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Maria è Figura della Chiesa, entrambe sono indivisibili

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2018 20:27
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01/12/2008 17:05
 
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VII
"ASSIDUI E CONCORDI NELLA PREGHIERA CON MARIA, LA MADRE DI GESÙ" (At 1,14)


Negli Atti degli apostoli, Luca, dopo aver elencato i nomi degli undici apostoli, prosegue con queste parole tanto care al cuore dei cristiani: "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e con i fratelli di lui" (At 1,14).

Con questo capitolo ci trasferiamo dal Calvario al Cenacolo; passiamo dal mistero pasquale al mistero della Pentecoste.

La Pentecoste viene alla fine della vita di Gesù, dopo che la storia della salvezza è giunta al suo culmine. E questo perché tra noi e lo Spirito Santo c’erano come due muri di separazione che gli impedivano di comunicarsi a noi: il muro della natura e il muro del peccato. Il muro della natura perché lo Spirito Santo è spirito e noi siamo carne; egli è Dio e noi siamo uomini. Tra le due cose c’è di mezzo un abisso. Il muro del peccato perché alla distanza creata dalla natura si era aggiunta quella del peccato: "Le vostre iniquità hanno scavato un abisso tra voi e il vostro Dio" (Is 59,2).

Occorreva che fossero abbattuti questi due muri, o - se preferite - colmati questi due abissi, perché lo Spirito potesse riversarsi in noi. E questo è avvenuto con l’opera redentrice di Cristo.

Con la sua Incarnazione egli ha abbattuto il muro di separazione della natura, unendo in se stesso Dio e l’uomo, lo Spirito e la carne; ha creato un ponte indistruttibile tra Dio e l’uomo.

Con la sua Pasqua egli ha abbattuto il muro di separazione del peccato. Leggiamo nel vangelo di Giovanni: "Non c’era ancora lo Spirito perché Gesù non era stato ancora glorificato" (Gv 7,39). Bisognava che Gesù morisse perché potesse venire il Consolatore. Morendo per i peccati, Gesù ha abbattuto questo secondo muro: "Ha distrutto il corpo del peccato" (Rm 6,6).

Ora più nulla impedisce allo Spirito di effondersi, come difatti avviene con la Pentecoste. Ma se nella realizzazione della salvezza la Pentecoste viene alla fine, nella sua applicazione a noi essa è all’inizio. Nella vita della Chiesa e dei singoli, lo Spirito non viene alla fine, come coronamento di tutto o come premio. Noi non potremmo far nulla, nemmeno dire: "Gesù è il Signore!", se non avessimo lo Spirito Santo (cfr. 1Cor 12,3). La nostra vita spirituale comincia con il battesimo che è appunto la nostra pentecoste.

Tutto ciò ci fa capire che questo terzo momento del nostro itinerario sulle orme di Maria non è un’appendice rispetto alle grandi cose contemplate nell’Incarnazione e nella Pasqua, ma è il mezzo necessario attraverso cui quelle grandi cose diventano operanti nella nostra vita. È per lo Spirito Santo che noi possiamo imitare Maria nell’Incarnazione, concependo e dando alla luce Cristo e diventando anche noi, spiritualmente, sua madre. È per lo Spirito Santo che possiamo imitare Maria nel mistero pasquale, stando con lei, con fede e speranza, ai piedi della croce.

1 - Pregare per ottenere lo Spirito Santo

Passiamo a considerare Maria come figura e specchio della Chiesa. Che cosa ci dice Maria con la sua presenza al momento della Pentecoste? Volendo mantenerci il più possibile aderenti al testo degli Atti, possiamo raccogliere l’insegnamento di Maria in tre punti:

1) prima di lanciarsi per le vie del mondo, la Chiesa ha bisogno di ricevere lo Spirito Santo;

2) alla venuta dello Spirito Santo ci si prepara soprattutto con la preghiera;

3) tale preghiera dev’essere concorde e perseverante.

Primo: La Chiesa ha bisogno dello Spirito Santo

Agli apostoli che chiedevano se era quello il tempo della venuta del regno, Gesù disse: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (At 1,6-8). I discepoli avevano ancora un’idea errata del Regno e della sua venuta. Con queste parole Gesù fa capire che cos’è il regno e come viene. Essi riceveranno lo Spirito Santo; con questo Spirito renderanno testimonianza a Gesù, cioè proclameranno il suo Vangelo; la gente si convertirà, e questo sarà il regno che viene.

Il seguito del racconto mostra il puntuale accadere di tutto ciò.

Questo è chiaramente una specie di paradigma posto all’inizio della narrazione della storia della Chiesa, per indicare alla Chiesa di tutti i tempi come viene il Regno, qual è la legge e quali sono i requisiti del suo sviluppo. Esso vale dunque anche per noi oggi. Non si va in piazza a predicare con frutto senza passare prima per il Cenacolo ed essere rivestiti di potenza dall’alto. Tutte le cose della Chiesa o prendono forza e senso dallo Spirito Santo, o sono senza forza e senza senso cristiano.

Secondo: Al dono dello Spirito Santo ci si prepara con la preghiera

Gli apostoli non si sono preparati alla venuta dello Spirito Santo discutendo, ma pregando. Si ripete dunque ciò che era avvenuto nel battesimo di Gesù: "Mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo" (Lc 3,21-22).

Per Luca fu la preghiera di Gesù a squarciare i cieli e a far scendere lo Spirito su di lui.

Lo stesso avviene a Pentecoste. Mentre la Chiesa stava in preghiera "venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento gagliardo... Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo" (At 2,2-4). È impressionante la costanza con cui, negli Atti degli apostoli, la venuta dello Spirito Santo è messa in relazione con la preghiera.

Saulo "stava pregando" quando il Signore gli mandò Anania perché riacquistasse la vista e fosse riempito di Spirito Santo (cfr. At 9,9.11). Dopo l’arresto e la liberazione di Pietro e Giovanni, la comunità aveva "terminato di pregare, quando il luogo tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo" (At 4,31). Quando gli apostoli seppero che la Samaria aveva accolto la Parola, mandarono Pietro e Giovanni; essi "discesero e pregarono perché ricevessero lo Spirito Santo" (At 8,15). Lo Spirito Santo si deve implorare con la preghiera: essa è un mezzo infallibile.

Gesù stesso aveva legato il dono dello Spirito Santo alla preghiera, dicendo: "Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!" (Lc 11,13). Egli stesso aveva pregato per questo: "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore" (Gv 14,16).

Lo Spirito Santo è il dono che Dio dà ordinariamente a chi glielo chiede. Dio non impone i suoi doni, li offre. La preghiera è appunto l’espressione di questa accettazione e di questo desiderio da parte dell’uomo. È l’espressione della libertà che si apre alla grazia.

2 - Perseveranti nella preghiera

Terzo: tale preghiera deve essere concorde e perseverante

È questo il punto che ci interessa di più. La preghiera che vuole ottenere lo Spirito Santo dev’essere "concorde e perseverante".

Lo Spirito è comunione; è il vincolo stesso dell’unità sia nella Trinità che nella Chiesa. San Paolo ci esorta a "conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ef 4,3). E sant’Agostino scrive: "Se volete ricevere lo Spirito Santo conservate la carità, amate la verità, desiderate l’unità" (Disc. 267, 4, PL 38, 1231).

La preghiera di Maria e degli apostoli era "perseverante". Questa parola è importante perché è quella che ricorre più frequentemente ogni volta che nel Nuovo Testamento si parla di preghiera. "Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (At 2,42); "Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera" (Rm 12,12); "Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie" (Col 4,2); "Pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito Santo, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza" (Ef 6,18). La sostanza di questo insegnamento deriva da Gesù: "Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi" (Lc 18,1). Pregare a lungo, con perseveranza, non significa pregare con molte parole (cfr. Mt 6,7). Essere perseveranti nella preghiera significa non smettere mai di chiedere e di sperare, non arrendersi mai. Significa non darsi riposo e non darne neppure a Dio: "Voi che rammentate le promesse del Signore, non prendetevi mai riposo e neppure a lui date riposo, finché non abbia ristabilito Gerusalemme" (Is 62,6-7).

Ma perché la preghiera dev’essere perseverante, e perché Dio non esaudisce subito?

Leggiamo nella Bibbia: "Prima che mi invochino io risponderò; mentre ancora non stanno parlando, io già li avrò ascoltati" (Is 65,24). E Gesù stesso dice: "E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente" (Lc 18,7).

Dio ha promesso di ascoltare sempre e di ascoltare subito le nostre preghiere, e così fa. Siamo noi che dobbiamo aprire gli occhi. Dio mantiene sempre la sua parola. Nel ritardare il soccorso, egli già soccorre. E fa questo perché non capiti che ascoltando troppo in fretta la "volontà" del richiedente, egli non possa procurargli una perfetta "santità". Bisogna distinguere l’esaudire secondo la volontà dell’orante e l’esaudire secondo la necessità dell’orante, che è la sua salvezza. Dio esaudisce sempre e subito secondo la salvezza dell’orante, non sempre esaudisce secondo la volontà del momento che può non essere buona.

Guardiamo all’esempio della cananea. Se Gesù l’avesse ascoltata subito, sua figlia sarebbe stata liberata dal demonio, ma per il resto tutto sarebbe continuato come prima! Invece ritardando nell’esaudirla, Gesù ha permesso alla sua fede e alla sua umiltà di crescere fino a strappargli quel grido: "Donna, davvero grande è la tua fede!" (Mt 15,28). Ora ella torna a casa e non trova solo la figlia guarita, ma se stessa trasformata: è diventata una credente in Cristo. E questo resta per l’eternità. Così avviene quando non si è ascoltati subito, purché si continui a pregare.


3 - La preghiera continua

Gesù ha detto di "pregare sempre senza stancarsi" (Lc 18,1). San Paolo scrive: "Siate sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie" (1Ts 5, 16-18). Bisogna superare una certa concezione ritualistica e legalistica della preghiera, legata a tempi e luoghi determinati, per farne un atteggiamento di fondo, un orientamento costante, un’attività spontanea, quasi come il respiro.

Quante volte bisogna perdonare? Gesù risponde: Sempre! (cfr. Mt 18,22). Quante volte si deve pregare? Gesù risponde: Sempre! (cfr. Lc 18,1). Chiedere quante volte al giorno bisogna pregare Dio, sarebbe come chiedersi quante volte al giorno bisogna amare Dio. La preghiera, come l’amore, non sopporta il calcolo delle volte. Si può amare con gradi diversi di consapevolezza, ma non a intervalli più o meno regolari.

Sant’Agostino dice che l’essenza della preghiera è il desiderio. Se il desiderio di Dio è continuo, la preghiera è continua. Ora questo desiderio di Dio può rimanere vivo anche quando facciamo altre cose: "Non è male né inutile pregare a lungo quando abbiamo tempo, cioè quando non sono impedite altre incombenze di azioni buone e necessarie, sebbene anche in quelle azioni bisogna pregare sempre con il desiderio. Infatti il pregare a lungo non equivale, come credono alcuni, a un pregare con molte parole. Una cosa è parlare a lungo, altra cosa è un intimo e durevole desiderio... Pregare molto consiste nel suscitare un continuo e devoto impulso del cuore verso colui che invochiamo" (s. Agostino, Lettere 130, 10, 19-20).

Come il mare non si stanca di spingere le sue onde verso la riva, così chi prega non deve stancarsi di spingere il suo pensiero e l’impulso del suo cuore verso Dio. La preghiera, come i fiumi carsici, a volte scorre in superficie a volte scorre invisibile nel cuore. In questo modo, essa può continuare anche nel sonno, come dice la sposa nel Cantico: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2).

Questa preghiera continua è compatibile con qualsiasi professione: è una grazia di Dio ed è una questione di cuore. Sarebbe però grave errore coltivare la cosiddetta preghiera continua e non dedicare tempi precisi e specifici alla preghiera.

Scrive sant’Agostino: "Noi, dunque, preghiamo sempre con desiderio continuo sgorgato dalla fede, speranza e carità. Ma a intervalli fissi di ore e in date circostanze preghiamo Dio anche con parole, affinché mediante quei segni delle cose stimoliamo in noi stessi e ci rendiamo conto di quanto abbiamo progredito in questo desiderio e ci sproniamo più vivamente ad accrescerlo in noi" (Lettere 130, 9, 18).

4 - Quando la preghiera diventa fatica e agonìa

Dobbiamo stare attenti dallo schematizzare la preghiera o dal pensare che una volta scoperto un certo tipo di preghiera andremo avanti con esso fino alla morte. La preghiera è come la vita e quindi ha le sue stagioni.

C’è tuttavia una stagione che non mancherà di arrivare, presto o tardi: l’inverno. Non illudiamoci. Verrà il tempo in cui la preghiera, come la natura d’inverno, diventerà spoglia, apparentemente morta. La preghiera allora diventerà lotta, fatica, agonìa. Quando questo accade, la preghiera non è più acqua che piove dal cielo o scorre in superficie, ma è un’acqua che bisogna tirare su dal pozzo, con fatica.

Ci sono due tipi di lotta nella preghiera:

1) la lotta contro le distrazioni;

2) la lotta con Dio

Anche i santi hanno dovuto lottare contro le distrazioni. Santa Teresa d’Avila scrive: "Mi succede alle volte di non poter formare un pensiero sensato né su Dio, né su altro buon soggetto, e nemmeno di fare orazione, pur essendo in solitudine. Sento solo di conoscere Dio. Il danno mi viene dall’intelletto e dall’immaginazione. La volontà mi sembra quieta e ben disposta, ma l’intelletto tumultua in tal modo da sembrare un pazzo furioso che nessuno riesca ad incatenare: non sono capace di tenerlo fermo neppure per lo spazio di un credo" (Vita, XXX, 16).

In questa situazione ci si mette in preghiera per godere Dio, contemplare le sue meraviglie, ascoltarlo, scoprire cose nuove su di lui e su di noi, ma la nostra mente è dissipata, piena di distrazioni. Così tutta la preghiera si trasforma in un lotta estenuante contro i pensieri vani e non c’è via di scampo: bisogna faticare.

Quando dobbiamo combattere contro le distrazioni, ci occorrono pazienza e coraggio e soprattutto non dobbiamo cadere nell’errore di credere che è inutile stare a pregare. Ognuno deve trovare il metodo adatto per sé. Per alcuni è utile fare brevi preghiere, dette giaculatorie; per altri è utile recitare lentamente qualche preghiera particolare.

Santa Teresa di Gesù Bambino scrive: "Qualche volta, se il mio spirito è in aridità così grande che mi è impossibile trarne un pensiero per unirmi al buon Dio, recito molto lentamente un Padre nostro e poi il saluto angelico (l’Ave, Maria); allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono molto di più l’anima che se l’avessi recitate precipitosamente un centinaio di volte" (Scritto autobiografico C, n. 318).

C’è un versetto del Sal 31 che descrive bene ciò che avviene in questa preghiera: "Io dicevo nel mio sgomento: "Sono escluso dalla tua presenza". Tu invece hai ascoltato la voce della mia preghiera quando a te gridavo aiuto" (v. 23).

Poiché non sentiamo nulla, ci sembra che anche Dio non senta nulla e non ascolti. Egli invece sta ascoltando più attento e compiaciuto che mai.

Nella vita dei padri del deserto si legge: "Un giorno il santo Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: "O Signore! Io voglio salvarmi, ma i miei pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?". Ora sporgendosi un po’, vede un altro monaco come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto a intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l’angelo che diceva: "Fa’ così e sarai salvo". A udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò" (Apoftegmi dei Padri, Antonio 1, PG 65, 76).

Antonio aveva capito che, non riuscendo a pregare a lungo senza distrazioni, doveva almeno ogni tanto, interrompere il lavoro per far delle brevi preghiere. Capiamolo anche noi!

Ma esiste un altro tipo di lotta nella preghiera, più delicato e difficile: la lotta con Dio. Ne hanno fatto esperienza tanti uomini della Bibbia. Ne ricordiamo uno per tutti: Giobbe. Ma questa lotta la conobbe soprattutto Gesù nel Getsemani: "Giunto sul luogo disse loro: "Pregate, per non entrare in tentazione". Poi si allontanò da loro un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà!" Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra" (Lc 22,40-44).

Ma perché lotta Gesù? Qui è la grande lezione che dobbiamo imparare. Gesù non prega per piegare il Padre alla sua volontà, ma per piegare la sua volontà umana alla volontà del Padre.

Nella Bibbia c’è una situazione simile a questa, che permette di misurare la differenza tra Gesù e ogni altro orante. Si tratta di Giacobbe che lotta con Dio (cfr. Gen 32,23-33). Anche questa lotta si svolge di notte, al di là di un torrente - lo Iabbok - come quella di Gesù che si svolge di notte oltre il torrente Cedron. Ma perché Giacobbe lotta con l’angelo? Per piegare Dio alla sua volontà. Gesù prega per piegarsi alla volontà di Dio.

A chi assomigliamo noi quando preghiamo? Se lottiamo per indurre Dio a cambiare decisione assomigliamo a Giacobbe; se preghiamo per cambiare noi stessi, a Gesù. Nel primo caso lottiamo perché ci tolga la croce, nel secondo per essere capaci di portarla con lui. Ma i risultati delle due preghiere sono diversi. A Giacobbe Dio non dà il nome che è simbolo del suo potere, ma a Gesù dà il nome che è al di sopra di ogni altro nome e con esso ogni potere (cfr. Fil 2,11).

5 - La preghiera violenta

Scrive la beata Angela da Foligno: "È cosa buona e molto gradita a Dio che tu preghi col fervore della grazia divina, che vegli e ti affatichi nel compiere ogni azione buona; ma è più gradito e accetto al Signore se venendoti meno la grazia non riduci le tue preghiere, le tue veglie, le tue buone opere. Agisci senza la grazia, come operavi quando avevi la grazia... Tu fa’ la tua parte, figlio mio, e Dio farà la sua. La preghiera forzata, violenta, è assai accetta a Dio" (Il libro della beata Angela da Foligno, p. 575).

La preghiera di Gesù nel Getsemani fu una preghiera violenta: "Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime" (Eb 5,7).

In qualunque situazione veniamo a trovarci vale sempre l’insegnamento di Gesù di pregare sempre senza stancarsi mai (cfr. Lc 18,1) e l’esempio di Maria e dei primi cristiani "assidui e concordi nella preghiera" (At 1,14).



EPILOGO

"IL MIO SPIRITO ESULTA IN DIO" (Lc 1,47)


Dopo aver contemplato Maria sulla terra come segno e figura di ciò che la Chiesa deve essere, ora vogliamo contemplarla come segno e figura di ciò che la Chiesa sarà.

Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa leggiamo: "La madre di Gesù come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore" (LG 68). Secondo il dogma di fede dell’assunzione di Maria in cielo, ella è entrata nella gloria non solo con il suo spirito, ma integralmente con tutta la sua persona, come primizia, dopo Cristo, della vita futura.

Maria è il più chiaro esempio e la dimostrazione della verità della parola della Scrittura: "Se partecipiamo alle sofferenze di Cristo, parteciperemo anche alla sua gloria" (cfr. Rm 8,17). Nessuno ha sofferto con Gesù come Maria e nessuno perciò è più glorificato con Gesù come lei.

Maria nella gloria del paradiso realizza la vocazione per cui ogni creatura umana è stata creata: Maria in cielo è pura "lode della gloria" (cfr. Ef 1,14). La "lode della gloria" è la presa di coscienza ammirata del fatto che Dio è glorioso. Noi contempliamo Maria nella gloria perché essa è l’immagine e il pegno di ciò che un giorno tutta la Chiesa sarà. Maria è entrata nel gaudio del suo Signore (cfr. Mt 25,21.23) e il gaudio del suo Signore è entrato in lei.

Che parte abbiamo noi ora nel cuore e nei pensieri di Maria? Di Gesù risorto è detto che "vive intercedendo per noi" (cfr. Rm 8,34). Gesù intercede per noi presso il Padre; Maria intercede per noi presso il Figlio. Giovanni Paolo II dice che "la mediazione di Maria ha un carattere di intercessione" (Enc. Redemptoris Mater, 21).

Ella è mediatrice nel senso che intercede. La sua potenza di intercessione si fonda sul suo amore per Dio. Se Dio ha promesso di dare tutto ciò che noi gli chiediamo "secondo la sua volontà" (cfr. 1Gv 5,14), tanto più egli fa tutto ciò che Maria chiede, perché ella chiede solo ciò che è secondo la volontà di Dio. Quando una creatura vuole tutto ciò che Dio fa, Dio fa tutto ciò che tale creatura vuole.

Come in tutti i capitoli di questo fascicolo, concludiamo con l’imitazione. Se amiamo, imitiamo. Non c’è frutto migliore dell’amore che l’imitazione. Tutto il nostro cammino con Maria voleva essere un modo di imitarla, di prenderla come guida esperta nel cammino verso la piena trasformazione in Cristo e verso la santità.

E così sia!


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[Modificato da Caterina63 03/08/2011 16:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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