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Chiarimenti sulla questione delle LEGGI RAZZIALI

Ultimo Aggiornamento: 26/01/2011 22:02
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BASTA CON LE MENZOGNE, BASTA DI ACCUSARE LA CHIESA!
Chiesa cattolica e leggi razziali

E Pio XI disse:  «Sono veramente amareggiato
Come Papa e come italiano»


di Sergio Pagano
Vescovo prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano


Capita non di rado, da un osservatorio storico privilegiato come è quello dell'Archivio Segreto Vaticano, custode dei documenti dei Pontefici e della Chiesa dal XIII secolo a oggi, di leggere o ascoltare dichiarazioni concernenti fatti storici o personaggi in essi implicati che non rispondono affatto nel merito alla documentazione che si possiede, né alle valutazioni che di quei fatti medesimi si sono venute formando nel tempo in sede storiografica accreditata.

Ora è stato affermato che di fronte alle leggi razziali promulgate nell'Italia fascista fra settembre e novembre del 1938, "salvo talune luminose eccezioni" non vi furono "manifestazioni particolari di resistenza" nemmeno "da parte della Chiesa cattolica". Al di là delle intenzioni, bisogna rilevare - come pure è stato notato da più parti quasi subito - che per quanto attiene la posizione della Chiesa cattolica e dei Pontefici Pio XI e Pio XII nei confronti delle leggi razziali del 1938 l'affermazione sopra ripresa è certamente errata. Forse, quando si tratta di esprimere giudizi su argomenti tanto complessi e bisognosi del ricorso alla storiografia seria e ben fondata, sarebbe auspicabile maggiore prudenza e circospezione.

Infatti quanto alle vicende che riguardarono la Chiesa cattolica e le leggi razziali fasciste consta (e non da oggi) l'esatto contrario di quanto ora affermato. Non è questa la sede per riprendere le diverse panoramiche storiche riservate ai rapporti, dapprima rispettosi ma poi anche tesi, fra un robusto e risoluto Pontefice come Pio XI e Mussolini o il suo Governo; abbiamo del resto saggi storici nei quali appare in tutta evidenza, fra altri aspetti, anche la forte reazione di Papa Ratti e dell'episcopato cattolico di fronte alle leggi razziali, le quali poi - sia pure come conseguenza necessaria, anche se aspetto non primario nella durezza di quei provvedimenti - toccarono pure i matrimoni tra i cosiddetti ariani e persone di razza diversa e quindi il Concordato stesso. Su questi aspetti hanno ultimamente scritto pagine documentate e rilevanti, dopo l'apertura completa dei documenti del pontificato di Papa Ratti nel 2006 Emma Fattorini (Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un Papa, Torino 2007), Alessandro Duce (La Santa Sede e la questione ebraica, 1933-1945, Roma 2007), Paul O'Shea (Politics and the Jews of Europe:  1917-1943, Kenthurst 2008) e il gesuita Giovanni Sale in due articoli apparsi su "La Civiltà Cattolica" e concernenti più da vicino il nostro tema:  Il "Manifesto della razza" del 1938 e i cattolici (5 luglio 2008); I primi provvedimenti antiebraici e la dichiarazione del Gran Consiglio del fascismo (20 settembre 2008).

La lettura attenta di tali opere e dei documenti vaticani e italiani su cui esse si basano sarebbe da sola bastata a evitare l'errore di cui dicevamo. Nessuno degli storici menzionati ha alcun dubbio sulla risoluta presa di posizione di Pio XI di fronte alle leggi razziali; quanto poi a Pio XII, studiosi seri (come Alessandro Duce) pongono in risalto la continuità di pensiero con il suo predecessore. Se vi fu, come certamente vi fu, mutamento di azione diplomatica o di "tattica" di fronte alla questione razziale da parte di Papa Pacelli rispetto a Pio XI, "è bene non dimenticare il contesto nel quale i due Pontefici si trovano a operare:  l'uno a fronte di movimenti emergenti che tendono a travolgere la Chiesa o a relegarla in un ruolo marginale di carattere spirituale, l'altro costretto ad assistere allo scoppio della guerra e al suo progressivo allargamento". Né va dimenticato, per restare a Pio XII, che nell'enciclica Summi Pontificatus (20 ottobre 1939), rifacendosi ai testi poi non pubblicati dell'enciclica di Pio XI Humani generis sulla razza umana, "limata" dal Papa di Desio fino alla sua morte, aveva parole chiare di anti-razzismo, riaffermando l'unicità della razza umana e la condanna dei moderni totalitarismi.

Restando però alle prime reazioni di Pio XI di fronte al cosiddetto Manifesto della razza vorremmo carpire i moventi dell'azione del Papa dalle udienze che il fedele e preciso segretario di Stato, cardinale Eugenio Pacelli, registrava nei suoi "Fogli di udienza" (tenuti dal 1930 al febbraio del 1939), la cui edizione è in preparazione a opera dell'Archivio Segreto Vaticano. Ci limiteremo qui a una semplice e scrupolosa ripresa dei testi che riportano, nelle udienze "di tabella" di Pio XI con il suo segretario di Stato, e in sua assenza con il vivacissimo monsignor Domenico Tardini, i moti del suo animo rispetto ai provvedimenti razziali che il Governo fascista cominciò ad adottare dall'estate del 1938. A coronamento di questi preziosi "Fogli di udienza", in grado di farci quasi ascoltare le stesse parole (qualche volta aspre e nervose) di Papa Ratti quando veniva a conoscenza di ciò che accadeva attorno a Mussolini, al suo Governo, in Italia e in Europa riguardo alle leggi razziali, citeremo altri documenti vaticani, in parte editi e in parte inediti, dai quali il lettore facilmente evincerà con quanta poca, anzi nessuna ragione si siano potute fare le affermazioni dalle quali siamo partiti.

E anzitutto qualche antefatto. È nota la circolare che la Congregazione dei Seminari e delle Università diramò a tutti i vescovi e ai rettori o superiori di tali istituti il 13 aprile 1938 contro calumnias atque doctrinas perniciosissimas che si stavano spargendo in Germania (ma vi erano fondati timori anche per l'Italia), chiedendo che i docenti, con la forza della filosofia, della biologia, della storia, dell'apologetica confutassero presso i giovani studenti tesi siffatte (ut perabsurda quae sequuntur dogmata valide sciteque refellant); fra le tesi condannate ben cinque su otto riguardavano la razza e le dottrine razziali hitleriane.

Prima di osservare il panorama italiano non sarà inutile, tuttavia, fare un inciso sui rapporti personali tra il duce e Pio XI, i quali, come vedremo, hanno avuto la loro rilevanza anche nel merito delle leggi razziali.

Mussolini, specie negli anni della Conciliazione, non aveva mancato di dichiararsi credente, e ciò in aperto contrasto con l'atteggiamento del suo futuro alleato, Hitler, apertamente non credente. Per esempio, nell'agosto del 1930, Mussolini aveva dichiarato a monsignor Borgongini-Duca:  "Io pure sono credente:  altro che! Ma gli uomini mi hanno fatto cattivo" (asv, aes, Italia, Pos. 739 p. o., fasc. 251, f. 76). Questa sua apertura alla fede, rappresentava agli occhi di Pio XI un'opportunità per avere accesso alla stessa coscienza di Mussolini, con il quale sarebbe stato quindi possibile usare anche il tono del dialogo "paterno", a differenza di altri capi di Stato o di Governo, atei o scettici, con i quali il Papa avrebbe potuto usare solo il linguaggio della diplomazia. In definitiva, Pio XI sentiva di poter trattare con Mussolini in maniera più aperta e diretta, instaurando un rapporto simile a quello che Papa Ratti ebbe con un una figura analoga a quella del duce, ovvero il maresciallo polacco Pilsudski.

Questa sorta di confidenza, incrinatasi negli anni dei contrasti sull'Azione cattolica e della guerra in Etiopia, tornò utile nel momento della punta massima del conflitto tra la Santa Sede e il regime hitleriano, ovvero quando si decise la promulgazione dell'enciclica Mit brennender Sorge (1937). Mussolini mantenne in quella circostanza un atteggiamento ambiguo, riguardoso nei confronti della Chiesa cattolica ma, al tempo stesso, sempre più vicino alle posizioni dell'alleato tedesco; tale ambiguità emerse palesemente in occasione del viaggio di Mussolini in Germania del settembre 1937 (cfr. asv, aes, Germania, Pos. 724 p. o., fasc. 339).

Nel tempo Pio XI ebbe sempre più sentore del doppio linguaggio di Mussolini, tuttavia spererà ancora, e a lungo, nella possibilità di avere una qualche influenza sul duce, e che questa potesse valere a impedirgli di seguire la rotta di Hitler ("Il nunzio riferisce di avere confidenzialmente ripetuto al ministro Ciano una frase del Papa:  "Mi rincresce che Hitler abbia chiamato Mussolini il suo più grande amico, perché Hitler è nemico di Dio!". Il Santo Padre scatta:  "Ma non è così che ho detto io ! (...) Io ho detto grande amico non il più grande amico. C'è differenza!""; asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, f. 118).

Tornando al nostro tema, noteremo come negli stessi mesi in cui si approntavano le leggi razziali italiane, Pio XI - che si trovava a Castel Gandolfo nella sua deliberata "vacanza" per stare lontano dall'Urbe che accoglieva Hitler - nel giugno del 1938 incaricava il gesuita John La Farge di redigere una bozza di lettera enciclica sull'"unità del genere umano" (che sarà poi la Humani generis unitas); testo assolutamente avverso al razzismo fascista e nazista, la cui pubblicazione non avvenne per la prematura morte del Papa, ma il cui testo ci è noto (Georges Passelecq - Bernard Suchecky, L'Encyclique cachée de Pie xi, Paris 1995; traduzione italiana Milano 1997; Giovanni Miccoli, L'enciclica mancata di Pio XI sul razzismo e l'antisemitismo, in "Passato e presente", 15, 1997, pp. 35-54; Giovanni Sale, "Humani generis unitas". L'enciclica mai pubblicata di Pio XI sul razzismo, in "La Civiltà Cattolica", 2-16 agosto 2008, pp. 213-226).

Il 15 luglio 1938, ricevendo in udienza la suore di Nôtre-Dame du Cénacle (legate a lui dai tempi del suo ministero sacerdotale milanese), Pio XI raccontò di essere venuto a conoscenza proprio in quel giorno di "qualcosa di ben grave" che assumeva i contorni di una "vera apostasia" - è ovvio pensare al Manifesto degli scienziati razzisti che recava la data del giorno precedente) e ribadiva (non certo per le suore presenti, quanto per chi stava a Roma intento ad assecondare i desideri di Hitler) che "cattolico vuol dire universale" e che discriminare gli uomini secondo la nazionalità o la razza "non è più soltanto un'altra idea errata, è tutto lo spirito della dottrina che è contrario alla fede di Cristo" (Fattorini, p. 176:  Sale in "La Civiltà Cattolica", 5 luglio 2008, p. 17). È evidente che qui Papa Ratti si riferiva alle serpeggianti tesi razziste.
 

Pochi giorni dopo la pubblicazione del citato Manifesto, ricevendo in udienza il 21 luglio gli assistenti dell'Azione cattolica, Pio XI, ben conscio ormai di quanto stava per succedere, ribadiva:  "Cattolico vuol dire universale, non razzistico, nazionalistico, separatistico (...). C'è purtroppo cosa che è assai peggio che una formula o un'altra di razzismo e di nazionalismo, ossia lo spirito che le detta" ("L'Osservatore Romano", n. 169, 23 luglio 1938, p. 1).

Il 28 luglio Pio XI si rivolgeva agli alunni di Propaganda Fide con parole che suscitarono poi le ire di Mussolini:  "Si dimentica che il genere umano, tutto il genere umano, è una sola, grande, universale razza umana. L'espressione genere umano denota appunto la razza umana (...). Né può tuttavia negarsi che in questa razza universale non vi sia luogo per razze speciali, come per tante diverse variazioni come per molte nazionalità che sono ancora più specializzate. (...) Ci si può chiedere come mai l'Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare in Germania (...). Bisogna chiamare le cose con il loro nome se non si vuole incorrere in gravi pericoli, in quello, tra gli altri, di perdere anche proprio il nome, anche la nozione delle cose" ("L'Osservatore Romano", n. 176, 30 luglio 1938, p. 1).

Mussolini, che si trovava allora a Forlì, accuserà il colpo e si lamenterà con il ministro Ciano e questi con Borgongini Duca, usando parole irrispettose verso il Pontefice (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 81-96); al contrario, associazioni di ebrei, come l'Alliance Israélite universelle, ringraziarono Pio XI per il suo coraggioso discorso:  Aujourd'hui Rome a parlé, c'est-à-dire la plus haute autorité morale qui soit dans l'univers civilisé. L'Alliance Israelite est heureuse d'adresser son hommage, avec son espérance, à un langage aussi élevé (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, f. 46). E nuovamente, il 12 agosto, "L'Osservatore Romano" ospitava in prima pagina un articolo intitolato "Una citazione berlinese" che smentiva le interpretazioni faziose del discorso pontificio apparse sul giornale tedesco "National Zeitung" e ammoniva gli italiani a informarsi opportunamente sulle direttive pontificie in fatto di razza, così come facevano organi di stampa inglesi, svizzeri e francesi.

A Milano intanto vi era chi si occupava di censurare il discorso del Papa, eseguendo certo gli ordini di Mussolini, e Pacelli registra l'udienza con Pio XI del 20 agosto in questi termini:  "Scrive P. Gemelli al S. Padre che il Prefetto di Milano (era questi Giuseppe Marzano, che fu Prefetto di Milano dal giugno 1937 ad agosto 1939) ha chiamato il redattore capo delle pubblicazioni dell'Università del S. Cuore e lo ha obbligato a sottoscrivere la dichiarazione che non pubblicherà il discorso del S. Padre sul razzismo del 28 luglio. La cosa è tanto più enorme trattandosi di una Università e di una parola pontificia. Pur troppo fu fatto anche in altri casi, ma questi possono tenersi rappresentati dal caso presente quando si pensi che cosa è l'Università cattolica per il Papa. Quindi o lui provvede, o provvederà il S. Padre parlando e scrivendo come crederà bene. Lo si deve alla Chiesa" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 430a, fasc. 355, ad diem).

In questo contesto, Pio XI non cessò di far sentire la sua voce. Subito dopo il discorso di luglio era stato preparato un lungo articolo per "L'Osservatore Romano", che avrebbe dovuto spiegare il senso delle sue parole. Il testo, forse per le reazioni che avrebbe potuto suscitare, non venne pubblicato sul quotidiano vaticano, ma Pio XI volle che fosse ripreso all'estero, dove trovò spazio tra le colonne del giornale elvetico "La Liberté" del 6 agosto (cfr. asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 729, ff. 8-13).

Tra settembre e novembre del 1938 vide la luce il gruppo di decreti fascisti inerenti le leggi razziali e il 5 settembre il Governo pubblicava il Provvedimento per la difesa della razza nella scuola fascista (gli ebrei e gli insegnanti ebrei non poterono tornare nelle scuole statali e parastatali alla fine delle vacanze estive). Pio XI il 6 settembre riceve un pellegrinaggio della radio cattolica del Belgio e di getto pronuncia un discorso rimasto celebre:  "Ascoltate attentamente. Abramo è definito il nostro patriarca, il nostro avo (...). L'antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare (...). L'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti" (Miccoli, p. 309; Fattorini, p. 181). Tre giorni dopo, nel verbale di udienza del 9 settembre con Papa Ratti, Pacelli registrava:  "Il P. Tacchi Venturi dica a Mussolini:  che il S. Padre come italiano si contrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano per aprire la porta o la finestra a un'ondata di antisemitismo tedesco. Vi è un tesoro altissimo e verissimo del quale la Chiesa in un documento più sacro e solenne ci dice:  tutti quanti nel seno di Abramo, e Abramo patriarca nostro, di tutti quanti. Qui filii sunt promissionis aestimantur in semine (Romani, 9, 8); Patriarchae nostri Abrahae (Canon Missae)" (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 727).

Ricevendo in udienza di tabella monsignor Tardini il 16 ottobre - il cardinale Pacelli si trovava allora in Svizzera, come sua abitudine, per le sempre operose vacanze estive - accennando al "razzismo italiano", Pio XI disse "l'Italia e gli italiani sono un branco di pecore! Di questo non dobbiamo proprio esser grati a Mussolini" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, Appunti di Tardini, p. 15). È ancora Tardini che registra, nell'udienza del 19 ottobre, una ferma reazione di Papa Ratti che ci interessa:  "Leggo al Santo Padre un rapporto del Nunzio [Borgongini-Duca, nunzio in Italia] circa un reclamo del Governo italiano per alcune frasi che sarebbero state dette in un congresso eucaristico a Chiari (Brescia) contro il razzismo. Ascoltando le frasi incriminate Sua Santità commenta:  Benissimo! Giustissimo! Queste cose bisognerà pur che qualcuno le dica" (ibid., p. 23). Le due frasi pronunciate dai cattolici al congresso di Chiari erano le seguenti:  "Oggi si vuole la robustezza fisica come quella dei tori e degli allevamenti nelle stalle, mentre la nostra educazione deve mirare allo spirito", "Iddio certamente punirà il popolo tedesco e tutti coloro che si mettono per la sua strada" (colloquio del nunzio Borgongini-Duca con il ministro Ciano del 6 ottobre 1938 in asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 14, ff. 160-163).

Sempre sotto la data del 19 ottobre abbiamo nei verbali di udienza di Tardini:  "Per la questione del matrimonio degli ebrei Sua Santità ordina di fare presto un promemoria ufficiale, perché gli scritti e le trattative del P. Tacchi Venturi sono piuttosto cose private" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, Appunti di Tardini, p. 22); sempre Tardini ricorda:  "Il 20 ottobre vedo di nuovo S. E. Mons. Borgongini, il quale si è assunto l'incarico di preparare due promemoria per il Governo italiano:  uno circa il matrimonio, l'altro circa la questione degli ebrei. Sua Santità, infatti, ha ieri deciso che si prepari subito un documento ufficiale perché rimanga dimostrato che la S. Sede ha prevenuto il Governo italiano circa le dolorose conseguenze  delle  sue  nuove  leggi"   (ibidem, p. 25).

Circa l'udienza accordata al padre Tacchi Venturi dal Papa il 23 ottobre seguente, monsignor Tardini annota:  "Padre Tacchi Venturi ripete al Santo Padre che il Governo intende punire coloro che - contro le sue leggi - celebreranno il matrimonio religioso. Sulla questione razzista c'è assoluta intransigenza da parte del Governo. A questo punto io faccio notare che il Ministero della Cultura Popolare ha proibito a tutti i giornali, periodici e riviste di riprendere dall'Osservatore Romano articoli contro il razzismo e di pubblicare anche altri articoli di propria iniziativa, sia pure contro il razzismo tedesco. Il Santo Padre scatta e dice al Padre Tacchi Venturi:  Ma questo è enorme! Ma io mi vergogno... mi vergogno di essere italiano. E lei, Padre, lo dica pure a Mussolini! Io, non come Papa, ma come italiano mi vergogno! Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide. Io parlerò, non avrà paura. Mi preme il Concordato, ma più mi preme la coscienza. Non avrò paura! Preferisco andare a chiedere l'elemosina. Neppure chiedo a Mussolini che difenda il Vaticano. Anche se la piazza sarà piena di popolo, non avrò paura! Qui sono diventati tutti come tanti Farinacci. Sono veramente amareggiato, come Papa e come italiano!" (ibidem, pp. 37-38; Fattorini, pp. 183-184).

E ognuno sa quante difficoltà creò poi Mussolini, furibondo per l'atteggiamento di Pio XI, alla Santa Sede riguardo ai matrimoni misti e come il cardinale Pacelli fosse costretto a protestare ufficialmente con l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede Bonifacio Pignatti Morano di Custoza nel 1938 e nel 1939 (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 143-189).

La posizione di risoluto rigetto delle leggi razziali fu ribadita da Pio XI nell'udienza di tabella del 30 ottobre, questa volta registrata dal cardinale Pacelli, rientrato a Roma:  "Sulla legge del matrimonio circa la razza. Istruzione al P. Tacchi Venturi. Non essendosi data nessuna risposta alla domanda di far conoscere alla S. Sede il testo della nuova legge nella parte concernente il matrimonio fra persone di diversa razza, la S. Sede viene a trovarsi nella impossibilità di prendere una risoluzione qualsiasi circa un testo ad essa ignoto. Parlando il P. Tacchi Venturi potrebbe dire:  se voi proprio volete pubblicare la vostra legge, la S. Sede e l'Episcopato si troveranno nelle necessità di fare quello che il dovere del loro ministero esigerà" (asv, aes, Italia, Pos. 1063, fasc. 755, f. 127).

A questo punto si consuma la rottura personale fra Mussolini e il Papa, che ormai trova sordo il suo interlocutore, definito infine come "scortese e fedifrago"; sarà proprio la questione dei matrimoni "misti", vietati con inusitata severità dalle leggi italiane, che diverrà il centro della protesta di Pio XI, il quale dai toni sfumati passerà alle vie della diplomazia per ventilare l'ipotesi di un vulnus perpetrato da quelle leggi al Concordato e si arriverà così alla celebre allocuzione concistoriale che avrebbe dovuto aver luogo l'11 febbraio 1939; in essa il Papa avrebbe protestato contro il clima apertamente contrario alla Chiesa che ormai si respirava in Italia.

Infine, come ulteriore atto pubblico che manifestò la contrarietà della Chiesa cattolica alle leggi razziali (s'intende prima della mancata allocuzione concistoriale del febbraio 1939), si deve annoverare la risposta data alla lettera del cardinale Arthur Hinsley, arcivescovo di Westminster. Il 26 novembre del 1938 il porporato aveva scritto a Pacelli comunicando che "il 9 dicembre ci sarà una riunione pubblica a Londra allo scopo di chiedere aiuto e assistenza per tutti coloro che soffrono della persecuzione per motivi di razza o di religione", e chiedeva "una parola autentica del Santo Padre dichiarando il principio che in Cristo non esiste discriminazione di razza e che la grande famiglia umana deve essere unita in pace per mezzo di rispetto della personalità dell'individuo" (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 575 p. o., fasc. 606bis, ff. 3-4).

Nell'udienza del 3 dicembre concessa al cardinale Pacelli, Pio XI decideva che:  "Se la cosa fosse di carattere sostanzialmente privato, sarebbe più facile. D'altra parte, occorre togliere l'apparenza di aver paura di ciò che non si deve temere. Si potrebbe incaricare il cardinale Hinsley a parlare e, dicendosi sicuro di interpretare il pensiero del Sommo Pontefice, dicendo che la cosa coglie il Papa in un momento di tanta preoccupazione, non soltanto per la sua salute, ma anche per la quantità di cose. (...) Egli, cardinale di Santa Romana Chiesa, però dica di interpretarne il pensiero, che vede con occhio umano e cristiano ogni assistenza a quanti (sono) infelici e ingiustamente sofferenti" (ibidem, f. 8). Lo stesso 3 dicembre, queste parole del Papa vennero comunicate per telegrafo a Hinsley, perché se ne facesse portavoce in quell'assemblea (ibidem, f. 9).

Ci si può chiedere, di fronte a così chiare espressioni di riprovazione, se Pio XI fosse sorretto dalla sua curia e dall'episcopato cattolico oppure, come qualcuno ha scritto, fosse lasciato solo nella lotta contro le ideologie totalitarie. Certo vi furono uomini di Chiesa meno coraggiosi e meno "profeti" di Papa Ratti (fra questi bisogna ascrivere, almeno per alcuni periodi e per limitati aspetti, lo stesso nunzio in Italia Borgongini-Duca, il padre Gemelli e il gesuita Tacchi Venturi o taluni scrittori de "La Civiltà Cattolica"); questi degni ecclesiastici e religiosi, pur mossi dall'intento di ammorbidire i toni di uno scontro a volte aspro fra Pio XI e il Governo fascista e quindi di raggiungere, per quella strada, una auspicata modifica delle posizioni razziali fasciste, non videro - come invece aveva visto Papa Ratti - le pericolose premesse e le scontate funeste conseguenze della dottrina fascista sulla razza, che finì per preparare il terreno alle deportazioni naziste degli ebrei, tristemente note.

Altri prelati però, nell'epifania del 1939, si pronunciavano apertamente contro la discriminazione degli ebrei in ragione della loro razza; si ricordano l'arcivescovo di Bologna Giovanni Battista Nasalli Rocca, l'arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster e l'allora delegato apostolico in Turchia Angelo Giuseppe Roncalli, che aveva parole chiarissime contro il razzismo nell'omelia tenuta nella chiesa francese dello Spirito Santo a Istanbul (Fattorini, p. 203). Queste prese di posizione non sembrano dovute a una semplice coincidenza di tempo e di argomento, quanto piuttosto una direttiva che per le solite vie riservate e allusive della diplomazia vaticana si era rivolta ai presuli.

Né questi furono soli, perché proteste contro le leggi razziali vennero anche da diversi pastori, come il vescovo di Trieste, Antonio Santin, o dal cardinale arcivescovo di Torino Maurilio Fossati (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 97-106), per tacere di altri. Vanno ricordate poi anche le accoglienze riservate dai presuli italiani alla circolare della Congregazione degli Studi contro le degenerazioni della dottrina della razza; circolare ripubblicata in lingua italiana in numerosissimi bollettini diocesani con commenti degli stessi vescovi o di ecclesiastici in piena sintonia con le direttive di Pio XI. In taluni casi fu necessario combattere contro la censura che il fascismo voleva imporre anche ai bollettini diocesani sull'argomento della razza e sui discorsi del Papa, come fu il caso di Padova, con le proteste del vescovo Carlo Agostini, o di Brescia, come scriveva il vescovo Giacinto Tredici al segretario di Stato il 19 agosto, di Nicosia, con rimostranze del vescovo Agostino Addeo, o ancora di Cremona, con la lettera del vescovo, Giovanni Cazzani, a Farinacci dell'8 agosto 1938 ("Questa parola ebbe corso e senso dal culto esagerato, pagano, anticristiano e antiromano della razza - scriveva il presule - professato e attuato in provvedimenti legislativi nella Germania di Hitler"); persino alcuni fascisti cattolici di Reggio Calabria inviarono a monsignor Tardini una "lettera aperta" a Mussolini molto critica sul contegno del duce verso il Papa e anche verso le leggi razziali (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, ff. 10-28).

Il consenso con le prese di posizione anti-razziste di Papa Ratti giungeva a Roma da varie nazioni del mondo:  "Impressione in Costarica circa razzismo è generalmente sfavorevole Governo Italiano e di simpatia verso Santo Padre", telegrafava da San José di Costarica il nunzio Chiarlo in data 9 agosto 1938 (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, f. 4); stesso atteggiamento abbiamo da parte di cattolici in Inghilterra, Austria, Belgio, Francia, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Ungheria e da diverse altre nazioni. Persino dalla Polonia un certo Maurycy Widerszal il 13 agosto 1938 scriveva a Pio XI (tradotto in italiano in Segreteria di Stato):  "Santità, chi scrive è un ebreo di nascita, ma di anima, di cuore e di sangue il cento per cento polacco, amante la propria patria, dove morirono i suoi antenati. Ringrazio Vostra Santità perché ha voluto coraggiosamente ammonire i potenti, perché ha avuto parole di conforto per gli oppressi" (ibid., ff. 59-61).

Un gruppo di ebrei di Roma presentò al Papa i propri auguri per le feste natalizie del 1938 con queste parole:  "Nella imminenza del Santo Natale, Beatissimo Padre, vogliate renderVi interprete di tutti i cuori che soffrono e di tutte le anime che trepidano, indirizzando a tutti, popoli e reggitori, l'autorevole parola di una Vostra Enciclica per ricordare l'amore, la carità, la fratellanza cristiana, il disarmo spirituale nell'angelicato saluto natalizio:  Gloria a Dio nel più altro dei Cieli, pace in terra agli uomini di buona volontà. E questo saluto, questa invocazione, questa preghiera sia la migliore strenna natalizia del 1938 per la Umanità tutta che in Voi si affida, Padre Santo. Prostrati ai Vostri piedi, questi voti umiliano i Figli Vostri d'Israele" (ibid., f. 72). Già da diversi mesi Papa Ratti, quasi presagendo istanze consimili, aveva dato ordine che si lavorasse a preparare appunto una enciclica - poi ripresa dalla Summi pontificatus - che servisse a unire, non a dividere le razze, a cementare la concordia, non la divisione settaria, a esaltare la Croce di Cristo, non la croce uncinata tedesca verso la quale Mussolini e l'Italia fascista si erano pericolosamente incamminati.



(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2008)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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L'ANGELICO PASTORE
Pio XII
amico e benefattore degli Ebrei

Alcune testimoninanze

«L’elezione del cardinale Pacelli non è accettata con favore dalla Germania perché egli si è sempre opposto al nazismo»

Berliner Morgenpost(organo del movimento nazista), 3 marzo 1939.

«In una maniera mai conosciuta prima il papa ha ripudiato il Nuovo Ordine Europeo Nazionalsocialista. È vero che il papa non ha mai fatto riferimento al Nazionalsocialismo germanico per nome, ma il suo discorso è un lungo attacco ad ogni cosa che noi sosteniamo ed in cui crediamo ... Inoltre egli ha parlato chiaramente in favore degli ebrei»

Rapporto della Gestapo riportato nel servizio "Judging Pope Pius XII", Inside the Vatican, giugno 1997, p. 12.

«Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione in Germania, guardai con fiducia alle università sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità. Ma le università vennero zittite. Allora guardai ai grandi editori dei quotidiani che in ardenti editoriali proclamavano il loro amore per la libertà. Ma anche loro, come le università vennero ridotti al silenzio, soffocati nell’arco di poche settimane.
Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità.
Io non ho mai provato nessun interesse particolare per la Chiesa prima, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l’ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che io una volta disprezzavo, ora lodo incondizionatamente».

Dichiarazione di Albert Einstein pubblicata da Time magazine, 23 dicembre 1940, p.40.

«Il Congresso dei delegati delle comunità israelitiche italiane, tenutosi a Roma per la prima volta dopo la liberazione, sente imperioso il dovere di rivolgere reverente omaggio alla Santità Vostra, ed esprimere il più profondo senso di gratitudine che anima gli ebrei tutti, per le prove di umana fratellanza loro fornite dalla Chiesa durante gli anni delle persecuzioni e quando la loro vita fu posta in pericolo dalla barbarie nazifascista».

Attestato delle Comunità israelitiche italiane che si trova al Museo della Liberazione in Via Tasso a Roma.

«Il clero italiano aiutò numerosi israeliti e li nascose nei monasteri e il Papa intervenne personalmente a favore di quelli arrestati dai nazisti».

Gideon Hausner procuratore Generale israeliano nel processo contro Eichmann, il 18 ottobre 1961.

«I ripetuti interventi dei Santo Padre in favore delle comunità ebraiche in Europa evocano un profondo sentimento di apprezzamento e gratitudine da parte degli ebrei di tutto il mondo".

Rabbino Maurice Perizweig, direttore del World Jewish Congress

«Quando il terribile martirio si abbattè sul nostro popolo, la voce dei Papa si elevò per le sue vittime. La vita dei nostro tempo fu arricchita da una voce che chiaramente parlò circa le grandi verità morali. ( ... ) Piangiamo un grande servitore della pace».

Golda Meir, 8 ottobre 1958

«Il mio parere è che il pensare che Pio XII potesse esercitare un influsso su un minorato psichico qual era Hitler poggi sulla base di un malinteso. Se il Papa avesse solo aperto bocca, probabilmente Hitler avrebbe trucidato molti di più dei sei milioni di ebrei che eliminò, e forse avrebbe assassinato centinaia di milioni di cattolici, solo se si fosse convinto di aver bisogno di un tale numero di vittime. Siamo prossimi al 9 novembre, giorno in cui ricorre il venticinquesimo anniversario della Notte dei Cristalli; in tal giorno noi ricorderemo la protesta fiammeggiante che Pio XII elevò a suo tempo. Egli divenne intercessore contro gli orrori che a quel tempo commossero il mondo intero»

Dichiarazione del gran Rabbino di Danimarca, dott. Marcus Melchior, riportata da KNA (agenzia di stampa danese), dispaccio n. 214, 5 novembre 1963

[SM=g1740729]  e' ora di finirla con le menzogne conto il Papa e contro la Chiesa!!

Nel mio archivio ho questo articolo di Andrea Torniella tratto da "Il Giornale" di Venerdí 17 Agosto 2001 in difesa di Pio XII.

"Pio XII é stato un grande amico degli ebrei e merita di essere proclamato Giusto tra le Nazioni. Se si valutano con serenitá i fatti risulta ingenerosa e infondata l'accusa che gli viene rivolta: quella di essere stati in silenzio di fronte alla barbaria nazista". Ad esprimersi cosí non é qualche anziano prete cattolico o uno dei noti difensori d'ufficio di Papa Pacelli, ma un autorevole esponente della comunitá ebraica. Quando, lo scorso febbraio, il rabbino David Dalin ha firmato un lungo e documentato dossier su Pio XIi, pubblicato sulle pagine del settimanale The Weekly Standard, la sua testimonianza é stata accolta con un gelido e imbarazzato silenzio. E in Italia quasi nessuno ha riportato i suoi giudizi. Nel pomeriggio di mercoledí 22 agosto, al Meeting di Rimini, Dalin parteciperá insieme al senatore Giulio Andreotti a una tavola rotonda su Pacelli e gli ebrei. Il rabbino americano ha accettato di anticipare alcuni dei contenuti della sua relazione in questa intervista.

Rabbino Dalin, come nascono le accuse contro Pio XII?

"Ancora prima che il Papa morisse, in Europa venne messa in circolazione l'accusa che il suo pontificato fosse stato favorevole ai nazisti: un pezzo classico della propaganda comunista contro l'Occidente. Ma quelle voci non attecchirono e nel 1958 vennero sommerse da un'alluvione di omaggi verso la figura di Pacelli, molte dei quali provenivano dalle piú alte autoritá del mondo ebraico".

Un decisivo cambiamento di rotta arriva nel 1963 con il dramma "Il Vicario" di Rolf Hochuth che ora il regista Costa Gavras sta trasformando in un film. Come giudica questa piéce teatrale?

"É un'opera teatrale di fantasia, altamente polemica. Scritta da un drammaturgo tedesco di sinistra che aveva militato nelle file della Gioventú hitleriana. E l'accusa di indifferenza verso il dramma degli ebrei, che rivolge a Pio XII é stato "l'ecclesiastico piú pericoloso della storia moderna", un uomo "senza il quale Hitler non avrebbe mai potuto attuare l'Olocausto". Lui e altri autori stanno tentando di infangare la memoria di Papa Pacelli denigrandolo. Mi colpisce il fatto che quasi tutti questi attacchi arrivino da cattolici non praticanti, appartenenti all'area del dissenso, spesso ex seminaristi o preti.".[SM=g1740730]

E questo che cosa significa?

"C'é un aspetto inquietante su quasi tutte le pubblicazioni che accusano Pio XII. Nessuna di queste ha come tema l'Olocausto. Tutti questi autori utilizzano le sofferenze degli ebrei di 50 anni fa per criticare certi aspetti del papato e magari imporre dei cambiamenti nella Chiesa Cattolica di oggi. É un abuso dell'Olocausto stesso, che va rifiutato".

Per lei, rabbino Dalin, Papa Pacelli fu filonazista?

"Se si leggono attentamente i dodici volumi di documenti pubblicati dalla Santa Sede, si consderano una ad una tutte le testimonianze e gli attestati di riconoscenza degli ebrei durante e dopo la guerra, e si leggono i discorsi pronunciati dal Pacelli in quegli anni, la conclusione é una sola: Pio XII non fu mai il "Papa di Hitler". É stato quanto di piú vicino a loro gli ebrei potessero sperare".

Lei peró ha scritto che avrebbe preferito sentir proncunciare dalle labbra di Pio XII una scomunica contro Hitler.

"É vero, credo che il Papa avrebbe perlomeno dovuto tentare la scomunica".

E quali pensa sarebbero stati gli effetti di questo atto?

"Qui sta il problema. Molti elementi fanno pensare che la scomunica sarebbe rimasta un gesto puramente simbolico e non avrebbe portato risultati. Anzi, é provato che una simile presa di posizione avrebbe avuto un effetto di segno opposto. Chi ha studiato e consoce la psicologia di Adolf Hitler concorda nel dire che la scomunica avrebbe causato violente rappresaglie e avrebbe messo a repentaglio le vite di molti altri ebrei, compresi quelli che avevano trovato rifugio nelle strutture della Chiesa".

Il Papa peró avrebbe fatto una bella figura agli occhi del mondo....

"L'ex rabbino capo di Danimarca, Marcus Melchior, ha scritto: "Se il Papa si fosse espresso pubblicamente, Hitler avrebbe probabilmente massacrato ben piú di sei milioni di ebrei, e forse anche milioni di cattolici". Pio XII aveva dinanzi agli occhi quanto era accaduto in Olanda nel luglio 1942: i vescovi olandesi avevano denunciato le deportazioni e per tutta risposta i nazisti aumentarono la persecuzione. L'Olanda fu il Paese dove furono deportati in assoluto piú ebrei".

Lei condivide l'appellativo di "Papa dei silenzi"?

"Qualsiasi esame critico e scrupoloso delle prove dimostra che Pacelli é stato un tenace critico del nazismo Dei 44 discorsi da lui proncunciati mentre era nunzio in Germania, ben 40 denunciavano qualche aspetto dell'emergente ideologia nazista. E nei radiomessaggi natalizi, durante la guerra, piú volte il Papa denucnió le persecuzioni. Nel 1942 Pio XII paró delle "centinaia di migliaia di uomini che, senza colpa, a volte solo per questioni di nazionalitá o razza, sono condannati a morte".

Gli accusatori di oggi, dicono che quelle parole erano insufficienti e vaghe.

"Sí, oggi loro dicono cosí. Ma allora, durante la guerra, tutti capirono che cosa diceva il Papa. Dal New York Times al London Times, dai gironali degli ebrei ad Albert Einstein: tutti elogiarono le denunce di Pio XII contro la barbaria nazista. Anche i nazisti se ne accorsero e dissero che il discorso di Pacelli era "un lungo attacco" cotnro i loro ideali. I giornali del Reich dipingevano Pio XII come un servo degli Alleati".

Lei ha proposto che Papa Pacelli sia proclamato "Giusto tra le Nazioni" e ottenga cosí il massimo riconoscimento da parte degli ebrei. Perché?

"Perché come ha ben documentato lo studioso ebreo Pinchas Lapide, grazie all'aiuto di Pacelli e della Chiesa Cattolica furono salvate le vite di 800mila ebrei. Perché Pio XII fece aprire le porte di chiese e conventi per accogliere i perseguitati. Perché al termine della guerra e al momento della morte fu elogiato e ringraziato dalle massime autoritá del mondo ebraico, da Golda Meir al rabbino capo di Gerusalemme Isaac Herzog, dal segretario del Congresso mondiale ebraico - che regaló al Papa 20mila dolalri in segno di gratitudine - al rabbino di Roma Elio Toaff. Bisogna smetterla con le accuse dei revisionisti. Nonsi possono mettere in discussione le tantissime univoche testimonianze dei sopravvissuti, non si puó ignorare la parola degli ebrei di allora. Papa Pacelli merita quel titolo piú di Osca Schindler, perché nessun altro Papa nella storia ë stato cosí ampiamente apprezzato dagli ebrei. É stato un vero amico del nostro popolo perseguitato e con la sua azione in quegli anni ha salvto piú vite ebraiche di ogni altra persona. Mi auguro che la veritá storica venga alla luce".

Lo storico Wistrich contro il Vaticano

"La protezione degli interessi della Chiesa" é per la Segreteria di Stato Vaticana piú importante della "purificazione della memoria" chiesa da Papa Giovanni Paolo II o della logica scientifica di ricerca della veritá ovunque questa possa portare". Lo afferma lo storico ebreo Robert Wistrich, membro del gruppo misto che aveva il compito di far luce sul ruolo svolto da papa Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo studioso, dalle colonne del settimanale israeliano Jerusalem Repor, afferma che il rifiuto del Vaticano di dare alla commissione di storici pieno accesso a tutti i documenti "indica che c'é una forte resistenza a una politica di piú grande apertura e trasparenza". E attacca duramente padre Pete Gumpel, relatore della causa di beatificazione di Pacelli.




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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Fango contro Pio XII

di Antonio Gaspari


Antonio Gaspari
, giornalista, dirige "Greenwatch news", agenzia di stampa specializzata su tematiche ambientali. E` il corrispondente da Roma di "Inside the Vatican" e "Zenit". Collabora con importanti periodici cattolici, tra cui "Avvenire", "L'Osservatore Romano", "Mondo e Missione", "Catholic World Report", "National Catholic Register". Da questo numero inizia la sua collaborazione a "il Timone".

Un libro, pubblicizzato in tutto il mondo, accusa Pio XII di avere aiutato
Hitler a prendere il potere. Ma ciò che si vuole colpire non è un Papa:
è la concezione cattolica del papato. L' Osservatore Romano smonta le calunnie.

Nel mese di ottobre 1999, l'editrice britannica Viking ha pubblicato il libro: "Hitler's pope: The Secret History of Pius XII" (Il Papa di Hitler: la storia segreta di Pio XII). L'autore del volume è John Cornwell, fratello del più famoso John Le Carrè, che in realtà si chiama David Cornwell.
Come e gia evidente nel titolo, John Cornwell sostiene che Papa Pio XII era antisemita e che aiutò Adolf Hitler a prendere il potere.
Nella presentazione del volume la Viking ha scritto che si tratta della "storia mai raccontata del più pericoloso uomo di chiesa della storia moderna".
Il libro contiene accuse gravissime contro Pio XII, il quale non sarebbe responsabile solo del "silenzio" nei confronti delle atrocità naziste, ma addirittura avrebbe contribuito alla presa del potere da parte dei nazisti. A giudizio di Cornwell "Hitler non avrebbe mai avuto il potere di perpetrare 1'olocausto senza 1'aiuto di Pacelli".
Cornwell sostiene inoltre che Pio XII era antisemita, narcisista, e il suo pontificato è stato segnato da ambizioni politiche e spirituali, le stesse che "starebbero influenzando il pontificato di Giovanni Paolo II".
Come era ovvio, il libro di Cornwell ha scatenato un'infinità di polemiche. Padre Pierre Blet, che insieme a Angelo Martini, Burkhart Schneider e Robert A. Graham ha curato, su incarico di Papa Paolo VI, la pubblicazione dei dodici volumi: "Atti e documenti della Santa Sede durante la Seconda Guerra Mondiale", ha dichiarato che: "II libro di Cornwell è molto confuso. Non si tratta di una vera analisi storica. Mancano i documenti a sostegno delle sue tesi. Vengono mosse accuse gravissime a Pio XII, senza la prova dei fatti".
Padre Georges Cottier, teologo della Casa Pontificia e presidente della Commissione teologico - storica del Giubileo, ha spiegato che: "Contro Papa Pio XII si assiste ad uno scandalismo continuo, disonesto. Sono ormai quasi quarant'anni che accuse di ogni genere sono riversate contro la memoria del pontefice scomparso nel 1958, ma ogni volta non mi riesce di trovare una spiegazione a questo accanimento".
Padre Peter Gumpel, relatore per la causa di beatificazione di Papa Pacelli, ha scritto che: "Il libro di John Cornwell è scadente, superficiale e poco attendibile, l'autore è così prevenuto, tendenzioso e unilaterale che c'è da chiedersi che cosa lo abbia spinto a scrivere un libro così calunnioso".

La Santa Sede ha risposto indignata alla tesi di Cornwell con una precisazione pubblicata da L'Osservatore Romano in cui la credibilità dell'autore britannico viene totalmente distrutta. Cornwell ha affermato che il suo libro è frutto di mesi di lavoro nell'archivio della Segreteria di Stato. L'Osservatore Romano precisa invece che Cornwell ha consultato l'archivio della sezione per i Rapporti con gli Stati dal 12 maggio al 2 giugno 1997. Ha lavorato per meno di un'ora al giorno per circa tre settimane. Oggetto della sua ricerca sono stati la Baviera (1918-1921), 1'Austria, la Serbia e Belgrado (1913-1915), una documentazione che non ha neanche utilizzato.

Cornwell ha affermato che i documenti da lui e trovati erano stati tenuti strettamente segreti fino a quando egli svolse la sua ricerca. A questo proposito egli sostiene di aver trovato un documento esclusivo e inedito del 1919 che proverebbe 1'antisemitismo di Pacelli. Cornwell parla di questa lettera come di "una bomba a tempo" (Like a timebomb) che sarebbe stata tenuta segreta nell'Archivio Vaticano. In realtà L'Osservatore Romano fa notare che tale lettera (di cui Cornwell cita solo alcune frasi avulse dal contesto) era già stata pubblicata per intera in Italia sette anni fa, nel volume scritto da Emma Fattorini "Germania e Santa Sede - la nunziatura di Pacelli fra la Grande Guerra e la Repubblica di Weimar" (Società Editrice Il Mulino, 1992).
Critiche dure sono state mosse a Cornwell non solo dagli ambienti cattolici ma da storici e studiosi di estrazione diversa.

A questo proposito, Kenneth L. Woodward ha scritto sul settimanale statunitense Newsweek che "errori nel raccontare i fatti e ignoranza del contesto storico appaiono in quasi ogni pagina del libro". Anche 1'autorevole professore ebreo Michael Marrus, storico e preside di Graduate Studies presso 1'Università di Toronto, ha definito il libro di Cornwell "superficiale scandalistico".

Nonostante la qualità scadente e le tante mistificazioni, il libro di Cornwell è stato oggetto di una delle più vaste e diffuse campagne pubblicitarie mai fatte per un volume di questo tipo.
Sembra quindi evidente che "Hitler's pope" sia stato pensato come strumento per gettare fango sulla figura di una grande Papa come Pio XII, anche se questo sembra essere solo il primo degli scopi.
In realtà, il libro di Cornwell non mira solo a diffamare Pio XII. Si tratta di un attacco alla concezione cattolica del papato. Nel libro, infatti, Cornwell protesta contro la nomina dei Vescovi decisa dal Papa. Se la prende con la dichiarazione di infallibilità del Concilio Vaticano Primo e contro la definizione dei dogmi mariani. Cornwell sostiene che tutti i papi sono dittatori. Nell'ultimo capitolo critica Giovanni Paolo II, che a suo giudizio dirige la Chiesa in maniera più autoritaria di Pio XII.

Inoltre, analizzando alcuni commenti positivi al libro di Cornwell, che pure ci sono stati, è esplicita la richiesta di ritardare o addirittura fermare il processo di beatificazione del Servo di Dio Eugenio Pacelli. E proprio quest'ultimo sembra essere 1'obiettivo più significativo che il libro di Cornwell vorrebbe raggiungere. Ma se si vanno a guardare le reazioni della Santa Sede, del mondo cattolico ed anche della società civile in tutti i Paesi dove il libro di Cornwell è stato pubblicato, si ha la netta impressione che questa volta Cornwell e i suoi sostenitori abbiano sbagliato a fare i conti. Sembra proprio vero il detto che dice: "Chi semina vento raccoglie tempesta".

Bibliografia


Pierre Blet, Sl, Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale negli Archivi Vaticani, San Paolo, Cinisello Balsamo (Ml) 1999.
Margherita Marchione, Pio XII e gli ebrei, Pan Logos editoriale Pantheon, 1999.
Vitaliano Mattioli, Gli Ebrei e la Chiesa. 1933-1945, Mursia, Milano 1997.
Antonio Gaspari, Nascosti in convento, Ancora, Milano 1999.



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Una suora racconta la storia degli Ebrei “nascosti in convento”
Intervista a Suor Grazia Loparco
ROMA, martedì, 18 gennaio 2005 (ZENIT.org).- Nessuno sa esattamente quanti Ebrei furono nascosti e salvati in Europa dalla Chiesa cattolica. Secondo lo storico ebreo Emilio Pinchas Lapide, già console generale a Milano “la Santa Sede, i Nunzi e la Chiesa cattolica hanno salvato da morte certa tra i 740.00 e gli 850.000 Ebrei” (cfr. E.P. Lapide, “Three Popes and the jews”, Londra, 1967).
Si calcola che in Italia più dell’80% degli Ebrei scampò al genocidio nazista. Solo a Roma la Comunità ebraica ha attestato che la Chiesa ha salvato dalla Shoah 4.447 Ebrei.
Per ricostruire le vicende e documentare una pagina di storia che nel giro di pochi anni andrebbe perduta, a causa della carenza di documentazione scritta e della rapida scomparsa dei protagonisti, l’associazione culturale “Coordinamento Storici Religiosi” (www.storicireligiosi.it), sta conducendo una ricerca sugli Ebrei ospitati nelle case religiose di Roma tra l’autunno 1943 e il 4 giugno 1944.
Intervistata da ZENIT, Suor Grazia Loparco, fma, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà “Auxilium”, e vicepresidente dell’associazione, ha spiegato che tale ricerca “costituisce un punto di partenza, in vista di una ricostruzione più ampia, che abbraccia lo stesso fenomeno nel centro-nord Italia, dove l’emergenza assunse connotazioni proprie e più prolungate, e al tempo stesso interessò numeri localmente più contenuti rispetto alla grande comunità romana”.
Quanti Ebrei furono salvati dalla Chiesa cattolica a Roma? E chi li salvò in particolare?
Suor Grazia: La comunità ebraica nel 1943 era costituita da 10.000 - 12.000 Ebrei. Secondo gli studiosi è difficile precisare il numero, tanto più che durante il conflitto altri Ebrei raggiunsero la capitale da altri stati europei, sperando di trovare maggiore sicurezza.
La ricerca avviata nel 2002-2003 consente di accertare un numero minimo di 4.300 Ebrei circa, ospitati nelle case religiose. Sicuramente si tratta di una cifra per difetto, sulla base della prima ricognizione pubblicata da De Felice nel 1961, che riprendeva un articolo della Civiltà Cattolica dello stesso anno, firmato da padre Robert Leiber.
Nella tabella che è stata pubblicata, in caso d’incertezza, ho tenuto il numero più basso. Non sarà possibile arrivare ai numeri precisi, sia perché non tutti i testimoni sapevano distinguere tra gli ospiti chi fosse ebreo e chi no (e il più delle volte furono compresenti anche renitenti alla leva o perseguitati politici), sia perché mancano elenchi nominativi, con rarissime eccezioni. Si aggiunga che talora gli Ebrei non rivelavano la propria identità, o era nota solo ai superiori.
Un ulteriore motivo di imprecisione è dovuta al fatto che la nostra ricerca concerne le case religiose e le parrocchie affidate a religiosi, non le parrocchie affidate al clero diocesano.
Si può supporre con fondamento che almeno la metà degli Ebrei romani trovarono rifugio presso istituzioni ecclesiali. Poco più di mille furono arrestati la mattina del 16 ottobre 1943 e alcune altre centinaia in seguito, soprattutto a causa delle delazioni, poiché per ogni Ebreo segnalato e arrestato si guadagnavano 5.000 Lire, mentre per le donne e i bambini 3.000 Lire.
Gli Ebrei in estremo pericolo, a causa del 16 ottobre 1943, trovarono immediato rifugio presso conoscenti, amici, a volte personale di servizio o commercianti cattolici; case religiose maschili e femminili, fino ai monasteri di clausura che non avrebbero potuto accoglierli senza una dispensa; parrocchie, seminari.
Non sempre però rimasero nello stesso luogo. Diventava molto difficile restare nascosti presso le famiglie private, perciò in molti casi cercarono rifugio nelle case religiose. E anche lì talora si spostarono.
Dopo il nascondimento immediato nei luoghi più centrali della città, vari cercarono di spostarsi verso zone più periferiche, potenzialmente più tranquille. Non di rado religiose e religiosi nascosero gli Ebrei sotto gli occhi dei nazisti, vicinissimi a edifici requisiti.
In che modo era organizzata la rete di assistenza ai perseguitati, e in quale misura il Pontefice Pio XII intervenne per sostenerla?
Suor Grazia: Vari testimoni ricordano le direttive provenienti oralmente da ecclesiastici vaticani circa l’opportunità di aprire conventi e istituti poiché era “l’ora della carità”. E la maggioranza lo fece, nella consapevolezza di non far altro che il proprio dovere, essendo in gioco la vita di persone ingiustamente perseguitate.
C’era la Delasem, un’organizzazione che prestò aiuti economici agli Ebrei in difficoltà, e c’era il mitico padre cappuccino, p. Benoit, che insieme ad altri lavorò nei pressi della Stazione Termini per fornire carte d’identità false e altri documenti, con la collaborazione di religiosi e religiose, oltre che di dipendenti comunali, di giovani di Azione Cattolica. Anche presso le Catacombe di Priscilla ci fu un altro nodo della rete di documenti falsi.
Alcune case religiose ricordano di aver ricevuto viveri dal Vaticano per alimentare gli Ebrei, che non di rado ingrossavano a decine il numero dei membri delle comunità. Ma molte altre volte, soprattutto le testimonianze delle religiose parlano dei grossi sacrifici per condividere il poco che avevano, razionato dalle tessere; il ricorso alla questua e al mercato nero per poter acquisire il necessario.
A volte gli Ebrei potevano pagare una pensione o provvedere direttamente al vitto, e molte volte no. Quasi mai, su migliaia di persone, vennero mandati via per non aver avuto di che pagare per mantenersi. Si aggiunga che l’ospitalità avveniva in modalità differenti secondo la tipologia delle opere: a volte si potevano ospitare interi nuclei familiari, altre volte solo donne e bambini, o uomini e ragazzi, o solo bambini senza adulti. Era importante poter camuffare le presenze tra gli abituali ospiti delle case.
In vari casi tuttavia gli Ebrei furono nascosti in cantine, rifugi sotterranei, stanze occultate, solai, sottoscala, trampetti… potendo uscire per sgranchirsi le gambe e prendere aria solo dopo l’orario scolastico. Trattandosi di ospedali e cliniche erano invece mimetizzati coi degenti.
Per alcune città come Firenze è certo che il cardinal Elia Dalla Costa fornì un elenco delle case religiose a cui gli Ebrei avrebbero potuto rivolgersi. A Roma sembrerebbe che la prontezza degli interventi fosse dettata dall’immediatezza dell’emergenza, a cui fece riscontro anche una rete capillare di collaborazione. Ad esempio il Sacro Cuore dei Salesiani, nei pressi della stazione Termini, divenne un centro di smistamento di gente da collocare, e non fu l’unico.
Dalla documentazione e dalle testimonianze emerge il pieno appoggio, e anzi l’invito di Pio XII, che, seppur solo orale, all’epoca era letto come un ordine autorevolissimo. Molti fatti concreti lo provano, come l’apertura di monasteri di clausura e conventi; il fatto che molti Ebrei venissero ospitati per diretto interessamento del Vaticano; alimenti e altre attività assistenziali fornite dallo stesso.
Non potrei dire di più, poiché è precluso l’accesso sia all’Archivio storico del vicariato di Roma per quel periodo, sia l’Archivio Segreto Vaticano, dove certamente si trova documentazione a riguardo, come lasciano trasparire alcuni indizi reperiti negli archivi degli istituti religiosi.
Nelle scorse settimane ci sono state molte polemiche intorno alla questione dei bambini ebrei strappati dalla Chiesa cattolica alla furia nazista, e poi in alcuni casi battezzati. Può dirci quali erano le direttive Vaticane in merito e quale fu l'incidenza di questo fenomeno a Roma?
Suor Grazia: Nella città di Roma si verificarono dei casi di richiesta di battesimo da parte di adulti e talora di giovani. Rarissimi casi (un solo istituto su centinaia) parlano di battesimi a bambini.
Un esempio può essere indice della mentalità del tempo: una suora racconta che portava con sé la bottiglia dell’acqua quando suonava l’allarme e dovevano nascondersi nei rifugi, perché, in caso di estremo pericolo, avrebbe battezzato i piccoli orfani che le erano affidati. Era la mentalità dell’ extra Ecclesia nulla salus.
Non ci fu bisogno. Invece ci sono testimonianze di Ebrei, all’epoca giovani o ragazzini, che sentirono il pieno rispetto della loro fede; la facilitazione e l’incoraggiamento a pregare secondo i propri usi; talora la condivisione della preghiera di qualche salmo con le religiose, nei casi di pericolo e di paura.
Altre volte si è accennato a una certa insistenza affinché gli ospiti si interessassero alla fede cattolica, al dispiacere che non potessero accedere alla salvezza, alla speranza di una conversione futura. Ma chi difendeva le proprie convinzioni veniva rispettato e non di rado ammirato per la coerenza.
Qualche volta si dissuase qualcuno che chiedeva il battesimo più nella speranza di cavarsela, che per vera convinzione. E rimasero ospiti di case religiose anche alcuni ragazzi che non sapevano dove andare al termine della guerra, fino al completamento della formazione professionale. Ovviamente senza passare per il battesimo.
È certo che il contatto diretto sciolse i pregiudizi residui, reciproci, in molti casi: religiose e religiosi erano pronti a riconoscere qualità umane e morali degli Ebrei che ospitavano. Lunghe amicizie conservate negli anni provano che la stima e la condivisione reale delle ragioni della vita non furono condizionate dall’appartenenza religiosa.


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Una delle cose più ingiuste che c’è stata in questa campagna contro Pio XII è stato proprio un libro di Cornwell, intitolato Il papa di Hitler. Un libro falso a cominciare dalla copertina, in cui si vede Eugenio Pacelli, ancora nunzio apostolico, col suo mantellone arcivescovile, che esce da un portone ai due lati del quale ci sono due soldati tedeschi. Ora, quando il Papa era nunzio non c’era ancora Hitler in Germania, c’era la Repubblica di Weimar, e quei due militari non sono due soldati nazisti ma due guardie della Repubblica di Weimar. Io penso che noi potremmo illustrare una copertina di 30Giorni con la foto di uno di questi due gemelli, che sono nati in quel periodo terribile nella Villa pontificia. È qualche cosa, se volete, di patetico che facciamo, insieme alla nostra preghiera, per un Papa che, indipendentemente dalle procedure canoniche, noi veramente reputiamo un santo
http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=4133


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MA CHI HA INTERESSE A NON VOLERE LA BEATIFICAZIONE DI PIO XII?
Un figlio della Chiesa di Pio XII rompe il silenzio sulla sua santità
La beatificazione di papa Pacelli torna a dividere. Tra ebrei e cattolici c’è chi la rifiuta. Pietro De Marco la difende. E spiega qual è il vero miracolo compiuto da questo papa

di Sandro Magister


ROMA, 27 gennaio 2005 – Nei rapporti tra gli ebrei e il papato le luci si alternano alle ombre.

Un grande momento di luce è stato, il 18 gennaio, l’incontro in Vaticano tra Giovanni Paolo II e 130 rabbini ebrei di diversi paesi.

La finalità dell’incontro – voluto dai rabbini e organizzato dalla Pave the Way Foundation di New York presieduta da Gary Krupp – era di ringraziare il papa per il suo straordinario impegno nel riconciliare ebrei e cristiani e nel difendere il popolo giudaico fin da quando era giovane prete in Polonia. Dopo avergli detto “grazie” e “shalom” con accento commosso, tre rabbini hanno benedetto Giovanni Paolo II con formule in ebraico e in inglese.

La sera precedente, in una conferenza a Roma al centro Pro Unione, il rabbino Jack Bemporad del Center for Interreligious Understanding ha affrontato la questione di Pio XII e dei suoi discussi “silenzi” sugli sterminii compiuti dai nazisti.

“Pio XII fece quello che giudicava doveroso fare”, ha detto. “Guardiamo a cosa accadde in Grecia, a Tessalonica, dove il 96 per cento degli ebrei furono arrestati e deportati nei campi di concentramento. Lì i vescovi sia cattolici che ortodossi protestarono pubblicamente, e furono arrestati e deportati nei campi anche loro”.

Anche dalla Polonia i vescovi chiesero ripetutamente al papa di elevare una pubblica protesta contro le uccisioni di preti e suore. Ma egli non lo fece. “Dobbiamo quindi supporre che Pio XII fosse anticattolico poiché non condannò i massacri dei cattolici in Polonia?”.

Bemporad ha concluso che è estremamente difficile esprimere giudizi su Pio XII, poste le minacce estreme che dovette fronteggiare. “Non era chiaro nemmeno chi avrebbe vinto la guerra, né se la Chiesa sarebbe potuta  sopravvivere”.

Gli ha fatto eco un altro rabbino della delegazione, Moses A. Birnbaum del Plainview Jewish Center di Long Island, New York: “Non dimentichiamo che numerosi ebrei ringraziarono Pio XII dopo la guerra”. Gli ebrei, ha aggiunto, dovrebbero star fuori dalla discussione sulla possibile sua beatificazione.

* * *

Invece, proprio contro la beatificazione di Pio XII si era espresso pochi giorni prima il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.

Prendendo spunto da nuovi documenti vaticani apparsi sulla stampa a proposito dei bambini ebrei ospitati negli anni della guerra da famiglie e istituti cattolici – documenti da lui definiti “terribili” – l’11 gennaio Di Segni ha detto all’agenzia Apcom:

“La Chiesa ha tutti i diritti di elevare agli altari chi ritiene opportuno. Semmai il problema diventa nostro, perché se la Chiesa beatifica non fa altro che indicare un modello di perfezione spirituale ai cristiani. Di fronte a una Chiesa che identifica come ideale spirituale un soggetto che ha avuto determinati comportamenti, noi [ebrei] possiamo, come conseguenza, anche decidere se e come dialogare”.

Negli stessi giorni, contro la beatificazione di Pio XII – avviata da Paolo VI nel 1965 – si era pronunciato anche lo storico cattolico Alberto Melloni, dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna fondato da don Giuseppe Dossetti e presieduto da Giuseppe Alberigo. Ha scritto sul “Corriere della Sera" del 9 gennaio:

“Un processo [di beatificazione] non è un dogma al quale dovrebbero piegarsi preventivamente gli storici, i cattolici e soprattutto gli ebrei, per non ostacolarne lo sviluppo”.

Pio XII, a giudizio di Melloni e Alberigo, fu “un papa solitario e calcolatore, nella cui figura gli elementi politici dominano per logica interna”.

Curiosamente, però, sull’ultimo numero della rivista diretta dagli stessi Alberigo e Melloni, “Cristianesimo nella Storia”, compare un saggio di Kenneth L. Woodward che registra i giudizi unanimemente positivi su Pio XII che comparvero sulla stampa in lingua inglese dopo la sua morte nel 1958.

“Per esempio – scrive Woodward – un editoriale del ‘New York Times’, oggi uno dei più impegnati forum delle critiche a [papa Eugenio] Pacelli, esaltò il papa per il suo opporsi ai nazisti [...] e ne descrisse l’intensa spiritualità”. L’unica critica che il più critico dei giornali dell’epoca, il liberal ‘The Reporter’, rivolse al papa defunto fu “d’aver trascurato di riempire i vuoti nel collegio dei cardinali”.

Woodward aggiunge che perché i giudizi su Pio XII cambiassero “bisognava aspettare altri cinque anni e la pubblicazione [nel 1963] del dramma di Rolf Hochhuth, ‘il Vicario’, generalmente considerato come l’evento che ha precipitato i mutati e largamente negativi pronunciamenti su Pacelli dei giorni nostri, almeno in alcuni ambienti”.

* * *

Insomma, Pio XII continua a essere segno di contraddizione, dentro la Chiesa cattolica e fuori. E lo sarebbe ancor più qualora fosse proclamato beato.

Ma dietro la cortina delle polemiche, rischia di sparire il Pio XII autentico. E resta inafferrabile la sua santità.

Nella nota qui sotto Pietro De Marco – che è stato figlio della Chiesa di Pio XII – penetra oltre questo muro di incomprensione e traccia di questo papa un profilo libero dagli schemi. Libero e liberante.

Pietro De Marco, specialista in geopolitica religiosa, è professore all’Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Ha scritto questa nota per www.chiesa:


Per una valutazione di Pio XII

di Pietro De Marco


La mia formazione cristiana è avvenuta nella Chiesa di Pio XII. I miei parroci, i miei insegnanti di religione erano uomini della Chiesa di Pio XII. Non mi fu trasmesso alcun atteggiamento antisemita, a meno che non si debba ritenere che Credo, Catechismo, Messa, Vangeli lo fossero o lo siano. Ho pregato per anni ogni venerdì santo per i “perfidi Judaei”, sapendo fin da giovane che “perfidus” significa nel latino cristiano “incredulo”, rispetto al Cristo.

Il mio insegnante liceale di religione e mio direttore spirituale – mio e di tantissimi altri a Firenze – fino alla sua morte, don Raffaele Bensi, era un prete della Chiesa di Pio XII, per quanto formato al sacerdozio nei due pontificati precedenti. Egli fu prete della Chiesa di Pio XII anche nell'intensa azione di aiuto ad ebrei e uomini della Resistenza svolta durante la guerra.

Da don Bensi ho però appreso che, con lo stesso coraggio e libertà con cui la Chiesa cercò di aiutare resistenti ed ebrei, essa intese salvare la vita anche agli uomini della parte opposta, quando sconfitti diventarono bestie cui dare la caccia.

La Chiesa di Pio XII era ancora la Chiesa sovrana nel proprio giudizio sulla storia, nelle decisioni che investono i propri uomini, negli orizzonti di scelta ultima cui questi vengono chiamati. Può sbagliare, negli uomini come in questo o quell’atto o giudizio; ma trae capacità di giudizio e di giurisdizione dal proprio fondamento soprannaturale: e in ciò nessuna istanza diversamente fondata può sostituirla o vincolarla. Questo è il senso della sua “perfectio”, che è strettamente connessa al martirio, poiché la collisione con altri poteri – anche i più legittimi – è certa.

Aggiungo che l'umanità provata e consapevole che uscì dalla guerra e dalla sua catena di ritorsioni e massacri capiva il senso di questo illimitato e sovrano esercizio della carità (anzi del perdono) della Chiesa, per cui il giorno prima si era salvato un partigiano e il giorno dopo si volle sottrarre all'esecuzione sommaria il tedesco o il fascista. Diritto di asilo, diritto di legare e sciogliere, segno della superba e mite giustizia di Dio.

Don Bensi ci parlò con ammirazione e, insieme, distacco del libro “Esperienze pastorali” del “ribelle” don Lorenzo Milani. Ma lo stesso Milani, forse il suo figlio prediletto, era nato prete e restò sempre nella dialettica austera, difficile, virile, della Chiesa di Pio XII; non fu mai "conciliare". Anche Bensi era insofferente su mode e risonanze della stagione conciliare; ci insegnò a tenere la mente e il cuore vigili su parole d'ordine, su “svolte” e "conquiste", sempre equivoche in una tradizione religiosa.

Così, anche nella mia stagione di giovane cattolico legato ai progetti di “reformatio Ecclesiae” e molto vicino alla sinistra politica – gli anni Sessanta e Settanta, per capirci – una trascendenza non spiritualistica della Chiesa e il suo primato ultimo sulla città degli uomini sono rimasti per me dati irrinunciabili. Un primato anche “sociale”, nel senso proposto da Henri De Lubac in “Catholicisme”. La Chiesa-istituzione come forma irrinunciabile di manifestazione del Santo.

Assieme alla Chiesa-istituzione e a Roma che la rappresenta, neppure il “bianco Padre” della mia adolescenza è stato mai cancellato in me da svolte o rivolte. Il mio legame cattolico con papa Pio XII ha resistito alla prova degli anni Sessanta. L'aggressione contro di lui compiuta dal “Vicario” di Hochhuth mi parve – e mi pare ancora – spregevole; ma in verità parve così a quasi tutti, anche nel mondo cattolico progressista. Va detto, però: le persone nate come me nel periodo della guerra, se non sono state poi ideologicamente “rifatte”, conservano un ineguagliabile senso della complessità della vita quotidiana e della storia, e una insofferenza antiretorica. Anzi, conservano un senso e un bisogno di verità che poco ha a che fare con l'astratto infierire, sia venti sia sessant'anni dopo, su vicende nel frattempo diventate incomprensibili, anche quando meglio note nei dettagli.

Non si sarebbe salvato dalla riprovazione di don Bensi chi gli avesse detto che Pio XII doveva "parlare", "testimoniare", "incarnare la Parola". Il “bianco Padre” fece ciò che la sua coscienza gli ordinò: ed era la coscienza di un papa, cioè di un responsabile vero e non retorico della Chiesa universale e della salute spirituale e in quel momento fisica di tanti uomini. Pio XII volle e seppe evitare d'essere impedito di agire. Ed entro lo spazio di guida, di governo, così salvato, operò realmente per il bene di molti, credo in misura enorme.

Il confronto con Gandhi – nuovamente proposto in questi giorni – è insostenibile. La Chiesa, il popolo cristiano, non sono una nazione, non si mobilitano come una grande etnia; l'esercito tedesco di occupazione non è paragonabile alle truppe inglesi; i capi britannici non erano le SS. Papa Eugenio Pacelli non ebbe decenni davanti a sé, ma una scansione serrata di giorni ognuno dei quali poteva essere l'ultimo per il suo governo. Né Gandhi – mi arrischio a dire – ha la complessità di un santo cristiano; in lui circola dall’inizio il vangelo semplificato di Tolstoi. È insensato immaginare il papa alla testa di una manifestazione non violenta in piazza San Pietro, in un qualsiasi giorno del 1943. Tale esibizione, posto che fosse pensabile dalla mente rigorosa di Pio XII, non avrebbe sgomentato l’alto comando tedesco.

Furono invece la impenetrabile nitidezza e la capacità di governo di papa Pacelli a fermare Hitler davanti ai cancelli della Città del Vaticano. Su Hitler non potevano avere successo le parole ma lo ebbero, probabilmente, sia l’evidenza del legame tra il Vicario di Cristo – sì, il Vicario! – e il suo popolo universale, ovvero uno straordinario fatto di carisma politico-religioso, sia il timore che porre le mani sul pontefice avrebbe avuto su di lui, Hitler, una portata delegittimante, sconsacrante, non solo presso i popoli cattolici.

Insomma, l'unico fondamento e l'unico spazio di azione politica rimasto a Pio XII di fronte a Hitler era la propria persona, come “corpo del papa”, e il proprio carisma d'ufficio. Li volle e li conservò liberi e operosi, per quanto gli fu possibile. La libertà di Pacelli fu la residua “libertas Ecclesiae” e questa rappresentò, e salvò, la vita di molti.

Troppo semplice è pretendere oggi – magari chiamando a controesempio il sacrificio di padre Kolbe – che Pacelli, in quel frangente, andasse incontro al personale “martyrium”. Il martirio sarebbe stato solo una liberazione dagli oneri dell'ufficio, dall'esercizio quotidiano del carisma. Ho riletto ancora una volta l'”Assassinio nella cattedrale” di T.S. Eliot. Pubblicato e rappresentato nel 1935, non so se Pacelli lo conoscesse allora. Poco prima della morte il protagonista, Tommaso Becket, affronta le antiche tentazioni (beni indegni ma concreti, “real goods, worthless but real”, come egli dice) e le nuove, presentate all’arcivescovo dall'estremo Tentatore, se stesso. Di fronte alla tentazione ultima, quella della santità certa mediante il martirio, Tommaso esamina e sceglie il subire, ovvero il non-agire: né andare incontro né sottrarsi al martirio.

Pacelli scelse l'agire. Ma tra lui e Becket vi è differenza. Tommaso per risarcire il sangue e il vuoto lasciato a Canterbury dalla propria, indifesa, offerta di sé agli assassini può rinviare al papa. Ma Pacelli “è” il papa, e non vi è altra istanza ordinatrice superiore a lui sulla terra.

In Pio XII si manifesta, dunque, l'eroicità di chi opera nell’estrema responsabilità, nel caso d’eccezione: è la santità della roccia, la meravigliosa santità cattolica che sgorga dalla decisione e non dall'omelia. Santità che, magari dopo il tormento, sa di non potersi arrestare al tormento e all'indecisione.

Il miracolo di Pio XII è la casa sulla roccia (Mt 7, 24) che egli conservò integra nel silenzio e in virtù del silenzio, capace perciò di ospitare e proteggere, laddove le parole l'avrebbero distrutta.

Certo, Pacelli niente ha a che fare, anche per la sua nascita aristocratica, con la “clasa discutidora” dell’invettiva celebre di Donoso Cortés. Della pericolosa vacuità della chiacchiera rivoluzionaria Pacelli aveva già avuto esperienza da nunzio in Germania, a Monaco, nel 1919.

Razionalità, incarnazione nel ruolo di guida – “pasce oves meas” –, opere: anche per tutto questo il "dolce Cristo in terra" guardò l'orrore con occhi che nella mia mente non assomigliano, per fortuna, a quelli delle reincarnazioni cristiche dostoevskiane che piacciono ai letterati. Un modello di santità né sorridente, né utopizzante, né sacrificale.

Per questo, anche, è ricchezza per noi – ed è un dono della “complexio oppositorum” cattolica – che la santità di Pio XII sia così, e che la Chiesa intenda proporcela. Sugli altari, sarà un altissimo modello di responsabilità e razionale rigore carismatici, dei quali abbiamo un tremendo bisogno.


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Su Pio XII, in questo sito:

> Tutti i segreti dell’Archivio Segreto Vaticano (18.1.2005)

> Silenzio. Il papa non parla (22.5.2002)

> La sassata di Davide colpisce Pio XI e Dossetti (28.2.2002)

> Revisioni. Paolo Mieli difende Pio XII (26.6.2001)

> Un nuovo libro su Pio XII e gli ebrei. E un rabbino scrive... (26.2.2001)

> Ebrei e Pio XII. Il papa tenetelo in valigia (diplomatica) (10.1.2001)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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20/12/2008 15:04
 
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Bambini ebrei salvati da suore. Il racconto di Emanuele Pacifici


L'agenzia internazionale Zenit
ha diffuso il 20 gennaio il seguente dispaccio:

ROMA - A dispetto delle polemiche sollevate sulla vicenda di bambini ebrei salvati e in alcuni casi battezzati in Francia, ci sono tantissime storie che mostrano quanto la Chiesa cattolica fu attenta e premurosa nei confronti della tradizione religiosa ebraica.

Esemplare la vicenda di Emanuele Pacifici, che è attualmente il presidente italiano dell'associazione "Amici di Yad Vashem".


In un'intervista a Zenit Pacifici ha raccontato: "Nel 1943 avevo 12 anni, mio padre fu catturato dai nazisti. Allora assieme a mia madre e mio fratello Raffaele di 6 anni cercammo rifugio a Firenze.

Fummo aiutati dal cardinale di Genova, Pietro Boetto, e dal cardinale di Firenze, Elia della Costa, che ci fornirono un elenco di conventi nei quali avremmo potuto nasconderci".

"La ricerca non fu facile, i conventi contattati erano tutti pieni. Dopo tanto peregrinare e ormai disperati fummo accolti da suor Ester Busnelli che ci aprì il portone del convento delle francescane missionarie di piazza del Carmine a Firenze. Ma nel convento potevano ospitare solo le donne; così io e mio fratello fummo trasferiti al monastero di Santa Marta a Settignano".


"Di lì a pochi giorni i nazisti fecero irruzione nel convento di suor Ester e portarono via mia madre assieme ad altre 80 donne ebree. Deportate ad Auschwitz nessuna di loro fece ritorno".

"Come fuscelli nella tempesta, e già orfani senza saperlo, trovammo ospitalità, comprensione e affetto nel convento di Santa Marta".

"Ricordo che ogni sera quando dovevamo andare
a letto era consuetudine che ogni bambino dovesse baciare la croce che le suore portano sul pettorale. Ma quando toccava a me, suor Cornelia, facendo bene attenzione che nessuno se ne accorgesse, metteva due dita sul crocefisso in modo che io baciassi le sue dita
e non la croce".


"Poi mi sussurrava all'orecchio: 'Adesso vai a letto e sotto le coperte recita le tue preghierine, mi raccomando!'. E questo sempre, per quasi un anno. Sono così riconoscente a suor Cornelia che l'ho sempre chiamata mamma Cornelia".

"Prima della guerra, nel 1939", ha narrato ancora Emanuele Pacifici, "io e i miei zii facemmo amicizia con don Gaetano Tantalo, parroco di Tagliacozzo. Don Gaetano sapeva leggere e scrivere benissimo l'ebraico. Nel 1943 gli zii braccati dai nazisti chiesero ospitalità a don Gaetano, il quale con l'aiuto della sorella trovò un sicuro rifugio alla numerosa famiglia dei Pacifici e a quella degli Orvieto".

"Rimasero chiusi per nove mesi senza mai uscire. Don Gaetano provvedeva a
tutte le necessità".


"Con l'approssimarsi della Pesach (la festa ebraica della Pasqua) lo zio Enrico scoprì di non saperne la data esatta di quell'anno. Don Gaetano fece i calcoli e scoprì che il 14 di Nissan (marzo-aprile nel calendario ebraico) cadeva l'8 aprile 1944. Inoltre procurò la farina per fare il pane azzimo e qualche tegame nuovo per poter cucinare".

"Così, con i tedeschi a due passi, lo zio Enrico e la sua famiglia poterono dare inizio al Seder, la cerimonia della pasqua ebraica. Alla cerimonia assistette anche don Gaetano".

"Dopo la sua morte i familiari trovarono tra le sue cose una scatoletta che conteneva un pezzo del pane azzimo con cui aveva celebrato la pasqua ebraica assieme ai miei zii".

Suor Cornelia Cordini,
Suor Ester Busnelli e don Gaetano Tantalo sono annoverati tra i "Giusti tra le nazioni" e per don Tantalo è in corso la causa di beatificazione.

Il 9 ottobre del 1982 Emanuele Pacifici rischiò di morire, colpito in pieno dalla bomba che esplose di fronte alla Sinagoga di Roma.

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proseguiamo ....

www.avvenire.it


L'ebreo Di Cave: inventammo il "morbo di Kesselring"

Tra le tante storie inedite e originali emerge quella dei 51 ebrei nascosti presso l'Istituto Dermopatico dell'Immacolata in via Monti di Creta. Chi si adoperò per dare ospitalità a ebrei e a perseguitati politici fu padre Giovanni Pagani, superiore della Scuola Apostolica degli Aspiranti della Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione. L'ospitalità iniziò il 16 settembre 1943, quando il signor Luciano Di Cave si presentò con il figlio Luigi, chiedendo di aiutarli a mettersi in salvo dai rastrellamenti nazisti.

Signor Di Cave, quando iniziò l'ospitalità?
«Penso che iniziò con noi, cioè con la mia famiglia; dopo di noi arrivarono altri ebrei: evidentemente la voce si sparse!».

Chi portò avanti l'iniziativa e se ne fece carico?
«Furono padre Giovanni Pagani, il superiore della Scuola Apostolica degli Aspiranti della Congregazione, e il direttore Emanuele Stablum».

Come vi sistemaste?
«Questa è una cosa molto originale: non eravamo nascosti come tutti gli ebrei negli istituti religiosi, ma confusi fra tutti i malati lì ricoverati. Significa che per salvarci la vita eravamo sporcati da creme così da sembrare malati! Avevamo, come dicevano scherzando i medici, il morbo di Kesselring!».

In caso dell'arrivo indesiderato dei tedeschi, avevate un piano di fuga?
«Sì, per iniziativa sempre di padre Stablum erano state scavate delle gallerie, che si trovavano sotto la lavanderia e servivano anche come rifugio in caso di bombardamento».

Potevate uscire dall'istituto?
«Sì, sotto la falsa identità di frati, potevamo singolarmente andare in città a comprare qualcosa alla borsa nera così da non pesare sull'istituto».


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La novizia di via Cavour: ne accogliemmo sessanta testimonianze

Il nostro testimone è suor Cunegonda, che al tempo era novizia nel convento di via Cavour.

Quando iniziò l'ospitalità degli ebrei e degli altri disperati che invocavano l'asilo?
«Pochi giorni prima del 16 ottobre, quel giorno tremendo, che non potrò mai dimenticare fin che vivo e che nessuno deve dimenticare, perché segnò per quel popolo l'inizio del dolore e della sua tragedia».

Quanti ebrei salvaste? Erano tutti dello stesso sesso?
«Mi sembra di ricordare più di 60 e accogliemmo donne, uomini, bambini senza problemi: si trattava di salvare la vita umana, non era il caso di fare discriminazioni; anche se qualcuna di noi, all'inizio, sollevò qualche obiezione, alla fine vinsero il buon senso e la carità».

Come fu la vostra convivenza?
«Fu una splendida sorpresa, perché riuscimmo a instaurare con loro degli splendidi rapporti di comprensione, rispetto e collaborazione. Pensate che ci hanno insegnato anche a cucinare dei piatti sconosciuti, poveri ma buoni. Nei momenti di maggiore paura, quando Roma era bombardata, ci incoraggiavano a pregare tutti insieme la preghiera dei Salmi, l'unica che potevamo fare insieme».
 
Da parte tedesca subiste irruzioni?
«Diverse volte vennero a bussare in piena notte con i fucili perché aprissimo, dato che sapevano che nel convento erano rifugiati gli ebrei. Ma la superiora, madre Fhaiter, di origine tedesca, donna forte, rimase a dormire in portineria per rispondere nella loro lingua con estrema fermezza che quelli che cercavano non erano lì».

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Dalla serie Interruzioni. Libertà dettata dal bisogno


di
Werner Kaltefleiter 19/08/2004


Protestare ad alta voce contro Hitler, temevano Pio XII e la Curia romana, avrebbe portato solo a una reazione brutale del dittatore. L’aiuto della Chiesa poteva riuscire solo attraverso strade discrete ...


... che non sono mai state sconosciute ai servizi segreti nazisti, come emerge dai documenti dell’epoca.

Segue il quinto articolo - sulla raccolta di documenti dell’Archivio segreto del Vaticano sull’opera dell’Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra istituito da papa Pio XII - "Dalla serie Interruzioni
". Werner Kaltefleiter, giornalista del ZDF in pensione, continua la sua collaborazione con Korazym.org. È un amico della prima ora del nostro portale, che continua a fornirci i suoi apprezzati consigli e segnalazioni circa la preparazione in Germania alla XX GMG di Colonia nel 2005.

Il 18 novembre 1942 scrive Theodor Frank da Cannes a papa Pio XII: "Siamo stati colpiti da una grande sfortuna: tredici settimane fa mia moglie è stata deportata, senza che sia stato finora possibile stabilire dove si trovi. Mi permetto a questo punto di chiedere a Sua Santità se fosse possibile aiutarmi a individuare dove si trova e eventualmente a liberarla, perché possa tornare da me".

Il mittente della supplica avverte di essere gravemente malato, secondo il certificato medico non trasportabile, ed è seriamente preoccupato per la salute della moglie, che soffre di diabete. "A mo’ di legittimazione", ricorda un incontro con l’allora Nunzio Apostolico Pacelli a casa di un amico di Berlino Clemens Lammers, nella Heerstraße. Allora, "anni fa", ebbero il "grande onore di poter pranzare con Sua Santità, che tutti e due non hanno mai dimenticato e mai dimenticheranno". Theodor Frank comunica poi le generalità della moglie: Margot Frank, nata Kaufmann, nata il 22 aprile 1889 a Mannheim, deportata nella notte tra il 25 e il 26 agosto, Hotel Suisse a Cannes, secondo il comunicato della Croce Rossa partita da Drancy (Parigi), destinazione sconosciuta. "Dio le permetta di sostenere ancora per molto il genere umano già duramente provato", conclude Theodor Frank, che chiede scusa per essersi preso "la libertà dettata dal bisogno" di rivolgersi al papa con la sua preghiera.

Questa commovente lettera è apparsa nella recentemente pubblicata raccolta di documenti dell’Archivio segreto del Vaticano sull’opera dell’Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra istituito da papa Pio XII. Era attivo dal 1939 al 1947 e rese possibile non solo il ritrovamento di soldati scomparsi, prigionieri di guerra e civili internati, ma anche i perseguitati per motivi politici, religiosi e razziali. Il titolo dei due volumi Inter Arma Caritas esprime il piano dell’opera: raccontare come la Sede di Pietro abbia attuato un piano d’amore per il prossimo, mentre infuriava una guerra mondiale. Sia le lettere di privati di religione ebraica e delle alte cariche di Gerusalemme al papa personalmente o al Segretariato di Stato, sia i rapporti alla Curia delle deportazioni da parte dei nunzi dai Paesi occupati dalla Germania di Hitler rendono una testimonianza indiscutibile dei crimini del periodo.

Else Nathan di Tel Aviv, Nachum Street 8, scrive in data 10 dicembre 1942 al Delegato apostolico a Gerusalemme alla ricerca di suo fratello e della sua famiglia, che "era stabilito finora nella città di Magonza". "La notizia della loro deportazione, che mi è giunta ora, è datata 8 luglio di quest’anno. Da allora non ho più notizie della loro sorte". Else Nathan prega i diplomatici del Vaticano di fare ricerche per la localizzazione degli scomparsi: dottor Walter Nathan, ortopedico, nato l’11.05.1889 a Coblenza sul Reno; la moglie, Elsbeth Nathan, nata August, nata il 03.12.1897 a Wellesweiler-Neunkirchen am Saar; i figli, Emma Lotte Nathan, nata il 18.07.1932 a Magonza; Daniel Hans Nathan, nato il 24.12.1936 a Francoforte sul Meno. Chi scrive avvisa concludendo che la famiglia possiede la cittadinanza tedesca ed è di religione ebraica.

Cosa ne è stato delle richieste, se e come il papa e i suoi collaboratori abbiano potuto aiutare queste persone disperate, non emerge dalla raccolta di documenti. Queste lettere sono comunque una prova, anche se non sorprende, che Roma è stata informata tardi, solo quando vennero stabilite le unità tecniche per la "soluzione finale della questione ebraica in Europa", di cosa stava succedendo. La pubblicazione dei documenti, nell’ambito della più generale apertura dell’Archivio vaticano condotta da papa Giovanni Paolo II sugli avvenimenti del fascismo e del nazismo può servire alla discussione infinita sul "silenzio" di Pio XII in merito agli orrori nazisti.

Il Vaticano avrebbe dovuto gridare questi crimini davanti al mondo, per accusare la Germania e isolarla? Hitler voleva palesemente "lasciare in pace" la Chiesa durante la guerra, sia per motivi di politica interna che di politica estera; aveva bisogno anche del sostegno dei cattolici, nel caso che ci fosse un regolamento di conti dopo la vittoria della guerra. E i nazisti al potere non avevano in mente il Vaticano come possibile mediatore di pace già all’inizio degli anni quaranta? Poteva essere un’occasione per il papa per stabilire le condizioni? D’altra parte imperversava il fanatismo razzista di un Himmler, di un Heydrich, di un Kaltenbrunner, di un Bormann senza trovare resistenza. "Ad maiora mala vitanda - Per evitare mali peggiori": il papa già nel 1943 aveva espresso il suo parere contrario con una chiara presa di posizione. Giudizi posteriori privati e storici non sono sufficienti per giudicare questo personalissimo conflitto interno del papa.

Protestare ad alta voce, temevano Pio XII e la Curia romana, avrebbe portato solo a una reazione brutale del dittatore. L’aiuto della Chiesa, se possibile e da considerare con l’appoggio degli Alleati, poteva riuscire solo attraverso strade discrete. Che non sono mai state sconosciute ai servizi segreti nazisti, come emerge dai documenti dell’epoca. Anche l’Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra, che era subordinato al Segretariato di Stato, veniva sottoposto ad attività di spionaggio. Il suo direttore, il vescovo greco-cattolico Alexander Evreinoff aveva origini nobiliari russe, era diplomatico dello zar e si era convertito al cattolicesimo dalla fede ortodossa. La sua carriera diplomatica è proseguita nella Segretaria di Stato con la carica agli Esteri. La sua vicinanza al Russicum, del seminario di Roma istituito per la missione in Russia, lo portò presto nelle cerchia tanto dei servizi segreti tedeschi quanto di quelli sovietici.

La documentazione si conclude con scritti del 1949. Nel dopoguerra in alcuni casi si chiede anche una presa di posizione del papa per interessi politici. Scrivono Franz Stein, Ernst Schröter e Friedrich Weichmann da Grossgoltern in data 30 dicembre 1946: "La Slesia è tedesca e appartiene da tempo immemorabile alla Chiesa cattolica romana per la maggior parte, perciò è assurdo che oggi la Polonia rivendichi dei diritti su di essa". Si chiede al papa di concedere udienza a una delegazione della Slesia, "cosicché possiamo porre le domande che ci premono di più". Ora, sarebbe interessante sapere se hanno ricevuto una risposta, che cosa è stato loro risposto, anche soltanto con poche righe della redazione.

La maggior parte del materiale contenuto nei due volumi è in italiano; il primo volume illustra la situazione storica e elenca le liste dei nomi, il secondo una selezione di documenti. Alcune lettere scritte in tedesco sono riprodotte nella versione originale, così come quelle scritte in francese o in inglese. Alcuni errori nella traduzione e nell’ortografia si possono vedere negli originali oppure possono essere intravisti sotto alle correzioni. Per concludere: questa pubblicazione costituisce una testimonianza impressionante della storia contemporanea anche con domande ancora aperte.

Inter Arma Caritas. L`Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra istituito da Pio XII (1939-1947). 2 volumi: I Inventario, II Documenti. Collectanea Archivi Vaticani No. 52, Archivio Segreto Vaticano. Città del Vaticano 2004.


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civiltà cattolica

Radio Mosca creò la leggenda nera su Pio XII: a proposito dell'allocuzione sui «Nefasti del nazismo»


www.avvenire.it


Sull'ultimo numero de «La Civiltà Cattolica», lo storico Giovanni Sale sostiene che fu Radio Mosca a creare la leggenda nera di Pio XII alleato dei nazisti. Giovanni Sale analizza l'allocuzione che il Papa pronunciò il 2 giugno 1945. La stampa antagonista, di sinistra e anticattolica, «addebitava al Papa la responsabilità di aver aiutato Hitler a consolidare il suo potere in Germania».


 L'allocuzione, «Nefasti del nazionalsocialismo e requisiti essenziali per una vera pace» fu "letta" da Radio Mosca, il 7 giugno, come quella di un alleato del nazismo. Sale riporta il commento di Radio Mosca: «Chi ha udito il discorso del Papa in occasione della festa di Sant'Eugenio è rimasto oltremodo meravigliato nell'apprendere che il Vaticano durante i trascorsi anni del predominio di Hitler in Europa, ha agito con coraggio e audacia contro i delinquenti nazisti. I fatti invece operati dal Vaticano dicono il contrario».


 Secondo lo storico gesuita, la stampa comunista internazionale «si allineò supinamente alle direttive di Mosca su tale materia. In tal modo iniziò la leggenda nera, la quale in qualche misura è arrivata ai giorni nostri, di un Pio XII amico e alleato dei nazisti.»


Giovanni Sale dice anche perché nell'allocuzione del 2 giugno non si parla di ebrei: «Non sono menzionati neppure altri popoli e nazioni che subirono pesantemente la devastazione nazista». «In ogni caso - commenta Sale - non c'era ancora in quel periodo la percezione esatta di ciò che nel cuore dell'Europa era accaduto agli ebrei negli ultimi anni della guerra». Così Giovanni Sale confuta la teoria di Pio XII amico dei nazisti: tutto cominciò con le direttive del Cremlino diffuse da Radio Mosca cinque giorni dopo l'allocuzione del Papa sui «Nefasti del nazionalsocialismo».



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STORIA
Esce il libro che Eugenio Zolli scrisse dopo aver ricevuto il battesimo. L’aiuto che la Chiesa portò agli ebrei

Antisemitismo, i distinguo del rabbino

Alle radici di un odio che nel razzismo e nel nazionalismo vede le motivazioni della persecuzione. Ma senza negare gli eccessi del sionismo


Di Marco Roncalli

«L'elemento religioso, e in particolare il monoteismo, si presenta come determinante nella formazione delle peculiarità del popolo ebreo. Lo stesso particolarismo religioso manifestatosi attraverso la coscienza della propria superiorità al di dentro e un forte nomismo al di fuori nei rapporti con altri popoli, sia in Palestina quanto nella diaspora, divenne poi accanto ad altri fattori l'elemento principe nel far sorgere l'antiebraismo definito in tempi a noi vicini con una parola impropria: antisemitismo…». Inizia così - le righe sono stralciate dalla prefazione datata 23 luglio 1945 - Antisemitismo, il primo volume pubblicato da Eugenio Zolli dopo l'adesione al cristianesimo.

A sessant'anni dalla prima edizione Ave, l'opera - intitolata esattamente con quella parola "impropria" coniata nell'Ottocento da Wilhelm Marr - torna a giorni in libreria per le edizioni San Paolo. Ma se fino a poco tempo fa ricordare il rabbino capo di Roma fattosi battezzare il 13 febbraio 1945, poteva dare anche l'impressione di optare per finalità apologetiche creando titubanze tra sensibilità differenti all'opera nel dialogo interreligioso, ora invece - a tabù infranto con le edizioni di Prima dell'alba. Autobiografia autorizzata e di Il rabbino che si arrese a Cristo, sempre per la San Paolo- si riconsidera in modo approfondito la complessità di un caso dove non si registrò alcuna abiura, bensì un "arrivo" (motivato scrisse Zolli «dall'amore di Gesù Cristo, che derivò dalle mie meditazioni sulle Scritture»).

Un percorso che andrebbe accostato ad altri da ricordare (a quando ad esempio la riscoperta di un altro studioso ebreo approdato al cristianesimo come Salvatore Attal, passato dagli studi sulla cosmogonia mosaica a quelli su San Francesco?).
Ciò premesso queste pagine necessitano di molte sottolineature bene indicate dal curatore. Tra queste una riguarda la genesi del libro stampato dopo sette anni d'inattività forzata per l'autore (il precedente era stato Il Nazareno, nel 193 8), ma iniziato durante l'occupazione nazista, quando Zolli visse nascosto dall'ottobre 1943 sino al febbraio 1944: lo dichiara lo stesso autore e se ne ha conferma dai riferimenti ben datati a opere appena uscite (come Per la rinascita dell'Italia, edito dal Partito d'Azione nel dicembre 1943), ma anche da omissioni in apparenza clamorose (quale l'assenza di cenni sui lager).

Un'altra rimarca il fatto interessante che tale testo precedette gli altri "autobiografici", Christus del 1946 o Before the Dawn del 1954). Soprattutto però va ricordato che questo libro, col suo linguaggio oggi un po' desueto, costituisce di fatto un'analisi storica - attenta agli aspetti religiosi, politici, psicologici sull'origine e lo sviluppo dell'antisemitismo e, in particolare, sulle radici e l'evoluzione del razzismo come ragione giustificatrice dell'antiebraismo, sulle influenze del nazionalismo nelle sue forme più aggressive (ma anche sulle risposte del sionismo).

Dunque il lavoro, piuttosto "tecnico", di uno studioso apprezzato - ben prima della sua "scelta" - anche dai colleghi cattolici (che l'avevano invitato a collaborare per la Pontificia Commissione Biblica e l'Enciclopedia Cattolica). Un lavoro che nelle prime duecentottanta pagine indaga di tutto: la patria originaria dei Semiti o l'abominio d'Egitto, il sentimento religioso nazionale o la letteratura antiebraica nel mondo, il messianesimo e lo pseudomessianesimo, gli apologeti e i polemisti ebrei e cristiani d'ogni tempo, per arrivare, verso la fine, all'antisemitismo in Germania, Austria, Francia, a Rosenberg e Hitler, ai rapporti tra conversione e antisemitismo (con frasi interessanti come «le conversioni forzate non fruttano né nel campo religioso né in quello politico né nella vita sociale»).

Ma dopo il penultimo capitolo, con una disamina sulla questione razziale che affronta il «monismo biologico» (dove Zolli, dopo aver dato conto dei limiti del «meticciato genetico», osserva anche «quanto labile sia la base su cui poggia il concetto del meticciato intellettuale»), prima di passare in rassegna in appendice le lingue semitiche, ecco aprirsi uno squarcio su «Pio XII e gli Ebrei di Roma nel periodo dell'invasione germanica». Qui l'autore attinge dichiaratamente da una relazione del gesuita Gozzolino Birolo. Vi si legge: «L'ebraismo mondiale ha debito grande di gratitudine alla santità di Pio XII per gli iterati e pressanti appelli alla giustizia in suo favore, e, quando questi non valsero, per le forti proteste contro leggi e procedimenti iniqui. Ma questo debito riguarda in maniera tutta particolare gli Israeliti di Roma perché più vicini alla sua augusta persona e perché furono oggetto di speciali sollecitudini e provvidenze».

Il testo continua rendendo conto degli interventi del Vaticano e di molte istituzioni cattoliche a favore della comunità ebraica, facendo nomi, indicando luoghi, situazioni, cifre: «Immensa opera svolta sotto gli auspici del sommo pontefice e della Chiesa in tutto il mondo con uno spirito di umanità e di carità cristiana impareggiabili», chiosa l'autore. Aggiungendo: «Descrizione dell'opera in tutta la sua vastità costituirà una delle pagine più fulgide della storia, dell'umano e cristiano agire, un vero trionfo della luce che emana da Gesù».

Eugenio ZOlli
Antisemitismo
a cura di Alberto Latorre
Edizioni San Paolo
Pagine 320. Euro 19,00

www.avvenire.it
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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LA CENSURA COLPISCE ANCHE IL WEB

Dopo le dichiarazioni della Santa Sede sull’apertura, nel gennaio 2003, degli archivi vaticani - riguardo l’atteggiamento della Chiesa cattolica di fronte al genocidio del popolo ebraico - il nostro comitato di volontariato, pur consapevole delle critiche o delle "censure" che avrebbe potuto subire, aveva riportato (a fondo pagina) l'indirizzo internet del testo integrale del saggio GLI EBREI E LA CHIESA (Ugo Mursia Editore Spa), di Vitaliano Mattioli, pubblicato nel 1997 e inspiegabilmente ritirato dal commercio nel 1998, forse perché non gradito a qualcuno. Ma la scure della censura ha colpito!

Il volume contiene una lunga serie di documenti storici che aprono scenari diversi sulle responsabilità dell’olocausto.

Avevamo deciso di ripubblicare questo testo censurato - consultabile gratuitamente - in quanto:

a) Adolf Hitler era appassionato di astrologia ed occultismo ed anche alcuni suoi ministri (Krosigk e Goebbels) e gerarchi (Himmler ed Hess), in un clima di "pura" follia, credevano nell’elezione esoterica e nelle sue radici razzistiche;
b) uno degli intenti del nostro servizio di volontariato è quello di contrastare ogni forma di segretezza che ostacoli il raggiungimento della verità e impedisca al cittadino, in particolare alle nuove generazioni, di sapere.
Vi invitiamo, comunque, a leggerne l’introduzione.


   
ATTENZIONE! ADESSO "GLI EBREI E LA CHIESA" SI PUO' ACQUISTARE QUI E QUI.


GLI EBREI E LA CHIESA - INTRODUZIONE

La seconda guerra mondiale è terminata da cinquant’anni eppure ancora tanti fatti e comportamenti rimangono non chiariti, ancorati a una preconcetta e aprioristica critica in attesa che anche a loro venga resa giustizia storica.
Oggi si tende a conciliazioni opportunistiche, a nuove alleanze per evitare mali futuri; e questo è un bene. Tuttavia può portare ad una violazione della giustizia se avviene a scapito di ciò che è veramente accaduto, relegando alcuni fatti nella penombra, a detrimento della verità.

Se è vero che si deve praticare la verità nella carità è anche vero il contrario: la carità va esercitata nel rispetto della verità.

A volte un irenismo non sempre salvaguarda la verità, pur nella nobile intenzione di consolidare la carità; in questo modo non si salva né l’una né l’altra.
Il presente studio esamina una situazione specifica: lo sterminio degli ebrei, la presunta colpevolezza della Chiesa cattolica e la responsabilità degli Alleati oltre che degli stessi ebrei.

Tre sono i luoghi comuni che ogni tanto emergono nella storiografia: 1) spesso si ritiene che lo sterminio degli ebrei avvenne per colpire la religione ebraica; 2) che fu una persecuzione architettata dalla ideologia cristiana in odio agli ebrei; 3) che la Chiesa ha aiutato gli ebrei con una molteplicità di iniziative mentre Pio XII come capo della cattolicità non ha fatto tutto il possibile per evitare la catastrofe, facendo prevalere la ragion di Stato.

Queste tre tesi saranno affrontate e chiarite in altrettanti capitoli; si vedrà che sono frutto di menti prevenute, che non hanno ben analizzato il contesto storico e sono molto superficiali nello stilare giudizi. Infine il quarto capitolo riguarderà le responsabilità degli stessi ebrei e degli Alleati.

Fin da ora possiamo dire che la leggenda dei silenzi pacelliani è sorta nel 1963, in seguito all’opera teatrale del tedesco Hochhuth "Il Vicario".

Mentre prima non era sorta ombra di dubbio, da quel momento in forma più o meno velata ma sempre continua si è creata una serie di accuse per gettare il discredito sulla Chiesa cattolica e trovare a tutte le aberrazioni della guerra il capro espiatorio in Pio XII il quale, defunto ormai da cinque anni, non poteva più parlare.

Due riflessioni sono interessanti.

1) Pio XII è vissuto per ben tredici anni dopo il conflitto, e si sono aspettati ben cinque anni dopo la sua morte per accusarlo di un comportamento subdolo, demagogico e vile! Se si fosse trattato di accuse "vere", perché non si sono evidenziate mentre lui era in vita?

2) E’ sintomatico che questo venga fatto proprio da un tedesco! Nel rinnovare la mia convinzione che è necessario non coinvolgere l’intero popolo germanico nelle aberrazioni della guerra, la mia stima e ammirazione verso cittadini di questo Paese che ho conosciuto personalmente, non potrebbe essersi annidato nell’inconscio dell’autore il desiderio di liberare gli allora dirigenti della sua Patria dal tarlo della cattiva coscienza per colpevolizzare una persona che non poteva più difendersi?

Un altro elemento mi spinge a questo lavoro. Fermo restando che anche una sola vittima sprigiona un’immensa amarezza e lascia un vuoto incolmabile, è valido il tentativo ebraico di monopolizzare lo sterminio, tenendo conto che altri milioni di persone non ebree sono morte insieme a loro?

Purtroppo tanti, troppi appartenenti al popolo ebraico sono stati uccisi. Di fronte a queste tombe, allo straripamento del dolore, ogni ginocchio si deve piegare. Ma anche altre migliaia di persone di razza e religione diverse sono state vittime della barbarie nazista. Anche queste sono esseri umani, che vanno ricordate, piante ed ammirate. Ogni dolore umano è sempre grande ed esige un religioso rispetto. E’ necessario che le loro sofferenze non siano coperte dalla polvere dell’oblio; la loro reminiscenza deve servire ad impedire che la mente umana non impazzisca di nuovo, non ritorni prigioniera di falsi dei abbeverati solo di lacrime e di sangue.


CONTENUTI PRINCIPALI

- la persecuzione di Hitler non fu architettata dall’ideologia cristiana, in odio agli ebrei ed alla loro religione (come sostengono molti); i contenuti dottrinali del nazionalsocialismo erano e sono del tutto anticristiani.

- già nel 1925, Papa Pio XI dichiarava: “La Chiesa condanna l’odio contro il popolo eletto da Dio, quell’odio cioè che oggi volgarmente suole designarsi con il nome di antisemitismo”.

- l’attività persecutoria di Hitler, oltre gli ebrei, colpì molti appartenenti alla religione cristiana (insieme ad altri gruppi etnici e ad altre classi sociali: zingari, prigionieri di guerra sovietici, handicappati, malati mentali tedeschi, polacchi antinazisti, omosessuali ecc.).

- i vescovi della Germania, fin dal 1933, condannarono all’unanimità il nazionalsocialismo, proibendo ai cattolici di iscriversi a quel partito.

- sempre Pio XI nel 1937 emanò un’enciclica contro il nazismo - “Mit Brennender Sorge” - rielaborata, nella stesura definitiva, dal cardinale Pacelli, suo segretario e futuro Pio XII, che fu una delle più severe condanne di un regime nazionale che il Vaticano (e qualunque altro Stato) abbia mai pronunciato.

- nel ‘43 i membri della “Rosa Bianca”, associazione di giovani cattolici di Monaco di Baviera, furono trucidati.

- in Polonia i cattolici furono costretti ad organizzarsi in forma clandestina, in quanto Hitler mirava all’eliminazione della Chiesa cattolica, nel tentativo di rifondarla e chiamarla “Chiesa cattolica romana di nazionalità tedesca”.

- sempre in Polonia vennero deportati o imprigionati 2.500 preti e 700 furono rinchiusi nel campo di concentramento di Dachau, mentre altri 400 (della diocesi di Metz) vennero cacciati via o internati.

- l’accusa a Pio XII di aver taciuto emerse solo nel 1963, in un’opera teatrale intitolata “Il Vicario”, il cui autore ignorava i contenuti dell’enciclica “Mit Brennender Sorge”.

- il console israeliano a Milano, E. Lapide Pinchas, dopo la guerra, ha testimoniato con cifre alla mano che Pio XII in persona, la Santa Sede, i nunzi e tutta la Chiesa cattolica, durante la persecuzione nazista, hanno salvato da 700.000 a 850.000 ebrei da morte certa; analoghi riconoscimenti sono stati fatti da altri autorevoli esponenti della comunità ebraica internazionale.

- tra il 1941 ed il 1942, quando agli altri Stati giunsero notizie sui massacri, sull’uso di gas venefici e sulla produzione di sapone dai cadaveri da parte dei nazisti, la tendenza fu quella di non crederci; tale scetticismo pervase anche il mondo ebraico americano, inglese e palestinese, convinto che le notizie venissero ingigantite per denigrare i tedeschi.

- il ricco e pavido movimento sionista (da non confondere con l’intero popolo ebraico) in quel periodo era impegnato ad elaborare progetti per il dopoguerra, anziché prestare attenzione alla salvezza dei connazionali poveri e perseguitati.

- la penetrazione del pensiero e del partito nazista si è realizzata proprio con i finanziamenti di banche gestite da ebrei; l’alta finanza della Germania era tutta nelle mani degli ebrei, così come - sia allora che oggi - le banche inglesi e statunitensi (Rothschild, Lazard, Lehman, Warburg, Goldschmidt, Stein ecc.).

- uno dei più grossi benefici che l’aristocrazia sionista ha ricavato dalle sue complicità con Hitler è stato che da allora essa riesce a nascondersi dietro il ricordo del mostruoso sterminio dei fratelli ebrei per condurre le più sordide operazioni (traffico di droga, terrorismo, genocidio delle popolazioni arabe ecc.).

- Hitler, per conquistare il potere, negli anni 1929-33 spese ben 32 milioni di dollari, alcuni dei quali ottenuti dalla famiglia israelita dei Bleichroeder (tramite la Banca Commerciale Italiana); pure la banca americana AEG partecipò, con 60.000 marchi-oro, al fondo elettorale del partito nazionalsocialista e i banchieri Oppenheim furono i principali sostenitori finanziari di Hitler (solo per citarne alcuni).

- la maggior parte dei più stretti collaboratori di Hitler era di nazionalità ebraica.

- senza l’aiuto di ebrei nel lavoro amministrativo e poliziesco i tedeschi avrebbero dovuto distogliere troppi uomini dal fronte.

- anche il Governo degli Stati Uniti, la Gran Bretagna e Stalin non mostrarono alcun particolare interesse per il destino degli ebrei.

- la Germania, prima della “soluzione finale” in senso fisico, si orientò verso l’estradizione degli ebrei in altre nazioni; i Paesi industrializzati ne ostacolarono il progetto, tranne per chi fosse disposto a versare somme di denaro.

- nel 1940 la proposta più concreta dei tedeschi, il trasporto di 4 milioni di ebrei nell'isola di Madagascar fu impedita dall'Inghilterra.

- gli Alleati contribuirono con le loro possenti industrie, oltre che con il denaro, ad armare la Germania, producendo il famoso gas Zyklon-B.

- nel 1943 l’85% degli esplosivi, il 46% di carburante per aerei, il 30% di acido solforico, usati dalle armate tedesche, proveniva da brevetti concordati fra tedeschi e americani.

- il bene della popolazione ebraica fu condizionato dalla sete di guadagno e dai giochi politici; la sua liberazione era un prodotto secondario della vittoria e non bisognava turbare i rapporti con i Paesi arabi (permettendo magari agli ebrei di rifugiarsi in Palestina).

- se le Potenze alleate si fossero sobbarcate il problema, la guerra e la storia avrebbero preso un’altra piega.


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15/02/2010 20:50
 
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Papa Ratti, le ragioni della verità e la difesa dell'Azione cattolica sotto il fascismo

E Pio XI scrisse a Mussolini: 
«Gli Ebrei ci hanno donato Cristo e il Cristianesimo»


In occasione del convegno svoltosi a Desio sul tema "Pio XI e il suo tempo" è stato presentato in anteprima il volume Sollecitudine ecclesiale di Pio XI alla luce delle nuove fonti archivistiche (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 488, euro 40, a cura di Cosimo Semeraro, nella collana "Atti e Documenti" del Pontificio Comitato di Scienze Storiche) che raccoglie gli atti del convegno tenutosi nel febbraio 2009. Pubblichiamo la sintesi di uno dei saggi in esso contenuti.

di Francesco Malgeri

Nella  sollecitudine  ecclesiale  di Pio XI, merita particolare attenzione la profonda e costante premura per le sorti e l'attività dell'Azione cattolica, da lui più volte definita "la pupilla dei suoi occhi e la fibra più sensibile del suo cuore". L'interesse del Papa acquista particolare rilievo di fronte ai problemi e alle difficoltà che l'associazionismo cattolico conobbe nei rapporti con un regime totalitario come il fascismo.

Le vicende legate ai fatti del maggio-giugno 1931 sono ben note.
Gli accordi del 2 settembre portarono comunque a una fase più tranquilla nei rapporti tra il regime e l'Azione cattolica. Il quadro cominciò di nuovo ad animarsi a partire dall'estate del 1936, quando l'ambasciatore Bonifacio Pignatti Marano di Custoza presentò numerose proteste circa le attività estive dell'Azione cattolica. Ci si lamentava del fatto che "a similitudine del Regime, allo scopo, non si dice tanto di contrastare queste iniziative, ma di non lasciarsi sfuggire i propri organizzati, l'Azione cattolica organizza sotto mille pretesti, riunioni di studio e di ritiro, passeggiate collettive sotto forma di pellegrinaggi, adunate specializzate a Roma e altrove, che vanno dai 5.000 fanciulli ricevuti or non è molto dal Papa, sino ai convegni regionali dei Fucini, come ai pellegrinaggi diocesani a Roma, o a... Lourdes".

La Segreteria di Stato rispose all'Ambasciata italiana con un lungo memorandum, datato 23 settembre 1936, replicando ai diversi punti sollevati, con dovizia di riferimenti e spiegazioni. Nel corso del colloquio tra Pignatti e Pio XI, il Papa sostenne tra l'altro che la "Centralità romana dell'A.c., non solo non è in contrasto con la diocesanità, ma ne è conseguenza necessaria e dottrinale e pratica".

Che apparivano "assurde le diffidenze, i sospetti, i timori politici con l'A.c. - Che temere da gioventù pura e timorata di Dio e obbediente alla sua legge?". Che non potevano essere "mai giustificati atteggiamenti ostili o anche solo sospettosi contro l'A.c. più che mai inopportuni dopo la guerra etiopica e il riconosciuto apporto morale del Clero, dell'Episcopato, dalla Santa Sede". Le rimostranze dell'Ambasciata erano soltanto la premessa della nuova crisi che esplose nel dicembre del 1937 e si protrasse per tutto il 1938. Sotto questo aspetto la documentazione conservata presso l'Archivio Segreto Vaticano risulta di straordinario interesse. Ma per cogliere il senso di questa nuova crisi non va trascurato il quadro generale della politica internazionale di quegli anni.

Da un lato la guerra d'Etiopia, dall'altro la collaborazione militare portata in Spagna a sostegno di Francisco Franco, contribuirono a rafforzare i rapporti tra Italia e Germania, che cominciarono a basarsi non solo sulle affinità ideologiche presenti nei due regimi, ma anche su comuni obiettivi e interessi. Hitler aveva incontrato il 24 ottobre 1936 a Berlino il ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano. Nel corso dei colloqui venne sottoscritto l'accordo che prese il nome di Asse Roma-Berlino. L'avvicinamento tra l'Italia e la Germania aveva fatto venir meno l'intransigenza di Mussolini sull'Anschluss e rendeva ad Hitler più facile l'obiettivo della conquista dell'Austria e in seguito del territorio dei sudeti.

Questo orientamento della politica estera italiana verso una sempre più stretta alleanza con la Germania nazista non piaceva in Vaticano, non era gradita alla gran parte del mondo cattolico, e faceva ormai naufragare le speranze di coloro che, in campo cattolico avevano coltivato l'idea di poter "cattolicizzare" il fascismo.

Il 31 dicembre 1937 il nunzio Francesco Borgongini Duca fu convocato dal sottosegretario agli Interni Guido Buffarini Guidi per una "dolorosa comunicazione". Gli venne in primo luogo comunicato che "Il Capo del Governo era assai dispiaciuto che l'Azione cattolica fa della politica:  la cosa viene segnalata dal partito fascista, più o meno da per tutto, e quindi il Capo del Governo teme che il partito scatti e che egli non possa contenerlo. Non essendosi osservati gli accordi del 1931, si avranno fatti peggiori di quelli del detto anno". Ma al di là delle reali e consistenti accuse rivolte all'Azione cattolica, Buffarini spiegò a Borgongini Duca il nuovo quadro di politica internazionale che imponeva al fascismo una sorta di stretta di freni.

Il sottosegretario affermò:  "Siamo alla vigilia della guerra con la Francia e con l'Inghilterra, il Regime ha bisogno che le forze della nazione formino un tutto unico, quindi non si può ammettere che giovani cattolici dicano che l'alleanza coi Tedeschi è innaturale, e che sarebbe più naturale quella coi Francesi; né si possono ammettere atteggiamenti di remissività, che sarebbe disfattismo, mentre il regime vuole che tutte le forze siano combattive. Il Vaticano protesta contro la persecuzione tedesca, che non è di eccessiva gravità, mentre i 20 milioni di cattolici tedeschi non saranno certamente polverizzati da Hitler, e la Chiesa ha dinnanzi a se non i decenni, ma i secoli; invece non ha protestato per la persecuzione dei Rossi, feroce e sanguinosa in Spagna, dove, se i Rossi si affermano, si fa della Chiesa tabula rasa irreparabilmente".

Alla replica del nunzio che il Vaticano non faceva politica ma religione, Buffarini rispose "Datela ad intendere ai gonzi", e aggiunse che esisteva il rischio che venisse dichiarata "l'incompatibilità tra Azione cattolica e fascismo".

Il nunzio intese comunque precisare che la protesta contro la Germania non riguardava l'Asse Roma-Berlino ma la dura persecuzione operata in Germania nei confronti della Chiesa, e aggiunse:  "Quindi, tutte le lamentele dell'on. Mussolini si riducono al fatto che il Papa non entra nell'Asse Roma-Berlino, il che non è possibile perché questa sarebbe vera politica". Qualche giorno dopo, il 4 gennaio Borgongini Duca ebbe un incontro con il ministro degli Esteri Ciano. Il tono di Ciano - stando alla relazione fatta da Borgongini a Pacelli - appare più prudente e misurato. Egli sembra condividere la reazione della Santa Sede sulla persecuzione in Germania, ma faceva notare che "tutti gli atti della Santa Sede contro la Germania hanno un contraccolpo in Italia".

A queste considerazioni Borgongini Duca obiettò "Non vedo Eccellenza che cosa centra in tutto questo l'Azione cattolica e perché S.E. il Capo del Governo voglia colpirla. (...) Perché colpire degli innocenti?". E aggiunse:  "Quanto alla Germania l'Asse Roma-Berlino è stato proclamato quando le relazione tra la Chiesa e il Reich erano già in piena rotta:  i preti nei campi di concentramento, le pastorali sequestrate eccetera. Quindi le proteste del Santo Padre, prima e dopo, non hanno e non possono avere che contenuto religioso e non riguardano l'Asse Roma-Berlino".

La questione riemerse di lì a qualche mese, e si venne a incrociare con la questione razziale, soprattutto dopo il discorso di Pio XI del 28 luglio agli allievi di Propaganda Fide, di cui si proibì la pubblicazione sulla stampa nazionale. Fu probabilmente a seguito del chiaro atteggiamento ostile di Pio XI nei confronti della politica razzista del fascismo, a provocare, il 2 agosto 1938, l'iniziativa del segretario del Pnf Achille Starace di diramare un "Foglio di Disposizioni" riservato nel quale si dichiarava la incompatibilità tra la tessera dell'Azione cattolica e qualsiasi carica ricoperta in seno al fascismo. La circolare ebbe effetti immediati in alcune diocesi, e particolarmente a Bergamo, dove il federale assunse toni anticlericali, entrando in conflitto con il vescovo Adriano Bernareggi.

In merito alla documentazione relativa alla crisi dell'agosto 1938, com'è noto il Diario di Ciano offre non pochi spunti interessanti, evidenziando anche alcune dissonanze tra le posizioni del nunzio e del Papa. Le carte di Pio XI contribuiscono, comunque, ad arricchire notevolmente il quadro. Emerge, per esempio, la lettera che il 4 agosto Pio XI scrisse a Mussolini, decidendo poi di non spedirla, ma di consegnarla al gesuita Pietro Tacchi Venturi affinché la leggesse e ne illustrasse i contenuti a Mussolini. Nella lettera il Papa manifestava la sua preoccupazione di fronte alla "gravità dei fatti che ci sono da ogni parte segnalati".

Così proseguiva:  "Ci commuove, innanzi tutto la questione degli ebrei, così come è agitata oggi in Italia. (...) Dovere è (...) del Nostro ministero mettere in guardia il senso cristiano della Suprema Autorità contro provvedimenti che nella comune estimazione di un Paese cattolico dal "gentil sangue latino" sapessero d'anticristiano e d'inumano. Concordi in questo con tanti nostri Predecessori, la cui condotta fu sempre una delle più belle glorie d'Italia. Noi non possiamo in nessun modo annuire a trattamenti men che umani e a misure vessatorie per le quali l'Israelita sia messo duramente al bando, come altrove avviene, dalla convivenza sociale, e minorato, se pur non privato del tutto, dei suoi diritti alla vita".

Passava poi al problema dell'Azione cattolica, che definiva "situazione veramente penosa", caratterizzata da una "campagna di calunnie" e da "minacce ed offese ad ascritti e dirigenti" a "degni ecclesiastici" e perfino a "qualche Vescovo". Precisava il Papa che "contrariamente ai patti stabiliti a comune vantaggio si è perfino giunti in più luoghi a mettere i soci dell'Azione cattolica nella dura alternativa di rinunziare a essa o di essere privati della tessera del partito fascista e di tutti i conseguenti diritti".

Consegnando questa lettera a padre Tacchi Venturi il 6 agosto gli venne anche fornito un appunto con la "mente" d'udienza, nella quale ci si riferisce in particolare ai problemi relativi alla questione della razza. Vi si legge tra l'altro:  "Che avviene dei convertiti buoni cattolici? Che avviene del matrimonio? La condotta dei Pontefici verso gli ebrei è tornata ad onore dell'Italia. La Santa Sede non si è lasciata mai trascinare per questa via odiosa, pur tenendo le cose a posto. Non dimenticare che sono gli Ebrei che hanno dato al mondo Cristo e il Cristianesimo".

Recatosi da Mussolini il 12 agosto, Tacchi Venturi non mancò di richiamare il Duce sullo stato d'animo del Papa, che appariva "risoluto (...) a non sopportare in pace qualsiasi violazione dei patti sanciti con tanta solennità innanzi la Chiesa e la Società civile". Egli affermò che il Papa aveva dichiarato "con accento profondamente commosso":  "Mi lascerò uccidere (...) ma saprò difendere coi mezzi che Dio ci ha posto in mano, mezzi più efficaci delle armi e dei cannoni, la libertà cui i miei figli e le mie figlie hanno diritto nella pratica della Religione  Cattolica Apostolica Romana secondo le direttive del Papa".

I colloqui tra padre Tacchi Venturi e Mussolini, portarono, nell'incontro del 17 agosto, a un primo risultato tendente, per quanto riguardava l'Azione cattolica, a ribadire gli accordi del 1931, alla restituzione delle tessere del Pnf ritirate ai soci dell'A.c. e alla sostituzione del federale di Bergamo. Ma l'accordo conteneva anche un'espressione - relativa al problema della razza - che destò la vivace reazione del Pontefice. Vi si diceva che gli ebrei "possono essere sicuri che non saranno sottoposti a trattamento peggiore di quello usato loro per secoli e secoli dai Papi che li ospitarono nella Città eterna e nelle terre del loro temporale dominio". Questa affermazione suscitò una vivace reazione di Pio XI, tanto che il gesuita riferendo l'episodio al cardinale Eugenio Pacelli, pronunziò il motto Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur, e aggiunse:  "Perciò Sua santità continuò a vedere tutto il resto sotto luce oscura".

Solo il 24 agosto 1938, "L'Osservatore Romano" pubblicava la notizia dell'avvenuta intesa tra il segretario del Pnf e il presidente dell'A.c. che si richiamano al rispetto degli accordi del 2 settembre 1931, con la dichiarazione che non sussistevano limitazioni alla simultanea appartenenza all'Azione cattolica e al partito fascista.

Era l'ultimo atto di una lunga, aspra e a volte dolorosa vicenda, nella quale emerge l'immagine di un Pontefice impegnato a sostenere e proteggere "la pupilla" dei suoi occhi.


(©L'Osservatore Romano - 15-16 febbraio 2010)

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Quando «L'Osservatore Romano» condannò l'antisemitismo

Vilipendere gli ebrei
è una bestemmia


Arriva in libreria il volume Vaticano, fascismo e questione razziale (Roma, Guerini, 2010, pagine 283, euro 23,50). Anticipiamo parte dell'introduzione dell'autore e uno stralcio dal secondo capitolo del libro.

di Valerio De Cesaris

Il 1938 fu un anno di contrapposizione tra il Vaticano e il governo fascista, sia per la controversia sul ruolo e l'assetto dell'Azione Cattolica, sia per la questione razziale. Su questo secondo aspetto, è diffusa tra gli storici l'interpretazione che riconosce alla Chiesa di Pio xi di aver condannato con decisione il razzismo, mentre le attribuisce molta minore fermezza rispetto all'antisemitismo. Ciò è unanimemente considerato il portato del secolare antigiudaismo cattolico e della scelta di non contrapporsi eccessivamente al governo italiano, più che il prodotto dell'adesione all'antisemitismo razziale
.

Eppure diversi articoli apparsi su "L'Osservatore Romano", accanto ai pronunciamenti di altri organi di stampa e di personalità cattoliche, e alla documentazione vaticana ora disponibile, consigliano una rivalutazione complessiva della questione, per cogliere le diverse sfumature e ricostruire le differenti posizioni che si ebbero sia nel mondo cattolico italiano che in Vaticano.

Alcuni brevi esempi riguardanti "L'Osservatore Romano":  il 25 dicembre 1937 Guido Gonella, citando l'ebreo convertito René Schwob, scriveva:  "Vi è nell'antisemitismo trionfante qualche cosa che lo Schwob chiama "ignobile".

Ed è la lotta contro una razza semplicemente in nome di un'altra razza, la lotta contro una religione non perché è religione dell'errore ma semplicemente perché è una religione universalistica. In tutto ciò l'antisemitismo non è affermazione dello spirito, bensì una delle tante esaltazioni della potenza della carne contro lo spirito".

Il 4 marzo 1938 il giornalista Renzo Enrico De Sanctis, proveniente dalla Fuci, dopo aver ricordato che "Iddio si è fatto uomo ebreo", si chiedeva "come esprimere l'enormità dell'oltraggio e della bestemmia che consiste nel vilipendere la razza ebraica?". Il 24 novembre dello stesso anno il giornale riportava un intervento dell'arcivescovo di Parigi, cardinale Jean Verdier, in cui si leggeva una chiara critica all'antisemitismo:  "A migliaia e migliaia di uomini vicini a noi si dà la caccia, in nome dei diritti della razza, come a delle bestie feroci, spogliandoli dei loro beni, veri paria che cercano invano in mezzo alla civiltà asilo e un pezzo di pane. Ecco il risultato fatale della teoria razzista". Alla stampa fascista che presentava un Cristo estraneo "alla razza ebraica, maledetta e deicida", la stampa vaticana replicava che quella teoria era una vera e propria eresia e che "l'odio in un'ora di persecuzione, contro dei perseguitati non solo incappa in pericolosi spropositi contro la dottrina della Chiesa, ma altresì contro la carità".

Nel bel mezzo dell'offensiva antiebraica e della messa a punto delle leggi razziali anche in Italia, la stampa vaticana scriveva che "gli ariani esistono allo stesso grado degli Iperborei, dei Lillipuziani e dei Giganti danteschi. Sono, cioè, spiritose invenzioni di poeti e d'altri sapienti fantasiosi", aggiungendo che "togliere a Cristo, oggi, la universalità - la cattolicità - della sua dottrina, che annulla le razze nella superiore unità della figliolanza da un unico Padre, è ripetere un'eresia non meno pericolosa di quella dell'antico arianesimo".

Sono soltanto alcuni esempi. Essi mostrano tuttavia come la Chiesa, in alcune sue articolazioni, si pronunciò contro l'antisemitismo. Si tratta di articoli che all'epoca non passarono inosservati, come dimostrano le reazioni di parte fascista che si rintracciano nei documenti della polizia politica e in quelli dell'ambasciata italiana presso la Santa Sede. In numerose occasioni pervennero, da parte governativa, ingiunzioni ai collaboratori del Papa affinché "L'Osservatore Romano" cessasse di occuparsi della questione razziale. Ma il giornale vaticano sosteneva la linea di Pio xi.


E Mussolini inveì contro il "ghetto cattolico"


All'indomani della promulgazione dei "Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista" (5 settembre), il Papa pronunciò il discorso più forte contro l'antisemitismo, in un'udienza privata con il presidente, il vice-presidente e il segretario della radio cattolica belga. Monsignor Louis Picard, presidente della radio belga, trascrisse il discorso del Papa e lo pubblicò su "La libre Belgique". "La Croix" e "La Documentation catholique" ripresero il testo del giornale belga e lo pubblicarono in Francia, e da lì l'eco delle parole del Papa giunse ovunque, tornando anche in Italia.

L'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Diego von Bergen, il 20 settembre ne diede notizia a Berlino. Secondo quanto scrisse monsignor Picard, che aveva ricevuto dallo stesso Pio xi l'invito a mettere per iscritto e a diffondere il discorso, a un certo punto, mentre parlava, "il Papa non riuscì più a trattenere la sua emozione (...) Ed è piangendo che egli citò i passi di san Paolo che mettono in luce la nostra discendenza spirituale da Abramo:  la promessa è stata fatta ad Abramo e alla sua discendenza(...) Ascoltate attentamente:  Abramo è definito il nostro patriarca, il nostro avo. L'antisemitismo non è compatibile con il sublime pensiero e la realtà evocata in questo testo. L'antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare(...) Attraverso Cristo e in Cristo noi siamo i discendenti spirituali di Abramo (...) Tutte le volte che leggo le parole "il sacrificio di nostro padre Abramo", non posso fare a meno di commuovermi profondamente. Non è lecito per i cristiani prendere parte all'antisemitismo. Noi riconosciamo che ognuno ha il diritto all'autodifesa e che può intraprendere le azioni necessarie per salvaguardare gli interessi legittimi. Ma l'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti".

Pio xi ebbe in quest'occasione un moto di sdegno quasi istintivo di fronte ai provvedimenti che escludevano gli ebrei dalle scuole italiane. Mussolini si scandalizzò per le parole del Papa.

Nel corso della riunione del Gran Consiglio dei fascismo del 18 ottobre seguente, Mussolini, "sdegnoso, parla del "ghetto cattolico", il Vaticano. Ribadisce il suo giudizio sul Papa:  "nefasto". Dice:  "i pii sono funesti nella storia della Chiesa". "Non posso concepire, che un Papa abbia detto:  noi siamo spiritualmente dei semiti"". Espressioni analoghe si ritrovano nel diario di Claretta Petacci recentemente pubblicato, alla data dell'8 ottobre:  "Tu non sai il male che fa questo papa alla Chiesa. Mai papa fu tanto nefasto alla religione come questo. (...) lui fa cose indegne. Come quella di dire che noi siamo simili ai semiti. (...) Già, tutti i papi che si chiamarono Pio furono una disgrazia per la Chiesa".

Gli storici che si sono occupati di queste vicende hanno unanimemente sottolineato il fatto che le frasi di Achille Ratti contro l'antisemitismo non furono pubblicate da "L'Osservatore Romano", sostenendo che il giornale tagliò parte dell'intervento del Papa, proprio i passaggi riferiti agli ebrei. L'articolo cui si fa riferimento per sostenere questa tesi è quello del 9 settembre, in cui si dà conto dell'udienza a un gruppo di pellegrini belgi.

La presunta censura operata dal giornale vaticano sarebbe stata un chiaro segnale dell'isolamento di Pio xi nella sua battaglia contro il razzismo e l'antisemitismo. In realtà il Papa, nell'udienza ai pellegrini belgi, del 7 settembre, non parlò di antisemitismo, e quindi il giornale vaticano non avrebbe avuto nulla da censurare.

Il Papa pronunciò il suo discorso sull'antisemitismo in un'altra udienza, quella privata del 6 settembre, di cui offre un breve resoconto lo stesso Picard:  "Il 6 settembre 1938 Sua Santità ha ricevuto in udienza privata il presidente, il vice-presidente e il segretario della Radio Cattolica Belga; poi, in udienza pubblica, i 120 pellegrini giunti in delegazione per presentare al Papa l'omaggio della nostra associazione cattolica radiofonica. All'inizio dell'udienza pubblica, il Santo Padre ha incaricato i suoi ospiti di ripetere a tutti ciò che aveva confidato in forma riservata. E dunque per assecondare questo desiderio del S. Padre che noi rendiamo di pubblico dominio le dichiarazioni che il Papa ci ha rilasciato nel suo studio".

Poi il prelato belga riportava le parole del Papa, tra cui quelle su citate riferite agli ebrei e all'antisemitismo. "La Documentation catholique", riprendendo il testo apparso su "La libre Belgique", aggiunse la seguente nota:  "L'Osservatore Romano (9 settembre 1938), nel fornire un resoconto di questa udienza non ha riportato nessuna delle parole che il Papa ha dedicato alla questione ebraica, né fa alcun riferimento al problema".

Ma l'articolo del giornale vaticano è esplicitamente dedicato all'udienza del 7 settembre. Da "L'Osservatore Romano" del 7 e del 9 si comprende come si tratti di due udienze diverse. L'errore, quindi, è de "La Documentation catholique", che confuse l'udienza privata del 6 settembre, nel corso della quale il Papa parlò di antisemitismo, con quella pubblica del 7, in cui il Papa parlò di altro e alla quale si riferisce l'articolo de "L'Osservatore Romano" del 9.

Fu il "puis" usato da Picard a trarre in inganno "La Documentation catholique", così come aveva tratto in inganno anche lo "Jüdische Presszentrale Zürich". Egli, per essere più preciso, avrebbe dovuto scrivere "il giorno seguente". Scrivendo "poi" generò l'equivoco che l'udienza privata ai dirigenti della radio cattolica belga e l'udienza pubblica ai pellegrini belgi si fossero svolte nella stessa giornata. Del resto, è più che probabile che il discorso del Papa, se pronunciato durante un'udienza pubblica, avrebbe generato reazioni immediate.

Si trattava infatti di un discorso che non poteva lasciare indifferenti né gli antisemiti, né gli ebrei, né coloro che deploravano le politiche antisemite del nazismo e del fascismo. Esso fu invece ignorato in Italia per alcune settimane, perché nessuno ne ebbe notizia prima che Picard lo pubblicasse.  È  evidente che Pio xi chiese a Picard  di  rendere  noto  il suo discorso  proprio perché sapeva che  esso,  pronunciato  nel corso di un'udienza privata, non sarebbe finito su "L'Osservatore Romano".


(©L'Osservatore Romano - 20 maggio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/01/2011 22:02
 
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L'abate Giuseppe Ricciotti nei suoi libri contrastò le tesi antisemite

E Mussolini lesse (inutilmente)
la "Vita di Gesù Cristo"



di Roberto Pertici

All'inizio del 1945 l'abate Giuseppe Ricciotti era fra i più noti esponenti della cultura cattolica in Italia:  dopo una Storia d'Israele in due volumi apparsa fra il 1932 e il 1934, nel 1941 aveva pubblicato presso l'editore Rizzoli la sua Vita di Gesù Cristo, che aveva ottenuto un encomio solenne dell'Accademia d'Italia, ma soprattutto conosciuto un invidiabile successo di pubblico (sei edizioni tra il 1941 e la fine del 1942 e 40.000 copie vendute).

Nell'aprile del 1945, quand'ormai la guerra volgeva al termine, l'Editrice A.V.E. di Roma pubblicò un suo volumetto intitolato Questioni giudaiche. Di che si trattava? Lo spiegava la vivace pagina introduttiva:  "Questo libretto è una semplice ristampa di articoli già pubblicati isolatamente:  trattano tutti di argomenti giudaici, salvo il primo che è d'intonazione più generica. Nonostante il loro argomento, furono pubblicati dopo ch'era stata passata alla stampa la parola d'ordine di non occuparsi di cose giudaiche, salvo che per denigrarle:  l'ignoranza incommensurabile di chi allora governava l'Italia pretendeva di oscurare la luce del sole stendendo davanti a esso un fazzoletto, ossia di cancellare buona parte della storia dell'umanità con un tratto di penna. Ma gli articoli uscirono ugualmente, e i fatti ivi narrati avrebbero potuto insegnare qualche cosa a chi li sapeva comprendere.

La ristampa, richiestami da parecchi che avevano trovato utili gli articoli, mi è parsa opportuna anche perché oggi in Italia non siamo in condizioni né di stampare né di acquistare libri grossi, mentre mi si chiede continuamente dove si possa acquistare la mia Storia d'Israele e la mia Vita di Gesù Cristo. Il primo ad acquistarle sarei io stesso, se ancora fossero in commercio (una delle ultime copie della Vita di Gesù Cristo fu acquistata da Benito Mussolini, che la lesse e postillò quand'era prigioniero all'isola di Ponza:  ma pare che la lettura non abbia fatto effetto). Quando le due opere potranno essere ristampate, Dio solo lo sa; frattanto, giacché oggi si vive di "surrogati", un piccolo surrogato di esse può essere rappresentato da questa ristampa".
 
Come anche recenti ricerche hanno confermato (alludo soprattutto ai lavori di Gabriele Rigano e Valerio De Cesaris), l'abate Ricciotti era stato in Italia tra i maggiori oppositori dell'antisemitismo:  "Si collocava - scrive De Cesaris - in un filone di biblisti cattolici che, proprio attraverso lo studio della Bibbia e della lingua ebraica, aveva maturato un filogiudaismo solido e argomentato, in cui prendeva corpo un ripensamento complessivo della tradizione antigiudaica del cristianesimo". Già nel 1934 aveva curato l'edizione italiana presso la Morcelliana delle celebri omelie tenute nell'Avvento dell'anno precedente dal cardinale Michael von Faulhaber, arcivescovo di Monaco, su Giudaismo cristianesimo germanesimo, poi si era impegnato in una fitta serie di articoli polemici contro l'antisemitismo germanico, pubblicati su riviste e giornali cattolici.

Il volumetto del 1945 ne raccoglieva solo una parte:  alcuni interventi di argomento più propriamente storico del 1937-1938, quando cioè l'antisemitismo si stava affermando anche nell'Italia fascista. Tutti - bisogna sottolinearlo - erano stati pubblicati o sul quotidiano della Santa Sede o sui più autorevoli quotidiani cattolici italiani. Il primo (Le mosche che arano e le oche del Campidoglio), quello "d'intonazione più generica", era una lettera aperta a don Giuseppe De Luca apparsa sull'"Avvenire d'Italia" del 28 novembre 1937:  Ricciotti polemizzava contro una serie di ambienti ecclesiastici che guardavano con sospetto alla sua opera di biblista e a quella del suo maestro, il padre Vaccari. La ristampa era probabilmente dovuta alle nuove accuse che gli erano piovute addosso negli anni di guerra e che avevano provocato una dichiarazione in suo favore della stessa Pontificia Commissione Biblica.

Ma poi si arrivava alle "questioni giudaiche". Ricciotti ripubblicava l'ormai noto articolo Alla scuola di Arcimbaldo pubblicato su "L'Osservatore Romano" del 10 febbraio 1938. Nel Natale 1937, il quotidiano della Santa Sede aveva ospitato un intervento di Guido Gonella dedicato a Il dramma d'Israele:  "La festa del Natale ci evoca davanti allo spirito il dramma spirituale di Israele, il dramma di questa razza dalla quale è nato il Salvatore. L'anno che si chiude è stato un anno di tormento per le sorti del popolo d'Israele. Ad un ventennio dalla fine della guerra la Palestina ed i Luoghi Santi appaiono più che mai oggetto di una controversia aspra, inesausta. Ebraismo contro arabismo, interessi politici contro interessi religiosi, l'Oriente contro l'Occidente; due mondi in lotta su questa terra che è non solo culla della civiltà religiosa ma anche patria delle contraddizioni storiche più radicali.

In varie occasioni abbiamo, nel corso dell'annata, ricordate le tappe della nuova fase del dramma d'Israele. Dalla presentazione del progetto britannico di tripartizione della Palestina si è passati alla ripresa delle agitazioni arabe, alla limitazione dell'immigrazione sionista, alle aggressioni contro le autorità britanniche ed alla conseguente repressione del movimento nazionalista arabo. Né gli ebrei, né gli arabi, né gli inglesi poterono derivare un qualche vantaggio dalla situazione che è venuta progressivamente peggiorando in Palestina. Contraccolpo immediato della limitazione dell'immigrazione sionista in Terrasanta si è avuto in Europa ove in nuove difficoltà si trovano quelle unità etniche israelitiche che sono state colpite dalla persecuzione politica".
 
L'antisemitismo che dilaga in Europa - avvertiva l'articolo de "L'Osservatore Romano" - "non è affermazione dello spirito, bensì una delle tante esaltazioni della potenza della carne contro lo spirito. (...) Le note più drammatiche del nuovo e rinascente antisemitismo sono offerte non tanto dalla lotta contro la politica di Israele quanto contro la religione di Israele. I suoi nemici prima di essere antisemiti sono dei pagani che hanno deificato uomini e beni mondani per muovere guerra contro Dio, contro i beni religiosi".

Alla fine del gennaio 1938, "Il Tevere" di Telesio Interlandi reagiva duramente in un articolo intitolato Christus del pubblicista tedesco Helmut Gasteiner:  "Nel suo numero di Natale "L'Osservatore Romano" pubblica un articolo in cui deplora vivamente il crescere del movimento antiebraico in tutto il mondo. Questo strano atteggiamento culmina nell'affermazione che "sia indegno perseguitare quella razza alla quale è appartenuto il nostro Signore Gesù Cristo"". La tesi dell'articolo era aberrante, ma allora tutt'altro che originale:  da ultimo se n'era fatto banditore lo stesso Alfred Rosenberg. L'autore la stampava addirittura in maiuscoletto:  "Cristo fu di religione ebraica ma non di razza".

Arcimbaldo era uno dei tanti ciarlatani che giravano per le piazze di Roma ai tempi della sua adolescenza:  a lui Ricciotti paragonava Gasteiner e quelli come lui, distruggendone le argomentazioni:  "Se abbiamo fatto all'autore l'onore di occuparci del suo scritto, non è certamente né per la sua sostanza né per il suo metodo, ambedue nettamente antiscientifici. È soltanto per il titolo Christus, che è troppo sacro per essere usurpato da un qualsiasi Arcimbaldo. (...) Fatto sta che quando "L'Osservatore Romano" ha deplorato vivamente il crescere del movimento anti-ebraico in tutto il mondo, ha parlato secondo lo spirito cristiano; e quando ha affermato che alla razza ebraica è appartenuto il nostro Signore Gesù Cristo, ha parlato secondo i più rigorosi dati scientifici. E ciò, anche se Arcimbaldo non è in grado di rendersi conto né dell'una né dell'altra cosa". Ricciotti riproponeva anche un articolo pubblicato sul quotidiano della curia milanese "L'Italia" il 16 novembre 1938:  ormai anche in Italia era stata introdotta una legislazione antisemita mentre, una settimana prima, la Germania era stata insanguinata dalla Kristalnacht.

Il titolo (La questione giudaica nel sesto decennio del cristianesimo) poteva far pensare a un problema di mera erudizione storica. In realtà l'abate romano affrontava il problema teologico del rapporto fra Ebraismo e Cristianesimo:  i Giudei, "gli eletti dell'antico periodo di preparazione, non acconsentirono ad essere parificati a tutti gli altri popoli nel periodo di perfezione, non vollero ammettere che quell'antico periodo per essi privilegiato fosse ormai abolito e superato:  perciò, in massima parte, respinsero il cristianesimo".

Come si vede, riaffiorava la tradizionale concezione "sostitutiva" del rapporto fra Cristianesimo ed Ebraismo, fra Nuovo e Antico Testamento, ma Ricciotti metteva subito in guardia dai rischi che ne potevano discendere (e spesso ne erano scaturiti):  "Questa tesi poteva essere applicata in maniera indebita dai cristiani provenienti dal paganesimo:  costoro, vedendo che la massima parte dei Giudei respingeva il cristianesimo, potevano nutrire avversione per loro e disprezzare l'antico popolo eletto. Ma Paolo prende subito posizione contro questo atteggiamento, e comincia pronunciando la sua celebre glorificazione d'Israele (Romani, 9, 1-5)".
 
L'Apostolo delle genti, "il più fermo propugnatore dell'universalità indiscriminata del cristianesimo e dell'abolizione delle prerogative del giudaismo" ammonisce "a non dimenticare le antiche glorie d'Israele, a non insolentire contro l'infedeltà attuale di costui, e soprattutto a non disperare che un giorno questa infedeltà si cambi in luminosa fede". La Chiesa - concludeva Ricciotti - "non sarebbe stata istituita da Gesù Cristo se non avesse parlato già in antico tali parole d'amore, e non sarebbe katholikè se avesse respinto da sé uno solo dei figli del Dio vivente".

Un'esortazione al rispetto e all'amore verso il "popolo della legge" emergeva dunque dagli articoli storici ed eruditi del biblista romano. Il medesimo atteggiamento era sotteso al lungo saggio La Palestina agli inizi del cristianesimo pubblicato a puntate - nelle stesse drammatiche settimane - su "L'Osservatore Romano":  dal 30 ottobre al 18 dicembre 1938. Il lavoro, che prendeva le mosse dal iii secolo prima dell'era cristiana e giungeva fino alla conquista e distruzione di Gerusalemme nel 70 dell'era cristiana, era svolto con un'asciuttezza di tono e una ricchezza di dati significativa:  come scriveva nel 1945, "i fatti ivi narrati avrebbero potuto insegnare qualche cosa a chi li sapeva comprendere".

Si sottolineava maliziosamente il grande favore che gli Ebrei della diaspora e quelli rimasti in Palestina avevano goduto da parte di Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto, i due massimi esponenti di quella romanità a cui diceva di ispirarsi il regime fascista. Ma anche si passavano in rassegna i pregiudizi anti-ebraici che erano circolati presso gli intellettuali e fra le masse nel mondo romano:  "La Diaspora fece nel mondo greco-romano la parte del signum contradictionis. Molti, non giudei, la protessero e simpatizzarono per essa; moltissimi, al contrario, la disprezzarono con disdegno, la odiarono con l'odio alimentato dall'ignoranza e dal pregiudizio". Ignoranza e pregiudizio:  e Ricciotti sottolineava come "le stesse accuse rivolte al giudaismo, erano lanciate da principio anche contro il cristianesimo".

Alla fine della sua Storia d'Israele, dopo avere ricordato le disposizioni romane che vietavano agli ebrei di entrare in Elia Capitolina (la città costruita da Adriano sulle rovine di Gerusalemme), e "perfino di vedere quel materiale Giove che si era sostituito all'immateriale Jahvè", Ricciotti aveva aggiunto:  "Da quel giorno i Giudei hanno avuto per città il mondo intero, e per Tempio il proprio cuore".


(©L'Osservatore Romano - 27 gennaio 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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