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L'Evangelista san Luca e La Vergine Maria

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2012 18:37
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L'angelo Gabriele si presenta a Zaccaria



Quando ancora Maria era all'oscuro di tutti gli avvenimenti che di lì a poco le sarebbero accaduti un angelo del Signore andò a far visita a Zaccaria. Costui era un sacerdote ed aveva per moglie una donna di nome Elisabetta ma non avevano figli perché lei era sterile ed inoltre erano già piuttosto avanti con l'età.

Un giorno, mentre Zaccaria prestava servizio nel tempio gli toccò in sorte di fare l'offerta dell' incenso. Essa consisteva nel portare l'incenso offerto nel "Santo", la parte più segreta del tempio, mentre tutto il popolo pregava al di fuori. Ad un certo punto gli apparve un angelo del Signore alla destra dell'altare dell'incenso. Zaccaria nel vederlo si spaventò ma l'angelo gli disse :" Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d' Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto. "

Zaccaria si stupì di tale messaggio perché sapeva bene che Elisabetta era sterile ed inoltre erano anche anziani e rispose all'angelo esponendogli questi timori ma l' angelo disse: " Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo. "

Intanto il popolo che aspettava fuori stava iniziando a preoccuparsi perché non vedevano più uscire il sacerdote. Quando Zaccaria finalmente uscì cercò di far capire quello che era accaduto ma non poteva perché era diventato muto e poteva solo gesticolare l'accaduto. Poco tempo dopo Elisabetta capì di essere in attesa di un figlio e per cinque mesi stette nascosta alla vista del popolo.



L'angelo Gabriele si presenta a Maria

Quando Elisabetta era ormai al sesto mese di gravidanza l'angelo Gabriele si presentò, in una città della Galilea chiamata Nazareth, ad una vergine. Questa vergine si chiamava Maria ed era promessa sposa di un uomo chiamato Giuseppe. Entrando nella sua casa l'angelo disse:" Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te ". Maria , ascoltando queste parole e vedendo l'angelo si spaventò domandandosi quale fosse il senso di quelle parole. Ma l'angelo le disse :" Non temere, Maria,perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine ".

Allora Maria disse all'angelo: " Come è possibile? Non conosco uomo ". Le rispose l'angelo : " Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile : nulla è impossibile a Dio ". Allora Maria disse :" Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto ". E l'angelo partì da lei.




Maria in visita da Elisabetta

Dopo l'annuncio dell'angelo Maria si mise in viaggio verso la montagna per raggiungere una città di nome Giuda dove vivevano Zaccaria ed Elisabetta. Quando vi giunse andò in cerca della loro casa e nel momento in cui vi entrò salutò Elisabetta ; in quel momento Elisabetta sentì il bambino sussultarle nel grembo e, piena di Spirito Santo, esclamò :" Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell' adempimento delle parole del Signore. "



Il "Magnificat"

Allora, a queste parole, Maria disse:

" L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l' Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre. "

Maria rimase da Elisabetta circa tre mesi e poi tornò a casa sua.



Nascita di Giovanni

Giunsero, quindi, i giorno del parto per Elisabetta la quale partorì un figlio. Tutti i vicini ed i parenti alla notizia si felicitarono con lei ringraziando il Signore per quell' atto di misericordia che le aveva concesso. Secondo la legge del tempo all' ottavo giorno, dopo la nascita di un bimbo maschio, lo si doveva circoncidere; quando alla casa di Zaccaria arrivarono le persone preposte a questo atto dissero che avrebbero chiamato il bimbo con il nome di suo padre. Ma Elisabetta intervenne dicendo che lo si sarebbe chiamato Giovanni. A quelle parole rimasero tutti stupiti perché nella sua famiglia non c' era nessuno con tale nome e dargli il nome di Giovanni non avrebbe avuto senso.

A questo punto iniziarono a domandare a Zaccaria, con dei cenni, come voleva che si chiamasse suo figlio. Egli fece capire di volere una tavoletta per scrivere il nome del figlio e quando gliela diedero scrisse: "Giovanni è il suo nome". Ci fu chiaramente lo stupore generale, ma in quel momento a Zaccaria gli si sciolse la lingua ed iniziò a nuovamente a parlare benedicendo Dio.

Tutti capirono che era accaduto qualcosa di soprannaturale e la notizia si sparse per tutta la regione montuosa della Giudea. Tutti si ponevano la stessa domanda nel proprio cuore:" Chi sarà mai questo bambino?"

Il Signore stava semplicemente preparando i suoi piani.




Il "Benedictus"

Zaccaria fu pieno di Spirito Santo e profetò dicendo:

" Benedetto il Signore Dio di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo, come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti d' un tempo: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano.

Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.

E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati, grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace."

Giovanni cresceva e si fortificava nello spirito, egli visse in regioni deserte sino al giorno della sua manifestazione in Israele.




La nascita di Gesù

In quei giorni, un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. All' epoca era governatore della Siria Quirinio. Tutti andavano a farsi registrare nella città più vicina. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth in Galilea salì in Giudea nella città di Davide chiamata Betlemme per farsi registrare insieme a Maria sua sposa, che era in attesa di partorire. Accadde che mentre si trovavano a Betlemme si compirono per lei i giorni del parto. Diede così alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché non avevano altro luogo dove andare e per loro non c'era posto nell'albergo.

I pastori in visita da Gesù

In quella regione c'erano dei pastori che di notte vegliavano il loro gregge per paura dei ladri. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi si spaventarono, ma l'angelo disse loro:" Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: " Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama ". Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: " Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere ". Andarono dunque senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose serbandole nel suo cuore.

I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.


Gesù è presentato al tempio

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israel; lo Spirito Santo che era su di lui, gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:

" Ora lascia, o signore, che il tuo servo

vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti

e gloria del tuo popolo Israele."

Le profezie di Simeone ed Anna


Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano su di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: "Egli è quì per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima". C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova ed ora aveva 84 anni. non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.



La vita nascosta di Gesù a nazareth

Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.



Gesù dodicenne al tempio

I suoi Genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: " Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo." Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? ". Ma essi non compresero le sue parole.

Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.


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[Modificato da Caterina63 25/09/2009 16:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Vangelo: Luca (1,26-38) - Annunciazione

In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di tè, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei.


 

Prendiamo di petto il discorso: come mai, tanti secoli per arrivare a concludere che la Vergine è Immacolata? Spero che tutti conosciate il significato di questa parola. Immacolata vuol dire: nella immediatezza, senza macchia alcuna. Nella sostanza: senza peccato originale.


Per spiegare il dogma dell'Immacolata si parte da questo passo che ho letto e che avrete sentito più di una volta: "Ti saluto o piena di grazia".

Ho ritrovato una lettera che Lutero scrive a un amico, siamo attorno al 1530, dove illustrando il passo: "Ti saluto o Maria piena di grazia il Signore è con te". Dice: "NO! un tedesco non dirà mai: Tu sei piena di grazia, perché un tedesco traducendo in questo modo è costretto a pensare a un fusto pieno di birra, oppure a una borsa piena di soldi".


 Lutero sta cercando la traduzione giusta di questo passo e propone questa: "O graziosa" anziché piena di grazia, ma poi pensa che i -papisti- (come chiamava coloro che erano fedeli alla Chiesa), lo accuserebbero di avere deformato il saluto dell'angelo. Allora, continua nella lettera all'amico, Lutero continua le sue proposte di traduzioni e scrive: "Dio ti saluta cara Maria, ecco la vera traduzione", ...ma anche qui i papisti si sarebbero disperati tanto era lontano dalla loro traduzione.

 Arriva infine a proporre la sua traduzione definitiva: "Ti saluto graziosa Maria, cara Maria".


Nel 1500 il passo non aveva ancora un riferimento dogmatico. Lutero pensava e credeve comunque la Madonna senza peccato come i teologi cattolici, mentre i protestanti attuali, invece traducono il passo così: "Ti saluto favorita dalla grazia", che vorrebbe dire che se sei favorita, c'è stato un tempo in cui non la eri. Invece la traduzione cattolica, in collaborazione con i più grandi esegeti, sarebbe: "O tu che da sempre sei piena di grazia" per cui non c'è stato un momento in cui non l'avevi e poi ti è stata data.

Se la traduzione protestante è intesa in senso cattolico la si può anche tenere, se invece è intesa come un favore che prima non avevi e adesso hai, allora siamo fuori dalla concezione cattolica, ed è ovvio che ciò che viene evangelizzato è solo usato per confondere i cristiani
.


Il colpo di genio, scusate, l'ispirazione dello Spirito Santo è donato al filosofo francescano Duns Scoto (+1308), il quale disse: "La Madonna fu preservata dal peccato originale, non liberata e non solo l'anima, ma tutto l'essere". Vi faccio un esempio che devo aver già portato da questo pulpito: immaginiamo che il peccato originale sia come un treno che passa e sulle cui rotaie ci siano le generazioni umane, il treno passa coinvolge tutti. Ma mentre gli altri devono essere soccorsi per essere rimessi in sesto, la Madonna che era anch'ella sulle rotaie - dice Duns Scoto - prima che sopraggiungesse il treno, Dio l'ha sottratta salvandola.
 
Ecco cosa vuol dire la parola "preservata", quindi preservata dal peccato originale, non liberata. Del resto di questo possiamo avere il sostegno di Genesi 3, 15, quando Dio sin dall'inizio annuncia questa lotta già iniziata e che vedrà il culmine con la nascita di Gesù, morte e risurrezione, dove abbiamo chiaro che il Cristo, Figlio di Dio è l'artefice, il vincitore, il Salvatore, il Redentore, il Verbo Incarnato, e che Maria però, la Madre, è colei che è posta sin dall'inizio contro Satana < Io porrò inimicizia tra te  e la donna...>; in questa inimicizia c'è la sostanza e la realtà di questa PREVENZIONE. Maria è nemica di Satana perchè Dio l'ha preservata sin dal Principio!


La Chiesa ha sempre sostenuto che la vita inizia con il concepimento e mi sembra una visione del mondo che riesce a qualificare l'uomo e a definirlo. Un bambino, di diritto è un pensiero di Dio, perché è Dio che ha creato i due elementi che daranno origine all'uomo, di fatto può essere invece, frutto di sangue, di carne, di lussuria. Ora si può capire perché il grande Platone sia molto geloso degli accoppiamenti, perché da lì può nascere un disgraziato, oppure un cittadino esemplare e invita la donna a ribellarsi in modo radicale a partecipare al concepimento in stato di ubriachezza.


Quindi in linea di principio o di diritto, ogni bambino è un pensiero di Dio, ma Gesù non è solo il frutto di un pensiero, ben ci dice Giovanni quando scrive < E il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio! > per questo la Chiesa parla di sostanza divina e che essendo tale è indivisibile dal Padre e con la quale si è fatto carne nel seno di Maria, appunto la Theotokos. Il bello è che Lutero di fatto non ha mai rinnegato queste verità frutto, invece, di elaborazioni distorte nate però dalle sue stesse provocazioni.


Avvenga di me quello che hai detto, dice la Vergine, e Dio disse < Io porrò inimicia tra te (Satana) e la donna (Maria), tra la tua stirpe e la sua stirpe (Gesù e tutti i figli della Chiesa)...> Fratelli, non abbiamo ad andare contro i Progetti di Dio! Amen!


(Incontro Ecumenico "Beati i Cotruttori di Pace", Dicembre 1999 -Roma-)

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L’Ave di Elisabetta

di monsignor GIUSEPPE CAVALLOTTO
Benedetta tu fra le donne



Le annunciazioni del "vangelo dell’infanzia" di Luca avvengono in un clima di preghiera. «Madre di Dio, prega con noi e per noi».


Conosciamo tutti la gioia e la difficoltà nel pregare. Siamo convinti che non solo il Risorto e lo Spirito Santo ma anche Maria, la Madre di Gesù, prega con noi come ha fatto nella comunità del Cenacolo dopo l’ascensione. Dando inizio alla nostra riflessione, come gli apostoli, anche noi rivolgiamo a Gesù la stessa richiesta: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Con la medesima fiducia diciamo alla Madre di Gesù: «Santa Maria, Madre di Dio, prega con noi, prega per noi».

Il vangelo "dell’infanzia"

Il brano della visitazione di Maria a Elisabetta fa parte dei primi due capitoli di Luca, il "vangelo dell’infanzia". Lo sviluppo di questi due capitoli avviene in un clima di preghiera: gli eventi narrati o sono collocati in un contesto cultuale, oppure si caratterizzano come dialogo orante, sino a diventare, in alcuni casi, un solenne canto di lode al Signore e di contemplazione del mistero di salvezza.

Il primo episodio di questi capitoli è l’annunciazione della nascita di Giovanni Battista (Lc 1,5-25). Mentre Zaccaria esercita il suo ufficio liturgico nel tempio, l’angelo gli comunica che la sua preghiera è stata esaudita e che la moglie Elisabetta, nonostante l’età avanzata, avrà un figlio, che «sarà grande davanti al Signore» (Lc 1, 15). Segue, in un dialogo che ha il sapore di preghiera, l’annunciazione dell’angelo Gabriele a Maria (Lc 1,26-38): «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1, 31).


Ain-Karim il villaggio vicino a Gerusalemme dove si incontrano Maria ed Elisabetta.

L’attenzione, poi, si sposta nella casa di Zaccaria, dove Maria fa visita alla cugina (Lc 1,39-56). La risposta di Elisabetta al saluto di Maria è un apprezzamento che, rivolto alla Madre del Salvatore, si traduce in una stupita lode a Dio: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Al saluto di Elisabetta fa eco Maria con il canto del Magnificat.

Si passa, quindi, alla nascita di Giovanni Battista e alla sua circoncisione (1,57-80): lo stupore e la meraviglia dei parenti e dei vicini dinnanzi a questo bambino e al suo nome Giovanni diventano, sulla bocca di Zaccaria, un alto cantico di lode al Signore, «perché ha visitato il suo popolo e si è ricordato della sua santa alleanza» (Lc 1,69 e 72).

Si giunge, così, all’evento centrale, la nascita del Salvatore: Maria «diede alla luce il suo figlio, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). A questa scena, sobria ed essenziale, fa da cornice un’estesa rete di preghiera: l’inno di lode intonato dalla schiera celeste, il silenzio meditativo della Madonna – «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole in cuor suo» (Lc 2,19) –, quindi la preghiera dei pastori che «se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto» (Lc 2,20).

Dopo la nascita di Gesù seguono la circoncisione e la sua presentazione al tempio (2,22-38): all’offerta e ringraziamento dei genitori si accompagnano sia il cantico di gratitudine di Simeone – «Lascia, o Dio, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,29-30) – sia la preghiera di Anna che, «sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio» (Lc 2, 38). Il tutto si conclude con una celebrazione liturgica: Gesù, dodicenne, insieme ai suoi genitori da Nazareth sale a Gerusalemme per prendere parte alla festa di Pasqua e, dopo tre giorni, è ritrovato nel tempio, nella casa di suo Padre (2,41-52).

La preghiera, porta d’accesso al terzo vangelo

I racconti dell’infanzia, dunque, iniziano con una celebrazione nel tempio, continuano con incontri di preghiera nelle case e si concludono ancora nel tempio di Gerusalemme, simbolo per eccellenza della fede e della preghiera di Israele. Dal sintetico richiamo di questi episodi si possono trarre due insegnamenti.



1 Anzitutto la preghiera ha due spazi fondamentali: da una parte il tempio, luogo del culto e della preghiera ufficiale, dall’altra la casa, l’abitazione quotidiana, come quella di Maria a Nazareth, di Elisabetta a Ain-Karim, villaggio poco distante da Gerusalemme, e quella della nascita di Gesù a Betlemme, probabilmente una casa di pastori. La preghiera liturgica e la preghiera domestica si intersecano, si arricchiscono vicendevolmente e costituiscono l’esperienza portante del "vangelo dell’infanzia".

2 San Luca, all’inizio della sua narrazione evangelica, ha voluto lanciare un esplicito monito: la preghiera è il "luogo" privilegiato della rivelazione, è l’esperienza fondamentale per accogliere la parola del Vangelo, per comprendere in modo profondo e personale i fatti, i gesti, le parole di Gesù, la sua vita, la sua persona, il suo mistero. Per conoscere il testo sacro sono determinanti la sua lettura, lo studio e l’approfondimento. Per capire, però, in profondità il messaggio rivelato, per cogliere la sua valenza personale ed esistenziale, è necessaria la preghiera, intesa come esperienza meditativa-orante.

Si potrebbe esprimere il richiamo di Luca con un’immagine concreta: se volete accogliere in profondità il messaggio evangelico, mettetevi in ginocchio. È nella preghiera che sgorga la nostra risposta, stupita e ammirata, a Dio e al suo progetto di salvezza. È la preghiera contemplativa della Parola rivelata che fonda la nostra testimonianza cristiana. Ce lo ricorda san Tommaso d’Aquino: «Contemplata aliis tradere» – trasmettiamo ciò che abbiamo contemplato (Summa Theologica, IIa IIae, q. 188, art. 6).

«Gioisci, o amata!»

La visitazione di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39ss.) si pone in continuità e come completamento dell’annuncio fatto dall’angelo Gabriele a Maria.

Nell’annunciazione, appaiono sul proscenio due personaggi, l’angelo e Maria. Dietro le quinte, poi, c’è un terzo attore, lo Spirito Santo: discende su Maria, la quale diventa madre grazie al suo intervento. L’incontro si snoda in un dialogo. Il saluto dell’angelo è l’annuncio di una bella e sorprendente notizia: «Chàire, kecharitomène» (Lc 1,28).



La versione della Cei recita: «Ti saluto, o piena di grazia». Si dovrebbe tradurre: «Esulta/gioisci, o amata/prediletta da Dio». Maria è straordinariamente ricca di bellezza e piena di grazia, perché scelta e amata da Dio. Aggiunge l’angelo: «Il Signore è con te [...]. Non avere paura. Lo Spirito Santo scenderà su di te [...]. Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù», il Salvatore (Lc 1, 28-35).

La risposta di Maria è articolata: dopo un iniziale turbamento, pone la domanda, «Come è possibile?» (Lc 1, 34), per sottolineare che la fede è assenso incondizionato ma sempre ragionevole e motivato. Infine, Maria pronuncia il suo sì totale: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1, 38). All’annunciazione segue immediatamente la visitazione. Maria, avendo saputo dall’angelo che la cugina era incinta di sei mesi, si alzò, in fretta si mise in cammino verso la montagna, entrò nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Nella scarna e rapida narrazione sono in scena cinque attori. Anzitutto due persone visibili: Maria ed Elisabetta. Inoltre due personaggi nascosti: Gesù e Giovanni Battista nel grembo delle loro madri. Infine un attore invisibile: lo Spirito Santo che ispira la risposta di Elisabetta, la quale «fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce» (Lc 1,41). L’incontro fra le due cugine si traduce fondamentalmente in un monologo. Maria è al centro della scena, ma resta in silenzio: la Madre di Gesù è presente ma tace. Di lei riecheggia solo la voce del suo saluto, del quale non si conosce il contenuto: «La voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi» (Lc 1,44). In primo piano, dunque, non sono le parole di Maria, ma la sua voce.

La risposta di Elisabetta, sorpresa per la visita della cugina, è un’ammirata contemplazione di Maria: è proclamata benedetta da Dio, Madre di Gesù, vera credente. Al centro della sua risposta è l’affermazione: «Madre del mio Signore» (Lc 1,43). È una vera professione di fede. Elisabetta è la prima credente che interpreta l’evento annunciato dall’angelo Gabriele. Ella riconosce al tempo stesso l’identità di Maria, la Madre di Gesù, e l’identità del figlio: egli è il Signore.

L’appellativo «Signore» (Kyrios) riassume in una sola parola quanto l’angelo ha detto di Maria e, nello stesso tempo, è il titolo che appartiene alla fede della comunità postpasquale e si riferisce a Gesù risorto e glorioso, nel quale è la pienezza della sovranità. Secondo Bruno Maggioni l’espressione «Madre del mio Signore» è «il titolo mariano più splendido che si legge nel Nuovo Testamento. Luca lo pone sulle labbra di Elisabetta che, in tal modo, diviene la "prefigurazione" della comunità credente» (Il racconto di Luca, Cittadella, Assisi 2000, p. 42).

monsignor Giuseppe Cavallotto
*Vescovo di Cuneo-Fossano

www.stpauls.it/madre/0801md/0801md24.htm



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«Scriba mansuetudinis Christi»


Colui che ha raccontato lo stupore e la commozione di Gesù. Così Dante definisce l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli


di Stefania Falasca


«Luca solo è con me». Così Paolo, nella seconda lettera a Timoteo (2 Tm 4, 11), scritta a Roma durante l’ultima prigionia che lo porterà al martirio, ricorda l’amico rimastogli accanto.

Già nelle lettere ai Colossesi e a Filemone, scritte nel corso della prima prigionia romana, lo aveva menzionato tra i suoi più stretti collaboratori: «Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema» (
Col 4, 14). «Il caro medico», lo chiama Paolo, informandoci della sua professione e anche, indirettamente, della sua provenienza pagana poiché Paolo non lo mette tra coloro che vengono dalla circoncisione (Col 4, 10-11). È il discepolo prediletto di Paolo, il compagno fedele di tanti suoi viaggi, il testimone oculare dei fatti accaduti tra quei primi cristiani, come dimostrano i racconti della seconda parte degli Atti degli apostoli scritti esprimendosi in prima persona plurale, colui che la tradizione indica anche come l’autore del terzo Vangelo.


Luca non aveva conosciuto né aveva mai visto Gesù. «Non vide il Signore nella carne», riferisce il Canone muratoriano (un elenco ragionato dei libri del Nuovo Testamento scritto a Roma verso il 160-180). Eppure, dei quattro evangelisti è forse quello che ci ha lasciato le pagine più belle, più vivide e commoventi della Sua vita terrena. Il suo Vangelo è scritto nel greco più classico di tutto il Nuovo Testamento e denota le conoscenze letterarie e storiche dell’autore. Ma al rigore della narrazione, nel rispetto delle fonti e della cronologia dei fatti accaduti – rigore che gli deriva probabilmente proprio dalla sua attitudine professionale –, Luca unisce una sensibilità d’animo e una delicatezza che caratterizzano tutto il terzo Vangelo.

Tanta scrupolosa ricerca su fatti e detti di Gesù presso coloro che si erano trovati presenti ha fatto sì che solo Luca ci tramandasse delle notizie che non hanno riscontro negli altri Vangeli: un terzo dei miracoli e tre quarti delle parabole riportati si ritrovano solamente in lui. Tra queste fonti, nei primi passi specialmente, si può sentire la voce soave della madre stessa di Gesù. Luca è l’unico degli evangelisti a parlarci lungamente di lei, a far parlare Maria, il primo a profilarne l’immagine. E lui più degli altri è riuscito a riportarci con delicata finezza quei particolari lievi, quegli spunti appena accennati che rivelano la misericordia di Gesù, i gesti di profonda compassione, il Suo stupore, la Sua tenerezza, quella tenerezza che lo fece chiamare da Dante «scriba mansuetudinis Christi» (Monarchia I).

«Morì a 84 anni in Beozia, pieno di Spirito Santo»

Luca mai si nomina nell’opera in due volumi a lui attribuita. Sono i copisti dei codici greci, nel II secolo, ad intitolare uno dei quattro Vangeli “secondo Luca”, ponendolo al terzo posto dopo quelli di Marco e di Matteo. Essi ci hanno tramandato anche il libro che riferisce le origini della Chiesa primitiva, legata soprattutto alle vicende di Pietro e Paolo, separandolo dal terzo Vangelo (del quale probabilmente costituiva originariamente una continuazione), col titolo “Atti degli apostoli”. Una tradizione antica ed universale, che proviene dalle Chiese di Siria, Roma, Gallia, Africa, Alessandria, riportata dagli scrittori cristiani dei primi secoli tra cui Ireneo (Adversus haereses III), fa di Luca l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli.

La testimonianza più antica si trova nel Canone muratoriano. Il Canone muratoriano ci dà anche delle informazioni riguardo Luca, descrivendolo come medico e collaboratore di Paolo. A questa prima testimonianza segue quella di un copista della fine del II secolo, che prepose al suo codice un prologo contro l’eretico Marcione, perciò chiamato Prologo antimarcionita. Su Luca riferisce: «Luca è un antiocheno di Siria, medico per professione, discepolo degli apostoli; poi passò al seguito di Paolo fino al suo martirio, servendo Dio senza crimini; non ebbe mai moglie, non procreò mai figli, morì a 84 anni in Beozia, pieno di Spirito Santo». San Girolamo, nel IV secolo, riassumendo tutta la tradizione precedente, indica anche il luogo della sua sepoltura: «Luca, un medico di Antiochia, non inesperto in lingua greca, come lo indicano i suoi scritti, discepolo dell’apostolo Paolo e compagno di tutti i suoi viaggi, scrisse il Vangelo. Pubblicò pure un altro egregio volume che è intitolato Atti degli apostoli […]. È sepolto a Costantinopoli, alla cui città, nell’anno secondo dell’imperatore Costanzo [338], furono traslate le sue ossa» (De viris illustribus III).

Che Luca sia di origine antiochena lo sappiamo dagli Atti stessi dove lo troviamo membro di questa comunità cristiana intorno all’anno 40 e dove probabilmente ebbe modo di conoscere Pietro (At 11, 1-26) . È accanto a Paolo per la prima volta nel secondo viaggio missionario da Troade a Filippi (At 16, 10-17). È da questo punto infatti che Luca continua la narrazione degli Atti in prima persona plurale: «Subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore».

Nella primavera del 58 è di nuovo nella stessa città a fianco di Paolo e lo accompagna nel suo viaggio di ritorno a Gerusalemme (At 21, 1-18), dove si mise in relazione con l’apostolo Giacomo. A Gerusalemme probabilmente ebbe occasione anche di incontrare qualcuna di quelle donne («Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre che li assistevano con i loro beni», Lc 8, 3) che lui solo menziona nel Vangelo.
Accompagna poi Paolo nel suo primo viaggio verso Roma, del quale l’ultima parte degli Atti costituisce il diario (At 27,1-28,26). E a Roma, dove rimase accanto all’Apostolo delle genti, si sarà probabilmente incontrato con Pietro e Marco.
Nulla invece sappiamo di certo della vita di Luca dopo la morte di Paolo. C’è chi lo descrive come evangelizzatore della Dalmazia e della Macedonia e chi, come Gregorio Nazianzeno, dell’Acaia e della Tebaide. Incerti rimangono anche il luogo e la causa della sua morte. Gli scritti più antichi parlano di martirio.

Anche sul luogo e sulla data della composizione del Vangelo (per ciò che riguarda il luogo comunemente è indicata Roma), le testimonianze fornite dalla tradizione e le opinioni degli studiosi divergono. È però certo che la redazione del terzo Vangelo è anteriore a quella degli Atti degli apostoli.

«Gli avvenimenti accaduti tra noi»

Luca apre il suo Vangelo con un prologo nel quale chiarisce subito il metodo e lo scopo del suo scritto. È indirizzato ad un certo Teofilo, personaggio importante a noi sconosciuto, probabilmente di origine greca, che Luca desidera confermare nella fede e al quale indirizza anche il libro degli Atti. Ma al di là di questo personaggio, il suo Vangelo sembra essere rivolto (proprio per la lingua usata, per le spiegazioni circa la geografia della Palestina e le usanze ebraiche, per lo scarso interesse per le discussioni sulla legge e per il riferimento invece continuo ai pagani) a coloro che non provengono dall’ebraismo. Luca per esporre con ordine «gli avvenimenti che sono accaduti» (Lc 1, 1) ha consultato documenti scritti e soprattutto testimoni diretti. Ha attinto indicazioni preziose da Paolo, del quale in tutto il Vangelo si sente l’influsso, da Pietro (Lc 22, 8), forse da Giovanni stesso (Lc 9. 28-36), dal diacono Filippo (At 21, 8), particolarmente al corrente di quanto riguardava la Samaria (Lc 9, 52-56), da Cleopa (Lc 24, 18). Le pie donne insieme a Marta e Maria (Lc 10, 38) hanno potuto informarlo di episodi che le riguardavano personalmente. Manaèn, l’amico d’infanzia di Erode (At 13, 1), gli ha forse riferito la comparsa di Gesù davanti al tetrarca (Lc 23, 7-12).
Ma Luca ha attinto soprattutto dal tesoro dei ricordi della madre stessa di Gesù (
Lc 2, 19. 51), che egli ha conosciuto e ascoltato di persona. Da lei ha appreso lo stupore dell’annuncio, della visita a Elisabetta, del parto a Betlemme; l’angoscia sua e di Giuseppe per lo smarrimento di Gesù dodicenne. È la voce stessa della Madonna che nel Magnificat direttamente si rivela: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore; perché ha rivolto gli occhi all’umiltà della sua serva...» (Lc 1, 46-48). Tutta la parte del Vangelo sull’infanzia, così come è narrata, ponendo in parallelo l’annunciazione e la nascita di Gesù con l’annunciazione e la nascita di Giovanni Battista, è peculiare di Luca.


È Luca a lasciarci i tratti delicati di Maria, a dipingerne nel racconto le immagini più belle. E forse è proprio da qui che è nata la tradizione di origine orientale che presenta Luca come pittore del volto di Maria. Molte infatti sono le immagini della Madonna attribuite all’evangelista. La testimonianza più antica al riguardo è di Teodoro il Lettore (520 circa) il quale afferma che la regina Eudocia mandò da Gerusalemme a Pulcheria il quadro della Madre di Dio dipinto dall’evangelista. «Neque novimus faciem Virginis Mariae», non conosciamo il volto della vergine Maria, scrive sant’Agostino (De Trinitate VIII). Ma anche se mancano testimonianze storiche più antiche non è affatto escluso che Luca abbia realmente dipinto il volto della Madre del Signore.

Il Vangelo di Matteo e di Marco, quest’ultimo seguito da Luca in tre lunghi tratti della vita pubblica del Signore, sono le fonti scritte utilizzate dall’evangelista. Tuttavia, seppure il terzo Vangelo presenta lo stesso schema generale dei Vangeli di Matteo e di Marco (un’introduzione, la predicazione di Gesù in Galilea, la sua salita verso Gerusalemme, il compimento della sua missione attraverso la passione e la risurrezione), la sua costruzione è elaborata con cura e mira a far risaltare in questa storia i tempi e i luoghi della storia della salvezza, insistendo fin dall’inizio sul Figlio di Dio come il salvatore di tutti gli uomini e sull’attualità della salvezza (Lc 2, 11; 4, 21).

L’assassino buono ruba il paradiso

L’originalità di Luca si manifesta soprattutto nella parte centrale del Vangelo, nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme, dove risalta l’insegnamento di Gesù attraverso una serie abbondantissima di parabole come quella del buon samaritano (Lc 10, 29-37), del figliol prodigo (15, 11-32), del ricco epulone (16, 19-31), del fariseo e del pubblicano (18, 9-14). Parabole che solo Luca riporta (18 delle sue 24 parabole non esistono negli altri Sinottici) e che evidenziano gli aspetti a lui più cari: la misericordiosa mansuetudine di Gesù, la sua benevolenza verso i pagani, la sua bontà accogliente verso i peccatori, la sua predilezione per i poveri e i piccoli che della buona novella sono i destinatari privilegiati. La predicazione di Gesù si apre, nel Vangelo di Luca, proprio rivolgendosi a loro: «Mi ha mandato a predicare ai poveri la buona novella» (Lc 4, 18).

Più volte sottolinea che il Vangelo è per i piccoli, più volte si dilunga a raccontare i gesti di perdono e di accoglienza di Gesù. Luca è l’unico, ad esempio, a riportare l’episodio del buon ladrone, mostrando la misericordia di Gesù fino alla fine. È l’ultimo Suo gesto di perdono prima di spirare sulla croce. E quell’attimo, il solo attimo che è bastato al malfattore per “rubare” il cielo, Luca lo descrive con un’intensità che commuove: «“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. “In verità ti dico, oggi stesso sarai con me in paradiso”» (Lc 23, 42-43). È la stessa commovente intensità con la quale descrive l’episodio della peccatrice in casa del fariseo (Lc 7, 36-50). Gesù era a pranzo in casa di un fariseo e mentre erano lì a mangiare irrompe una nota prostituta che circonda di attenzioni Gesù: «Portava un vaso di alabastro pieno di unguento e, fermatasi alle spalle presso i suoi piedi, piangendo, cominciò con lacrime a bagnargli i piedi e li asciugava con i capelli, e gli copriva di baci i piedi e li ungeva con l’unguento». Attenzioni che provocano l’indignato rancore del fariseo.

È soprattutto nel narrare le parabole, i gesti di compassione e di misericordia di Gesù, che Luca mostra la sua qualità di scrittore di grande talento. Con brevi notazioni, con sfumature sottili, a volte con una sola parola riesce ad indicare la tensione drammatica di un’intera situazione e non mancano neppure tracce di linguaggio medico. Usa ad esempio termini tecnici per indicare la febbre alta (Lc 4, 38), la paralisi (Lc 5, 18), e come medico, trattando dell’emorroissa, omette quanto in Marco (Mc 5, 26) può tornare sgradito ai suoi colleghi. Marco infatti, narrando l’episodio, aveva tuonato rudemente contro i medici che avevano costretto la donna «a dilapidare tutti i suoi averi senza avere alcun giovamento, anzi era andata peggiorando».
Luca laconicamente scrive: «Nessuno era riuscito a guarirla» (
Lc 8, 43). Ma la sua delicatezza si esprime soprattutto quando avvicina la persona di Gesù. Di lui ci suggerisce gli sguardi, le emozioni, i gesti umanissimi, le sofferenze nascoste. Luca è l’unico che riferisce del sudore di sangue di Gesù in quella notte di agonia nel Getsemani (Lc 22, 43-44) e di quel pianto, di quei «singhiozzi», quella sera sull’altura degli ulivi a Gerusalemme (Lc 19, 41-44), di fronte allo splendore del tempio al tramonto, presagendo la distruzione della Sua città.


Giovanni ci ha mostrato Gesù commuoversi fino alle lacrime per la morte dell’amico Lazzaro (Gv 11, 35-38), Luca è il pittore della sua tenerezza, come nell’episodio della donna curva da tanti anni al punto che non poteva più raddrizzarsi (Lc 13, 10-17). È Gesù a prendere l’iniziativa. Nessuno, neppure la donna, gli aveva richiesto niente. Stava insegnando nella sinagoga: la vede e chiamatala vicino a sé la guarisce. E quel giorno quando, entrando nella città di Nain, si imbatte in un corteo funebre e viene a sapere che il morto è il figlio unico di una madre vedova (Lc 7, 11-17). Gesù vede tra la folla quella madre portare al sepolcro l’unico suo figlio. «Vedendola» scrive Luca «ne prova compassione». Allora le si avvicina, piano le dice: «Donna, non piangere». Un atto di tenerezza è il suo primo gesto, poi le restituirà il figlio vivo.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/08/2012 18:37
 
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«Concepirai nel grembo» (Lc 1, 31): l’angelo annuncia a Maria il suo concepimento verginale


 


di Ignace de la Potterie


La pericope dell’Annunciazione è una delle più belle e delle più profonde del Vangelo di Luca; ma è anche una delle più complesse, spesso ancora interpretata in un modo approssimativo se non sbagliato. Proponiamo qui l’analisi di un solo versetto (Lc 1, 31), tenendo conto però di tutto il suo contesto.


I

L’angelo Gabriele viene da presso Dio per comunicare alla vergine Maria l’annuncio dell’Incarnazione ormai vicina. A Maria, che era la promessa sposa di Giuseppe, viene annunciato che diventerà verginalmente la madre del Figlio di Dio. Ma Dio, da molto tempo, aveva già preparato Maria a quella sua missione: infatti ella aveva sperimentato di essere stata «resa gradita» (kexaritvménh) a Dio, sotto l’influsso della grazia. Questo è il vero senso di quel «gratia plena», che noi recitiamo ancora sempre nella nostra preghiera, ma spesso senza comprenderne tutto il significato. Il passivo perfetto del verbo (kexaritvménh) indica che si tratta di un’azione passata della grazia su Maria, un’azione dunque anteriore all’Annunciazione: da molto tempo già, Maria aveva sentito di essere orientata interiormente verso un evento futuro ancora sconosciuto; aveva sperimentato in sé un profondo «desiderio di verginità» (san Tommaso); anche san Bernardo diceva che la grazia di Maria era «la grazia della verginità». Così, orientata da quella grazia, Maria era stata preparata alla sua missione propria, quella di diventare la madre del Figlio di Dio incarnato, ma in un modo verginale. Questo era il contesto antecedente all’evento preciso di cui l’evangelista parla al versetto di Lc 1, 31.


Un pannello della predella della Maestà, pala d’altare eseguita da Duccio di Buoninsegna a Siena tra il 1308 e il 1311: l’Annunciazione, pannello conservato nella National Gallery di Londra

Un pannello della predella della Maestà, pala d’altare eseguita da Duccio di Buoninsegna a Siena tra il 1308 e il 1311: l’Annunciazione, pannello conservato nella National Gallery di Londra

II

Vogliamo adesso esaminare attentamente quel versetto 1, 31, che costituisce il primo vero annuncio dell’angelo a Maria. Nel testo greco l’inizio del versetto viene formulato in poche parole: «Ed ecco, concepirai nel grembo». Queste parole, apparentemente banali, vengono stranamente ignorate da quasi tutti i commentatori sia passati che presenti. Vorremmo mostrare qual è il loro vero significato; l’angelo annuncia qui a Maria il grande paradosso: il suo concepimento, ormai vicino, sarà verginale. Quelle poche parole però devono essere integrate bene nel versetto completo, dove vengono distinti tre momenti successivi: 1) «Concepirai nel grembo e 2) partorirai un figlio e 3) gli porrai nome Gesù» (versione Utet, diversa dal testo Cei). Uno dei principali paradossi della situazione esegetica attuale attorno a questo testo è che spesso vengono omesse le parole «nel grembo», con la scusa banale che sono inutili, pleonastiche: non è evidente che la donna concepisce sempre nel grembo?
Ma questo, lo sapeva ancora meglio di noi Luca, che era
medico.

Tuttavia Luca era pure
evangelista; ora egli ha mantenuto quelle parole «nel grembo»: per lui dovevano avere un importante significato. Cercheremo di scoprirlo con l’analisi precisa del suo testo. Se molti moderni le omettono, è un’audacia pretenziosa, inammissibile; però ovviamente lo fanno perché non le capiscono. Perciò vorremmo mostrare che hanno un’importanza considerevole: sono l’annuncio, dato dall’angelo a Maria a Nazareth, che il suo concepimento si farà integralmente «nel grembo», sarà quindi completamente interiore; perciò sarà un concepimento verginale. Vediamo perché.



III

Anzitutto esaminiamo in ogni suo aspetto il nostro versetto Lc 1, 31, per coglierne le diverse sfumature nascoste. La cosa essenziale da tener presente è che si fa qui un riferimento indiretto alla celebre profezia sull’Emmanuele di Is 7, 14 (greco), alla quale rimandava anche Mt 1, 23, nel contesto dell’annuncio a Giuseppe. In Is 7, 14, come in Mt 1, 23, c’era la stessa formula: «Ecco la vergine avrà nel grembo e darà alla luce un figlio e chiameranno il suo nome Emmanuele» (in Is c’era la seconda persona: «chiamerai»). Nel testo di Mt, con riferimento a quello di Is, l’angelo spiega a Giuseppe come si realizzerà l’Incarnazione: «la vergine avrà nel grembo».
Nella formulazione di Luca, paragonata con quelle di Is e di Mt, osserviamo però due singolari differenze:
a) il soggetto della frase («la vergine», negli altri due testi) è scomparso; la ragione è che lì la frase era formulata alla terza persona, mentre Luca, presentando il testo in un dialogo diretto tra l’angelo e Maria, usa necessariamente la seconda persona («concepirai»). Ma così scompare anche la relazione diretta tra il verbo “concepire” e il soggetto “la vergine”. Tuttavia questo sostantivo “vergine” era già stato anticipato due volte da Luca nell’introduzione narrativa del versetto (Lc 1, 27: «ad una vergine [...], il nome della vergine...»); ma il vero dialogo comincia soltanto al v. 28;

b) anche il verbo è diverso: invece di «avrà nel grembo» (•n gastrì ≥jei) di Is e di Mt, Luca fa dire all’angelo: «concepirai [sullÄmcei] nel grembo». Ora, “concepire nel grembo” è una formula paradossale, nuova, assolutamente unica in tutta la Bibbia. Per quale motivo Luca ha introdotto una tale espressione strana, del tutto nuova, col suo aspetto apparentemente pleonastico?
La ragione è abbastanza ovvia. Per parlare del concepimento ordinario di una donna, l’Antico Testamento usava solitamente due formule: “
ricevere nel grembo” (p. es. Gn 28, 25; Is 8, 3, ecc.), in riferimento all’uomo dal quale la donna “riceve” il seme nel proprio grembo (il nome dell’uomo è talvolta indicato); oppure “avere nel grembo”, dopo il rapporto sessuale della donna con l’uomo, ma anche qui, dopo averlo “ricevuto” da un uomo; veniva così indicata una donna ormai incinta (cfr. Gn 38, 25; Am 1, 3, ecc.).

Per Luca, quelle due formule erano escluse, perché egli sapeva che Maria aveva detto: «Non conosco uomo» (Lc 1, 34), sono vergine; la soluzione di Luca fu di sostituire quelle due formule bibliche usuali, ma entrambe ambigue, col verbo semplice “concepire” (sullambánein), anch’esso molto frequente nell’Antico Testamento (però sempre senza l’aggiunta “nel grembo”). L’evangelista invece adopera due volte il verbo “concepire”, ma con l’aggiunta apparentemente superflua «nel grembo»: osserviamo però che lo fa unicamente per Maria.

Per capire la sua ragione, vediamo in che modo egli usa più volte quel verbo “concepire”, talvolta
senza ma talvolta anche con la specificazione “nel grembo”. Ci sono quattro testi significativi da paragonare: due per Elisabetta e due per Maria. Ora, Elisabetta, essendo la moglie di Zaccaria e la madre del Battista, certamente non era vergine; non è per caso che per lei Luca usa due volte “concepire” senza l’aggiunta “nel grembo”: «Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi» (1, 24); e a Maria l’angelo spiega: «Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei [quella somiglianza tra le due parenti consiste solo nel fatto che tutte e due concepiscono, non però nel modo di concepire] un figlio nella sua vecchiaia» (1, 36). Per Maria stessa invece, Luca adopera due volte lo stesso verbo “concepire”, tuttavia questa volta con l’aggiunta «nel grembo»; il primo testo è proprio il nostro: «concepirai nel grembo» (1, 31); più avanti ancora si legge: «...come era stato chiamato [Gesù] dall’angelo, prima di essere stato concepito nel grembo» (2, 21). Questa formula “nel grembo”, apparentemente inutile e pleonastica, è unica in tutta la Scrittura; vuol dire che ha un senso speciale, e questo tanto più quando si osserva che si trova in questi due testi vicini (1, 31; 2, 21), entrambi per parlare di Maria: annunciano il suo concepimento verginale.

Dal punto di vista storico-salvifico e teologico questi due “fatti linguistici” (quello di mantenere il verbo “concepire”, ma con la specificazione “nel grembo”) devono avere un duplice significato riguardo a Maria: da una parte, la ripresa del verbo tradizionale “concepire”, comunemente usato per tante altre donne, indicava che anche per Maria si manterrebbe il realismo fisico di un autentico concepimento corporale, non mitico (non si tratta di un teologoumeno!); d’altra parte, l’aggiunta «nel grembo», solo per lei, ammoniva che quel concepimento fisico doveva essere integralmente interiorenel grembo»), senza nessuna penetrazione dal di fuori di un qualsiasi “seme virile”. Un tale concepimento totalmente interiore quindi doveva essere realizzato da una potenza reale, certo, ma non fisica; richiedeva un’azione fecondante, sì, ma spirituale.
Ora, il nostro testo preparava e anticipava così il versetto 1, 35, dove verrà spiegato che proprio lo Spirito Santo doveva scendere su Maria, per effettuare
in lei, cioè «nel grembo» di Maria, un concepimento reale, ma puramente interiore. Un tale concepimento, senza rapporto sessuale, dovuto alla «potenza dell’Altissimo», doveva necessariamente essere un concepimento verginale. Osserviamo finalmente che il versetto conclusivo del brano (1, 35b) mette molto bene in luce il significato storico-salvifico di questo concepimento verginale: «Proprio perciò [diò kaí]» dice l’angelo a Maria «il [figlio] che nascerà [da te] santo verrà chiamato Figlio di Dio». Dal confronto dei diversi versetti risulta che Gesù, se era Figlio dell’Altissimo (v. 32), era necessariamente Figlio di Dio (v. 35).



IV

Per concludere tutta questa analisi, rileggiamo attentamente, prima il nostro versetto 1, 31 nella sua articolazione interna in tre parti (il concepimento nel grembo di Maria, il parto di un figlio, l’imposizione del nome di Gesù), ma poi anche nel suo prolungamento del saluto anteriore dell’angelo, all’inizio di tutto il racconto (Lc 1, 28). Si scopre così una bella continuità, una vera progressione, nello sviluppo del tema della verginità di Maria.
Da 1, 28 («gratia plena», spiegato sopra) sappiamo che Maria, da molto tempo, era stata preparata dalla grazia alla sua missione futura, con un misterioso “desiderio di
verginità”. Al momento dell’Incarnazione poi, l’angelo le porta il grande messaggio: il suo concepimento prossimo si realizzerà, sì, ma «nel grembo», cioè senza rapporto sessuale: sarà quindi un concepimento verginale, effettuato in lei dallo Spirito Santo. Tra la lunga preparazione di grazia di Maria per la sua missione futura e la sua realizzazione effettiva nel suo grembo al momento dell’Incarnazione, la continuità era perfetta: Maria, dopo aver “concepito”, ma anche “partorito” verginalmente («ciò che nascerà santo», incontaminato) suo figlio Gesù sotto l’azione dello Spirito Santo, poteva presentarlo agli uomini come il Figlio di Dio.



C’è un perfetto coordinamento tra questi versetti: dopo la preparazione di grazia di Maria (il suo profondo desiderio di verginità) viene l’annuncio del suo concepimento verginale e poi quello del suo parto verginale; queste tappe della vita di Maria dovevano rivelare al mondo che quel suo figlio, Gesù, era il Figlio di Dio. Ma al centro di tutto il racconto sta l’annuncio del concepimento verginale di Maria.

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