialogare per Evangelizzare (cliccare sulle immagini per ingrandirle)





Vogliamo aprire l'articolo con le parole di Benedetto XVI nel suo Discorso alla Curia del Natale 2012:


"Per l’essenza del dialogo interreligioso, oggi in genere si considerano fondamentali due regole:


1. Il dialogo non ha di mira la conversione, bensì la comprensione. In questo si distingue dall’evangelizzazione, dalla missione.


2. Conformemente a ciò, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri.
Queste regole sono giuste. Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente.

Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità. Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità. 
Per quanto riguarda il restare fedeli alla propria identità: sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identità interrompesse, per così dire, in base alla sua volontà, la via verso la verità. Allora il suo essere cristiano diventerebbe qualcosa di arbitrario, una scelta semplicemente fattuale. Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verità.

Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano...."

***

Non nascondiamo alcuni punti apparentemente "ambigui" del Discorso del Pontefice, parole che ben facilmente si prestano a strumentali interpretazioni di comodo, soprattutto sincretiste se ci si fermasse ai due punti citati, ma naturalmente non ne facciamo una colpa al Papa dal momento che il fine e lo scopo delle sue parole non si fermano lì. In fondo egli sta spiegando la situazione di una forma di dialogo che, laddove è necessaria per creare amicizie, incontri, rispetto, fiducia, dall'altra parte è andata ben oltre l'intenzione medesima del Cristo nei Vangeli, e il Papa stesso richiama alle responsabilità del fedele quanto del Clero.

Non pochi fra Clero e fedeli laici ci si ferma al punto: Il dialogo non ha di mira la conversione,  e davanti ad una affermazione del genere non possiamo non chiederci: ma allora, perché il Battesimo è necessario? Perché "dobbiamo" evangelizzare e patire come Cristo? Perché farsi Cattolici?

Possiamo forse rispondere che "siamo chiamati, battezzati e fatti cristiani", chiamati a dare la propria vita per servire il dialogo? Naturalmente no!

Ed infatti il dialogo non ha di mira la conversione! Lo stesso Pontefice specifica: "In questo (- il dialogo) si distingue dall’evangelizzazione, dalla missione".

Ed è vero: distinzione si, separazione no!

E' Gesù che sceglie chi mandare in missione, chi mandare ad evangelizzare, non siamo noi gli iniziatori, noi siamo responsabili di un rifiuto o di una accettazione: "Non vos me elegistis, sed ego elegi vos et posui vos, ut vos eatis et fructum afferatis, et fructus vester maneat / Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv.15,16).

Il "frutto" non è nostro, ma è della vite, quindi è di Cristo, e chi viene chiamato a lavorare nella vigna deve lavorare per quella Vite, la vigna è del Signore.

L'essere così in "possesso della Verità " è un relazionarsi in Cristo=Verità, nell'ambito di quell'essere "costituiti-innestati" all'interno, appunto, della Chiesa per rendere un servizio al prossimo, al mondo, al regno di Dio che viene.

Il 2 settembre 2012, Benedetto XVI ha tenuto una interessante Omelia nel suo annuale incontro con gli ex-studenti, proferendo queste parole:

"Conviene, quindi, alla Chiesa, come per Israele, essere piena di gratitudine e di gioia. «Quale popolo può dire che Dio gli sia così vicino? Quale popolo ha ricevuto questo dono?».

 Non lo abbiamo fatto noi, ci è stato donato. Gioia e gratitudine per il fatto che lo possiamo conoscere, che abbiamo ricevuto la saggezza del vivere bene, che è ciò che dovrebbe caratterizzare il cristiano. Infatti, nel Cristianesimo delle origini era così: l’essere liberato dalle tenebre dell’andare a tastoni, dell’ignoranza - che cosa sono? perché sono? come devo andare avanti? -, l’essere diventato libero, l’essere nella luce, nell’ampiezza della verità. Questa era la consapevolezza fondamentale. Una gratitudine che si irradiava intorno e che così univa gli uomini nella Chiesa di Gesù Cristo.

"Ma anche nella Chiesa c’è lo stesso fenomeno: elementi umani si aggiungono e conducono o alla presunzione, al cosiddetto trionfalismo che vanta se stesso invece di dare la lode a Dio, o al vincolo, che bisogna togliere, spezzare e schiacciare.

Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita.

"Se leggiamo oggi, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata? Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso.

 Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. Solo se ci lasciamo guidare e muovere da lei, rimaniamo in lei, solo se siamo, con lei e in lei, pellegrini della verità, allora è in noi e per noi.

 Penso che dobbiamo imparare di nuovo questo «non-avere-la-verità». Come nessuno può dire: ho dei figli – non sono un nostro possesso, sono un dono, e come dono di Dio ci sono dati per un compito - così non possiamo dire: ho la verità, ma la verità è venuta verso di noi e ci spinge. Dobbiamo imparare a farci muovere da lei, a farci condurre da lei. E allora brillerà di nuovo: se essa stessa ci conduce e ci compenetra..."

(Omelia Santa Messa 2.9.2012 Benedetto XVI - Ratzinger Schülerkreis)

 

Insomma: dobbiamo dialogare si o no?

Dobbiamo "convertire" o no?

Il dialogo non è conversione o convertire, ma per un cattolico il dialogare è uno strumento non il fine, ed  ha uno scopo ben preciso:

Instaurare omnia in Christo”.... Con queste parole San Pio X iniziava il suo Pontificato all'inizio del '900.

Quale significato ha per noi oggi questa verità? Lo spiegava bene Giovanni Paolo II quando nel 1993 andò a visitare la Parrocchia romana dedicata a san Pio X:

"San Pio X ha trovato queste parole: “Instaurare omnia in Christo”. “Instaurare”, innovare, cercare in Lui sempre il recupero, l’instaurazione, la restaurazione di quello che è giusto, che è umano, che è pacifico, che è bello, che è sano e che è santo. “Instaurare omnia” e “omnia” vuol dire la vita personale, la vita delle famiglie".

Dice ancora Benedetto XVI:

" Il linguaggio della fede spesso è molto lontano dalla gente di oggi; può avvicinarsi soltanto se diviene in noi il linguaggio del nostro tempo..." (13.5.2005)

Cosa vuol dire?

Innanzi tutto vuol dire che la Parola di Dio non può essere adeguata alle mode del momento con nuove interpretazioni di comodo, ma deve diventare "il linguaggio del nostro tempo" di ogni tempo, ossia è l'uomo che deve adeguarsi alla Parola, alla vera dottrina che non è affatto un "monopolio" della Gerarchia Cattolica modificabile a seconda di certi poteri occulti che si agitano nel tempo e nella storia.

Il giorno di Pentecoste gli Apostoli parlarono in lingue ma attenzione perché in quel "parlare in lingue" non c'è esclusivamente la lingua straniera come da molti è concepito, ma intende anche una "comprensione degli avvenimenti" appena accaduti.

Dice infatti sant'Agostino (e così comprendiamo anche le parole di Benedetto XVI):

" Nel giorno di Pentecoste lo Spirito Santo scese su centoventi persone, tra cui erano gli Apostoli, che si trovavano riuniti insieme. Quando gli Apostoli, ricolmi di Spirito Santo, cominciarono a parlare la lingua di tutte le genti, molti di coloro che lo avevano odiato, stupefatti per un tale prodigio (infatti si trovavano davanti a Pietro che con la sua parola rendeva a Cristo una testimonianza grandiosa e divina, dimostrando che colui che essi avevano ucciso e credevano morto era invece risuscitato ed era ben vivo), toccati nel profondo del cuore, si convertirono e ottennero il perdono d'aver versato quel sangue divino con tanta empietà e crudeltà e da quel medesimo sangue, che avevano versato, furono redenti (cf. At 2, 2).

Il sangue di Cristo, versato per la remissione di tutti i peccati, possiede, infatti, una tale efficacia che può cancellare anche il peccato di chi lo ha versato. Ed è appunto a questo fatto che alludeva il Signore con le parole: Mi hanno odiato senza ragione. Quando verrà il Paracleto, egli mi renderà testimonianza, come dire: Vedendomi, mi hanno odiato e ucciso; ma il Paracleto mi renderà una tale testimonianza che li farà credere in me senza vedermi". (Omelia 92)

E ancora, dice sant'Agostino:

"...la verità evangelica è stata a noi comunicata dal Verbo di Dio, che rimane eterno e immutabile al di sopra di ogni creatura, mediante l'opera di creature umane e attraverso segni e lingue umane. Questa comunicazione ha raggiunto nel Vangelo il più alto vertice dell'autorevolezza" (Il consenso degli Evangelisti - Libro Secondo).

Nella Messa Crismale del 2009 il Papa, rivolgendosi al Clero poneva nove domande precise

“Siamo veramente pervasi dalla parola di Dio?

È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto non lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo?

Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa realmente dà un’impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero?

O non è piuttosto che il nostro pensiero sempre di nuovo si modella con tutto ciò che si dice e che si fa?

Non sono forse assai spesso le opinioni predominanti i criteri secondo cui ci misuriamo?

Non rimaniamo forse, in fin dei conti, nella superficialità di tutto ciò che, di solito, s’impone all’uomo di oggi?

Ci lasciamo veramente purificare nel nostro intimo dalla parola di Dio?”

(Benedetto XVI Santa Messa Crismale - Giovedì Santo 9 aprile 2009)

Del resto, il Papa stesso aveva obiettato il 25 maggio 2006 durante il suo viaggio in Polonia:

“Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano degli specialisti nel promuovere l’incontro dell’uomo con DioAl sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale (…) Siate autentici nella vostra vita e nel vostro ministero. Fissando Cristo, vivete una vita modesta, solidale con i fedeli a cui siete mandati. Servite tutti; se vivrete di fede, lo Spirito Santo vi suggerirà cosa dovrete dire e come dovrete servire”.

Dunque, non solo lo sguardo sempre rivolto a Dio e quindi piegato poi verso l'umanità, ma di conseguenza anche ogni forma di dialogo deve avere questa impronta, questo sguardo rivolto a Dio e non a un dio qualunque, o ad una immagine astratta di chiesa o persino una immagine del Cristo modellata a seconda delle nostre opinioni personali.

Per questo, diceva durante la Messa Crismale del 2008:

“Il sacerdote deve essere uno che vigila. Deve stare in guardia di fronte alle potenze incalzanti del male. Deve tener sveglio il mondo per Dio. Deve essere uno che sta in piedi: dritto di fronte alle correnti del tempo. Dritto nella verità. Dritto nell’impegno per il bene”.

I mezzi per la “perfezione” sono noti a ogni presbitero: Eucaristia, fedeltà a una preghiera profonda, formazione permanente. Il Papa ne parlava quasi ogni settimana, quando le stanze della sua casa si riempiono di vescovi di tutto il mondo che vengono a raccontargli delle loro Chiese particolari. Ma è possibile fin qui individuare un concetto su tutti, il leit-motiv che - secondo Benedetto XVI - “fa” il sacerdote, come dichiara il 13 maggio 2005, nel tradizionale incontro con il clero romano:

“Tutto ciò che è costitutivo del nostro ministero non può essere il prodotto delle nostre capacità personali (…) Siamo mandati non ad annunciare noi stessi o nostre opinioni, ma il mistero di Cristo e, in Lui, la misura del vero umanesimo. Siamo incaricati non di dire molte parole, ma di farci eco e portatori di una sola 'Parola', che è il Verbo di Dio fatto carne per la nostra salvezza”.

 

Ricapitolando:

il dialogo non è lo scopo, non è il fine, ma uno strumento per l'evangelizzazione il cui scopo e fine è l'incontro con la Verità. Il vero dialogo deve "toccare nel profondo del cuore l'altro, e condurlo alla conversione", ossia, ascoltare Cristo, crederGli, abbracciarLo.

Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Pace del 2006 scriveva:

"E allora, chi e che cosa può impedire la realizzazione della pace? A questo proposito, la Sacra Scrittura mette in evidenza nel suo primo Libro, la Genesi, la menzogna, pronunciata all'inizio della storia dall'essere dalla lingua biforcuta, qualificato dall'evangelista Giovanni come « padre della menzogna » (Gv 8,44).

La menzogna è pure uno dei peccati che ricorda la Bibbia nell'ultimo capitolo del suo ultimo Libro, l'Apocalisse, per segnalare l'esclusione dalla Gerusalemme celeste dei menzogneri: « Fuori... chiunque ama e pratica la menzogna! » (22,15).

Alla menzogna è legato il dramma del peccato con le sue conseguenze perverse, che hanno causato e continuano a causare effetti devastanti nella vita degli individui e delle nazioni. (..) Come non restare seriamente preoccupati, dopo tali esperienze, di fronte alle menzogne del nostro tempo, che fanno da cornice a minacciosi scenari di morte in non poche regioni del mondo? L'autentica ricerca della pace deve partire dalla consapevolezza che il problema della verità e della menzogna riguarda ogni uomo e ogni donna, e risulta essere decisivo per un futuro pacifico del nostro pianeta".

***

Il dialogo è perciò la condivisione della Verità, mettendo a nudo la menzogna, così dice il Profeta:

"Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te.

Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.

Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te.

Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato". (Ezec.3,18-21)

L'impegno della Chiesa ad annunciare il Vangelo, ha ripetuto il Papa nell'Omelia del Te Deum 31.12.2012: "è tanto più necessario quando la fede rischia di oscurarsi in contesti culturali che ne ostacolano il radicamento personale e la presenza sociale" e in "stili di vita improntati all'individualismo e al relativismo etico".

Non sia dunque turbato il nostro cuore di fronte alla Verità di questa Pace che è fuoco, dice infatti Gesù: "Ignem veni mittere in terram et quid volo. Si iam accensus esset!  / Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!" (Lc.12,49).

 

Perché attraverso la Chiesa? Chi lo dice?

Lo dice Gesù le cui parole riportiamo dall'introduzione del Documento Dominus Jesus:

" Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8).

La missione universale della Chiesa nasce dal mandato di Gesù Cristo e si adempie nel corso dei secoli nella proclamazione del mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e del mistero dell'incarnazione del Figlio, come evento di salvezza per tutta l'umanità".

 ***

Questo è lo scopo del "dialogo" con i non cattolici!

Gesù non ha comandato: «Andate in tutto il mondo e dialogate con ogni creatura condividendo la fede di tutti.»

Il vero dialogo rispettoso dell'altro non può essere separato da questo che è invece il comando di Gesù: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato».

Seppure resta chiara la distinzione del dialogare dalla missione evangelizzatrice, resta palese che la Chiesa, il cattolico stesso che "vive nel mondo" è invitato a dialogare per "preparare il terreno" (la chiamata) alla semina del Vangelo.

L'opera di conversione non spetta a noi, ma al Cristo, è Lui che fa crescere e maturare.

Del resto è la Verità che rende liberi, mentre la menzogna rende schiavi; perché la menzogna ha un  fascino perverso e pervertitore, possiede un potere diabolico sugli animi, si accredita con l’opinione e la dittatura del relativismo, si afferma e si consolida con l’uso di un falso e perverso dialogo, assume tutte le apparenze della verità, presto o tardi giunge a sottomettere chi rifiuta la Verità, e acquista sugli animi un dominio anche indistruttibile se non si previene smascherandola, denunciandola, condannandola.

Se dunque noi non dialoghiamo per seminare il Logos, cosa deve far crescere il Cristo: le nostre chiacchiere, le nostre ideologie, le nostre vane parole?

Per dialogare non serviva fondare la Chiesa, non serviva finire sulla Croce.

"...chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia” (Mt 7, 15.23).

L’opera di santificazione in noi è manifestata non dai “carismi”, dal dialogo fine a se stesso, dal volemose bene a tutti i costi, ma dai “frutti” (le conversioni),le chiacchiere stanno a zero. I carismi, così come il dialogo sono strumenti a servizio della santificazione nostra e del prossimo, ma non sono il segno di averla già raggiunta.

L’albero buono non si riconosce nella produzione di “carismi o da quanto è prodigo nel dialogo”, ma per i “frutti”, e i frutti sono la trasformazione che lo Spirito Santo produce dentro l'uomo: la conversione, la santificazione, vero scopo del dialogo.

Gesù è il vero Maestro del dialogo, ma tratta duramente coloro che avendo ricevuto ed usato i carismi non producono frutti dello Spirito Santo e quindi non costruiscono la loro casa sulla roccia, ossia su di Lui.

Leggiamo infatti ancora nella Dominus Jesus:

" La risposta adeguata alla rivelazione di Dio è «l'obbedienza della fede(cf. Rm 1,5; Rm 16,26; 2 Cor 10,5-6), per la quale l'uomo si abbandona a Dio tutto intero liberamente, prestando il “pieno ossequio dell'intelletto e della volontà a Dio che rivela” e dando il proprio assenso volontario alla rivelazione fatta da lui»".

La priorità dell'evangelizzazione nel Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale Missionaria 2012 era la seguente:

  "Il mandato di predicare il Vangelo (...) deve coinvolgere tutta l'attività della Chiesa particolare, tutti i suoi settori, in breve, tutto il suo essere e il suo operare. Il Concilio Vaticano II lo ha indicato con chiarezza e il Magistero successivo l'ha ribadito con forza. Ciò richiede di adeguare costantemente stili di vita, piani pastorali e organizzazione diocesana a questa dimensione fondamentale dell'essere Chiesa, specialmente nel nostro mondo in continuo cambiamento. (...) Tutte le componenti del grande mosaico della Chiesa devono sentirsi fortemente interpellate dal mandato del Signore di predicare il Vangelo, affinché Cristo sia annunciato ovunque. Noi Pastori, i religiosi, le religiose e tutti i fedeli in Cristo, dobbiamo metterci sulle orme dell'apostolo Paolo, il quale (...) ha lavorato, sofferto e lottato per far giungere il Vangelo in mezzo ai pagani, senza risparmiare energie, tempo e mezzi per far conoscere il Messaggio di Cristo". (...)

“Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità”. (2 Tessalonicesi 2, 7-12).

"Ecce venio cito, et merces mea mecum est, reddere unicuique sicut opus eius est.

Ego Alpha et Omega, primus et novissimus, principium et finis.

Beati, qui lavant stolas suas, ut sit potestas eorum super lignum vitae, et per portas intrent in civitatem.

Foris canes et venefici et impudici et homicidae et idolis servientes et omnis, qui amat et facit mendacium! /

Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere.

Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine.

Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all'albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. 

Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna! " (Ap.22,15)

Sia lodato Gesù Cristo + sempre sia lodato

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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«Rifondare l'Europa», il programma di Francesco
e lo sguardo profetico di Wojtyla e Ratzinger


Papa Francesco riceve premio Carlo Magno
 

Il discorso sull'Europa di papa Francesco legge quel diffuso bisogno di un nuovo inizio dell'Europa, che rischia di andare in frantumi davanti a crisi economica e pressione degli immigrati. Si tratta di un intervento molto pragmatico che lascia sullo sfondo il tema delle radici cristiane dell'Europa, molto caro invece ai suoi predecessori.

e si legga anche:

- Papa Francesco "striglia" l'Europadi L. Bertocchi

di Riccardo Cascioli

Prima la crisi economica, ora anche la pressione degli immigrati rischiano di mandare in pezzi la costruzione europea. È un dato di fatto, è probabilmente la sfida più grave che l’Unione si trova ad affrontare a più di 60 anni dai primi passi per l’integrazione continentale. Davanti alle pressioni interne ed esterne, i Paesi membri dell’Unione Europea si rinfacciano l’un l’altro le responsabilità e fanno valere la logica dei confini. Il caso del Brennero con lo scontro Austria-Italia è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo, ma se il 23 giugno in Gran Bretagna nel referendum voluto dal governo prevalessero i sì all’uscita dall’Europa, sarebbe ben difficile evitare di affrontare apertamente la crisi in corso. 

Non stupisce dunque che da più parti dentro e fuori le istituzioni europee si avverta la necessità di una “rifondazione” dell’Europa, un nuovo inizio. È in questo quadro che si inserisce la decisione di assegnare a papa Francesco il Premio Internazionale Carlo Magno, che dal 1950 la città di Aquisgrana consegna ogni anno a personalità – europee e non – che si distinguono per l’impegno a favore dell’unità e dell’integrazione dell’Europa. Ed è in questo quadro che va letto il discorso pronunciato ieri 6 maggio da papa Francesco nella cerimonia di consegna del premio svoltasi in Vaticano, alla presenza dei principali rappresentanti delle istituzioni europee (clicca qui).

La strada indicata da papa Francesco è quella di «un nuovo umanesimo europeo», un aggiornamento dell’idea di Europa, basato su tre capacità: di integrare, di dialogare, di generare. In questo processo, il Papa vede come essenziale il fattore economico, ovvero il passaggio verso una «economia sociale» che punti soprattutto a creare posti di lavoro e un futuro per i giovani. È un discorso, se così si può dire, “politico” e i nove “sogni” che il Papa ha elencato alla fine del suo intervento – centrati attorno alla dignità delle persone più deboli e vulnerabili – dovrebbero appunto costituire i riferimenti morali di questo cammino di rifondazione.

Difficile però non notare una novità essenziale in questo discorso, che non solo marca una differenza dagli interventi dei suoi predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che all’Europa hanno dedicato un’ampia riflessione, ma anche dal suo discorso al Parlamento Europeo il 25 novembre 2014 (clicca qui).

La questione principale riguarda la radice profonda della crisi attuale, una crisi di identità, su cui però papa Francesco non intende indagare, privilegiando invece il “modo” in cui uscirne, gli atteggiamenti: coraggio, generosità, solidarietà, memoria, utopia. L'origine dell'identità europea, la fonte da cui dovrebbero uscire le tre capacità di cui sopra, rimane sullo sfondo, affidata al ricordo del suo intervento al Parlamento europeo di un anno e mezzo fa; le radici cristiane sono appena sfiorate in riferimento al compito della Chiesa. 

È qui notevole la differenza con i suoi predecessori che – anche per il fatto di aver regnato al tempo del dibattito sulla Costituzione europea – sul tema della necessità del recupero delle radici cristiane hanno speso molte energie. Un tema che peraltro era ben presente anche nel citato discorso al Parlamento Europeo del 2014, tutto improntato al rispetto della «dignità trascendente della persona umana». E non pare essere solo questione di accentuazioni. Sull’incontro di popoli e culture di cui storicamente l’Europa è protagonista si nota una diversa chiave di lettura anche per il presente. 

Papa Francesco descrive una integrazione tra culture fondata sul dialogo e sul compromesso: «Le radici dei nostri popoli – ha detto -, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale». Questo è ciò che il Papa immagina debba essere il metodo anche oggi che è in atto quella che egli stesso ha recentemente definito «un’invasione». L’Europa sarebbe dunque chiamata a una sintesi tra la cultura dei popoli che attualmente la abitano e quanti stanno arrivando.

Diversa era la preoccupazione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che affrontavano direttamente il vero dramma dell’Europa, che consiste nell’apostasia, nel ripudio delle sue radici cristiane: «Se l’Europa vuole essere – diceva nel 2003 papa Wojtyla – un insieme conciliato di uomini e popoli, con rispetto profondo e benevolenza duratura, Cristo deve animare questo continente». E ancora, nel discorso all’ambasciatore della Repubblica Federale di Germania, nel 2002: «L’Europa non sarebbe tale senza il ricco patrimonio dei suoi popoli che, similmente ai geni umani, ha plasmato e continua a forgiare la personalità di questo continente. Trascurare oppure abbandonare questa “eredità” significherebbe mettere a repentaglio la propria identità e infine perderla… Un fattore qualificante dell’identità di questo continente è la Chiesa fondata da Gesù Cristo». E poi, nell’Angelus del 13 luglio 2003: «Come soddisfare il profondo anelito di speranza dell’Europa? Occorre ritornare a Cristo e ripartire da Lui».

Per il cardinale Ratzinger, poi Benedetto XVI, il vero dramma dell’Europa consiste proprio nell’ostinazione a voler cancellare Dio dall’orizzonte: «Il tentativo – diceva nel famoso discorso di Subiaco del 1° aprile 2005 -, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo». Da qui la strada da intraprendere: «Dovremmo capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita (…) come se Dio ci fosse. (…) Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».

Rilette oggi, queste parole, davanti ai fallimenti di una Unione Europea sempre più guidata da un laicismo soffocante, hanno il sapore della profezia. Possiamo oggi toccarlo con mano: non c'è infatti alcuna integrazione laddove non c'è un'identità chiara che, nel rispetto reciproco, accoglie e valorizza quanto di buono incontra. E sono anche parole che offrono l’orizzonte entro cui collocare adeguatamente anche le preoccupazioni di papa Francesco.  





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“FRANCESCO CONTRO LE RADICI GIUDAICO-CRISTIANE” (TITOLO ENTUSIASTICO DEL “FATTO QUOTIDIANO” DI OGGI DOPO IL DISCORSO BERGOGLIANO SULL’EUROPA)

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L’attribuzione del Premio Carlo Magno a papa Bergoglio induce all’ilarità. Sarebbe come attribuire un Premio San Tommaso d’Aquino a Eugenio Scalfari.

Com’era prevedibile il papa argentino – dopo aver cestinato le “radici cristiane dell’Europa” e i “principi non negoziabili” che sono alla base della civiltà europea – ha proclamato il suo unico “principio non negoziabile”: l’immigrazione. E, con essa, l’affondamento dell’Europa.

Del resto – in barba al titolo del premio – la fallimentare Europa tecnocratica e laicista (cioè a guida tedesca e francese) ha, già da tempo, rinnegato Carlo Magno e il Sacro Romano Impero, cioè la cultura cristiana che ha costruito l’Europa dei popoli.

Bergoglio ha invitato a far memoria del passato, ma lui è a digiuno di storia. Infatti ha ripetuto la solita solfa sul dovere di “costruire ponti e abbattere muri”, ignorando che l’Europa è nata letteralmente dalla costruzione di solide mura di confine, difese per millenni con la spada.

MURI PER DIFENDERSI DALL’ISLAM

I Franchi costruirono il primo nucleo del loro regno e del Sacro Romano Impero proprio quando, a Poitiers, nel 732 dC, fecero muro per fermare la prima invasione islamica che dalla Spagna cercava di conquistare l’Europa.

Carlo Martello vinse grazie all’aiuto di Visigoti, Bavari, Alemanni, Sassoni e Gepidi.

Era il primo muro di difesa europea della nascente civiltà che stava prendendo forma nei monasteri benedettini, dove si salvavano e si tramandavano i tesori della cultura greca, giudaico-cristiana e latina e si faceva rinascere il lavoro, l’agricoltura e l’economia.

A parte le battaglie di Carlo Magno sui Pirenei, l’Europa, continuamente saccheggiata da scorrerie saracene, si salvò perché negli altri due, colossali, tentativi di invasione musulmana, gli europei fecero ancora muro e vinsero.

A Lepanto nel 1571 grazie alla flotta della Lega Santa promossa da papa Pio V (a quel tempo i papi difendevano la cristianità dall’islamizzazione, mentre quello odierno vuole abbattere le frontiere e favorire l’invasione).

La terza volta in cui fu scongiurata l’invasione islamica dell’Europa fu nel 1683, sotto le (solide) mura di Vienna.

L’Impero Ottomano aveva già conquistato l’impero romano d’oriente, devastando la millenaria Bisanzio e avanzando, con 140 mila uomini, su per i Balcani fino a Vienna.

Se fossero cadute le sue mura l’Europa sarebbe stata invasa e islamizzata. Ma un esercito cristiano (metà di quello ottomano), guidato dal re polacco Giovanni III Sobiesky e formato da austriaci, polacchi, italiani, franconi, sassoni, svevi e bavaresi, vinse e l’Europa fu salva per la terza volta.

Altrimenti oggi saremmo tutti turchi, come a Bisanzio che è diventata Istanbul. E la Basilica di San Pietro sarebbe una moschea com’è accaduto a Santa Sofia.

A dirla tutta – ma Bergoglio lo ignora – l’Europa è nata, fin dalla sua lontana origine greca, proprio costruendo un muro invalicabile rispetto alla debordante invasione orientale.

MURA CONTRO I PERSIANI

Infatti l’Europa non esiste da sempre. Mentre tutti gli altri continenti sono entità geografiche definite, essa – che è un’appendice dell’Asia – nasce solo da un’identità culturale.

La sua culla sono state piccole città greche come Mileto dove alcuni, a cominciare da Talete (VII secolo aC), presero a riflettere sull’essere, sul Logos (la ragione) e sull’arché (il principio).

L’ethos del pensiero, della ricerca sulla verità e sull’essere, fu il primo germe dell’uomo europeo che poi sbocciò con Socrate e Aristotele.

Ma il bocciolo rischiò di essere subito travolto dall’oriente asiatico. L’Impero persiano – con la sua oscura cultura dei miti, delle inquietanti cosmogonie e delle opprimenti teocrazie – stava per divorarsi tutto l’occidente.

La scintilla della rivolta antipersiana nel 490 aC brillò proprio a Mileto e prima a Maratona, poi alle Termopili, infine a Salamina, pochi valorosi combattenti greci respinsero l’immane potenza persiana.

Grazie a questo muro umano poté fiorire il primo germe d’Europa, poi esaltato da Roma, dalla civiltà giuridica del suo impero mediterraneo e infine abbracciato e reso fecondo dall’annuncio cristiano arrivato, ad Atene e Roma, con gli apostoli Pietro e Paolo che provenivano da Gerusalemme. Questa è l’Europa.

Solo da una città che ha solide mura e chiara identità si possono costruire ponti.

Infatti questa cristianità europea poi portò la speranza cristiana dell’immortalità in tutti i continenti e insieme portò la libertà, la dignità umana e la razionalità. La quale ha partorito la tecnologia, la scienza e il benessere economico.

IL MALE

Ma dal rinnegamento di queste radici è nato anche il male, cioè i totalitarismi che hanno insanguinato l’Europa e il mondo del Novecento.

Sulle loro macerie, però, dal 1945, la pace, la prosperità e l’unità europea sono tornate grazie a statisti cattolici come Schuman, De Gasperi e Adenauer che riportarono i loro popoli alle radici cristiane (tutti e tre hanno la causa di beatificazione in corso o in via di apertura).

Dopo la caduta del Muro di Berlino dell’89 ha invece prevalso una tecnocrazia europea laicista che di nuovo ha spazzato via quelle radici sostituendole con la moneta unica e con politiche devastanti.

I grandi pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno lanciato l’allarme contro questa deriva nichilista e tecnocratica, una vera “dittatura del relativismo” che rischia di partorire nuovi mostri.

Se l’Europa avesse voluto ritrovare le sue radici e con esse l’energia di rinascere, li avrebbe ascoltati.

Ma non l’ha fatto. Infatti nessun premio Carlo Magno è stato dato a Benedetto XVI, che è stato un vero gigante del pensiero europeo (basterebbe il suo storico discorso di Ratisbona).

L’oligarchia progressista tedesca (a partire dai vescovi teutonici) detestava Ratzinger.

LE TENEBRE DI BERGOGLIO

Oggi che l’Europa è allo sbando, in crisi, invecchiata, ha reciso le sue radici, viene invasa ed è affossata da una tecnocrazia fallimentare, il Premio è stato giustamente assegnato al simbolo perfetto dello smarrimento spirituale dell’Europa: l’argentino Bergoglio, il paladino dell’invasione, colui che più spinge per l’affondamento dell’antica Europa (sono stati Jean-Claude Juncker e Martin Schulz a motivare questa assegnazione).

E non a caso Bergoglio, nel suo discorso, ha chiesto all’Europa di spalancare le frontiere alla marea migratoria esaltando proprio quel “multiculturalismo” che di solito è una maschera del relativismo, spesso dell’odio anticristiano e soprattutto è la porta spalancata all’islamizzazione.

Infatti Benedetto XVI, nel suo dialogo con Marcello Pera intitolato “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam” dice:

La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie”.

E’ questa rinuncia alla sua identità e ai suoi valori che ha fatto invecchiare l’Europa e la rende un fragile vaso di coccio oggi nella competizione internazionale.

Ratzinger spiegava:

C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere”.

Benedetto è stato spazzato via. Oggi il cuore stesso d’Europa, Bruxelles, è più islamico che cristiano, l’Europa è “disarmata” come una “terra di nessuno” dove chiunque può sbarcare (come dice il recente rapporto dell’Europol) e, in barba alle dichiarazioni buoniste, l’Ue si arrende addirittura alla Turchia pur di fermare temporaneamente l’invasione.

Miope autolesionismo. Un’Europa in mano a queste assurde tecnocrazie e senza solide radici cristiane non ha alcun futuro.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 7 maggio 2016

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Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

Twitter: @AntonioSocci1


[Modificato da Caterina63 07/05/2016 10:44]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La pace del mondo non è la pace di Cristo

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Come disse il card. Giacomo Biffi durante il Giubileo del 2000: «L’Europa o sarà di nuovo cristiana o non sarà più». Non c’è pace perché gli uomini, gli europei per primi, hanno cacciato Cristo dai loro cuori, rifiutandone la regalità sociale.

Analizziamo assieme non il conferimento (lecito) del premio Carlo Magno ricevuto da papa Francesco, ma i contenuti del suo programma di “rifondazione” dell’unità europea fondata, stando al suo Discorso, su «un nuovo umanesimo europeo», un aggiornamento dell’idea di Europa, basato su tre capacità: di integrare, di dialogare, di generare.

Francesco riceve il premio Carlo Magno.
Francesco riceve il premio Carlo Magno.

Tre capacità che non discutiamo in sé e non neghiamo, ma che  così impostate sono totalmente scardinate da quella vera Pace che non solo ci è insegnata dalla Scrittura, ma soprattutto che è la Persona stessa di Gesù Cristo e per questo scriveremo “Pace” in maiuscolo, e in minuscolo la pace del mondo.

Non staremo a discutere perchè, in un Discorso così importante dove sono stati fatti i nomi dei fondatori politici dell’Europa, il Vicario di Cristo omette di fare i nomi dei Santi Patroni che hanno fatto grande l’Europa, tacendo completamente sulla loro opera e sulle radici cristiane. Pazienza, concentriamoci su due spunti più essenziali: la vera Pace in Cristo Gesù e la pace degli uomini, senza negare il valore del Discorso del Papa in sé. Del resto il vero e santo discernimento è ciò che caratterizza il vero e l’autentico “dialogare” dei liberi figli di Dio.

“La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione.” (Papa Francesco Discorso 6 maggio 2016).

Pace nella Bibbia è ripetuta per circa 324 volte, ed è sempre ben distinta dalla pace umana senza Dio, dalla Pace portata da Dio.

La Pace vera non è opera dell’uomo, ma di Dio, dice infatti Isaia: “io pongo sulle labbra: «Pace, pace ai lontani e ai vicini», dice il Signore, «io li guarirò»” (cap. 57,19) e c’è un monito specifico che ci aiuta a distinguere i falsi profeti dai veri profeti, ed ha come centro di discussione proprio la pace:

“Così dice il Signore degli eserciti: «Non ascoltate le parole dei profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno credere cose vane, vi annunziano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla bocca del Signore. Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del Signore: Voi avrete la pace! e a quanti seguono la caparbietà del loro cuore dicono: Non vi coglierà la sventura. Ma chi ha assistito al consiglio del Signore, chi l’ha visto e ha udito la sua parola? Chi ha ascoltato la sua parola e vi ha obbedito? Ecco la tempesta del Signore, il suo furore si scatena, una tempesta travolgente si abbatte sul capo dei malvagi. Non cesserà l’ira del Signore, finché non abbia compiuto e attuato i progetti del suo cuore. Alla fine dei giorni comprenderete tutto!” (Ger 23,17-20).

Non esiste, pertanto, una pace “duratura” se questa non sarà fondata sul Cristo, vera Pace, e sul progetto di Dio per gli uomini. Chi predica una pace senza Dio, senza le sue leggi, i suoi Comandamenti, senza Cristo, è un falso profeta. Quando diciamo: “Maria, Regina della Pace”, non stiamo parlando di un appellativo, o aggettivo, ma di una Persona, Maria è Madre di questa Pace che è nell’incarnazione di Dio il Cristo Gesù.

Nel Discorso il Papa usa termini paolini e del Vangelo, ma modificando il contenuto. Per esempio, quando afferma che: “La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo” è un falso ideologico perchè nel progetto di Dio le armi della Pace non sono affatto il “dialogo a tutti i costi”, ma l’evangelizzazione: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato…» (Mc.16,15-16), l’arma è il Vangelo, è la Parola di Dio predicata, ovviamente, nella carità e con la carità, usata come arma non contundente ma come unguento di dolcezza, di perdono, DI SALVEZZA E REDENZIONE (due termini assenti nel Discorso del Papa e che pure sono gli ingredienti essenziali della vera Pace), quale vera medicina per guarire ogni ferita degli uomini in ogni tempo: «io li guarirò», Gesù è la medicina, Gesù è il medico, Gesù è la Pace. Ma per essere guariti dai mali che ci affliggono, bisogna ricorrere a questo Medico e fare uso ampio della Sua medicina.

Quando il Papa afferma che: “insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione”, è un altro falso ideologico perchè la buona battaglia è la FEDE e non la negoziazione…. “Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.” (1Tim.6,12)

La vera Fede che deve animare l’Europa, non è negoziabile, bensì: “…con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra…” (2Cor.6,7). Comprendiamo bene che il Papa non sta negando il Vangelo, purtroppo il problema è che non parla affatto del Vangelo, è come se temesse che parlando con il Vangelo alla mano, potrebbe offendere le delicate orecchie dei suoi illustri Uditori. Il problema non sta in quel che dice in questo Discorso, e che è anche condivisibile, il problema sta in ciò che non dice, in quella “umanizzazione” senza il Cristo.

«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).

Anche Riccardo Cascioli ha riscontrato che: “Difficile però non notare una novità essenziale in questo discorso, che non solo marca una differenza dagli interventi dei suoi predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che all’Europa hanno dedicato un’ampia riflessione, ma che (…) Diversa era la preoccupazione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che affrontavano direttamente il vero dramma dell’Europa, che consiste nell’apostasia, nel ripudio delle sue radici cristiane: «Se l’Europa vuole essere – diceva nel 2003 papa Wojtyla – un insieme conciliato di uomini e popoli, con rispetto profondo e benevolenza duratura, Cristo deve animare questo continente».

E ancora, nel discorso all’ambasciatore della Repubblica Federale di Germania, nel 2002: «L’Europa non sarebbe tale senza il ricco patrimonio dei suoi popoli che, similmente ai geni umani, ha plasmato e continua a forgiare la personalità di questo continente. Trascurare oppure abbandonare questa “eredità” significherebbe mettere a repentaglio la propria identità e infine perderla… Un fattore qualificante dell’identità di questo continente è la Chiesa fondata da Gesù Cristo». E poi, nell’Angelus del 13 luglio 2003: «Come soddisfare il profondo anelito di speranza dell’Europa? Occorre ritornare a Cristo e ripartire da Lui».

Per il cardinale Ratzinger, poi Benedetto XVI, il vero dramma dell’Europa consiste proprio nell’ostinazione a voler cancellare Dio dall’orizzonte: «Il tentativo – diceva nel famoso discorso di Subiaco del 1° aprile 2005 -, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo». Da qui la strada da intraprendere: «Dovremmo capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita (…) come se Dio ci fosse. (…) Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».

Rilette oggi, queste parole, davanti ai fallimenti di una Unione Europea sempre più guidata da un laicismo soffocante, hanno il sapore della profezia” (vedi qui).

“Per il resto, fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi” (2Cor 13, 11).

perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace” (1Cor 14,33).

“In realtà, noi viviamo nella carne ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali,  ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze,  distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo. Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza, non appena la vostra obbedienza sarà perfetta” (2Cor 10,3-6).

Certo, anche noi “non siamo perfetti” in questa obbedienza paolina ma la vera Pace, di cui dobbiamo parlare e predicare, ha fondamento non sugli uomini, la roccia è Dio, la Pace è Dio e non un dio generico, ma Gesù Cristo, Signore e Dio: “Farò con loro un’alleanza di pace, che sarà con loro un’alleanza eterna. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Le genti sapranno che io sono il Signore” (Ez 37,26-28).

“Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò;  mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; mi lascerò trovare da voi – dice il Signore – cambierò in meglio la vostra sorte e vi radunerò da tutte le nazioni” (Ger 29,11-14).

La Pace vera non è progettazione di piani politici o economici: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.” (Mt.6,33), non si fonda sulla “negoziazione”, lecita quanto si vuole come il ricorso al dialogo, senza dubbio utile perché è fondamentale per creare rapporti, ma questi sono i mezzi non il fine o lo scopo. “Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17).

Dice ancora il Signore Gesù:

“Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34).

“Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (Lc 12,51).

Queste parole sembrano in apparenza contraddittorie: Gesù che invoca alla pace ma poi sembra spingere alle armi, in verità sono di una realtà concreta e dinamica, valida in ogni tempo perchè il Cristo, nostra Pace, è Lui ad essere minacciato, è sempre perseguitato, è sempre avversato fino alla fine del mondo, perciò ogni combattimento, come dirà Paolo, non è contro le persone in se, ma contro le potenze delle tenebre, contro gli spiriti malvagi che avvolgono il mondo per contrastare la vera Pace, lasciando agli uomini la pace del mondo. Gesù parla di una spada che è dentro di noi e che ci permettere di combattere contro i vizi e le tentazioni; parla di divisione perchè non si possono servire due padroni, Dio e Mammona, e bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, ma difendendo ciò che è di Dio anche a costo della propria vita. Divisione dal materialismo e dall’impero del mondo: o lavoriamo per il Regno di Dio, o si lavorerà per quello del demonio, non esiste una pace che possa unire Dio e il demonio, il Bene e il male.

Chi vuole dare al mondo la Pace vera, deve farlo alle condizioni poste dall’Apostolo: “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!” (Fil 4,9).

Non mancano neppure i moniti profetici: “Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva;  infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii” (1Tss 5,1,6).

La vera Pace che un Vicario di Cristo deve predicare è questa: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.  Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.  Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?  E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?  Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,34-38).

Valgono anche, e soprattutto oggi, per l’Europa le parole che Gesù ebbe per Gerusalemme e si realizzarono: “Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo:  «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.  Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata». (Lc 19,39-44), e chi era, chi è la “via della pace”? «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.  Chi non mi ama non osserva le mie parole… Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore…» (Gv 14,23-27).

«Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

La vera Pace è dunque “dimorare in Cristo”: “abbiate pace in me”, come a dire che non sono io il vostro nemico, ma voi non mettetevi contro il progetto di Dio sull’uomo. Se la rifondazione europea non rimetterà Cristo al centro, non avrà alcuna pace e questo il Papa doveva dirlo, avrebbe dovuto dirlo perché la situazione che abbiamo è drammatica, siamo con un piede nella fossa o, come si esprimerebbe santa Caterina da Siena, Compatrona d’Europa: “la puzza del disfacimento delle carni, giunge fin sotto casa mia”.

“Egli (Gesù) infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace… Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini” (Ef 2,14-17).

Lo stesso Antonio Socci (vedi qui) sottolinea qualcosa che non possiamo non condividere:

«Infatti Benedetto XVI, nel suo dialogo con Marcello Pera intitolato Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam dice: “La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie”.

È questa rinuncia alla sua identità e ai suoi valori che ha fatto invecchiare l’Europa e la rende un fragile vaso di coccio oggi nella competizione internazionale.

Ratzinger spiegava: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere”.

Benedetto è stato spazzato via…». (sic!).

Le armi non sono, dunque, la negoziazione e il dialogo, ma la vera evangelizzazione, quella che insegna agli uomini che Cristo Gesù è la vera ed unica Pace che fa progredire le famiglie, le comunità, le società, le nazioni, l’Europa, senza questo programma, non ci sarà alcuna pace: “Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi” (Lc 10,6); “(…) recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti” (At 10,36); “i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace” (Rm 8,6). Questo non significa, ovviamente, non progredire o non trattarsi meglio, ma le priorità dei nostri compiti, la priorità è Dio e il suo Regno, qui invece si sta capovolgendo tutto, si stanno ribaltando le priorità: prima le esigenze materiali, poi quelle spirituali (cfr. Mt 6,33).

Papa Francesco descrive un’integrazione tra culture fondata sul dialogo e sul compromesso, ma il richiamo a quelle “radici cristiane”, che tanto impegnarono i due pontificati precedenti, sono come sparite, integrate – forse – in quei “nove sogni” attraverso i quali Francesco “vede” risorgere la nuova Europa. Ma integrare, attraverso una serie di compromessi (il primo dei quali il non parlare dell’evangelizzazione e delle radici cristiane, di Gesù Cristo il Signore, dei Comandamenti di Dio e dei santi Patroni) e non parlare di cosa è la vera Pace e di come è descritta davvero nella Scrittura, è davvero una buona scelta? Non lo sappiamo e non vogliamo giudicare il Papa per questa sua scelta, ma di certo non possiamo  tacere noi sull’insegnamento del Cristo.

Pace e santificazione, infatti, vanno di pari passo, non possono essere disgiunte: “Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore” (Eb 12,14) pena sarebbe l’incompiutezza della pace stessa.

Cercare la pace è, però, cercare Cristo stesso, è cercare Dio e la sua giustizia che è la fonte della vera pace, diversamente non saremo mai in grado di costruire società, città e nazioni all’interno di un sano e vero progresso, compito nostro è infatti questo:

“Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra da parole d’inganno; eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua, perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere; ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il male. E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene?  E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,8-15).

Ci rammarica, infine, che trovandoci per altro nel mese di maggio dedicato alla Vergine Santissima, il Santo Padre non abbia saputo profittare per parlare di Lei e, per esempio, della storia della Bandiera d’Europa, delle sue dodici stelle (vedi qui) e comunque sia, una benedizione alla vigilia della Supplica alla Madonna del Rosario nella quale si prega per l’Europa e dei suoi travagli. Se non parla un Papa di queste cose, chi deve farlo?

Concludiamo con il vero saluto del Cristiano che è il seguente: “grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell’amore” (2Gv 1,3), e non ci accada di doverci essere addebitato il monito di Cristo: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,34-38).


Per approfondire, vi suggeriamo anche la lettura dei seguenti articoli:



[Modificato da Caterina63 08/05/2016 00:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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