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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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La Tradizione Apostolica

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2010 16:01
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Catechismo della Chiesa Cattolica - La trasmissione della ... 

. La Tradizione apostolica


75
« Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la rivelazione del sommo Dio, ordinò agli Apostoli, comunicando loro i doni divini, di predicare a tutti il Vangelo che, promesso prima per mezzo dei profeti, egli aveva adempiuto e promulgato con la sua parola, come fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale ». (87)


La predicazione apostolica...


76
La trasmissione del Vangelo, secondo il comando del Signore, è stata fatta in due modi:

Oralmente, « dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, negli esempi e nelle istituzioni trasmisero ciò che o avevano ricevuto dalla bocca, dalla vita in comune e dalle opere di Cristo, o avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo »;

Per iscritto, « da quegli Apostoli e uomini della loro cerchia, i quali, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, misero in iscritto l'annunzio della salvezza ». (88)


...continuata attraverso la successione apostolica


77
« Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, ad essi "affidando il loro proprio compito di magistero" ». (89) Infatti, « la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva essere conservata con successione continua fino alla fine dei tempi ». (90)


78
Questa trasmissione viva, compiuta nello Spirito Santo, è chiamata Tradizione, in quanto è distinta dalla Sacra Scrittura, sebbene sia ad essa strettamente legata. Per suo tramite « la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni, tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede ». (91) « Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega ». (92)
 

79 In tal modo la comunicazione, che il Padre ha fatto di sé mediante il suo Verbo nello Spirito Santo, rimane presente e operante nella Chiesa: « Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo ». (93)


(Note: i numeretti in nero sono riferiti al numero corrispondente nel Catechismo della Chiesa Cattolica; i numereti tra parentesi sono i riferimenti alle fonti che troverete nel Catechismo nel collegamento sopra postato....)

I. La costituzione gerarchica della Chiesa



Perché
il ministero ecclesiale?


874
È Cristo stesso l'origine del ministero nella Chiesa. Egli l'ha istituita, le ha dato autorità e missione, orientamento e fine:

« Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha istituito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti, che sono dotati di sacra potestà, sono a servizio dei loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio [...] arrivino alla salvezza ». (395)

875 « E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? » (Rm 10,14-15). Nessuno, né individuo né comunità, può annunziare a se stesso il Vangelo. « La fede dipende [...] dalla predicazione » (Rm 10,17). Nessuno può darsi da sé il mandato e la missione di annunziare il Vangelo. L'inviato del Signore parla e agisce non per autorità propria, ma in forza dell'autorità di Cristo; non come membro della comunità, ma parlando ad essa in nome di Cristo. Nessuno può conferire a se stesso la grazia, essa deve essere data e offerta. Ciò suppone che vi siano ministri della grazia, autorizzati e abilitati da Cristo. Da lui i Vescovi e i presbiteri ricevono la missione e la facoltà (la « sacra potestà ») di agire in persona di Cristo Capo, i diaconi la forza di servire il popolo di Dio nella « diaconia » della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio. La tradizione della Chiesa chiama « sacramento » questo ministero, attraverso il quale gli inviati di Cristo compiono e danno per dono di Dio quello che da se stessi non possono né compiere né dare. Il ministero della Chiesa viene conferito mediante uno specifico sacramento.


876
Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono interamente da Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente « servi di Cristo » (Rm 1,1), ad immagine di lui che ha assunto liberamente per noi « la condizione di servo » (Fil 2,7). Poiché la parola e la grazia di cui sono i ministri non sono loro, ma di Cristo che le ha loro affidate per gli altri, essi si faranno liberamente servi di tutti. (396)


877
Allo stesso modo, è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere collegiale. Infatti il Signore Gesù, fin dall'inizio del suo ministero, istituì i Dodici, che « furono ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia ». (397) Scelti insieme, sono anche mandati insieme, e la loro unione fraterna sarà al servizio della comunione fraterna di tutti i fedeli; essa sarà come un riflesso e una testimonianza della comunione delle Persone divine. (398) Per questo ogni Vescovo esercita il suo ministero in seno al Collegio episcopale, in comunione col Vescovo di Roma, Successore di san Pietro e capo del Collegio; i sacerdoti esercitano il loro ministero in seno al presbiterio della diocesi, sotto la direzione del loro Vescovo.


878
Infine è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere personale. Se i ministri di Cristo agiscono in comunione, agiscono però sempre anche in maniera personale. Ognuno è chiamato personalmente: « Tu seguimi » (Gv 21,22), (399) per essere, nella missione comune, testimone personale, personalmente responsabile davanti a colui che conferisce la missione, agendo « in sua persona » e per delle persone: « Io ti battezzo nel nome del Padre... »; « Io ti assolvo... ».


879
Pertanto il ministero sacramentale nella Chiesa è un servizio esercitato in nome di Cristo. Esso ha un carattere personale e una forma collegiale. Ciò si verifica sia nei legami tra il Collegio episcopale e il suo capo, il Successore di san Pietro, sia nel rapporto tra la responsabilità pastorale del Vescovo per la sua Chiesa particolare e la sollecitudine di tutto il Collegio episcopale per la Chiesa universale.

Il Collegio episcopale e il suo capo, il Papa


880
Cristo istituì i Dodici « sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro ». (400) « Come san Pietro e gli altri Apostoli costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il Romano Pontefice, Successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra loro uniti ». (401)


881
Del solo Simone, al quale diede il nome di Pietro, il Signore ha fatto la pietra della sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi; (402) l'ha costituito pastore di tutto il gregge. (403) « Ma l'incarico di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro, risulta essere stato pure concesso al collegio degli Apostoli, unito col suo capo ». (404) Questo ufficio pastorale di Pietro e degli altri Apostoli costituisce uno dei fondamenti della Chiesa; è continuato dai Vescovi sotto il primato del Papa.


882
Il Papa, Vescovo di Roma e Successore di san Pietro, « è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli ». (405) « Infatti il Romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di Vicario di Cristo e di Pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente ». (406)


883
« Il Collegio o Corpo dei Vescovi non ha autorità, se non lo si concepisce insieme con il Romano Pontefice, [...] quale suo capo ». Come tale, questo Collegio « è pure soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa: potestà che non può essere esercitata se non con il consenso del Romano Pontefice ». (407)


884
« Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico ». (408) « Mai si ha Concilio Ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal Successore di Pietro ». (409)


885
« Il Collegio episcopale, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l'unità del gregge di Cristo ». (410)


886
« I Vescovi, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell'unità nelle loro Chiese particolari ». (411) In quanto tali « esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata », (412) coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi. Ma, in quanto membri del Collegio episcopale, ognuno di loro è partecipe della sollecitudine per tutte le Chiese, (413) e la esercita innanzi tutto «reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale», contribuendo così «al bene di tutto il corpo mistico che è pure il corpo delle Chiese». (414) Tale sollecitudine si estenderà particolarmente ai poveri, (415) ai perseguitati per la fede, come anche ai missionari che operano in tutta la terra.


887
Le Chiese particolari vicine e di cultura omogenea formano province ecclesiastiche o realtà più vaste chiamate patriarcati o regioni. (416) I Vescovi di questi raggruppamenti possono riunirsi in Sinodi o in Concilii provinciali. « Così pure, le Conferenze Episcopali possono, oggi, contribuire in modo molteplice e fecondo a che lo spirito collegiale si attui concretamente ». (417)

L'ufficio di insegnare


888
I Vescovi, con i presbiteri, loro cooperatori, « hanno anzitutto il dovere di annunziare a tutti il Vangelo di Dio », (418) secondo il comando del Signore. (419) Essi sono « gli araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono i dottori autentici » della fede apostolica, « rivestiti dell'autorità di Cristo ». (420)


889
Per mantenere la Chiesa nella purezza della fede trasmessa dagli Apostoli, Cristo, che è la verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria infallibilità. Mediante il « senso soprannaturale della fede », il popolo di Dio « aderisce indefettibilmente alla fede », sotto la guida del Magistero vivente della Chiesa. (421)


890
La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell'Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l'autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i Pastori del carisma dell'infallibilità in materia di fede e di costumi. L'esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità.


891
« Di questa infallibilità il Romano Pontefice, capo del Collegio dei Vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo Pastore e Dottore di tutti i fedeli, che conferma nella fede i suoi fratelli, proclama con un atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale. [...] L'infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel Corpo episcopale, quando questi esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro » soprattutto in un Concilio Ecumenico. (422) Quando la Chiesa, mediante il suo Magistero supremo, propone qualche cosa « da credere come rivelato da Dio » (423) e come insegnamento di Cristo, « a tali definizioni si deve aderire con l'ossequio della fede ». (424) Tale infallibilità abbraccia l'intero deposito della rivelazione divina. (425)


892
L'assistenza divina è inoltre data ai successori degli Apostoli, che insegnano in comunione con il Successore di Pietro, e, in modo speciale, al Vescovo di Roma, Pastore di tutta la Chiesa, quando, pur senza arrivare ad una definizione infallibile e senza pronunciarsi in « maniera definitiva », propongono, nell'esercizio del Magistero ordinario, un insegnamento che porta ad una migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e di costumi. A questo insegnamento ordinario i fedeli devono « aderire col religioso ossequio dello spirito » (426) che, pur distinguendosi dall'ossequio della fede, tuttavia ne è il prolungamento.



L'ufficio di santificare


893
Il Vescovo « è il dispensatore della grazia del supremo sacerdozio », (427) specialmente nell'Eucaristia che egli stesso offre o di cui assicura l'offerta mediante i presbiteri, suoi cooperatori
. L'Eucaristia, infatti, è il centro della vita della Chiesa particolare. Il Vescovo e i presbiteri santificano la Chiesa con la loro preghiera e il loro lavoro, con il ministero della parola e dei sacramenti. La santificano con il loro esempio, « non spadroneggiando sulle persone » loro « affidate », ma facendosi « modelli del gregge » (1 Pt 5,3), in modo che « possano, insieme col gregge loro affidato, giungere alla vita eterna ». (428)



L'ufficio di governare


894
« I Vescovi reggono le Chiese particolari, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà », (429) che però dev'essere da loro esercitata allo scopo di edificare, nello spirito di servizio che è proprio del loro Maestro
. (430)


895
« Questa potestà
, che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa». (431) Ma i Vescovi non devono essere considerati come dei vicari del Papa, la cui autorità ordinaria e immediata su tutta la Chiesa non annulla quella dei Vescovi, ma anzi la conferma e la difende. Tale autorità deve esercitarsi in comunione con tutta la Chiesa sotto la guida del Papa.


896
Il Buon Pastore sarà il modello e la « forma » dell'ufficio pastorale del Vescovo. Cosciente delle proprie debolezze, « il Vescovo può compatire quelli che sono nell'ignoranza o nell'errore. Non rifugga dall'ascoltare i sudditi che cura come veri figli suoi. [...] I fedeli poi devono aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre »: (432)

« Obbedite tutti al Vescovo, come Gesù Cristo al Padre, e al presbiterio come agli Apostoli; quanto ai diaconi, rispettateli come la Legge di Dio. Nessuno compia qualche azione riguardante la Chiesa, senza il Vescovo ». (433)



 

Alla Tradizione Apostolica appartiene anche la maturazione della CONTINENZA e del CELIBATO nella Chiesa di rito latino, cioè, Chiesa Cattolica:

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/12/2008 20:39
 
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Una ricorrente obiezione da parte delle confessioni non cattoliche è che la Chiesa Cattolica ha riconosciuto ai vescovi un ruolo "monarchico" che ai tempi apostolici non avrebbe avuto, essendo il termine episcopo, a quel tempo, sinonimo di presbitero.

 

A proposito dei "ministeri" nella chiesa nascente, si deve dire che non è ancora del tutto chiara la distinzione delle loro funzioni, almeno per quanto riguarda gli episcopi e i presbiteri; segno evidente, questo, che siamo all'inizio della regolamentazione della gerarchia della chiesa, che si conoscerà sicuramente fissata nei suoi tre gradi solo con S. Ignazio di Antiochia (cf Magn. 6,1; Troll. 7,2; Philad. 7,1).


Così, ad esempio, mentre si ricorda a Tito che egli è stato lasciato a Creta per stabilire dei presbiteri nelle varie città (1,5), subito dopo si dice: bisogna infatti che l'episcopo sia irreprensibile (1,7). C'è anche qui lo stesso scambio linguistico che incontriamo nel discorso di S. Paolo agli anziani di Efeso, i quali subito dopo vengono chiamati episcopi: Attendete a voi stessi e a tutto il gregge sul quale lo Spirito Santo vi ha stabilito episcopi, per pascere la chiesa di Dio (20,28).


Sembra dunque che gli uni siano inglobati negli altri.


La stessa impressione che i due termini si inglobino reciprocamente si ha dal fatto che in ITm 3,1-15, parlandosi dei doveri dei responsabili delle varie chiese, si passa direttamente dagli episcopi ai diaconi (vv. 8-13), saltando i presbiteri; mentre il fenomeno inverso capita in ITm 5,17-19, dove non sono nominati gli episcopi.


A differenza però di Atti 20,28 e di Filippesi 1,1( La lettera è indirizzata a tutti i santi... che sono in Filippi, insieme agli episcopi e ai diaconi), nelle Pastorali il termine "episcopos" è sempre adoperato al singolare (ITm 3,2; Tt 1,7).
Si ha pertanto la fondata impressione che, già a questo tempo, mentre i presbiteri sono molti, l'episcopo è uno solo
; niente lo differenzia dagli altri presbiteri, salvo il fatto di essere stato preposto a capo del " collegio presbiterale " (In ITm 4,14 si. parla di presbiterio, cioè del collegio dei presbiteri.), e, conseguentemente, di tutta la comunità.

Non sappiamo in qual modo uno dei presbiteri fosse designato a tale ufficio di presidenza: forse si faceva a turno, oppure veniva eletto chi avesse particolari doti o attitudini al comando. Sta di fatto, però, che non doveva essere un posto molto appetibile, se S. Paolo esorta quelli che erano forniti delle doti necessarie a porre la propria candidatura: Se qualcuno aspira all'episcopato (episcopes), desidera un nobile lavoro (ITm 3,1). Si doveva dunque trattare di un " primus inter pares " con molte incombenze e con poca libertà di iniziativa, dato che forse era il " presbiterio " il solo responsabile dell'andamento della comunità.


Non si dimentichi, però, che di fatto il responsabile vero delle comunità di Efeso e di Creta, così come pure di tutte le comunità che aveva fondato, era S. Paolo che, pur lontano, le dirigeva e le governava mediante i suoi diretti collaboratori, Tito e Timoteo
.

(Tito1,5 Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato…,

2Co 11,28 E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese.)


Niente di strano, perciò, che, quando l'Apostolo o i suoi collaboratori non ci saranno più, uno dei presbiteri, che poteva essere l'episcopo di cui parlano le Pastorali, diventasse il capo permanente e legittimo della comunità, però, in questo caso, non tanto come espressione dei poteri del "presbiterio ", quanto come legittimo erede dei poteri apostolici di Paolo, o di Tito, o di Timoteo o di altri apostoli, venuti a mancare. Ecco quindi in che modo è venuta a determinarsi la figura dei nostri attuali vescovi, con i poteri che riconosce loro S. Ignazio d'Antiochia e che sono da considerare già comunemente riconosciuti al momento in cui egli scriveva: dall'Episcopos del Nuovo Testamento trarrebbero il nome, la funzione sarebbe mutuata dalla loro legittima successione apostolica, come eredi dei poteri degli Apostoli al momento della loro morte.


La figura e i compiti del vescovo sarebbero quindi da ricavare da quanto S. Paolo ordina a Timoteo e a Tito, suoi intimi collaboratori e prossimi successori.

Nel caso della lettera di Clemente notiamo alcuni dettagli:

" Vi è un caso di ribellione da parte dei credenti nei confronti dei presbiteri legittimamente ordinati.

Per tale situazione di caos, nessuno nell’intera regione si sente investito dell’autorità per intervenire e decidere sulle decisioni da prendere. "


Clemente, al momento in cui scrive dice di aver tardato a intervenire a causa dei molti problemi avuti a causa delle persecuzioni, ma il modo con cui interviene fa comprendere il carattere autorevole e decisivo della sua lettera.

Probabilmente NESSUNO in quel momento storico era visto come autorevole rispetto alle singole chiese locali, salvo la Chiesa di Roma che rivendicava a ragione il diritto dovere di intervenire.


Quindi è possibile che nel momento della transizione subito dopo il tempo della morte degli apostoli, in mancanza di essi l’unica autorità superiore era Roma. La lettera appare importante soprattutto per questo fatto.

Se a Corinto o nella regione vi fosse stato un rappresentante investito di autorità come quello del vescovo come lo descrive Ignazio, il problema sarebbe stato risolto prima che diventasse così forte. E questo ci fa comprendere una esigenza importante che le Chiese dovettero avere in quel momento. L’esigenza cioè di poter dirimere le questioni senza aspettare che per ogni cosa si muovesse la Chiesa di Roma.


Ora, se pensiamo che la nomina dei diaconi avvenne a seguito di una esigenza della chiesa primitiva e cioè quando gli apostoli si resero conto di star facendo un servizio che poteva essere delegato ad altri, anche se Gesù non aveva comandato e neanche accennato di eleggere dei diaconi, quindi ci si organizzò per fronteggiare una situazione emergente, che prima non c’era, così dopo la morte degli apostoli si venne a determinare che la loro posizione di preminenza risultò vacante con la conseguente esigenza di rimpiazzarla.


Dov’è dunque il problema se la figura del vescovo assunse la preminenza che prima avevano gli apostoli?

Se l’organizzazione viene adeguata all’esigenza da fronteggiare si fa forse torto alla dottrina, che resta immutata?


E’ chiaro quindi che, la Chiesa sotto la guida dello Spirito, ad un certo momento ha ritenuto di dare ai vescovi questa maggiore responsabilità che in Ignazio troviamo già documentata.

Si può forse dire con questo che Clemente la pensasse diversamente da Ignazio?

No assolutamente.

Perché Clemente documenta e fotografa la situazione che al suo tempo l’autorità posto al di sopra delle parti era proprio lui e non la figura di un vescovo della zona di Corinto.

Ignazio documenta che ogni comunità poteva e doveva fare riferimento al suo vescovo come figura di riferimento per ogni problema.


Clemente non ha mai discusso con Ignazio circa l’opportunità di dare maggiore responsabilità alla figura del vescovo. Se vi fosse stata tale figura, probabilmente egli stesso non avrebbe dovuto affrontare da tanto lontano e con tale ritardo una questione tanto urgente e si sarebbe accorto dell’esigenza inderogabile di assegnare al vescovo i compiti che gli vediamo assegnati e riconosciuti subito dopo. E’ possibile quindi che nel frattempo, situazioni come quelle sorte a Corinto abbiano fatto capire alla Chiesa di allora, che era opportuno assegnare un ruolo di coordinamento in ciascun territorio a una persona designata a tale scopo, così come prima veniva svolto da Paolo, da Tito o da Timoteo.

2 Tess. 3, 6 - Ora, fratelli, vi ordiniamo nel nome del Signor nostro Gesù Cristo, che vi ritiriate da ogni fratello che cammini disordinatamente e non secondo l’insegnamento che avete ricevuto da noi. 14-15 E se qualcuno non ubbidisce a quanto diciamo in questa epistola, notate quel tale e non vi associate a lui, affinché si vergogni. Non tenetelo però come un nemico, ma ammonitelo come fratello.


2Ti 1,12 È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto e son convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno.


Sia lodato Gesù Cristo.




(Un grazie all'amico Teofilo [SM=g7557]  )

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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27/12/2008 00:31
 
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CITTA' DEL VATICANO Udienza del Mercoledì 3.5.2006-
 “I ministri della Chiesa traggono il loro mandato direttamente da Gesù, tramite gli Apostoli”. All’udienza generale del mercoledì, Benedetto XVI è tornato a parlare del ruolo dei vescovi, proseguendo il suo ciclo di catechesi dedicato al rapporto tra la Chiesa e Cristo. In una piazza San Pietro gremita da 60mila persone, il papa ha spiegato che i vescovi, in quanto successori degli apostoli, fanno superare "la distanza dei secoli" in modo che "il Risorto si offre vivo e operante per noi, nell'oggi della Chiesa e del mondo". "Attraverso il ministero apostolico - ha detto - è così Cristo stesso a raggiungere chi è chiamato alla fede. La distanza dei secoli è superata e il Risorto si offre vivo e operante per noi, nell'oggi della Chiesa e del mondo".
La successione apostolica, secondo Roma, è propria della Chiesa cattolica e ortodossa, ma non delle Chiese nate dalla Riforma. [SM=g7831]

Benedetto XVI ha così sottolineato il valore della "tradizione", che è "il Vangelo vivo, annunciato dagli Apostoli nella sua integrità, in base alla pienezza della loro esperienza unica e irripetibile: per opera loro la fede viene comunicata agli altri, fino a noi, fino alla fine del mondo. La Tradizione, pertanto, è la storia dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa attraverso la mediazione degli Apostoli e dei loro successori, in fedele continuità con l'esperienza delle origini".
Al termine, i consueti saluti nelle diverse lingue. Rivolgendosi ai polacchi, un riferimenti al viaggio di fine maggio nella terra natale di Giovanni Paolo II: ''Affido alla vostra preghiera i preparativi per l'ormai vicino mio pellegrinaggio in Polonia''. Un saluto particolare anche ai fedeli della diocesi di Milano, con il ricordo del nuovo beato mons. Luigi Biraghi, salito all’onore degli altari domenica scorsa in Piazza Duomo. ''Vi invito - ha detto il ppa - ad imitare il nuovo beato nel rispondere con prontezza alla chiamata di Dio alla santità nelle ordinarie circostanze della vita”.

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Thumbs up Il lavoro del teologo deve svolgersi in comunione con il Magistero




UDIENZA Il discorso del Santo Padre ai Membri della Commissione Teologica Internazionale

Il lavoro del teologo deve svolgersi in comunione
con il Magistero vivo della Chiesa e sotto la sua autorità




"Il lavoro del teologo deve svolgersi in comunione con la voce viva della Chiesa, cioè con il Magistero vivo della Chiesa e sotto la sua autorità": lo ha sottolineato Benedetto XVI ricevendo in udienza nella mattina di giovedì 1° dicembre, nella Sala dei Papi, i 36 Membri della Commissione Teologica Internazionale, riuniti in Sessione Plenaria annuale dal 28 novembre al 2 dicembre presso la "Domus Sanctae Marthae" in Vaticano. Questi sono i punti nodali del discorso del Santo Padre:

"Con la Sessione Plenaria che in questi giorni si sta svolgendo, proseguono i lavori del settimo "quinquennio" della Commissione, iniziati l'anno scorso, quando ancora ne ero Presidente";


"Il compianto Papa Giovanni Paolo II, nel ricevere i Membri il 7 ottobre dell'anno scorso, aveva rilevato la grande importanza di due temi che sono attualmente oggetto di studio: quello della sorte dei bambini morti senza battesimo nel contesto della volontà salvifica universale di Dio, della mediazione unica di Gesù Cristo e della sacramentalità della Chiesa, e quello della legge morale naturale";


"Quest'ultimo argomento è di speciale rilevanza per comprendere il fondamento dei diritti radicati nella natura della persona e, come tali, derivanti dalla volontà stessa di Dio creatore. Anteriori a qualsiasi legge positiva degli Stati, essi sono universali, inviolabili e inalienabili, e da tutti quindi devono essere riconosciuti come tali, specialmente dalle autorità civili, chiamate a promuoverne e garantirne il rispetto";


"Considerare la teologia un affare privato del teologo significa misconoscerne la stessa natura. Soltanto all'interno della comunità ecclesiale, nella comunione con i legittimi Pastori della Chiesa, ha senso il lavoro teologico che richiede evidentemente la competenza scientifica, ma anche, e non meno, lo spirito di fede e l'umiltà di chi sa che il Dio vivo e vero, oggetto della sua riflessione, oltrepassa infinitamente le capacità umane";


"La teologia non può nascere se non dall'obbedienza all'impulso della verità e dell'amore che desidera conoscere nella creazione ma sempre meglio colui che ama, in questo caso Dio stesso, la cui bontà abbiamo riconosciuto nell'atto di fede. Conosciamo Dio perché egli si è fatto conoscere, soprattutto nel suo Figlio Unigenito".

(©L'Osservatore Romano - 2 Dicembre 2005)

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Brani di S.Ireneo di Lione sulla Tradizione apostolica, per la catechesi sulla fede, la speranza e la carità


"In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede..., conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 1, 10, 1-2 (SC 264, 154-158; PG 7, 550-551).

"Infatti, se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in Gallia), né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 1, 10, 2 (SC 264, 158-160; PG 7, 531-534).

"Il messaggio della Chiesa è dunque veridico e solido, poiché essa addita a tutto il mondo una sola via di salvezza", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 20, 1 (SC 153, 254-256; PG 7, 1177).

"Conserviamo con cura questa fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, perché, sotto l'azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 24, 1 (SC 211, 472; PG 7, 966).

"Dunque la tradizione degli apostoli manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono riscontrare la verità, così possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ora essi non hanno insegnato né conosciuto misteri segreti, che avrebbero insegnato a parte e di nascosto ai perfetti, ma certamente prima di tutto li avrebbero trasmessi a coloro ai quali affidavano le Chiese stesse. Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili (cf. 1 Tm 3,2) in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo.

Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede (cf. Rm 1,8) annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.

Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell'episcopato; di quel Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo (cf. 2Tm 4, 21). A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l'episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro tradizione. E non era il solo, perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi un'importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli…

A questo Clemente succede Evaristo e, ad Evaristo, Alessandro; poi, come sesto a partire dagli apostoli, fu stabilito Sisto; dopo di lui Telesforo, che dette la sua testimonianza gloriosamente; poi Igino, quindi Pio e dopo di lui Aniceto. Dopo che ad Aniceto fu succeduto Sotere, ora, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, tiene la funzione dell'episcopato Eleutero. Con quest'ordine e queste successioni è giunta fino a noi la tradizione che nella Chiesa a partire dagli apostoli è la predicazione della verità.

E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses 3, 3, 1-3.

"La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che é inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e vedono. E' impossibile vivere se non si é ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all'essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio. Questo, come ho detto prima, era stato rivelato dai profeti in figura, che cioé Dio sarebbe stato visto dagli uomini che portano il suo Spirito e attendono sempre la sua venuta.
 
Così Mosé afferma nel Deuteronomio: Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l'uomo e l'uomo aver la vita (cfr. Dt 5, 24). Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, é invisibile e indescrivibile a tutti gli essere da lui creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo, imparano che il Padre é unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte l'esistenza, come sta scritto nel vangelo: "Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che é nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18).

Fin dal principio dunque il Figlio é il rivelatore del Padre, perché fin dal principio é con il Padre e ha mostrato al genere umano nel tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto ordine e armonia. E dove c'é ordine c'é anche armonia, e dove c'é armonia c'é anche tempo giusto, e dove c'é tempo giusto c'è anche beneficio. Per questo il Verbo si é fatto dispensatore della grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in favore dei quali ha ordinato tutta l'economia della salvezza, mostrando Dio agli uomini e presentando l'uomo a Dio. Ha salvaguardato però l'invisibilità del Padre, perché l'uomo non disprezzi Dio e abbia sempre qualcosa a cui tendere.

Al tempo stesso ha reso visibile Dio agli uomini con molti interventi provvidenziali, perché l'uomo non venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo nulla, perché l'uomo vivente é gloria di Dio e vita dell'uomo é la visione di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre che avviene tramite il Verbo é causa di vita per coloro che vedono Dio", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses 4, 20, 5-7 (SC 100, 640-642. 644-648).



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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