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La storia DELL'ANGELUS

Ultimo Aggiornamento: 20/08/2014 18:54
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02/12/2008 18:47
 
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Storia dell’"Angelus"


L’"Angelus" nell’arte poetica: il canto commosso del Carducci e quello estetico del D’Annunzio.

Delle tante suggestioni che l’Angelus ha suscitato nei poeti di ogni tempo, ricordiamo stavolta Giosuè Carducci [1835-1907] e Gabriele D’Annunzio [1863-1938].

Il poeta versiliese Carducci andò via via calmando i suoi "bollenti spiriti" giacobini e anticlericali, fino a comporre fra il Luglio e i primi di Agosto del 1897 l’ode dedicata a La chiesa di Polenta, antico edificio sacro [sec. VIII-IX] che sorge presso i ruderi della Rocca che fu dei Polentani, dove fra l’altro - si racconta - sostarono Francesca da Rimini e Dante esule che eternò Francesca nel canto V dell’Inferno.

Radicando la sua ispirazione nel Medioevo barbarico, il Carducci stempera in quest’ode la sua antica polemica contro la Chiesa in quanto causa del ritardo dell’unificazione nazionale dell’Italia, riconoscendo alla stessa l’opera mediatrice compiuta fra latini e barbari.

Non è certo uno spirito mariano a ispirare l’ultima parte dell’ode: la squilla serotina dell’Ave, Maria che si perde dalla chiesa di Polenta giù nella piana di Romagna fino all’Adriatico è tuttavia suggestione, è momento contemplativo del poeta sorpreso in un’insorgente e imperiosa nostalgia. È ripiegamento, non conversione; ma qui interessa sottolineare come il suono delle campane dell’Angelus della sera abbia toccato anche il suo animo di arcigno poeta.

Ecco le strofe saffiche finali dell’ode, commosso canto alla Vergine dell’Ave Maria:

"Salve, affacciata al tuo balcon di poggi
tra Bertinoro alta ridente e il dolce
pian cui sovrasta fino al mar Cesena
donna di prodi,

salve, chiesetta del mio canto! A questa
madre vegliarda, o tu rinovellata
itala gente dalle molte vite, rendi la voce
de la preghiera: la campana squilli ammonitrice: il campanil risorto

canti di clivo in clivo a la campagna
Ave, Maria.

Ave, Maria! Quando su l’aure corre
l’umil saluto, i piccioli mortali
scovrino il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.

Una di flauti lenta armonia
passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?

Un oblìo lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quïete,
una soave volontà di pianto
l’anima invade.

Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo ’l tramonto ne l’azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave, Maria."




Millet, Jean-Francois, L'Angelus, 1857-59



Mattinata alla Vergine di Gabriele D’Annunzio

Dalle campane dell’Ave della sera del Carducci a quelle dell’alba rievocate dal poeta del Decadentismo, Gabriele D’Annunzio, altro "impenitente". Sembra incredibile che un tale soggetto, tutto preso dalla sua edonistica visione della vita, abbia lasciato scritto qualcosa di molto bello sulla Madonna. Pure, due brevi ma concentrate preghiere sono uscite dalla sua penna: un’Annunciazione [Ave, Sorella] che il poeta sembra ripetere come richiesta di pietà e invocazione di assistenza e di conforto, e un’Ave [Mattinata], sospesa tra prodigio naturalistico e desiderio di miracolo interiore. Ecco le due strofe centrali di quest’ultima, dedicata all’Angelus del mattino:

"Spandono le campane
alla prim’alba l’Ave.
Spandono questa mane
un suon grave e soave
le campane lontane…

Salve, Janua coeli!
Co ’l dì, la nostra Bella
fuor de’ sogni e de’ veli
balza. Ave, maris stella!
Salve, Regina coeli!".


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dal sito stpaulus sezione Madre di Dio

Storia dell’"Angelus"


Il suono dell’Angelus è stato sentito fin dalle origini, nel suo indicibile carico di mistica poesia mariana, come armonioso invito a salutare la Vergine.

Continuiamo dal precedente num. di Aprile l’interessante racconto delle origini della pia pratica dell’Angelus, a partire dal sec. XIII.

Abbiamo già ricordato come, in un Decreto del Sinodo di Strigonia [in Ungheria] del 1307 si prescriveva che tutte le sere si suonasse la campana ad instar tintinnabuli per annunziare l’ora dell’"Angelus" e si concedevano indulgenze ai fedeli che a quel suono avessero recitato tre Ave, Maria. Evidentemente, questo suono era ben distinto da quello del "coprifuoco", che si usava particolarmente in Francia e aveva lo scopo di richiamare i contadini dai campi; dopo di che le porte della città venivano chiuse. Per il "coprifuoco" si suonava a distesa per un buon tratto di tempo, mentre per l’"Angelus" si suonava a rintocchi e in tre tempi, separati da un breve intervallo.

Se da principio il suono di "Compieta" servì anche a ricordare ai fedeli la recita dell’Angelus, in seguito i due suoni furono ben distinti. Un altro Decreto sinodale, promulgato dal Vescovi di Lerida [in Spagna] nel 1308 prescriveva espressamente che la campana dell’Angelus dovesse essere suonata "dopo Compieta, verso il crepuscolo della notte, a rintocchi in tre pause [= ‘pulsetur seu repiquetur cimbalum per tres pausas’]".

Nel 1318 l’Angelus ottenne l’approvazione pontificia di Giovanni XXII, che concesse 10 giorni di Indulgenza ai fedeli che ne avessero recitato in ginocchio le tre Ave, Maria, come già era in uso in alcune Diocesi della Francia. Nove anni dopo, nel 1327, con una Lettera inviata da Avignone al suo Vicario generale in Roma, ordinava che ogni sera, all’imbrunire, si suonasse la campana in ogni rione della Città e che i fedeli a quel suono recitassero la "Salutazione Angelica".

Dopo queste approvazioni, l’Angelus si diffuse progressivamente in tutta la Chiesa.



Armonie mariane

Nel Canto VIII del ‘Purgatorio’, in due ben note terzine, Dante ricorda la ‘squilla’ che a sera sembra piangere il giorno morente:

"Era già l’ora che volge il desio
ai navicanti e ’ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d’amore
punge, s’e’ ode squilla di lontano,
che paia il giorno pianger che si more".

[Purg VIII, 1-6]

A quale campana il sommo Poeta intende alludere? A quella dell’Angelus, di ‘Compieta’ o a quella del coprifuoco? Con molta probabilità, la ‘squilla’ che suscitava quei sentimenti patetici era proprio quella dell’Angelus. Anche perché – quando Dante scrisse la "Divina Commedia" – il suono della sera dell’Ave, Maria era già ben diffuso in Toscana, e nel Veneto dove il poeta esule dimorò a lungo. Il modo stesso con cui veniva suonata la campana [all’Angelus], a rintocchi lenti, interrotti da due brevi intervalli, nell’ora in cui le cose svaniscono nell’ombra della sera, poteva davvero "pungere d’amore", cioè suscitare nel viandante non ancora uso ad allontanarsi da casa, un intenso desiderio degli affetti più cari che lasciava; e dare davvero la sensazione che quel suono fosse come un saluto d’addio o un pianto sul giorno morente…

L’Angelus, in fondo, va certo sentito come perenne messaggio sulla dignità dell’uomo, perché è impossibile celebrare con verità questo pio esercizio senza essere colpiti dalla grandezza del destino dell’uomo, chiamato al ‘consorzio’ divino, e senza essere spinti a viverne con coerenza i contenuti.

Ma, per dirla con il Manzoni ne "Il nome di Maria", il suono della campana dell’Angelus va anche sentito nel suo indicibile carico di mistica poesia mariana che ripetutamente invita a salutare la Vergine: "Te quando sorge, e quando cade il die e quando il sole a mezzo corso il parte, saluta il bronzo che le turbe pie invita ad onorarte" .

Simone Moreno



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Storia dell’"Angelus"


L’Angelus del mattino e la sua rilevanza nella stessa vita civile, tra la fine del sec. XIII
e il XIV.


Continua l’interessante storia delle origini dell’Angelus, iniziata a partire dal sec. XIII [come abbiamo documentato nelle due precedenti puntate].

Ben presto, da quando il suono delle campane invitavano i fedeli a rivolgere il saluto della sera alla Vergine, si è ritenuto di fare altrettanto al sorgere del giorno: l’Angelus del mattino fu introdotto in Italia verso la fine dello stesso sec. XIII, ed è di origine monastica.

La prima traccia dell’Angelus del mattino si ha nelle ‘Costituzioni’ di Tommaso I, Abate di Montecassino dal 1285 al 1288. Il solerte Abate stabilisce che "il sacrista suoni a tempo debito a tutte le ore: al mattino, un’ora avanti il giorno, e prepari i lumi e gli Altari come è tenuto; e all’Ave, Maria la sera e la mattina".

La notizia è interessante, considerando il fatto che forse l’Abate – conoscendo l’importanza che i Francescani annettevano al suono dell’Angelus della sera – intendeva insistere su antichi "esercizi di pietà", quale era quello delle tres orationes che si praticava in molte Comunità religiose, a mattino, a mezzogiorno e a sera, previo avviso di una campana all’interno del Convento o del Monastero. Così l’antica pratica risultò modificata, e ben presto prevalse l’uso del suono dell’Ave, Maria che si trasformò in Angelus del mattino.

Da notare che – oltre all’uso di indicarlo come "suono dell’Ave, Maria" – inizialmente lo si indicava talvolta come "suono del Pater noster", a motivo dell’altra delle due principali preghiere che componevano il pio esercizio. [Una curiosità: tuttora, a Malta e in qualche paese della Sicilia, il suono della campana del mattino si dice ancora "del Pater noster"].



Occorre arrivare al 1317 per avere un’altra testimonianza sull’Angelus del mattino.

In una cronaca della città di Parma si legge, infatti, che in quell’anno si incominciò a dare al mattino un triplice tocco di campana. A quel suono, secondo le disposizioni del Vescovo, i fedeli erano invitati a recitare tre Pater noster e tre Avemaria e subito dopo – come aveva stabilito il Magistrato civile – dovevano iniziare il lavoro.

Un’altra testimonianza risale al 1330 e si trova nel "Liber de laudibus Papiae". Vi si legge che nella città di Pavia "oltre a quel quotidiano segno che si fa la sera per salutare la gloriosa Vergine, ne è stato istituito ora [= nuper] un altro da farsi al mattino, poco dopo l’aurora, per ripetere lo stesso saluto, come si osserva in molti luoghi".

Questo passo è di particolare importanza, poiché si fa riferimento proprio all’Angelus del mattino, e non ad una pratica generica o mista: quest’Angelus è messo in rapporto con quello della sera e si afferma che ha lo stesso scopo: "…per salutare la gloriosa Vergine".

Rilevanza dell’Angelus del mattino

E l’Angelus del mattino assunse all’epoca tale rilevanza nella vita civile del nostro Paese che, ad esempio, a Siena venivano addirittura considerati invalidi quegli atti giudiziari emessi il giorno in cui fosse stato tralasciato il suono dell’Angelus.

Fuori d’Italia, la pratica dell’Angelus del mattino comparve più tardi, verso la fine del sec. XIV.

Nel 1390 Papa Bonifacio IX concedeva indulgenze ai fedeli di una chiesa dell’Olanda se, al suono della campana al mattino e alla sera, avessero recitato in ginocchio almeno tre Pater e tre Ave. Poco tempo dopo, lo stesso Papa esortava il Clero della Baviera [in Germania] a far suonare la campana dell’Ave, Maria anche al mattino, come si usava a Roma e in parecchi paesi d’Italia.

All’inizio del 1400, infine, un Sinodo tenuto a Colonia stabiliva chiaramente: "D’ora in poi, ogni giorno, in ogni chiesa, circa al sorgere del sole, si suoni per tre volte la campana come si usa suonare al tramonto, per la salutazione della Vergine gloriosissima". E si concedevano indulgenze a coloro che a quel suono avessero recitato tre Avemaria.

Fin qui, dunque, la storia dell’Angelus del mattino.

Simone Moreno


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Storia dell’"Angelus"


Il suono dell’Angelus a mezzogiorno, sosta nelle fatiche della giornata, fu introdotto verso la fine del sec. XV.


L'Angelus del mezzogiorno – oggi il più sentito, anche perché è vissuto come sosta nelle fatiche della giornata ed elevazione del pensiero alla Madre del Cielo – fu l’ultimo ad essere introdotto nella pratica dei fedeli e si è diffuso molto lentamente.

Già nella prima metà del Quattrocento, in alcuni Paesi d’Europa si usava un suono di campana al Venerdì, tra il mezzogiorno e le tre del pomeriggio, in ricordo della Passione del Signore. Ma la consuetudine di suonare sempre le campane a mezzogiorno, per richiamare i fedeli alla preghiera, si ricollega a circostanze particolari della storia della Cristianità.

Nel 1456, i Turchi – dopo avere espugnato Costantinopoli e travolto l’Impero d’Oriente – erano giunti nel cuore dei Balcani. Papa Callisto III, di fronte a un così grave pericolo e angosciato per le divisioni dell’Occidente cristiano, il 29 Luglio indiceva una crociata di preghiere, prescrivendo che ogni giorno, tra l’Ora Nona [= le 3 del pomeriggio] e l’ora del Vespro, in tutte le Chiese si suonasse una o più campane, come per l’Angelus della sera, e che i fedeli a quel suono recitassero tre ‘Pater’ e tre ‘Ave, Maria’ per ottenere l’aiuto divino. E l’aiuto di Dio non si fece attendere: un mese dopo, San Giovanni da Capistrano e Giovanni Uniadi, contro ogni umana speranza, riportavano una splendida vittoria sui Turchi, presso le mura di Belgrado.

Il "pericolo islamico", tuttavia, durò ancora per due secoli; sicché la ‘campana dei Turchi’ continuò a suonare, almeno nei Paesi più direttamente minacciati.

In Occidente, invece, e particolarmente in Francia [dove, per rivalità politiche, poco importava dello spauracchio dei Turchi], si assimilò quel suono a quello dell’Angelus del mattino e della sera, già in uso per salutare la Vergine. Così nacque di fatto l’Angelus del mezzogiorno.



La progressiva affermazione dell’Angelus a mezzogiorno

Nel 1475. Il Re di Francia Luigi XI otteneva dal Papa Sisto IV che fossero concessi 300 giorni di indulgenza a coloro che "verso l’ora del mezzogiorno" avessero recitato "devotamente tre Avemaria per il bene della pace e l’unità del Regno". Tale pratica – chiamata per questo "l’Ave, Maria della pace" – fu presto messa in relazione con l’Ave della sera e trasformata in Angelus del mezzogiorno.

Sotto il Pontificato di Papa Sisto IV [1471-1484], l’Angelus del mezzogiorno fu introdotto anche il Inghilterra, su richiesta della principessa Elisabetta, futura madre del famigerato Enrico VIII. In un ‘Libro di preghiere’ del 1526 si specificava che Sisto IV aveva concesso speciali indulgenze a chi avesse recitato "tre Avemarie alle 6 del mattino, a mezzogiorno e alle 6 della sera".

In Italia, la prima notizia dell’Angelus a mezzogiorno risale al 1506 e riguarda la Città di Imola, dove il Duca ordinò per quell’ora il suono delle campane "per invitare i fedeli a salutare la Vergine". [Intanto, della "campana dei Turchi" nessuno parlava più…].

Nell’anno 1535 la pia pratica era comune anche a Roma, come si deduce dal documento che attesta come Sant’Ignazio di Loyola, recatosi quell’anno in Spagna, "curò che si suonasse e si recitasse l’Angelus tre volte al giorno, come avveniva a Roma".

In Germania, invece, l’Angelus del mezzogiorno fu ignorato per tutto il Cinquecento. Ancora nel 1584, il Vescovo di Vürz notava che le campane si usa suonarle "al mattino e alla sera per salutare la Vergine, e a mezzogiorno per ricordare la Passione del Signore".

Bisognerà comunque arrivare ai tempi di San Pio V [nel 1561] per trovare il pieno riconoscimento della pia pratica dell’Angelus indicato nei testi liturgici nella sua forma più completa, da recitare al mattino, a mezzogiorno e a sera.

Successivamente, Benedetto XIII [nel 1574], poi Benedetto XIV [nel 1742] e Pio VII [nel 1815] concederanno particolari Indulgenze, raccomandandone la recita ormai affermatasi nella prassi delle tre volte al giorno.

Simone Moreno


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Storia dell’"Angelus"


L’Angelus è inno di giovinezza e di speranza al mattino, canto di virilità tra le occupazioni del giorno, pausa di pace alla sera dopo le fatiche vissute nella giornata.

L'Angelus della sera – forse più ancora dell’Angelus del mattino e del mezzogiorno – rievoca dolcissimi sentimenti di sinfonie mariane: tre volte al giorno, esprimendolo con la poesia di A. Manzoni, invochiamo la Vergine: "Te quando sorge, e quando cade il die / e quando il sole a mezzo corso il parte, / saluta il bronzo che le turbe pie / invita ad onorarte".

Ma è soprattutto all’Angelus della sera – per rievocarne la bellezza con i versi dell’Alighieri – che sentiamo tutta la dolcezza della nostra preghiera alla Vergine: "Era già l’ora che volge il disio / ai navicanti e ’intenerisce il core / lo dì c’han detto ai dolci amici addio; / e che lo novo peregrin d’amore / punge, s’e’ ode squilla di lontano / che paia il giorno pianger che si more" [Purg. VIII, 1-6].

"Ave Maria! Quando su l’aure corre / l’umil saluto, i piccoli mortali / scovrono il capo, curvano la fronte / Dante e Aroldo" – ha sentito persino il duro Carducci ne "La chiesa di Polenta". E si riferiva ai versi del "Purgatorio" di Dante e al grande Byron [personificato nel protagonista del "Pellegrinaggio del giovane Aroldo"], cui il suono dell’Ave della sera ispirò versi dolcissimi: "Una di lauti lenta melodia / passa invisibil fra la terra e il cielo: / spiriti forse che furon, che sono / e che saranno"[…].



Il Saluto dell'Ave Maria

L’Angelus Domini, con quel suono di campane che richiama il saluto alla Vergine, ha sempre qualcosa di patetico e di suggestivo, sia che il richiamo provenga dalla campanella legata all’albero di bambù dell’ultimo sperduto villaggio di una Missione africana, sia provenga dal campanone della Basilica Vaticana o dal concerto di campane delle più celebri Cattedrali del mondo. Un Angelus che riveste tinte e armonie particolari, secondo il luogo e l’ora.

Hanno timbro giulivo le campane che, nella freschezza del mattino, diffondono la loro armonia dalle Chiesette dei paesi di riviera, con il suono che si ripercuote sulle spiagge, trova eco nelle insenature, si rifrange con l’onda sugli scogli, mentre la prima luce del giorno scintilla sul mare.

Formano un coro possente le campane che a mezzogiorno squillano nelle metropoli dai cento campanili: il loro suono vince l’urlo delle sirene delle fabbriche, invitando gli uomini indaffarati ad alzare per un istante gli occhi a quel ritaglio di cielo che ancora si scorge tra gli alti palazzi e la mole possente delle strutture produttive.

Ma è alla sera che i dolci rintocchi dell’Angelus si propagano dai campanili delle Chiesette di collina o delle valli montane, corrono di pendice in pendice e, trovando ancora oggi eco nel tintinnio dei campani delle mandrie, si disperdono per i prati e per i boschi alle prime ombre del crepuscolo, invitando alla quiete del giorno che sta per finire…

Quasi inno di giovinezza e di speranza al mattino, canto di virilità tra le occupazioni del meriggio, un addio al giorno che muore e, al tempo stesso, pausa di pace dopo le fatiche vissute, il suono dell’Angelus connota davvero tutte le nostre giornate…

E, ancora alla sera, ci viene forse più spontaneo rimeditare tutta la grandezza di questa preghiera alla Vergine: così, almeno idealmente, non possiamo non ricordare che, mentre nei versetti dell’Angelus sono evocati nella presenza di Maria di Nazareth il termine di una "historia salutis" precedente alla "pienezza del tempo" e contemporaneamente, con la discesa dello Spirito Santo su di lei, l’anticipazione di una realtà futura, vien ricordato il mistero dell’Incarnazione del Verbo: mistero vigorosamente armonizzato al nucleo essenziale del mistero pasquale: Passione-Morte-Risurrezione di Cristo".

L’Angelus ha anche questa profonda valenza teologica nella nostra vita di credenti.

Simone Moreno


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Storia dell’"Angelus"


Suggestioni dell’"Angelus" nelle varie espressioni dell’arte – La bellezza del verso "tu nascesti, Dio, da un piccolo Ave" nella poesia del Pascoli.

Ripercorriamo le mille suggestioni che l’Angelus ha suscitato in artisti di ogni tempo, dalla poesia alla pittura, dalla musica alle tante espressioni d’arte folkloristica.

Vogliamo proporne una breve rassegna, cominciando da Giovanni Pascoli, poeta tra i più vicini al sentimento della devozione popolare.

In "Campane a sera" – ripensando al tramonto lontano, quando gli fu ammazzato il padre che tornava a casa sul far della sera – così si rivolge alla sorella Maria:

"Odi, sorella, come note al cuore / quelle nel vespro tinnule campane / empiono l’aria quasi di sonore / grida lontane?".

Nei "Primi Poemetti" egli compone sull’Angelus una poesia semplice e armoniosa, che vale la pena ricordare:

"Sì: sonava lontana una campana. / Ombra di romba; sì che un malvestito / che beveva, si alzò dalla fontana, / e più non bevve, e scongiurò, di rito, / l’impaziente spirito. Via via / si sentì la campana di san Vito, / si sentì la campana di Badia; / e gli altri borghi, di qua di là, pronti / cantando si raggiunsero per via".

Siamo all’ora del tramonto, in un paesaggio campestre. Nell’aria si diffonde un suono di campana che viene di lontano e giunge, attenuato, come "ombra di romba". Un povero "malvestito" che si era chinato a bere a una fontana, si rialza all’improvviso, quasi scongiurando chissà quali immaginari spiriti che vagano per l’aria: secondo una vecchia tradizione popolare [ripresa anche dal Carducci], al suono dell’Angelus della sera, spiriti buoni e spiriti cattivi uscirebbero all’aperto, a svolazzare "fra la terra e il cielo"…

I rintocchi che giungono da lontano si uniscono "via via" come in concerto: "di qua di là" rispondono le campane di altri borghi; e le loro voci si rincorrono, formando un coro festoso che riempie l’aria e si ripercuote tutt’intorno.

Nella visione del poeta, è tutto un "tremolio sonoro", che nella tranquillità della sera dà come un fremito alla natura: si agitano le foglie degli alberi, ondeggiano le fonti, quasi muti spiriti che palpitano nelle acque e vanno per l’aria:

"C’era di muti spiriti nei fonti / un palpitare al tremolio sonoro / ch’empiva l’aria e percotea nei monti".

Filippo Lippi, Annunciazione - Galleria Doria-Pamphili, Roma.
Filippo Lippi, Annunciazione – Galleria Doria-Pamphili, Roma.

La risonanza nei cuori dell’Ave della sera

Poi, la suggestiva pennellata finale:

"La donna andava con le figlie, e loro / squillò sul capo, subito e soave, / dalla loro Pieve, un gran tumulto d’oro. / E tu nascesti, Dio, da un piccolo Ave".

Plastica visione di una mamma che va per via, tenendo certo per mano le figliole, gioiosamente sorprese dallo squillo familiare della campana della propria Pieve che cade "subito e soave" sul loro capo come "un gran tumulto d’oro".

Lo scampanio dell’Angelus della sera, che riempie l’aria e fa vibrare la natura, trova così rispondenza nei cuori umani, invitati a ripensare al mistero evocato dal saluto angelico: "E tu nascesti, Dio, da un piccolo Ave".

Sono gli stessi sentimenti che suscitano le poesie sul mese di Maggio del Pascoli: anche qui sentiamo dentro qualcosa del ‘fanciullino’ del poeta romagnolo, rivivendo i ricordi della nostra infanzia, in tempi della civiltà contadina, dove tutto era poesia e canto. Proprio come accadeva al poeta delle "Myricae" che, tornando al paese natìo, rivive il fascino di preghiere alla Vergine, colte dalla sensibilità pascoliana in un coro orante di Suore [Le monache di Sogliano]: "Vi ritrova quello che c’era, / l’odore dei mesi di maggio, / buon odore di rose e di cera. / Ne ronzano le litanie / com’ape intorno a una culla".

Motivo mariano che ritorna in uno dei "Canti di Castelvecchio", dove il poeta si paragona ad una "lampada che oscilla davanti a una dolce Maria", che di sera accende "nel ciglio che prega e dispera la povera lacrima sola", e all’alba "muore tremando tra cori di vergini e fiori di maggio".

Simone Moreno


[Modificato da Caterina63 27/04/2010 17:13]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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