A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Maria è Figura della Chiesa, entrambe sono indivisibili

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2018 20:27
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
01/12/2008 17:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

V
"PRESSO LA CROCE DI GESÙ STAVA MARIA SUA MADRE" (Gv 19,25)


Nel Salmo 22, intonato da Gesù sulla croce ("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"), a un certo punto l’orante dice: "Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre". Gesù ha recitato queste parole avendo lì presente a sé la madre dalla quale era nato e sul cui petto aveva riposato.

1 - Maria nel mistero pasquale

La parola di Dio che ci accompagna nella nostra meditazione è quella del vangelo secondo Giovanni: "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù, allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Gv 19,25-27).

Di questo testo, così denso, consideriamo ora solo la parte narrativa, lasciando al prossimo capitolo la meditazione del resto che contiene il detto di Gesù.

Di Maria sotto la croce non ci sono riferiti grida e lamenti, come per le donne che lo accompagnavano lungo la salita del Calvario (cfr. Lc 23,27); non ci sono trasmesse parole, come nel ritrovamento di Gesù nel tempio o come a Cana di Galilea. Ci è trasmesso solo il suo silenzio. Maria tace al momento della nascita di Gesù (cfr. Lc) e tace al momento della morte di Gesù (cfr. Gv).

Nella 1Cor san Paolo oppone tra loro il linguaggio della croce e il linguaggio della sapienza umana. La differenza sta in questo: la sapienza umana si manifesta soprattutto attraverso i bei discorsi; la sapienza della croce si esprime attraverso il silenzio. Il silenzio custodisce solo per Dio il profumo del sacrificio. Esso impedisce alla sofferenza di disperdersi, di ricercare e trovare quaggiù la propria ricompensa.

Sotto la croce Maria non grida al Figlio: "Scendi dalla croce; salva te stesso e me! Hai salvato tanti altri, salva ora te stesso, figlio mio!". Non gli chiede neppure: "Figlio, perché mi hai fatto questo?" come aveva detto dopo averlo ritrovato nel tempio. Maria tace. "Acconsentì amorosamente all’immolazione della vittima da lei generata" (LG 58).

Celebra con lui la sua Pasqua. Maria non stava presso la croce di Gesù solo in senso fisico, ma anche in senso spirituale. Era unita a Gesù, soffriva con lui. Soffriva nel cuore quello che il Figlio soffriva nella carne. Chi è madre può capire queste cose.

"Come Cristo grida: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46) così anche la Vergine Maria dovette essere penetrata da una sofferenza che umanamente corrispondeva a quella del Figlio. "Una spada trapasserà la tua anima e renderà manifesti i pensieri di molti cuori" (cfr. Lc 2,35); anche del tuo, se oserai credere ancora, se sarai ancora abbastanza umile da credere che tu in verità sei l’eletta tra le donne, colei che ha trovato grazia davanti a Dio" (S. Kierkegaard, Diario XI A 45).

Gesù non dice più: "Che c’è tra me e te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora" (Gv 2,4). Adesso che la sua "ora" è giunta, c’è tra lui e sua madre una grande cosa in comune: la stessa sofferenza. In quei momenti estremi, in cui anche il Padre si è misteriosamente sottratto al suo sguardo di uomo, è rimasto a Gesù solo lo sguardo della madre in cui cercare conforto. In ogni sofferenza umana, c’è una dimensione intima e privata, che si consuma in famiglia, tra coloro che sono unti nel vincolo dello stesso sangue. Anche in quella di Cristo e di Maria.

L’ultima cosa che Gesù fece sulla croce, pronunciando le parole: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46), fu di adorare amorosamente la volontà del Padre, prima di inoltrarsi nel buio della morte. Maria certamente si unì al Figlio in questa amorosa adorazione della volontà del Padre.

2 - Stare presso la croce di Gesù

Anche questa volta è la parola di Dio che traccia il passaggio da Maria alla Chiesa e dice che cosa deve fare ogni credente per imitarla: "Presso la croce di Gesù stava Maria sua madre e accanto a lei il discepolo che egli amava". Quello che avvenne in quel giorno indica quello che deve avvenire ogni giorno: bisogna stare accanto a Maria presso la croce di Gesù, come il discepolo che egli amava. Ci sono due cose importanti in questa frase: primo, che bisogna stare accanto alla croce; secondo, che bisogna stare accanto alla croce di Gesù.

La prima cosa, e la più importante, non è stare presso la croce, ma stare presso la croce di Gesù. Ciò che conta non è la nostra croce, ma quella di Gesù; non è il nostro soffrire, ma l’appropriarsi, con la fede, della sofferenza di Cristo. La prima cosa non è la sofferenza, ma la fede. La cosa più grande di Maria ai piedi della croce fu la fede.

San Paolo scrive: "La parola della croce... è potenza di Dio... Noi predichiamo Cristo crocifisso... Per coloro che sono chiamati.. predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Cor 1,18-24). È qui la fonte di tutta la forza e la fecondità della Chiesa.

La forza della Chiesa viene dal predicare la croce di Cristo, che agli occhi del mondo è il simbolo stesso della stoltezza e della debolezza, rinunciando in questo modo ad affrontare il mondo incredulo e spensierato con i suoi stessi mezzi che sono la sapienza delle parole e la forza delle argomentazioni.

Bisogna rinunciare a una superiorità umana perché possa agire la forza divina racchiusa nella croce di Cristo. Ma qual è il segno e la prova che si crede realmente nella croce di Cristo? Il segno è partecipare alle sue sofferenze (Fil 3,10; Rm 8,17), essere crocifissi con lui (Gal 2,20), completare mediante le proprie sofferenze, ciò che manca alla passione di Cristo (Col 1,24).

La vita del cristiano dev’essere un sacrificio vivente, come quella di Cristo (cfr. Rm 12,1). Non si tratta solo di sofferenza accettata passivamente, ma anche di sofferenza cercata attivamente: "Castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù" (1Cor 9,27).

La nostra croce non è, in se stessa, salvezza; non è potenza né sapienza; per se stessa è pura opera umana, o addirittura castigo. Diviene potenza e sapienza di Dio quando per mezzo della fede ci unisce alla croce di Cristo. "Soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all’opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all’umanità in Cristo" (Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 23).

La sofferenza ci deve unire alla croce di Cristo, non in modo teorico, ma esistenziale e concreto.


3 - "Sperò contro ogni speranza" (Rm 4,18)

Ma la croce da sola non basta. Il mistero pasquale di Cristo consiste nel "passaggio" dalla croce alla risurrezione, dalla morte alla vita, nel "passaggio" attraverso la morte verso la gloria e il regno (cfr. Lc 24,26; At 14,22).

Consiste in qualcosa di dinamico, in un movimento dalla croce alla risurrezione, che non si può arrestare senza distruggerlo. "L’unilaterale accentuazione della croce ha sciaguratamente precluso alla teologia protestante la strada per comprendere la pienezza del messaggio neotestamentario" (W. Von Loewenich).

Non è esatto, per esempio, dire che san Paolo fa dipendere la giustificazione dalla sola croce (cfr. Rm 3,25) perché altrove egli mette chiaramente in relazione la stessa giustificazione con la risurrezione di Cristo (cfr. Rm 4,25) e dice che senza la risurrezione noi saremmo ancora nei nostri peccati (cfr. 1Cor 15,17). Chiesa, fede, giustificazione e remissione dei peccati: tutto, secondo Paolo, dipende congiuntamente dalla morte e dalla risurrezione, cioè dall’unico mistero pasquale.

Maria sul Calvario ha vissuto tutto il mistero pasquale: ella è stata presso la croce "in speranza". Ha condiviso con il Figlio non solo la morte, ma anche la speranza della risurrezione. Sul Calvario, Maria non è solo la Madre del dolore, ma anche la Madre della speranza.

Dice la Scrittura: "Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: "In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome". Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo" (Eb 11,17-19). Egli era simbolo, figura della passione e risurrezione di Cristo. E se Isacco era figura di Cristo, Abramo che lo porta a immolare è figura, in cielo, di Dio Padre e, sulla terra, di Maria la madre.

Di Abramo, in questa circostanza, san Paolo afferma che "ebbe fede sperando contro ogni speranza" (Rm 4,18). A maggior ragione si deve dire di Maria; ella credette sperando contro ogni speranza. Sperare contro ogni speranza consiste in questo: che "senza aver motivo alcuno di speranza, in una situazione umanamente priva del tutto di speranza e in contrasto totale con la promessa, si prende non di meno a sperare, unicamente in virtù della parola di speranza pronunciata a suo tempo da Dio" (H. Schlier, La lettera ai romani).

Un testo del Concilio Vaticano II ci parla di questa speranza di Maria sotto la croce: "Ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità" (LG 61).

4 - La nostra speranza

Scrive sant’Agostino: "Il nostro passaggio dalla morte alla vita ad opera della fede si compie mediante la speranza della futura risurrezione e della gloria finale... Nella vita presente realizziamo ciò che significa la crocifissione, mentre teniamo per fede e speranza ciò che significano la sepoltura e la risurrezione" (Lettere 55).

Anche la Chiesa, come Maria, vive la risurrezione "in speranza". Anche per essa, la croce è oggetto di esperienza, mentre la risurrezione è oggetto di speranza. Maria, che nel mistero dell’Incarnazione ci è stata maestra di fede, nel mistero pasquale ci è madre di speranza.

Come Maria fu presso il Figlio crocifisso, così la Chiesa deve stare presso i crocifissi di oggi: i poveri, i sofferenti, gli umiliati e gli offesi. E deve stare accanto a loro "in speranza" come Maria. Non basta compatire le loro pene e alleviarle. La Chiesa deve dare speranza, proclamando che la sofferenza non è assurda, ma ha un senso, perché ci sarà la risurrezione da morte.

Essa deve "dare ragione della speranza che è in lei" (cfr. 1Pt 3,15). È solo alla luce della risurrezione di Cristo e nella speranza della nostra che possiamo comprendere il senso della sofferenza e della morte. La croce si capisce meglio guardando ai suoi effetti che non guardando alle sue cause, che per noi restano spesso misteriose e inspiegabili.

Gli uomini hanno bisogno di speranza per vivere, come dell’ossigeno per respirare. Si dice che finché c’è vita c’è speranza; ma è vero ancora di più che finché c’è speranza c’è vita. La speranza cristiana è una virtù teologale, è dono, è grazia infusa, che ha per oggetto diretto Dio e la vita eterna, non solo il futuro terreno dell’uomo. La speranza ha per fondamento Dio solo: si spera quasi più per Dio che per se stessi, perché la sua fedeltà e la sua bontà non siano assolutamente messe in discussione.

Vi sono due modi di peccare contro la speranza: disperare della salvezza e presumere di salvarsi senza merito; la disperazione e la presunzione. Qui si vede nuovamente la necessità di tenere insieme croce e risurrezione. Soffrire senza sperare di risorgere è disperazione; sperare di risorgere senza soffrire è presunzione.

Nella Bibbia troviamo molte preghiere di speranza. Nella terza Lamentazione, che è il canto dell’anima nella desolazione e che può essere applicato a Maria ai piedi della croce, leggiamo: "Io sono la persona che ha provato la miseria e la pena. Dio mi ha fatto camminare nelle tenebre, non nella luce... Ma le misericordie del Signore non sono finite; dunque in lui voglio sperare! Il Signor non rigetta mai, ma se affligge avrà anche pietà. Forse c’è ancora speranza" (cfr. Lam 3,1-29).

Quale gloria per Dio e quale conforto per l’uomo poter dire ogni volta: "Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato" (Sal 4,1); "Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola" (Sal 130,5); "Speri Israele nel Signore, ora e sempre" (Sal 131,3).

Volgiamo lo sguardo a colei che ha saputo stare presso la croce sperando contro ogni speranza. Invochiamola come Madre della speranza. Ripetiamo a noi stessi, nelle prove e negli scoraggiamenti: "Le misericordie del Signore non sono finite: in lui voglio sperare!".



VI
"DONNA, ECCO TUO FIGLIO!" (Gv 19,26)


Oggetto della nostra riflessione è la seconda parte del passo del vangelo secondo Giovanni: "Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Gv 19,26-27).

Nel mistero dell’Incarnazione abbiamo contemplato Maria come Madre di Dio; nel mistero pasquale la contempliamo come madre dei cristiani, madre nostra.

1 - "Tutti là sono nati" (Sal 87,4)

Sant’Agostino ci aiuta a cogliere la somiglianza e la differenza tra le due maternità di Maria: "Maria, corporalmente, è madre solo di Cristo, mentre spiritualmente, in quanto fa la volontà di Dio, gli è sorella e madre. Madre nello spirito, ella non lo fu del Capo che è lo stesso Salvatore, dal quale piuttosto spiritualmente è nata, ma lo è certamente delle membra che siamo noi, perché cooperò, con la sua carità, alla nascita nella Chiesa dei fedeli, che di quel corpo sono le membra" (La santa verginità, 5-6, PL 40,399).

Anche la maternità spirituale, analogamente a quella fisica, si realizza attraverso due momenti e due atti: concepire e partorire. Nessuna delle due cose, da sola, è sufficiente. Maria ci ha spiritualmente concepiti e partoriti. Ci ha concepiti, cioè accolti in sé, quando ha scoperto che suo Figlio era "il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29) e che attorno a lui si andava formando una comunità.

Suo figlio chiamava "fratelli, sorelle e madre" coloro che ascoltavano la sua parola; dei poveri, diceva: "Ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me"; egli andava dicendo: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi...". Maria capiva che non avrebbe potuto tirarsi indietro, rifiutando di accogliere come suoi tutti questi invitati del Figlio. E questo fu il tempo del concepimento nel cuore.

Ora, sotto la croce, è il momento del travaglio del parto. Gesù si rivolge, in questo momento, alla madre chiamandola "donna". Questa parola ci fa pensare a ciò che Gesù aveva detto: "La donna, quando partorisce è afflitta, perché è giunta la sua ora" (Gv 16,21) e a ciò che si legge nell’Apocalisse: "Una donna... era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto" (Ap 12,1-2).

Anche se questa donna è, in prima linea, la Chiesa, la comunità della nuova alleanza che dà alla luce l’uomo nuovo e il mondo nuovo, Maria vi è coinvolta ugualmente in prima persona, come l’inizio e la rappresentante di quella comunità credente.

Questo accostamento tra Maria e la figura della donna è stato recepito presto dalla Chiesa (già con sant’Ireneo che fu discepolo di un discepolo di san Giovanni, cioè di san Policarpo), quando essa ha visto in Maria la nuova Eva, la nuova "madre di tutti i viventi".

Le parole di Gesù a Maria: "Donna, ecco il tuo figlio" e a Giovanni: "Ecco la tua madre" hanno certamente un significato anzitutto immediato e concreto. Gesù affida Maria a Giovanni e Giovanni a Maria.

Ma questo non esaurisce il significato della scena. Giovanni rappresenta il discepolo di Gesù in quanto tale, cioè tutti i discepoli. Essi sono dati a Maria da Gesù morente come suoi figli, allo stesso modo che Maria è data ad essi come loro madre.

Con le parole "Ecco la tua madre" ed "Ecco il tuo figlio", Gesù costituisce Maria madre di Giovanni e Giovanni figlio di Maria. Gesù non si è limitato a proclamare la nuova maternità di Maria, ma l’ha istituita. Essa dunque non viene da Maria, ma dalla parola di Dio; non si basa sul merito, ma sulla grazia.

Sotto la croce, Maria ci appare come la figlia di Sion che, dopo il lutto e la perdita dei suoi figli, riceve da Dio una nuova figliolanza, più numerosa di prima, non secondo la carne, ma secondo lo Spirito.

Un salmo, che la liturgia applica a Maria, dice: "Ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia: tutti là sono nati. Si dirà di Sion: "L’uno e l’altro è nato in essa...". Il Signore scriverà nel libro dei popoli: "La costui è nato"" (Sal 87). È vero: tutti là siamo nati. Si dirà anche di Maria, la nuova Sion: l’uno e l’altro è nato in essa.

Come abbiamo applicato a Maria ai piedi della croce il canto di lamentazione della Sion distrutta, così ora applichiamo a lei il canto della Sion riedificata. Queste parole, per disposizione di Dio, si sono obiettivamente realizzate in lei.

2 - La sintesi mariana del Concilio Vaticano II

La dottrina tradizionale di Maria madre dei cristiani ha ricevuto una nuova formulazione nella costituzione dogmatica sulla Chiesa (LG) del Concilio Vaticano II, dove essa è inserita nel quadro più ampio riguardante il posto di Maria nella storia della salvezza e nel mistero di Cristo.

Vi leggiamo: "La beata Vergine, predestinata fino dall’eternità, all’interno del disegno d’incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l’alma madre del divino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore. Concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia" (LG 61).

Il Concilio stesso si preoccupa di precisare il senso di questa maternità di Maria, dicendo: "La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce quest’unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia. Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non impedisce minimamente l’unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita" (LG 60).

Accanto al titolo di Madre di Dio e dei credenti, l’altra categoria fondamentale che il Concilio usa per illustrare il ruolo di Maria è quella di modello o di figura: "La beata Vergine per il dono e per l’ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio Redentore e per sue singolari grazie e funzioni, è pur intimamente congiunta con la Chiesa: la Madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo" (LG 63).

Alla luce di questi testi, possiamo riassumere il duplice rapporto di Maria con Gesù e con la Chiesa: nei confronti di Gesù, Maria è madre e discepola; nei confronti della Chiesa, essa è madre e maestra, cioè modello, figura esemplare. Come Paolo, e più di Paolo, ella può dire a tutti noi: "Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1Cor 11,1). Ella infatti è nostro modello e maestra proprio perché perfetta discepola e imitatrice di Cristo.

La novità più grande su Maria, nel documento conciliare, sta proprio nel posto in cui essa è inserita e cioè nella trattazione sulla Chiesa. Il discorso su Maria non è più a sé stante, come se ella occupasse una posizione intermedia tra Cristo e la Chiesa, ma ricondotto, come era stato all’epoca dei Padri, nell’ambito della Chiesa.

Scriveva sant’Agostino: "Santa è Maria, beata è Maria, ma più importante è la Chiesa che non la Vergine Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa, un membro santo, eccellente, superiore a tutti gli altri, ma tuttavia un membro di tutto il corpo. Se è un membro di tutto il corpo, senza dubbio più importante d’un membro è il corpo" (Disc. 72 A).

Subito dopo il Concilio, Paolo VI sviluppò ulteriormente l’idea della maternità di Maria verso i credenti, attribuendo a lei, esplicitamente e solennemente, il titolo di Madre della Chiesa: "A gloria dunque della Vergine e a nostro conforto, noi proclamiamo Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei Pastori, che la chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d’ora innanzi la Vergine venga ancor più onorata ed invocata da tutto il popolo cristiano" (Paolo VI, Discorso di chiusura del terzo periodo del Concilio).


3 - Maria madre dei credenti

È venuto il momento di considerare l’analogia che esiste tra Abramo e Maria. È un fatto singolare che Cristo non venga mai chiamato nel Nuovo Testamento il nuovo Abramo, mentre è invece chiamato, o implicitamente indicato, come nuovo Adamo, nuovo Isacco, nuovo Giacobbe, nuovo Mosè, nuovo Aronne ecc. È Isacco, suo figlio, che è figura di Cristo. Abramo non trova la sua realtà corrispondente in Cristo, ma in Maria, perché egli è costituito padre per la fede, e rappresenta la fede; e il Nuovo Testamento non attribuisce mai a Cristo la fede, ma invece proclama beata Maria per la sua fede (cfr. Lc 1,45).

Il confronto tra la fede di Abramo e quella di Maria è abbozzato nel racconto stesso dell’Annunciazione. A Maria che fa presente all’angelo la sua situazione di vergine, che contrasta con la promessa, viene data la stessa risposta che fu data ad Abramo dopo che Sara aveva fatto la stessa osservazione a proposito della sua vecchiaia e sterilità: "Nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37; Gen 18,14). Ma tale corrispondenza emerge soprattutto dai fatti. Nella vita di Abramo troviamo due grandi atti di fede.

Primo. Per fede Abramo credette alla promessa di Dio che avrebbe avuto un figlio "pur vedendo come morto il proprio corpo e morto il seno di Sara" (Rm 4,19; cfr. Eb 11,11).

Secondo. "Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio" (Eb 11,17).

Abramo, dunque, credette quando Dio gli diede il figlio e credette quando glielo tolse.

Anche nella vita di Maria troviamo due grandi atti di fede: Maria credette quando Dio le diede il Figlio e credette quando glielo tolse. Sia nel caso di Abramo che nel caso di Maria, Dio sembra smentirsi, sembra dimenticare le sue promesse. In particolare, a Maria era stato detto: "Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo", ed invece lo vede "disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori... disprezzato... castigato da Dio e umiliato... trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità" (Is 53,3-5). E ancora: "Regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine", e invece lo vede inchiodato ad una croce. Fino all’ultimo Maria avrà sperato che Dio intervenisse. Ma non accadde nulla!

A Maria è chiesto ben più che ad Abramo. Con Abramo Dio si fermò all’ultimo momento e risparmiò la vita del figlio; con Maria oltrepassò la linea senza ritorno della morte. In questo si nota la differenza tra l’Antico e il Nuovo Testamento: "Abramo impugna il coltello, ma riottiene Isacco; la cosa non fu sul serio. Il culmine della serietà fu nella prova, ma poi ritorna il godimento di questa vita. Ben altrimenti nel Nuovo Testamento. Non è una spada pendente da un crine di cavallo sopra il capo di Maria Vergine, per provare se essa in quel momento avrebbe conservato l’ubbidienza della fede; no, la spada arrivò veramente a trapassare, a spezzare il suo cuore, ma così ebbe un assegno sull’eternità: questo Abramo non l’ebbe" (S. Kierkegaard, Diario X A 572).

Ora tiriamo da tutto ciò la conclusione. Se Abramo, per quello che ha fatto, ha meritato nella Bibbia il nome di padre di tutti i credenti (cfr. Rm 4,16), a maggior ragione Maria merita il nome di madre di tutti i credenti. Ad Abramo Dio disse: "In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3). Maria canta: "Tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1,48).

Se si riconosce un ruolo di mediatore ad Abramo, come non riconoscere, a maggior ragione, un ruolo di mediatrice a Maria?

4 - "E da quel momento il discepolo la prese con sé" (Gv 19,27)

E ora consideriamo Maria come figura e specchio della Chiesa. In questo capitolo in cui abbiamo considerato Maria come madre, non proponiamo di imitare Maria, ma sull’esempio del discepolo, di accoglierla nella nostra vita.

La frase: "Il discepolo la prese con sé" (eis tà ìdia) può significare due cose: la prese "nella sua casa", e la prese "tra le sue cose più care". Prendere Maria nella nostra casa significa "fare tutte le proprie azioni per mezzo di Maria, con Maria, in Maria e per Maria, per poterle compiere in maniera più perfetta per mezzo di Gesù, con Gesù e per Gesù" (san L. Grignion de Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, n. 257).

Tutto questo non usurpa il potere dello Spirito Santo perché Maria è uno dei mezzi privilegiati attraverso cui lo Spirito Santo guida le anime. Il detto "Ad Jesum per Mariam", a Gesù per mezzo di Maria, è accettabile purché si intenda che lo Spirito Santo ci guida a Gesù servendosi di Maria. La mediazione creata di Maria, tra noi e Gesù, va compresa come mezzo della mediazione increata che è lo Spirito Santo.

5 - "Il coraggio che hai avuto..." (Gdt 13,19)

Viene un’ora nella vita in cui ci occorre una fede e una speranza come quella di Maria; un’ora in cui Dio ci chiede di sacrificargli il nostro "Isacco", cioè la persona, la cosa, il progetto che ci è caro, che Dio stesso un giorno ci ha affidato e per il quale abbiamo lavorato tutta una vita. Questa è l’occasione che Dio ci offre per mostrargli che egli ci è più caro di tutto, anche dei suoi doni, anche del lavoro che facciamo per lui. Dio mise alla prova Maria sul Calvario - come aveva messo alla prova il suo popolo nel deserto - "per vedere quello che aveva nel cuore" (cfr. Dt 8,2), e nel cuore di Maria trovò intatto e più forte il sì dell’Annunciazione. Possa egli, in questi momenti, trovare anche il nostro cuore pronto a dirgli sì.

Ad Abramo Dio disse: "Perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza... Padre di una moltitudine di popoli ti renderò" (Gen 17,5; 22,16-17).

Lo stesso e ancor più dice a Maria: Madre di molti popoli ti renderò, madre della Chiesa! Nel tuo nome saranno benedette tutte le stirpi della terra. Tutte le generazioni ti chiameranno beata! E come gli Israeliti si rivolgevano a Dio dicendo: "Ricordati di Abramo, nostro padre!", noi possiamo dire: "Ricordati di Maria, nostra madre!". E come essi dicevano a Dio: "Non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo tuo amico" (Dn 3,35), noi possiamo dirgli: "Non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Maria, tua figlia, tua sposa, tua madre!".

È scritto che quando Giuditta tornò tra i suoi, dopo aver esposto al pericolo la sua vita per il suo popolo, gli abitanti della città le corsero incontro e il sommo sacerdote la benedisse dicendo: "Benedetta tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra... Il coraggio che hai avuto non cadrà dal cuore degli uomini, che ricorderanno sempre la potenza di Dio" (Gdt 13,18-19).

Le stesse parole noi rivolgiamo a Maria: Benedetta tu fra le donne! Il coraggio che hai avuto non cadrà mai dal cuore e dal ricordo della Chiesa!

continua.............

[Modificato da Caterina63 03/08/2011 16:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:50. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com