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CARI SACERDOTI Lettera del card. Arinze sull'OBBEDIENZA

Ultimo Aggiornamento: 19/06/2009 14:59
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17/12/2008 00:03
 
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...ed altri insegnamenti ai Sacerdoti


"CARO SACERDOTE" il card. Arinze scrive una Lettera ai Sacerdoti





Amici....siamo sotto Natale e una volta si scrivevano le "Letterine" a Gesù Bambino...

Il Cardinale Arinze (qui nella foto), per molti anni responsabile per la Congregazione del Culto Divino è andato in "pensione" ed ha scritto una Lettera ai Sacerdoti per richiamarli all'OBBEDIENZA del loro Ministero nella Chiesa.

Offriamo questo spazio alla meditazione che segue, Pregando incessantemente, affinchè i Sacerdoti scoprano la loro LIBERTA' nella Chiesa e nell'Obbedienza al Sommo Pontefice e non a qualche laico che....per una incomprensibile situazione... si ritrova a comandare su di LORO...
SIATE LIBERI, cari Sacerdoti, LIBERI da ogni condizionamento, LIBERI DA OGNI CAMMINO, perchè l'unico Cammino VERO e autentico è quello che NON condiziona il vostro Ministero, ma NELL'OBBEDIENZA E FEDELTA' AI SUPERIORI che sono il Vescovo e il Pontefice, siate veramente il "seme CHE MUORE" e che solo così potrà permettere anche a NOI, Laici, di ricevere degnamente i Sacramenti e la Riconciliazione con Dio...

Buon Natale.... Cari Sacerdoti!

Riflessioni in forma di lettera: Caro sacerdote ti scrivo...

Martedì 16 vengono presentati presso la Sala Marconi della Radio Vaticana i volumi dei cardinali Angelo Sodano Verso le origini, una genealogia episcopale (pagine 70, euro 8 ) e Francis Arinze Riflessioni sul sacerdozio, lettera a un giovane sacerdote (pagine 138, euro 12), entrambi appena pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana.

Anticipiamo ampi stralci del capitolo intitolato Il sacerdote e lo stile evangelico di vita tratto dal libro del prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

di Francis Arinze

Caro fratello sacerdote, è giusto tenere a mente che il presbitero ha come Maestro il Cristo. Non è certo possibile imitare l'agire di Cristo in ogni minimo dettaglio, ma ciò non ci esime dal seguirlo nel modo più vicino possibile. (...) Tra le tante cose che Gesù "fece e insegnò", scegliamo tre consigli evangelici a cui ogni sacerdote è chiamato a dare particolare attenzione: l'obbedienza, la povertà e la castità nel seguire Cristo Maestro.

Il sacerdote sa che la costituzione gerarchica della Chiesa deriva dal suo divino Fondatore. Il carisma e il ministero del Papa e del vescovo sono di istituzione divina. Gesù ha inviato gli apostoli come egli stesso è stato inviato dal Padre (cfr. Giovanni, 20, 21): "Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me" (Luca, 10, 16). L'obbedienza che il presbitero dà al Santo Padre, al vescovo e ai loro rappresentanti, si basa sulla fede. Mediante questa obbedienza il sacerdote dà a Dio la possibilità di servirsi pienamente di lui nell'attuare la missione della Chiesa. L'obbedienza non ha lo scopo di sminuire il ruolo del prete, o di trattarlo come inferiore o di impedirgli la propria crescita personale.

Anche il sacerdote partecipa dell'esercizio dell'autorità nella Chiesa. Da quanti hanno autorità nella Chiesa ci si attende l'impegno di esercitare questo potere nel nome di Cristo. Un vescovo o un sacerdote deve fare il proprio dovere con tutta umiltà e coraggio. Non dimostra certo umiltà se abbandona la responsabilità pastorale: questo danneggerebbe solo il gregge. (...) D'altra parte, il sacerdote non deve tentare di introdurre una specie di democrazia secolare che non si accorda con la natura divina dell'istituzione gerarchica della Chiesa. Una cosa è la virtù dell'umiltà, tutt'altra è cercare di clericalizzare il laicato o laicizzare il clero.

La Chiesa non ha nulla da guadagnare, ma tutto da perdere, da simili dissennate iniziative. In tema di obbedienza del presbitero, è degno di speciale attenzione il suo atteggiamento verso i compiti affidatigli dal vescovo. Certamente da parte del vescovo ci si deve aspettare amore, attenta considerazione delle capacità di ciascun presbitero, apertura al dialogo, equità, giustizia e una chiara visione della missione della Chiesa nella diocesi. Se si trattasse di una lettera rivolta ai vescovi, potremmo scendere in maggiori dettagli sulle loro responsabilità. Ma qui stiamo esaminando il ruolo del sacerdote. Questi deve lasciare al vescovo e ai suoi collaboratori piena libertà nelle nomine riguardanti i preti. Dal presbitero bisogna attendersi un amorevole e leale atteggiamento di collaborazione e obbedienza. Se tuttavia un sacerdote reputa che una particolare nomina o incarico datogli dal vescovo possa danneggiare lui o altre persone, allora ha il diritto, e talvolta il dovere, di chiedere un dialogo con il vescovo per esporre ciò che pensa. Dopodiché, in tutta semplicità, il sacerdote accetti la decisione ultima del vescovo; anche nello scenario peggiore che il vescovo assegni un incarico che supera le capacità del presbitero o che possa farlo soffrire e danneggiarlo, Dio non mancherà certo di proteggere il sacerdote che obbedisce.

Il giudizio di Dio nei riguardi del vescovo è altra cosa e Dio non ha bisogno di consigli dal sacerdote per questo! Comunque, il sacerdote che disobbedisce a una direttiva chiara e ponderata del proprio Vescovo, non deve aspettarsi la benedizione del Signore. Si trova in balia di se stesso e non deve illudersi di star facendo la volontà di Dio. (...)

Ciò che voglio dire è che la mano invisibile di Dio guida gli eventi, anche quando i superiori possono essere carenti in qualche aspetto nell'esercizio dell'autorità. Alla fine, Dio protegge il sacerdote che rispetta e obbedisce al proprio vescovo con fedeltà ferma e nobiltà di carattere. L'intervento di Dio può apparire posticipato di mesi o anche di anni, ma alla fine arriva. Ad alcuni santi è stata fatta giustizia solo dopo la morte. Il sacerdote è un seguace di Cristo che, nella sua esistenza terrena, ha vissuto da povero. È nato in una stalla ed è stato deposto in una mangiatoia.

La Santa Famiglia di Nazaret viveva in povertà di mezzi. Cristo ha ammonito le persone che si offrivano spontaneamente a seguirlo di ricordarsi che le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (cfr. Matteo, 8, 20). È vero che i sacerdoti membri di ordini e congregazioni religiose, in quanto religiosi, fanno il voto di povertà, mentre invece non lo fanno i sacerdoti diocesani. È però chiaro, dall'esempio e dall'insegnamento di Cristo, che ogni sacerdote deve coltivare la virtù della povertà. Un certo distacco dai beni terreni è richiesto al sacerdote diocesano. Questi, prima di tutto, deve essere onesto e trasparente nell'amministrazione dei beni della Chiesa. In situazioni riguardanti la parrocchia o la diocesi è tenuto a collaborare con il consiglio economico e ad osservare lealmente i regolamenti della diocesi in materia.

La virtù della povertà riguarda anche l'uso personale dei propri soldi. Evitando tutto ciò che può farlo apparire attaccato a beni terreni ed incline a spese eccessive, il sacerdote deve ricordarsi dei poveri, dei malati, degli anziani e di tutti i bisognosi in genere. I mezzi di trasporto, la casa, il mobilio, il vestito non devono collocarlo dalla parte dei ricchi e dei potenti. Per risparmiare al sacerdote un'eccessiva preoccupazione per i bisogni dovuti a malattia e a vecchiaia, la diocesi deve prevedere queste situazioni e predisporre adeguati programmi. Un test sulla generosità del prete può consistere nel domandarsi quali motivi di carità sono inclusi nei suoi desideri e quanta gente povera, poveri seminaristi o candidati alla vita consacrata piangeranno la sua morte, riconoscendo che è scomparso il loro padre in Cristo e il loro benefattore.

Il presbitero non deve identificare la povertà con la mancanza di pulizia e di ordine nella propria casa, e neppure assimilarla con l'uso di paramenti o suppellettili d'altare consunti. Occorre offrire il meglio a Dio per la sua lode. Nella sua casa ogni cosa deve essere segno di buon gusto e ordine, pur nella semplicità e sobrietà. Cristo ha vissuto una vita verginale, ha insegnato ai suoi discepoli la castità e ha proposto la verginità a coloro che sono disponibili e in grado di seguire una tale chiamata. La Chiesa, da sempre, ha tenuto in grande considerazione il celibato dei sacerdoti. Nella vita sacerdotale, la continenza perpetua per il regno dei cieli esprime e stimola la carità pastorale. È una sorgente speciale di fecondità spirituale nel mondo (cfr. Presbyterorum ordinis, 16).

(...)

Ciò di cui ha bisogno è il silenzio, la quiete e il raccoglimento per stare alla presenza di Dio, dare maggior attenzione a Dio e incontrare Cristo nella preghiera personale davanti al tabernacolo
.
Solo allora sarà capace di vedere Cristo in ogni persona che incontra nel ministero. Perché i grandi santi, che dedicano molto tempo per stare soli con Dio, sono così bravi nell'incontrare la gente? Hanno una identità chiara, trovano Dio e così trovano se stessi e gli altri in Dio. Non dobbiamo sottovalutare l'apporto positivo della fraternità tra sacerdoti per vivere il celibato. Come è bello quando i presbiteri vivono in unione e armonia (cfr. Salmi, 133, 1). L'ideale è che il vescovo faccia in modo che i sacerdoti vivano in due o tre per parrocchia, piuttosto che da soli.

Abbiamo bisogno gli uni degli altri per far crescere al massimo le nostre potenzialità. L'auspicio è di costituire comunità di presbiteri che vivono insieme, che si raccolgono insieme in cappella, che preghino parte della Liturgia delle Ore insieme, discutano insieme i problemi pastorali, mangino e scherzino insieme - si formino tali comunità in gran numero in una diocesi, e avremo testimoni migliori di Cristo, anche in rapporto al celibato sacerdotale, come pure al ministero presbiterale in genere. Quasi in ogni epoca si incontra chi presenta ragioni per persuadere la Chiesa latina a rendere il celibato "facoltativo", così dicono. E ogni volta la Chiesa ha detto di no, per buone ragioni.

L'ultima parola della Chiesa su questa materia è di Papa Benedetto XVI, nella Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis.

Voglio citare per esteso quanto ha detto: "In tale scelta del sacerdote, infatti, trovano peculiare espressione la dedizione che lo conforma a Cristo e l'offerta esclusiva di se stesso per il Regno di Dio. Il fatto che Cristo stesso, sacerdote in eterno, abbia vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello stato di verginità costituisce il punto di riferimento sicuro per cogliere il senso della tradizione della Chiesa latina a questo proposito. Pertanto, non è sufficiente comprendere il celibato sacerdotale in termini meramente funzionali. In realtà, esso rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo stesso. Tale scelta è innanzitutto sponsale; è immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa.

In unità con la grande tradizione ecclesiale, con il concilio Vaticano ii e con i Sommi Pontefici miei predecessori, ribadisco la bellezza e l'importanza di una vita sacerdotale vissuta nel celibato come segno espressivo della dedizione totale ed esclusiva a Cristo, alla Chiesa e al Regno di Dio, e ne confermo quindi l'obbligatorietà per la tradizione latina. Il celibato sacerdotale vissuto con maturità, letizia e dedizione è una grandissima benedizione per la Chiesa e per la stessa società" (Sacramentum caritatis, 24).

(©L'Osservatore Romano - 15-16 dicembre 2008)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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