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SPE SALVI l'Enciclica della SPERANZA CRISTIANA

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2017 14:20
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15/12/2008 08:45
 
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Un capolavoro del Magistero Petrino


Spe Salvi: Marx fece la rivoluzione, ma non disse come procedere dopo!

....un  passo illuminante dell'Enciclica del Papa:

Spe salvi (30 novembre 2007)
[Bielorusso, Francese, Inglese, Italiano, Latino, Neerlandese, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco, Ungherese]

...ci porta a riflettere su alcune questioni che determinarono il fallimento della dottrina sociale comunista......


così la descrive Benedetto XVI:


20. (...)
Dopo la rivoluzione borghese del 1789 era arrivata l'ora per una nuova rivoluzione, quella proletaria: il progresso non poteva semplicemente avanzare in modo lineare a piccoli passi. Ci voleva il salto rivoluzionario. Karl Marx raccolse questo richiamo del momento e, con vigore di linguaggio e di pensiero, cercò di avviare questo nuovo passo grande e, come riteneva, definitivo della storia verso la salvezza – verso quello che Kant aveva qualificato come il « regno di Dio ». Essendosi dileguata la verità dell'aldilà, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell'aldiquà.

La critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica. Il progresso verso il meglio, verso il mondo definitivamente buono, non viene più semplicemente dalla scienza, ma dalla politica – da una politica pensata scientificamente, che sa riconoscere la struttura della storia e della società ed indica così la strada verso la rivoluzione, verso il cambiamento di tutte le cose.

Con puntuale precisione, anche se in modo unilateralmente parziale, Marx ha descritto la situazione del suo tempo ed illustrato con grande capacità analitica le vie verso la rivoluzione – non solo teoricamente: con il partito comunista, nato dal manifesto comunista del 1848, l'ha anche concretamente avviata. La sua promessa, grazie all'acutezza delle analisi e alla chiara indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato ed affascina tuttora sempre di nuovo. La rivoluzione poi si è anche verificata nel modo più radicale in Russia.

21. Ma con la sua vittoria si è reso evidente anche l'errore fondamentale di Marx. Egli ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo. Egli supponeva semplicemente che con l'espropriazione della classe dominante, con la caduta del potere politico e con la socializzazione dei mezzi di produzione si sarebbe realizzata la Nuova Gerusalemme. Allora, infatti, sarebbero state annullate tutte le contraddizioni, l'uomo e il mondo avrebbero visto finalmente chiaro in se stessi.

Allora tutto avrebbe potuto procedere da sé sulla retta via, perché tutto sarebbe appartenuto a tutti e tutti avrebbero voluto il meglio l'uno per l'altro. Così, dopo la rivoluzione riuscita, Lenin dovette accorgersi che negli scritti del maestro non si trovava nessun'indicazione sul come procedere. Sì, egli aveva parlato della fase intermedia della dittatura del proletariato come di una necessità che, però, in un secondo tempo da sé si sarebbe dimostrata caduca.

Questa « fase intermedia » la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante. Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l'uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli.

22. Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo sperare? È necessaria un'autocritica dell'età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell'autocritica dell'età moderna confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici. Su questo si possono qui tentare solo alcuni accenni. Innanzitutto c'è da chiedersi: che cosa significa veramente « progresso »; che cosa promette e che cosa non promette?


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Vogliamo essere veramente segno di contraddizione?

Altro non vi dico (…) Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia, sostenendo le pene, e combattendo con voi insieme per la verità infino alla morte, per gloria e lode del nome di Dio, e reformazione della Santa Chiesa…”
(Santa Caterina da Siena, Lettera 305 al Papa Urbano VI ove lottò fino alla morte per difendere l’autorità del Pontefice)


Smile La Speranza rovesciata dalla fede in Dio (Encic. Spe Salvi)

Dai classici ai cristiani
La speranza rovesciata
dalla fede in Dio


            


Nell'enciclica Spe salvi Benedetto XVI tratta della speranza nel mondo antico, e cita le parole di un epitaffio che esprime angoscia e disperazione: in nihil ab nihilo quam cito recidimus ("nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo", Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, n. 26003). Al concetto di speranza nel mito e nella religione greca, a Roma, e poi nella tradizione ebraica e in quella cristiana è dedicato un capitolo - che di seguito pubblichiamo - dell'ultimo libro di Manlio Simonetti (Classici e cristiani. Alle radici del mondo occidentale. Cura e prefazione di Giovanni Maria Vian, Milano, Medusa, 2007, pagine 132, euro 14).

Il volume descrive, con uno sguardo unitario, un mondo lontano - quello antico e tardoantico, tra classici e cristiani, appunto - e nello stesso tempo vicino: tanto vicino che l'attuale cultura delle società occidentali resterebbe incomprensibile senza riandare a quelle radici. Cinquanta brevissimi capitoli sono così dedicati ad altrettanti temi - tra cui gli angeli e il demonio, il sogno e il lutto, i bambini e le donne, maghi e pellegrinaggi, il tempo e i calendari, il cibo e il digiuno, il teatro e lo sport, ricchezza e povertà, la scuola e le biblioteche, gnostici e millenaristi - suddivisi in nove parti che presentano gli esseri sovrumani, il controllo di realtà incontrollabili, la vita privata, la gestione del sacro, le scansioni del tempo, l'impatto sociale della religione, i valori relativi e quelli assoluti, la cultura, i confini del cristianesimo.


Manlio Simonetti
È ben noto il mito greco secondo cui gli dèi, adirati con Prometeo per il furto del fuoco, avrebbero inviato all'umanità come castigo Pandora ("tutti i doni") che, dotata di grazia, persuasione e bellezza, sposa il fratello di Prometeo, Epimeteo, dando così origine al genere umano e portando con sé agli uomini come dote, chiuse in un orcio, le malattie e la morte, prima inesistenti.

Aperto l'orcio, esse si spargono nel mondo, e da allora ci si ammala e si muore (Esiodo, Le opere e i giorni, 96-105). In fondo all'orcio resta solo Elpìs (la "speranza"). Di solito questo dettaglio del mito è interpretato positivamente, quasi che la speranza fosse una specie di correttivo atto a bilanciare il disastro della condizione mortale. Non così tuttavia lo considerava la cultura greca per la quale ciò che resta nell'orcio di Pandora era ancora più negativo della mortalità.

La speranza infatti, essendo entità illusoria, trae in inganno la gente distogliendola da ciò che, per l'uomo antico, perennemente teso al controllo di un'esistenza quanto mai precaria, è l'obiettivo essenziale: la considerazione chiara e distinta, priva di infingimenti, della situazione esistenziale, con tutti i suoi problemi, ai quali è d'uopo far fronte a mano a mano che si presentano, senza affidarsi a ingannevoli speranze che impegnano invano il futuro, pronte a dissolversi quando uno meno se l'aspetta.

Per questo la cultura e soprattutto la religione greca tratteggiano Elpìs negativamente. È entità divina, ma incontrollabile, sfuggente, difficile da connotare: non si sa - perché non si vuole sapere - se sia maschile o femminile, se sia singola o una pluralità, per non renderla eccessivamente presente nella realtà storica. Di sicuro si dice che sia falsa, ingannevole, non affidabile, come Tyche ("Fortuna"), a cui è spesso affiancata. Anche a Roma antica la speranza (Spes) è collocata a livello divino, ma tenuta a bada in quanto ingannevole, proiettata com'è in un futuro che solo Giove può gestire, e pertanto incontrollabile. In effetti anche qui Spes è unita ad altre divinità ugualmente sfuggenti e ingannevoli, quali Fors e Fortuna.

La situazione cambia nettamente nelle religioni monoteiste, nelle quali - essendo la divinità intesa come trascendente, e dunque del tutto indipendente dal creato - la speranza, fondata su Dio, assume valore assoluto, diventando così positiva. Nell'Antico Testamento essa è intesa appunto positivamente in quanto rivolta sempre al bene: l'uomo, finché è in vita, spera (Qoelet, 9, 4) perché la sua speranza è riposta esclusivamente in Dio, sicuro fondamento della vita del giusto, e la felicità dell'uomo si riassume nell'avere una speranza e un futuro. Un aspetto particolare della speranza, in dimensione comunitaria, è l'attesa del futuro Messia, che libererà Israele dai suoi nemici e punirà tutti gli empi, perché al compimento delle speranze di libertà e felicità si collega sempre l'attesa del giudizio.

Nella Chiesa nascente il concetto di speranza si connette con quello dell'Antico Testamento, ma con la fondamentale novità che il suo garante ora è diventato Cristo, di cui si attende il prossimo definitivo ritorno. Paolo, che parla più volte di speranza, ne rileva l'assoluta fiducia che pure non si fonda su dati concreti e attualmente verificabili: "Una speranza che si vede non è più speranza: chi infatti spera ciò che vede? Ma se noi speriamo ciò che non vediamo, stiamo in attesa mediante la costanza" (Romani, 8, 24-25): la fiduciosa, costante attesa nutre la speranza, in quanto è fondata sull'opera salvifica realizzata dalla morte e dalla risurrezione di Cristo, che ci ha liberato dalla legge e dalla morte e per questo è definito la nostra speranza (I Timoteo, 1, 1). In questo senso, come valore, la speranza, insieme con la fede e la carità, costituisce l'essenza stessa del cristiano.

L'ambiguità dell'attesa escatologica - in quanto già realizzata nell'avvento di Cristo eppure proiettata verso l'imminente fine del mondo - si riflette anche nel modo in cui viene concepita la speranza, poiché i due aspetti appaiono inestricabilmente connessi sul fondamento della Risurrezione: "(Dio) ci ha rigenerati, grazie alla risurrezione di Gesù Cristo dai morti per una speranza vivente, in vista di un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce" (1 Pietro, 1, 3-4). Questa concezione è stata ripresa dai successivi scrittori cristiani e sviluppata in base a esigenze pastorali e spirituali. Soprattutto Agostino l'ha valorizzata, orientando l'attesa dei beni futuri sulla fiducia in Dio e proiettandola verso la risurrezione dei morti, fondata su quella di Cristo. Per questo i cristiani possono essere definiti da questo grande autore cristiano (Spiegazione del salmo 131, 19) "uomini di speranza": homines spei futurae.
(©L'Osservatore Romano - 5 dicembre 2007)
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Thumbs up MARIA MADRE DELLA SPERANZA dalla "Spe Salvi"

MARIA, STELLA DELLA SPERANZA

L'enciclica Spe salvi (salvati nella speranza, Rom 8,24) termina con due lunghi paragrafi dedicati a Maria (nn. 49-50). «Con un inno dell’VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come stella del mare : Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente.

Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza lei che con il suo sì aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cf Gv 1,14)?



 

«A lei perciò ci rivolgiamo: Santa Maria, tu appartenevi a quelle anime umili e grandi in Israele che, come Simeone, aspettavano "il conforto d’Israele" (Lc 2,25) e attendevano, come Anna, "la redenzione di Gerusalemme" (Lc 2,38). Tu vivevi in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele, che parlavano della speranza della promessa fatta ad Abramo ed alla sua discendenza (cf Lc 1,55). Così comprendiamo il santo timore che ti assalì, quando l’angelo del Signore entrò nella tua camera e ti disse che tu avresti dato alla luce Colui che era la speranza di Israele e l’attesa del mondo. Per mezzo tuo, attraverso il tuo "sì", la speranza dei millenni doveva diventare realtà, entrare in questo mondo e nella sua storia. Tu ti sei inchinata davanti alla grandezza di questo compito e hai detto "sì": "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Quando piena di santa gioia attraversasti in fretta i monti della Giudea per raggiungere la tua parente Elisabetta, diventasti l’immagine della futura Chiesa che, nel suo seno, porta la speranza del mondo attraverso i monti della storia. Ma accanto alla gioia che, nel tuo Magnificat, con le parole e col canto hai diffuso nei secoli, conoscevi pure le affermazioni oscure dei profeti sulla sofferenza del servo di Dio in questo mondo. Sulla nascita nella stalla di Betlemme brillò lo splendore degli angeli che portavano la buona novella ai pastori, ma al tempo stesso la povertà di Dio in questo mondo fu fin troppo sperimentabile.

Il vecchio Simeone ti parlò della spada che avrebbe trafitto il tuo cuore (cf Lc 2,35), del segno di contraddizione che il tuo Figlio sarebbe stato in questo mondo. Quando poi cominciò l’attività pubblica di Gesù, dovesti farti da parte, affinché potesse crescere la nuova famiglia, per la cui costituzione Egli era venuto e che avrebbe dovuto svilupparsi con l’apporto di coloro che avrebbero ascoltato e osservato la sua parola (cf Lc 11,27s). Nonostante tutta la grandezza e la gioia del primo avvio dell’attività di Gesù tu, già nella sinagoga di Nazaret, dovesti sperimentare la verità della parola sul "segno di contraddizione" (cf Lc 4,28ss.). Così hai visto il crescente potere dell’ostilità e del rifiuto che progressivamente andava affermandosi intorno a Gesù fino all ora della croce, in cui dovesti vedere il Salvatore del mondo, l’erede di Davide, il Figlio di Dio morire come un fallito, esposto allo scherno, tra i delinquenti. Accogliesti allora la parola: "Donna, ecco il tuo figlio!" (Gv 19,26). Dalla croce ricevesti una nuova missione. A partire dalla croce diventasti madre in una maniera nuova: madre di tutti coloro che vogliono credere nel tuo Figlio Gesù e seguirlo [...].




La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede. Così tu fosti in mezzo alla comunità dei credenti, che nei giorni dopo l’Ascensione pregavano unanimemente per il dono dello Spirito Santo (cf At 1,14) e lo ricevettero nel giorno di Pentecoste. Il "regno" di Gesù era diverso da come gli uomini avevano potuto immaginarlo. Questo "regno" iniziava in quell’ora e non avrebbe avuto mai fine. Così tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro Madre, come Madre della speranza. Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!»
(Spe Salvi, nn. 49-50).




 
Benedictus PP XVI
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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