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CARI SACERDOTI Lettera del card. Arinze sull'OBBEDIENZA

Ultimo Aggiornamento: 19/06/2009 14:59
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26/12/2008 22:08
 
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Caro Don... per il tuo Natale![SM=g1740717]

Caro don, sacerdote immaginario,

ti scrivo anche se non sono un cardinale, per la gioia di farlo e per riprendere un ragionamento interrotto. Innanzitutto ringrazio te di esserci e Chi, volendoti, da sempre ti ha conosciuto e formato nel seno di tua madre.

Mi immagino, avendo studiato con tanti seminaristi, come sia stato complicato per te seguire la tua strada, ogni giorno un piccolo passo, esami da fare, impegni pastorali, pranzi e cene da metter su in cinque minuti, sacramenti da amministrare, dalla culla alla tomba, in mezzo qualche fiore d’arancio, con te che benedici gli anelli e, solo per un secondo, ti immalinconisci per quei figli che gli sposi avranno e tu no. Poi, però, ripigli il sorriso, guardi la chiesa colma e pensi: grazie Signore per tutti questi figli, della Tua paternità che mi affidi come causa seconda, del Tuo amore del quale devo essere eco risonante con la Parola che è la tua Parola e non quella di altri.

Caro don immaginario, credo che la libertà di cui un vero cardinale parla e ti consiglia di seguire, sia la moneta spicciola di questa perseveranza umana e divina che deve passare per le tue mani, visibile nella tua presenza orante a tutti i tuoi figli, percepibile nella concentrazione con cui tracci la croce sul pane e sul vino con la grazia di uno stupore sempre nuovo e, ogni volta, sempre diverso.

Caro don immaginario, se puoi, ripristina il campanello per le confessioni urgenti. Quando ero bambino, fuori dalla canonica, c’era una campana con una lunga funicella a cui si aggrappava, in ore notturne, le ore del rimorso bruciante, il peccatore insonne e, oltre la porta, sonnecchiava un altro don molto più vecchio di te, con la stola della misericordia viola avvolta tre giri di collo, come una sciarpa. Sobbalzava, si rassettava la stola e apriva il portone.

Caro don immaginario, se puoi, cerca di non confessare su appuntamento…

Ti raccomando, caro don immaginario, di leggere, leggere, leggere per allargare la tua percezione antropologica, psicologica, teologica sulle persone che ti verranno a chiedere aiuto. A tutti, sappi dare la risposta giusta, olio sulle ferite, conforto nel dolore. A tutti, perché tu sei di tutti e tutti ti apparteniamo come figli, con età diverse ma pur sempre bambini per come ci comportiamo agli occhi di Dio, dati con lo slancio del padre nello spirito, incoraggiaci, rimproveraci, dacci caramella o scappellotto a secondo dei casi. Dacci te stesso nella tua libertà liberante perché liberata da Cristo, tuo e nostro Maestro.

Sii forte nelle questioni nelle quali tu devi essere padre, non altri inventori di verità che non siano quelle della Chiesa, custodisci forte nel cuore la tua missione di essere uomo tra gli uomini col dono dell’ordine che ti è toccato: liberamente lo hai accolto, liberamente esercitalo giacché quel dono, quella libertà, è il tuo tesoro che può liberare anche noi… Buon Natale, caro don immaginario.

Chisolm[SM=g1740717]


Un pro-memoria per i Sacerdoti, da stampare e portare con se....





Rhythmus Sancti Thomae Aquinatis.

Indulgentia quinque annorum toties quoties; septem annorum, si rhythmus
vel ejusdem potrema tantum stropha coram Ss.mo Eucharistiae Sacramento recitatus fuerit;
plenaria suetis conditionibus, quotidiana rhythmi recitatione in integrum mensem producta.
Pius Pp. XI, 12 Martii 1936 et Pius Pp. XII, 12 Julii 1941
ADóro te devóte, latens Déitas,
Quae sub his figúris ver e látitas:
Tibi se cor meum totum súbjicit,
Quia, te contémplans, totum déficit.

Visus, tactus, gustus in te fállitur,
Sed audítu solo tuto créditur:
Credo, quidquid dixit Dei Fílius,
Nil hoc verbo Veritátis vérius.

In Cruce latébat sola Déitas,
At hic latet simul et humánitas;
Ambo tamen credens atque cónfitens,
Peto, quod petívit latro paenitens.

Plagas, sicut Thomas, non intúeor,
Deum tamen meum te confíteor:
Fac me tibi semper magis credere,
In te spem habére, te dilígere.

O memoriále mortis Dómini,
Panis vivus, vitam praestans hómini,
Praesta meae menti de te vívere,
Et te illi semper dulce sápere.

Pie pellicáne, Jesu Dómine,
Me immúndum munda tuo Sánguine,
Cujus una stilla salvum fácere
Totum mundum quit ab omni scélere.

Jesu, quem velátum nunc aspício,
Oro, fiat illud, quod tam sítio:
Ut, te reveláta cernens fácie,
Visu sim beátus tuae glóriae.

Amen

__________________
"Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (Santa Caterina da Siena)




   


Il sacerdote? Un uomo libero anche dalle proprie opinioni



Anticipiamo stralci di due delle relazioni che nel pomeriggio di venerdì 12 apriranno a Genova il convegno "Momenti, aspetti e figure del ministero del cardinale Giuseppe Siri nell'ottantesimo dell'ordinazione sacerdotale".

di Mauro Piacenza
Arcivescovo
Segretario della Congregazione per il Clero



Sono molto lieto di poter modestamente contribuire a mettere in luce il magistero del cardinale Siri sul sacerdozio in occasione dell'ottantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Come premessa introduttiva desidero condividere con voi lo stupore provato mentre, rileggendo alcuni testi del cardinale, constatavo la straordinaria attualità e assonanza con il magistero dell'attuale Sommo Pontefice. Temi come il relativismo, l'edonismo, il materialismo - certamente in termini consoni al linguaggio teologico e pastorale di quegli anni - sono ben presenti nell'insegnamento del cardinale Siri, con un "anticipo" di mezzo secolo, che non esiterei a definire profetico. Su molte cose il venerato cardinale ha visto molto lontano, ha avuto l'intelligenza - nel senso dell'intuslegere delle premesse - e ne ha previsto, fin quasi nel dettaglio, le conseguenze con l'acutezza propria dell'uomo di Dio.


Un primo aspetto che colpisce è la sua profonda convinzione che il sacerdozio abbia un suo fondamento "in natura", che sia "la natura stessa che postula il sacerdozio". Tale convinzione si fonda su un presupposto altrettanto evidente, oggi purtroppo gravemente misconosciuto, ma assolutamente inoppugnabile:  quello secondo il quale l'elemento religioso è un dato costitutivo della natura umana e non una personale e indimostrabile opzione della libertà.
In altri termini, tutti ben conosciamo come una certa scuola di pensiero, che affonda le proprie radici remote nel materialismo di matrice marxista, e prossime nel neopositivismo relativista, che relega le certezze morali nell'ambito dell'opinabile, tenda a "ridurre" il fenomeno religioso a semplice manifestazione storico-culturale, a prodotto dell'uomo nel confronto con il cosmo.


La conseguenza diretta di questa diffusa corrente storico-religiosa, anzi storicistica, è il misconoscimento del dato religioso come costitutivo della natura dell'uomo, e il conseguente approccio, puramente fenomenico, alla presenza della religione in ogni cultura della storia umana.
Se il senso religioso è un dato antropologico universale, a esso sono legati il rapporto con il Creatore, la morale e il culto; tutte dimensioni che la storia, in ogni esperienza religiosa, anche la meno strutturata, vede come essenziali nel rapporto con l'Assoluto.


Risulta evidente come in un contesto secolarizzato come quello nel quale viviamo, che pretende di fare a meno di Dio e restringe la questione religiosa all'interno dei convincimenti meramente soggettivi, divenga sempre più difficile la comprensione del sacerdozio come strutturale alla società e "bene" per l'umanità tutta.
È necessario constatare tuttavia come la perdita di un tale concetto universalistico del sacerdozio sia stata, in certa teologia, solo apparentemente a favore del "presbiterato neotestamentario". L'avere infatti abdicato al ruolo di "mediatori" nel rapporto con Dio, non ha certamente esaurito la sete di sacro degli uomini, i quali, anche ai livelli più alti della società e della cultura, non cessano di rivolgersi ad altri mediatori, spesso in modo totalmente irrazionale e ingiustificato sia storicamente, sia culturalmente.


In questa chiara concezione di sacerdozio naturale e necessario all'umanità si inserisce il magistero del cardinale Siri sul sacerdozio cristiano, il quale "concepito e fondato da Gesù risponde a tutte le esigenze naturali e le trascende di molto".
Il sacerdozio nasce dalle esigenze poste dai rapporti tra Dio e l'uomo; dopo la redenzione, i rapporti tra Dio e gli uomini non sono più solamente quelli tra creature e Creatore ma tra figli adottivi e Padre. (...) In un contesto come quello contemporaneo, sostanzialmente desacralizzato, non privo di derive moralistiche, appare quanto mai urgente recuperare, anche per noi sacerdoti, questo profilo alto del ministero soprannaturale di salvezza che il Signore ha voluto affidare alla nostra libertà.


Perdere tale visione, come profeticamente indicato dal cardinale Siri, significa inevitabilmente indebolire la realtà e l'idea stessa del sacerdozio e, in definitiva, porre i presupposti per una sua sempre più difficile comprensione e piena accettazione.
È indispensabile recuperare la lucida consapevolezza che il sacerdote, nell'amministrare i sacramenti, è "vicario di Dio"; non produce da sé l'effetto divino sacramentale, il quale, necessariamente, eccede ogni causa strumentale e naturale. Conseguentemente il sacerdote riveste una personalità di molto superiore alla propria, formando, nell'amministrazione dei sacramenti, una sola persona con Gesù Cristo.
Una tale concezione del sacerdozio ricolloca ciascun uomo-sacerdote all'interno di una posizione capace di superare d'un sol colpo tutte le contemporanee riduzioni pratico-funzionalistiche del ministero, ridisegnandone l'autentico volto, quale uomo di Dio per la salvezza degli uomini.


Il sacerdote desidera semplicemente, ma efficacemente, essere padre di tutti quelli che incontra, partecipando loro la dolcezza e la verità di quei Misteri, dei quali egli stesso è stato, per grazia, reso partecipe. Una tale coscienza rende il sacerdote un uomo libero, non condizionato né condizionabile dalle mode. Un uomo libero anche dalle proprie personali opinioni, per aderire con sempre più perfetta letizia alla verità di Cristo e della Chiesa, in special modo al sacro magistero, nella lucida consapevolezza che solo "trasmettendo ciò che ha ricevuto" potrà condurre gli uomini a un'autentica esperienza di Dio (...). Altra caratteristica essenziale del sacerdote è la gioia. Il cardinale aveva una profondissima concezione della gioia cristiana, di cui era intriso essendo un uomo cristallino, evangelicamente povero e semplice. Richiamandone il senso ai suoi preti, e ai seminaristi, nella Lettera pastorale del 10 agosto 1979, affermava innanzitutto che la gioia non è l'allegria, anche se può con essa coesistere, ricordando che mentre la seconda è un fatto più esterno, la prima è essenzialmente un fatto interiore.

La gioia, per il cardinale "è uno stato dell'anima in pace con Dio, con se stessa, con gli altri. (...) Fruisce di una luce della quale gode e che spande su tutto l'ambiente, al quale dà un'imperturbabile festosità".
Ovviamente si tratta della luce della fede, che, specialmente nel sacerdote, è chiamata a riflettere costantemente il suo splendore su tutto, rendendo bello anche il sacrificio e il dolore, per il loro profondo valore redentivo.
Certamente una gioia autenticamente vissuta e profondamente radicata è una delle caratteristiche più pastorali e missionarie del sacerdote. I giovani che vedranno un sacerdote così potranno porsi più efficacemente l'interrogativo sulla radice di una tale gioia e disporsi con maggiore apertura all'ascolto della volontà divina sulla loro vita.


Emerge con chiarezza come il ministro di Dio debba fondamentalmente essere un uomo di orazione. Potremmo chiederci, e l'esperienza alla Congregazione per il Clero è eloquente in tal senso, quante delle fatiche del ministero dipendano dall'infedeltà o addirittura dal non aver mai maturato un autentico spirito di orazione.
L'orazione del sacerdote infatti prende forza dal suo carattere, impresso dall'ordine sacro, e non si fonda appena sulla personale, seppur legittima, devozione (...). Il cardinale era solito ricordare ai suoi preti come, nella celebrazione della liturgia delle ore, in modo speciale, non fosse il singolo sacerdote a pregare ma in lui pregasse la Chiesa intera; la fede di tutta la Chiesa soccorre quella del singolo sacerdote, fino al punto che egli potrà sentire nelle alternanze dei versetti l'eco dell'intera Chiesa, "come il coro della Gerusalemme celeste e della Comunione dei santi".
L'essere così radicati nella vita di orazione rende il sacerdote un uomo straordinariamente libero, perché fondato sulla certezza della presenza divina nell'Eucaristia, della grazia di stato che rende capaci di compiere atti che non si sarebbe mai pensato di poter compiere. Un uomo capace di memoria, di ricordo, tenendo presente che il termine ricordo, da cordis, indica innanzitutto un "far passare nuovamente nel cuore".


Il sacerdote, così radicato nell'orazione, conoscerà un affetto che è più puro perché frutto dell'apostolato, del sacrificio e, in definitiva, dell'offerta dei beni di Dio agli uomini.
Come non ricordare, a proposito della profeticità e dell'assonanza del pensiero del cardinale Siri con il cuore palpitante della Chiesa, le parole dell'allora cardinale Ratzinger, nell'omelia tenuta durante la Santa Messa esequiale del Servo di Dio Giovanni Paolo II:  "Chi crede non è mai solo, né nella vita né nella morte".
Particolarmente attuale, nel contemporaneo contesto culturale e sociale, è il costante invito, che il cardinale rivolgeva ai suoi sacerdoti, a non avere paura e a superare ogni complesso di inferiorità verso il mondo, in particolare verso ciò che è definito "moderno". Il cardinale richiamava al rischio del cedimento, in fondo mai superato, ad alcuni luoghi comuni; è necessario evitare l'ingenuo ottimismo nei confronti del mondo e degli uomini, di certa cultura oggettivamente anticristiana, anche se talora ammantata di filosofica problematicità e ospitata in non pochi ambienti e media "nostri"; allo stesso tempo è bene non essere vittime dell'opinione pubblica, soprattutto per il solo fatto che è pubblica, cioè numero, folla, forza. Il cardinale elenca ancora, come tentazioni e possibili complessi di inferiorità dei sacerdoti, l'ammirazione per i vari "messianismi", che si succedono nella storia e che falsamente promettono liberazioni "altre" da quella di Cristo.


In conclusione il cardinale Siri aveva ben previsto a quali fatiche sarebbe andata incontro la figura del sacerdote in questi ultimi anni, per cui è necessario ribadire il suo prezioso magistero, perché nessun sacerdote si lasci intimidire da una cultura disposta a tutto pur di soffocare il più possibile il senso del sacro nelle coscienze degli uomini. Diceva ai suoi preti:  "Miei cari confratelli, voi non siete miseri se porterete destini sì grandi da non essere minacciati. (...) Voi non siete più deboli, se non avrete bisogno di quello che è superfluo. Voi non siete meno sapienti, se non conoscete i misteri di questo mondo. (...) Se avrete da entrare in concorrenza, fatelo, ma con gli angeli del cielo, con i martiri, con i confessori della fede".


(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2008)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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