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La Comunione alla mano? UN ABUSO tollerato dalla Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 26/07/2017 08:08
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26/12/2008 22:47
 
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....in GINOCCHIO è la sua corretta e sana DOTTRINA

                                              


E' uscito di recente, pubblicato dalla LIBRERIA EDITRICE VATICANA un libricino scritto dal vescovo Athanasius Schneider, vescovo in Kirghistan (Asia Centrale) e con la presentazione di mon. Malcom Ranjith nella quale si denuncia l'abusiva pratica della comunione alla mano nella sua conseguenza IMPOSIZIONE  dell'eleminazione degli inginocchiatoi e l'obbligo di educare a ricevere l'Eucarestia alla mano....
scrive mns. Ranjith:
" E' strano che tali provvedimenti (imporre la comunione alla mano e togliere gli inginocchiatoi) siano stati presi nelle diocesi, dai responsabili della liturgia, o nelle chiese, dai parroci, senza una minima consultazione dei fedeli,anche se oggi più che mai si parla (erroneamente) di democrazia nella Chiesa....."

COMPRATE QUESTO LIBRICINO, meditiamolo e facciamolo conoscere....
rientrando dopo agosto provvederò ad inserire altri brani del testo....

Il libricino si intitola: DOMINUS EST "RIFLESSIONI DI UN VESCOVO DELL'ASIA CENTRALE SULLA SACRA COMUNIONE"  Libreria Editrice Vaticana, 8 euro, stampato nel 2008 e da poco è alla sua seconda ristampa....UN SUCCESSO....

dice mons. Ranjith nella sua conclusione:
"Ora io credo sia arrivato il momento di valutare bene la suddetta prassi (comunione alla mano) e di rivedere  E SE NECESSARIO, ABBANDONARE QUELLA ATTUALE CHE DIFATTI NON FU MAI INDICATA DALLA SACRAMENTUM CONCILIUM, NE DAI PADRI CONCILIARI...."

 Sorriso

MEDIAMO GENTE, MEDITIAMO....




Libreria Editrice Vaticana pubblica libro di Mons. Athanasius Schneider sulla sacra Comunione, con prefazione di Mons. Malcolm Ranjith

Notizia del 25/01/2008 stampata dal sito web www.lucisullest.it

“Dominus Est - Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione”, scritto da Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda (Kazakhstan), è stato stampato di recente dalla Libreria Editrice Vaticana, con prefazione del Segretario della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, Mons. Malcolm Ranjith.
Ecco la presentazione che si può leggere sulla contra-copertina di questo importante lavoro:
La sacra Comunione non è soltanto un momento conviviale del nutrimento spirituale, ma anche l'incontro personale più vicino possibile in questa vita del fedele con il Signore e Dio. L'atteggiamento interiore più vero in questo incontro è quello della recettività, dell'umiltà, dell'infanzia spirituale. Un Tale atteggiamento esige da parte nostra gesti tipici di adorazione e di riverenza. Ne abbiamo testimonianze eloquenti nella bimillenaria tradizione della Chiesa, caratterizzata dal detto “con amore e timore” (primo millennio) e “quanto puoi, tanto osa” (secondo millennio). L'autore riporta anche l'esempio di tre “donne eucaristiche” di sua conoscenza del tempo della clandestinità sovietica. Tali testimonianze possono incoraggiare ed istruire i cattolici del terzo millennio su come trattare il Signore nell'augusto momento della sacra Comunione.
*      *    *
PREFAZIONE
Nel Libro dell'Apocalisse, San Giovanni rac­conta come avendo visto e udito ciò che gli fu rivelato, si prostrava in adorazione ai piedi del­l'angelo di Dio (cf. Ap 22, 8). Prostrarsi o mettersi in ginocchio davanti, alla maestà della presenza di Dio, in umile adorazione, era un'abitudine di riverenza che Israele attuava sempre davanti alla presenza del Signore. Dice il primo libro dei Re: « quando Salomone ebbe finito di rivolgere al Si­gnore questa preghiera e questa supplica, si alzò davanti all'altare del Signore, dove era inginoc­chiato con le palme tese verso il cielo, si mise in piedi e benedisse tutta l'assemblea d'Israele » (1 Re 8, 54-55). La posizione della supplica del Re è chiara: Lui era in ginocchio davanti all'altare.

La stessa tradizione è visibile anche nel Nuo­vo Testamento dove vediamo Pietro mettersi in ginocchio davanti a Gesù (cf Lc 5, 8); Giairo per chiedergli di guarire sua figlia (Lc 8, 41), il Sama­ritano tornato a ringraziarlo e Maria, sorella di Lazzaro per chiedere il favore della vita per il suo fratello (Gv 11, 32). Lo stesso atteggiamento di prostrazione davanti allo stupore della presenza e rivelazione divina si nota in genere nel Libro dell'Apocalisse (Ap 5, 8, 14 e 19, 4).
Intimamente legato a questa tradizione, era la convinzione che il Tempio Santo di Gerusalem­me era la dimora di Dio e perciò nel tempio bi­sognava disporsi in atteggiamenti corporali espressivi di un profondo senso di umiltà e rive­renza alla presenza del Signore.

Anche nella Chiesa, la convinzione profonda che nelle specie Eucaristiche il Signore è vera­mente e realmente presente e la crescente prassi di conservare la santa comunione nei tabernaco­li, contribuì alla prassi di inginocchiarsi in atteg­giamento di umile adorazione del Signore nel­l'Eucaristia.

Difatti, riguardo alla presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche il Concilio di Trento pro­clamò: « in almo sanctae Eucharistiae sacramento post panis et vini consecrationem Dominum nostrum Iesum Christum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter sub specie illarum rerum sensibilium contineri » (DS 1651).

Inoltre, San Tommaso d'Aquino aveva già definito l'Eucaristia latens Deitas (S. Tommaso d'Aquino, Inni). E, la fede nella presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche apparteneva già d'allora all'essenza della fede della Chiesa Catto­lica ed era parte intrinseca dell'identità cattolica. Era chiaro che non si poteva edificare la Chiesa se tale fede veniva minimamente intaccata.
Perciò, l'Eucaristia, Pane transustanziato in Corpo di Cristo e vino in Sangue di Cristo, Dio in mezzo a noi, doveva essere accolta con stupo­re, massima riverenza e in atteggiamento di umi­le adorazione. Papa Benedetto XVI ricordando le parole di Sant'Agostino «nemo autem illam car­nem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando » (Enarrationes in Psalmos 89, 9; CCL XXXIX, 1385) sottolinea che « ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso, colui che riceviamo [...] soltanto nell'ado­razione può maturare un'accoglienza profonda e vera » (Sacramentum Caritatis 66).

Seguendo questa tradizione è chiaro che as­sumere gesti e atteggiamenti del corpo e dello spirito che facilitano il silenzio, il raccoglimento, l'umile accettazione della nostra povertà davanti all'infinita grandezza e santità di Colui che ci vie­ne incontro nelle specie eucaristiche diventava coerente e indispensabile. Il miglior modo per esprimere il nostro senso di riverenza verso il Signore Eucaristico era quello di seguire l'esem­pio di Pietro che, come racconta il Vangelo, si gettò in ginocchio davanti al Signore e disse «Si­gnore, allontanati da me che sono un peccatore » (Lc 5, 8).

Ora, si nota come in alcune chiese, tale prassi viene sempre meno e i responsabili non solo im­pongono i fedeli a ricevere la Santissima Eucaristia in piedi, ma hanno persino eliminati tutti gli ingi­nocchiatoi costringendo i loro fedeli a stare seduti, o in piedi, anche durante l'elevazione delle specie Eucaristiche presentate per l'adorazione. E strano che tali provvedimenti siano stati presi nelle dio­cesi, dai responsabili della liturgia, o nelle chiese, dai parroci, senza una pur minima consultazione dei fedeli, anche se oggi più che mai, si parla in molti ambienti, di democrazia nella Chiesa.

Allo stesso tempo, parlando della comunione sulla mano bisogna riconoscere che fu una prassi introdotta abusivamente e in fretta in alcuni am­bienti della Chiesa subito dopo il Concilio, cam­biando la secolare prassi precedente e divenendo ora la prassi regolare per tutta la Chiesa. Si giu­stificava tale cambiamento dicendo che rifletteva meglio il Vangelo o la prassi antica della Chiesa.
E’ vero che se si riceve sulla lingua, si può ricevere anche sulla mano, essendo questo orga­no del corpo d'uguale dignità. Alcuni, per giusti­ficare tale prassi, si riferiscono alle parole di Gesù: « prendi e mangia » (Mc 14, 22; Mt 26, 26). Quali siano le ragioni a sostegno di questa prassi, non possiamo non ignorare ciò che succede a livello mondiale dove tale pratica viene attuata.

Questo gesto contribuisce ad un graduale e crescente indebolimento dell'atteggiamento di riverenza ver­so le sacre specie Eucaristiche. La prassi prece­dente invece salvaguardava meglio quel senso di riverenza. Sono subentrati invece, una allarmante mancanza di raccoglimento e uno spirito di ge­nerale disattenzione. Si vedono ora dei comuni­candi che spesso tornano ai loro posti come se nulla di straordinario fosse accaduto. Maggior­mente distratti sono i bambini e gli adolescenti. In molti casi non si nota quel senso di serietà e silenzio interiore che devono segnalare la presen­za di Dio nell'anima.

Ci sono poi abusi di chi porta via le sacre specie per tenerle come souvenir, di chi le vende, o peggio ancora, di chi le porta via per profanare in riti satanici
. Tali situazioni sono state rilevate. Persino nelle grandi concelebrazioni, anche a Ro­ma, varie volte sono state trovate delle specie sacre buttate a terra.

Questa situazione non ci porta solo a riflette­re sulla grave perdita di fede, ma anche sugli ol­traggi e offese al Signore che si degna di venirci incontro volendo renderci simili a lui, affinché rispecchi in noi la santità di Dio.

Il Papa parla della necessità non solo di ca­pire il vero e profondo significato dell'Eucaristia, ma anche di celebrarla con dignità e riverenza. Dice che bisogna essere consci dell'importanza « dei gesti e della postura, come inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera Euca­ristica» (Sacramentum Caritatis, 65). Inoltre par­lando della ricezione della Santa Comunione in­vita tutti a: « fare il possibile perché il gesto nella sua semplicità corrisponda al suo valore di incon­tro personale con il Signore Gesù Cristo nel Sacramento » (Sacramentum Caritatis, 50).

In questa ottica è da apprezzare il Libretto scritto da S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare di Karaganda in Kazakhstan dal titolo molto significativo Dominus Est. Esso vuole dare un contributo alla discussione attuale sul­l'Eucaristia, presenza reale e sostanziale di Cristo nelle specie consacrate del Pane e del Vino. È significativo che Mons. Schneider inizi la sua Pre­sentazione con una nota personale ricordando la profonda fede eucaristica della sua mamma e di altre due donne, fede conservata fra tante soffe­renze e sacrifici che la piccola comunità dei cat­tolici di quel Paese ha sofferto negli anni della persecuzione sovietica. Partendo da questa sua esperienza, che suscitò in lui una grande fede, stupore e devozione per il Signore presente nel­l'Eucaristia, egli ci presenta un excursus storico-teologico che chiarisce come la prassi di ricevere la Santa Comunione in bocca e in ginocchio sia stata accolta e praticata nella Chiesa per un lungo periodo di tempo.

Ora io credo che sia arrivato il momento di valutare bene la suddetta prassi, e di rivedere e se, necessario, abbandonare quella attuale che difatti non fu indicata né nella stessa Sacrosanctum Con­cilium, né dai Padri Conciliari ma fu accettata do­po una introduzione abusiva in alcuni Paesi. Ora, più che mai, è necessario aiutare i fedeli a rinnovare una viva fede nella presenza reale di Cristo nelle specie Eucaristiche allo scopo di rafforzare la vita stessa della Chiesa e di difenderla in mezzo alle pericolose distorsioni della fede che tale si­tuazione continua a causare.

Le ragioni per tale mossa devono essere non tanto quelle accademiche ma quelle pastorali – spirituali come anche liturgiche – in breve, ciò che edifica meglio la fede. Mons. Schneider in questo senso mostra lodevole coraggio, perché ha saputo cogliere il vero significato delle parole di San Paolo: « ma tutto si faccia per l'edificazio­ne» (1 Cor 14, 26).

MALCOLM RANJITH
Segretario della Congregazione del Culto Divino
e della Disciplina dei Sacramenti
Data di pubblicazione: 18 Gennaio 2008
Formato: 11x17.5cm
Codice ISBN: 978-88-209-8001-6
EUR 8.0




      

 


CHIESA CATTOLICA: l’intervista a mons. Burke

Sul numero 37 (agosto-settembre) appena uscito, della rivista “Radici cristiane” è apparsa una importante intervista con Sua Eccellenza Raymond L. Burke, a cura di Thomas J. McKenna sul tema dell’Eucarestia. Ne riportiamo alcuni stralci.

Eccellenza, sembra che oggi prevalga una visione lassista nei riguardi della ricezione dell’Eucaristia. Perché? Crede poi che questo influenzi i fedeli nei modo di vivere come cattolici?

Una delle ragioni perché credo che questo lassismo è andato sviluppandosi è l’insufficiente enfasi nella devozione eucaristica: in modo speciale mediante il culto al Santissimo con le processioni; con le benedizioni del Santissimo; con i tempi più lunghi di adorazione solenne e con la devozione delle 40 ore. Senza devozione al Santissimo Sacramento la gente perde rapidamente la fede eucaristica. Sappiamo che c’è una percentuale elevata di cattolici che non crede che sotto le specie eucaristiche ci sono il corpo e il sangue di Cristo. Sappiamo inoltre che c’è un allarmante percentuale di cattolici che non partecipano alla Messa domenicale.

Un altro aspetto è la perdita del senso di collegamento fra il sacramento della Eucaristia e quello della Penitenza. Forse nel passato c’è stata un enfasi esagerata al punto che la gente credeva che ogni volta che si riceveva l’Eucaristia si doveva prima confessare. Ma ora la gente va regolarmente a comunicarsi e forse mai, o molto di rado, si confessa. Si è perso il senso della nostra propria indegnità e del bisogno di confessarsi dei peccati e far penitenza al fine di ricevere degnamente la Sacra Eucaristia.

Si somma a questo il senso sviluppatosi a partire dalla sfera civile che consiste nel credere che ricevere l’Eucaristia è un diritto. Cioè, che come cattolici abbiamo il diritto di ricevere la Comunione. È vero che una volta che siamo stati battezzati e abbiamo raggiunto l’uso della ragione, dovremmo essere preparati per ricevere la Sacra Comunione e, se siamo ben disposti, frequentemente dobbiamo riceverla. Ma d’altra parte noi non abbiamo mai un diritto di ricevere l’Eucaristia.

Ci sono leggi della Chiesa per impedire condotte inadeguate da parte dei fedeli a beneficio della comunità. Potrebbe lei commentarle e spiegarci fino a che punto la Chiesa e la Gerarchia hanno un obbligo di intervenire allo scopo di chiarire e correggere.

Nei riguardi dell’Eucaristia, per esempio, ci sono due canoni in particolare che hanno a che fare con la degna ricezione del Sacramento. Essi hanno come scopo due beni. Un bene è quello della persona stessa, perché ricevere indegnamente il Corpo e il Sangue di Cristo è un sacrilegio. Se lo si fa deliberatamente in peccato mortale, è un sacrilegio. Quindi per il bene della persona stessa la Chiesa deve istruirci dicendoci che ogni volta che riceviamo l’Eucaristia, dobbiamo prima esaminare la nostra coscienza.

Se abbiamo un peccato mortale sulla coscienza dobbiamo prima confessarci di quel peccato e ricevere l’assoluzione e, soltanto dopo, accostarci al sacramento eucaristico. Molte volte i nostri peccati gravi sono nascosti e solo noti a noi stessi e forse a pochi altro. In quel caso, dobbiamo essere noi a tenere sotto controllo la situazione ed essere in grado di disciplinarci in modo di non ricevere la Comunione.
Ma ci sono altri casi di persone che commettono peccati gravi deliberatamente e sono casi pubblici, come un ufficiale pubblico che con conoscenza e consentimento sostiene azioni che sono contro la legge morale Divina ed Eterna. Per esempio, pubblicamente appoggia l’aborto procurato, che comporta la soppressione di vite umane innocenti e senza difesa. Una persona che commette peccato in questa maniera è da ammonire pubblicamente in modo che non riceva la Comunione finché non ha riformato la sua vita. Se una persona che è stata ammonita persiste in un peccato mortale pubblico e si avvicina per ricevere la Comunione, allora il ministro dell’Eucaristia ha l’obbligo di rifiutargliela.

Perché? Innanzitutto per la salvezza della persona stessa, cioè per impedirle di fare un sacrilegio. Ma anche per la salvezza di tutta la Chiesa, per impedire che ci sia scandalo in due maniere. Primo, uno scandalo riguardante quale deva essere la nostra disposizione per ricevere la Santa Comunione. In altre parole, si deve evitare che la gente sia indotta a pensare che si può essere in stato di peccato mortale e accostarsi all’Eucaristia.
Secondo, ci potrebbe essere un’altra forma di scandalo, consistente nell’indurre la gente a pensare che l’atto pubblico che questa persona sta facendo, che finora tutti credono sia un peccato serio, non deve esserlo tanto se la Chiesa permette a quella persona di ricevere la Comunione. Se abbiamo una figura pubblica che apertamente e deliberatamente sostiene i diritti abortisti e che riceve l’Eucaristia, che finirà per pensare la gente comune? Essa può essere portata a credere che è corretto in un certo qual modo sopprimere una vita innocente nel seno materno.

(CR 1054/01 - 9/8/2008)
http://www.corrispondenzaromana.it/articoli/546/0/Chiesa-Cattolica/CHIESA-CATTOLICA:-l-intervista-a-mons.-Burke.html

***************

Rifletterei molto su queste parole:

 Si è perso il senso della nostra propria indegnità e del bisogno di confessarsi dei peccati e far penitenza al fine di ricevere degnamente la Sacra Eucaristia.

A queste parole mi sovvengono quelle del Cristo: "Quando il figlio dell'uomo tornerà sulla terra, troverà ancora la fede nell'uomo?"
Alla domanda sembrerebbe scontato dire: "Certo che ci credo in Gesù!!!" ma sarebbe duopo chiederci se crediamo veramente al Cristo e non piuttosto AD UNA IMMAGINE ACCOMODANTE che ci siamo costruiti affinchè ci tolga dall'imbarazzo di sentirci PECCATORI BISOGNOSI DI SALVEZZA E DI ASSOLUZIONE.... [SM=g7574]
Si è perso il senso della nostra propria indegnità e del bisogno di confessarsi ....[SM=g1740720] ...

Giovanni 20,23
a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».

2Corinzi 5,18
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione.


Tutta l'intervista di mons. Burke è da meditare, fare propria e far circolare.... parole come SCANDALO, SACRILEGIO, recentemente scomparse dal linguaggio dell'evangelizzazione, vanno riabilitate a cominciare proprio da NOI cattolici poichè come è stato fatto notare....l'Eucarestia, il riceverla NON è affatto un diritto MA E' DONO e come ogni dono occorre essere PRONTI a riceverlo....diversamente si compie un sacrilegio, si da scandalo, si da "ai porci il Cibo Santo" (Didachè) ci si AUTOCONDANNA, lo dice san Paolo:

1Corinzi 11,29
perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna


il concetto paolino del "non riconoscere" il corpo del Signore indica proprio la dottrina impartita dalla Chiesa sul Sacramento CHE SALVA E DA LA VITA ETERNA (cfr Gv.6)

Ringraziando la Provvidenza che in Benedetto XVI ci ha donato la possibilità di condannare questi abusi  e denunciare questa grave apostasia dalla sana dottrina Eucaristica, cerchiamo di diventare NOI stessi testimoni della Verità TRASMESSA(=TRADIZIONE) e con Carità fraterna, SOFFRENDO E PATENDO PER LA CHIESA, aiutare il nostro Prossimo a riscoprire o a scoprire che abbiamo con noi Dio VIVO E VERO che ci attende sia nel Confessionale quanto nell'Eucarestia..


[SM=g1740722]


San Tommaso d'Aquino: "La celebrazione della Messa ha lo stesso valore della morte di Gesù sulla croce".

San Francesco d'Assisi: "L'uomo dovrebbe tremare, la terra dovrebbe vibrare, il cielo intero dovrebbe commuoversi profondamente, quando il Figlio di Dio si rende presente sugli altari nelle mani del sacerdote".

San Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars: "Se conoscessimo il valore della Messa, moriremmo di gioia"

San Pio da Pietralcina: "Quando assisti alla Messa, rinnova la tua fede e medita circa la Vittima che si immola per te alla Giustizia Divina, per placarla e renderla propizia. Non te ne andare dall'altare senza versare lacrime di dolore e di amore per Gesù, crocifisso per la tua salvezza. La Vergine Addolorata ti accompagnerà e sarà la tua dolce ispirazione"

Santa Teresa di Gesù: "Senza la Messa, che sarebbe di noi? Tutti qui giù periremmo, perché solamente la Messa può trattenere il braccio di Dio. Senza di Essa, certamente la Chiesa non durerebbe e il mondo sarebbe perduto senza rimedio."

San Bernardo: "Si ha maggior merito assistendo ad una santa Messa con devozione, che distribuendo tutte le proprie sostanze ai poveri o viaggiando come pellegrini in tutto il mondo".


***************

Domandiamoci: come mai i Santi sono così insistenti sul valore della Santa Messa?
Siamo consapevoli che ogni attività, ogni opera sarebbe vana SENZA LA FEDE? Fede in che cosa?
Fede in una immagine di Cristo a nostro uso e consumo(=opere) o non piuttosto fede in ciò che c'è ma NON vediamo ma che costituisce l'essenza del nostro essere cattolici?[SM=g1740730]

Una interessante e drammatica al tempo stesso, ironica sottolineatura di cosa è accaduto e di cosa stiamo vivendo....dalla penna intelligente e verace del grande Rino Cammilleri.... [SM=g1740721]


Antidoti: «Preghiamo a comando, secondo l’elenco stabilito dai benemeriti anonimi che si incaricano di risparmiarci la fatica del cosa chiedere. Messa», Rino Cammilleri, 12.06.2005

Messa

Rino Cammilleri

E’ vero, la vecchia messa era proprio cupa e lugubre, con tutto quel sangue di Cristo sparso per voi e per tutti, l’ossessione dei peccati, quei fumi, quella penombra, quei ceri, quei silenzi angosciosi…

In questa fresca e luminosa domenica di giugno mi sono convertito ed ho finalmente apprezzato il musical che neanche Garinei & Giovannini, gioioso, ilare, spensierato. Infatti, non sono andato «a messa», bensì alla «celebrazione eucaristica», e anche il cambio di nome è tutto una trasfigurazione.

E, per la gioia anche degli occhi, nel banco davanti al mio c’era una variopinta fila di signorine compunte, sì, ma almeno vestite in modo finalmente moderno: vita bassa e magliette shorty, con natiche alla vista.

Preghiamo, mentre altrove i quorum aumentano. Ovviamente, preghiamo a comando, secondo l’elenco stabilito dai benemeriti anonimi che si incaricano di risparmiarci la fatica del cosa chiedere.

Mi raccomando, ascoltaci, Signore, perché siamo così contenti che le nostre chitarre non bastano più.

http://www.cammilleri.it/
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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09/01/2009 11:36
 
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Una riflessione alla luce del magistero ecclesiale

L'arte di celebrare
il servizio liturgico [SM=g1740721]




di Nicola Bux

Il sacerdote, per celebrare con arte il servizio liturgico, non deve ricorrere ad accorgimenti mondani ma concentrarsi sulla verità dell'eucaristia. L'Ordinamento generale del messale romano stabilisce:  "Anche il presbitero...quando celebra l'eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo". Il prete non escogita nulla, ma col suo servizio deve rendere al meglio agli occhi e agli orecchi, ma anche al tatto, al gusto e all'olfatto dei fedeli, il sacrificio e rendimento di grazie di Cristo e della Chiesa, al cui mistero tremendo possono avvicinarsi quanti si sono purificati dai peccati. Come possiamo avvicinarci a lui se non abbiamo il sentimento di Giovanni il precursore:  "è necessario che egli cresca e io diminuisca"(Gv 3, 20)? Se vogliamo che il Signore cammini con noi, dobbiamo recuperare questa consapevolezza, altrimenti priviamo dell'efficacia il nostro atto devoto:  l'effetto dipende dalla nostra fede e dal nostro amore.



Non è il sacerdote
padrone dei misteri

Il sacerdote è ministro, non padrone, amministratore dei misteri:  li serve e non se ne serve per proiettare le proprie idee teologiche o politiche e la propria immagine, al punto che i fedeli si fermerebbero a lui invece che guardare a Cristo che è significato dall'altare e presente sull'altare, e in alto sulla croce. Come ha ammonito recentemente il Santo Padre, la cultura dell'immagine in senso mondano segna e condiziona anche i fedeli e i pastori; la televisione italiana, a commento del discorso inquadrava una concelebrazione nella quale alcuni sacerdoti parlavano al telefonino. Dal modo di celebrare la messa si possono dedurre molte cose:  la sede del celebrante in molti luoghi ha decentrato croce e tabernacolo occupando il centro della chiesa, talvolta sovrastando per importanza l'altare, finendo per assomigliare ad una cattedra episcopale che nelle chiese orientali sta fuori dell'iconostasi, ad un lato ben visibile. Era così anche da noi prima della riforma liturgica.
L'ars celebrandi consiste nel servire con amore e timore il Signore:  per ciò si esprime con baci alla mensa e ai libri liturgici, inchini e genuflessioni, segni di croce e incensazioni di persone e oggetti, gesti di offerta e di supplica, ostensioni dell'evangelario e della santa eucaristia.

Ora, tale servizio e stile del prete celebrante o, come si ama dire, del presidente dell'assemblea - termine che porta a fraintendere la liturgia come un atto democratico - si vede dal suo prepararsi alla vestizione in sacristia nel silenzio e raccoglimento per l'atto grande che si appresta a fare; dall'incedere all'altare, che deve essere umile, non ostentato, senza indulgere nello sguardo a destra e a manca, quasi a cercare l'applauso. Infatti, il primo atto è l'inchino o la genuflessione davanti alla croce e al tabernacolo, in sintesi la presenza divina, seguito dal bacio riverente dell'altare ed eventualmente dall'incensazione; il secondo atto è il segno di croce e il saluto sobrio ai fedeli; il terzo è l'atto penitenziale, da compiere profondamente e con gli occhi bassi, mentre i fedeli potrebbero inginocchiarsi, come nell'antico rito, - perché no? - imitando il pubblicano gradito al Signore. Le letture saranno proclamate come parola non nostra, perciò con tono chiaro e umile. Come il sacerdote inchinato chiede di purificare le labbra e il cuore per annunziare degnamente il vangelo, perché non potrebbero farlo i lettori, se non visibilmente come nel rito ambrosiano, almeno in cuor loro? Non si alzerà la voce come in piazza e si manterrà un tono chiaro per l'omelia ma sommesso e supplice per le preghiere, solenne se in canto. Il sacerdote si appresterà inchinato a celebrare l'anafora ancora "in spirito di umiltà e con animo contrito".



Lo stupore eucaristico


Toccherà i santi doni con stupore - lo stupore eucaristico di cui ha parlato spesso Giovanni Paolo ii - e con adorazione, e i vasi sacri purificherà con calma e attenzione, secondo il richiamo di tanti padri e santi. Si inchinerà sul pane e sul calice nel dire le parole di Cristo consacrante e nell'invocare lo Spirito Santo alla supplica o epiclesi. Li eleverà separatamente fissando in essi lo sguardo in adorazione e poi abbassandolo in meditazione. Si inginocchierà due volte in adorazione solenne. Continuerà con raccoglimento e tono orante l'anafora fino alla dossologia, elevando i santi doni in offerta al Padre. Reciterà il Padre nostro con le mani alzate e non tenendo per mano altri, perché ciò è proprio del rito della pace; il sacerdote non lascerà il sacramento sull'altare per dare la pace fuori del presbiterio, invece frazionerà l'ostia in modo solenne e visibile, quindi genufletterà davanti all'eucaristia e pregherà in silenzio chiedendo ancora di essere liberato da ogni indegnità per non mangiare e bere la propria condanna e di essere custodito per la vita eterna dal santo corpo e prezioso sangue di Cristo; poi presenterà ai fedeli l'ostia per la comunione, supplicando Domine non sum dignus, e inchinato si comunicherà per primo. Così sarà di esempio ai fedeli.
Dopo la comunione il ringraziamento nel silenzio, meglio che seduti si può fare in piedi in segno di rispetto o inginocchiati, se è possibile, come ha fatto fino all'ultimo Giovanni Paolo ii, col capo inchinato e le mani congiunte; al fine di chiedere che il dono ricevuto ci sia rimedio per la vita eterna, come si dice mentre si purificano i vasi sacri. Molti fedeli lo fanno e ci sono di esempio. Il sacerdote, dopo il saluto e la benedizione finale, salendo l'altare per baciarlo, ancora alzi gli occhi alla croce e si inchini o genufletta al tabernacolo. Quindi torni in sacristia, raccolto, senza dissipare con sguardi e parole la grazia del mistero celebrato.

Così i fedeli saranno aiutati a comprendere i santi segni della liturgia, che è una cosa seria, e in cui tutto ha un senso per l'incontro col mistero presente.
Paolo VI, nell'istruzione Eucharisticum mysterium richiama una verità centrale esposta da san Tommaso:  "Questo Sacrificio, poi, come la stessa passione di Cristo, sebbene sia offerto per tutti, "non ha effetto se non in coloro che si uniscono alla passione di Cristo con la fede e la carità... Ad essi tuttavia giova più o meno secondo la misura della loro devozione"". La fede è condizione della partecipazione al sacrificio di Cristo con tutto me stesso. In che cosa consiste l'azione dei fedeli, diversamente dal sacerdote che consacra? Essi, memori, rendono grazie, offrono e, convenientemente disposti, si comunicano sacramentalmente. L'espressione più intensa è nella risposta all'invito del sacerdote poco prima dell'anafora:  "Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa".
Senza fede e devozione del sacerdote non sussiste l'ars celebrandi e non viene favorita la partecipazione del fedele, innanzitutto la percezione del mistero. Perché il Signore, di noi "conosce la fede e la devozione" (Canone romano) che si esprimono nei sacri gesti, gli inchini, le genuflessioni, le mani giunte, lo stare inginocchiati. La mancanza della devozione nella liturgia, spinge molti fedeli ad abbandonarla e a dedicarsi a forme di pietà secondarie, allargando la divaricazione tra l'una e le altre. Poiché la sacra liturgia è un atto di Cristo e della chiesa, non l'esito della nostra bravura, non prevede il successo a cui applaudire. La liturgia non è nostra ma sua.



La tradizione della Chiesa


La congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti nell'istruzione Redemptionis sacramentum ricorda al sacerdote la promessa dell'ordinazione, rinnovata di anno in anno nella messa crismale, di celebrare "devotamente e con fede i misteri di Cristo a lode di Dio e santificazione del popolo cristiano, secondo la tradizione della Chiesa" (n. 31).
Egli è chiamato ad agire nella persona di Cristo, deve perciò imitarlo nell'atto sommo della preghiera e dell'offerta, non deve deformare la liturgia in una rappresentazione delle sue idee, cambiare e aggiungere alcunché arbitrariamente:  "Troppo grande è il mistero dell'eucaristia perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale" (Ivi, n. 11). La messa non è proprietà del prete o della comunità. L'istruzione declina abbondantemente come va celebrata rettamente la messa cioè l'ars celebrandi:  i seminaristi per primi devono apprenderla attentamente affinché possano attuarla da sacerdoti.
Benedetto XVI, nella Sacramentum caritatis dedica attenzione all'ars celebrandi (n. 38-42), intesa come l'arte di celebrare rettamente, e ne fa la condizione della partecipazione attiva dei fedeli:  "L'Ars celebrandi scaturisce dall'obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti"(38). In nota 116 la Propositio n. 25 specifica che "un'autentica azione liturgica esprime la sacralità del mistero eucaristico. Questa dovrebbe trasparire nelle parole e nelle azioni del sacerdote celebrante, mentre egli intercede presso Dio Padre sia con i fedeli sia per loro". Poi l'esortazione ricorda che "L'ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l'utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso, come, ad esempio, l'armonia del rito, delle vesti liturgiche, dell'arredo e del luogo sacro" (40). Trattando dell'arte sacra, richiama l'unità tra altare, crocifisso, tabernacolo, ambone e sede (41):  attenti alla sequenza che rivela l'ordine d'importanza. Con l'immagine, anche il canto deve servire ad orientare la comprensione e l'incontro col mistero.
Il vescovo e il presbitero, tutto questo sono chiamati a esprimere nella liturgia che è sacra e divina, in modo che manifesti davvero il credo della Chiesa.



(©L'Osservatore Romano - 4-5 agosto 2008)



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Molti pensano alla Domenica quale FINE SETTIMANA, è una errata concezione che disorienta così sul vero significato della Messa.... La Domenica in verità E' IL PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA..... Occhiolino

Leggiamo cosa dice la Chiesa in proposito della Messa:

Istituzione del divino sacrificio

Quanto al Sacrificio, tal quale lo ha istituito nostro Si­gnore nella sua Chiesa, ecco che cosa ci insegna il Concilio di Trento: "Nell'Antico Testamento, secondo la testimonianza di Paolo, il sacerdozio levitico era impotente a condurre alla perfe­zione; bisognava, perché così voleva il Padre delle misericordie, che si istituisse un altro sacerdote, secondo l'ordine di Melchisedech, il quale potesse rendere compiti e perfetti quelli che dovevano essere santificati.

Questo sacerdote, che è Gesù Cristo nostro Dio e nostro Signore, volendo lasciare alla Chiesa, sua cara sposa, un Sacrificio visibile che rappresentasse il Sacri­ficio cruento che Egli doveva offrire una sola volta sulla Croce, ne perpetuò il ricordo fino alla fine dei secoli e ne applicò la virtù salutare alla remissione delle nostre colpe quotidiane di­chiarandosi, nell'ultima Cena, Sacerdote costituito secondo l'or­dine di Melchisedech. Nella notte stessa in cui fu dato in mano ai suoi nemici offrì a Dio suo Padre, sotto le specie del pane e del vino, il suo Corpo e il suo Sangue; li fece ricevere, sotto i simboli degli stessi alimenti, agli apostoli che Egli costituiva allora sacer­doti del Nuovo Testamento e ordinò loro ed ai loro successori nel sacerdozio di rinnovare questa oblazione dicendo: "Fate questo in memoria di me", secondo quanto la Chiesa cattolica ha inteso ed ha sempre insegnato".

La Chiesa ci comanda dun­que di credere che nostro Signore, nell'ultima Cena, non sola­mente ha transustanziato il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, ma che li ha offerti a Dio Padre istituendo così il Sacrificio del Nuovo Testamento nella sua propria persona, eser­citando in tal modo il suo ministero di sacerdote secondo l'ordi­ne di Melchisedech. La Sacra Scrittura dice: "Melchisedech, re di Salem, offrì il pane e il vino, perché era sacerdote dell'Onni­potente e benedisse Abramo".


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Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia.

 LETTERA DI S. S. GIOVANNI PAOLO II
ALLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI 21.9.2001

 Occhiolino

va da se che chi usa il Papa esclusivamente per un proprio tornaconto(o riconoscimento) OMETTENDO però di citare ciò che il Papa dice quando CORREGGE, AMMONISCE ED INSEGNA....(come la Lettera qui citata), non è un buon cattolico ed agisce EGOISTICAMENTE idolatrando la figura del Pontefice per quando fa comodo, ma omettendone l'insegnamento....

 Sorriso

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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RdR/Croce al centro e comunione in ginocchio: arbitrio o possibilità?

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di Daniele Di Sorco


Premessa

Tra i cambiamenti introdotti di recente nelle funzioni papali su iniziativa di Benedetto XVI, due sono quelli che hanno suscitato maggior interesse: la collocazione della croce al centro dell’altare e la distribuzione della Comunione ai fedeli inginocchiati [1]. È innegabile che queste scelte, pur riallacciandosi all’antica tradizione liturgica della Chiesa latina, costituiscono una novità, non solo rispetto allo stile celebrativo dei precedenti Pontefici, ma anche rispetto alla prassi comune di quasi tutte le Chiese di rito romano.

Il dibattito che ne è seguito basterebbe da solo a testimoniare l’importanza della questione.

In effetti, la posizione della croce e il modo di amministrare la S. Comunione riguardano direttamente, benché in modo diverso, la duplice dimensione, sacrificale e sacramentale, dell’Eucaristia. La croce con l’immagine del Crocifisso, infatti, è l’elemento che rappresenta visivamente tanto il sacrificio di cui la Messa è rinnovazione incruenta [2], quando lo stretto legame che unisce Cristo, offerente e vittima, al sacerdote che agisce in sua persona [3]. La Comunione, poi, è il momento culminante dell’azione liturgica per quei fedeli che, accostandosi alla sacra mensa, ricevono non solo la grazia sacramentale, ma anche la fonte e l’autore della grazia, Gesù Cristo, realmente presente in corpo, sangue, anima e divinità sotto le specie del pane e del vino [4].

Poiché questi due misteri – la morte redentrice del Cristo e la sua riattualizzazione sacramentale – costituiscono il centro della religione cristiana [5], la loro traduzione sul piano rituale non può essere in alcun modo lasciata al caso o trattata con approssimazione. La necessità dei riti liturgici, come mezzo sensibile per elevare la mente dei fedeli alla contemplazione delle realtà spirituali da essi significate, è stata messa bene in luce dai Padri tridentini [6]. Si tratta di una verità che la Chiesa ha sempre creduto e messo in pratica [7]. Chi la ridimensiona o ne sminuisce la portata dimostra di misconoscere la natura umana, la quale, essendo al tempo stesso sensibile e razionale, «non può elevarsi facilmente senza sussidi esteriori alla meditazione delle cose divine» [8]. E, del resto, l’esperienza insegna che, laddove il culto è oggetto di scarse attenzioni, anche la dottrina non gode sorte migliore.

Ho ritenuto necessario mettere in chiaro questi presupposti perché appaia con tutta evidenza che la discussione sull’opportunità di certe scelte liturgiche non è affatto oziosa, vana o inutile. Dall’efficacia del simbolo dipende la possibilità di elevarsi alla verità che esso rappresenta. Perfettamente consapevole di questo principio, sintetizzato dagli antichi nel celebre adagio «lex orandi, lex credendi», la Chiesa ha sempre prestato la massima attenzione, non solo alla dimensione soprannaturale, ma anche all’aspetto esteriore e sensibile del culto. E l’attuale Pontefice, nei suoi scritti e nella pratica, ha più volte ribadito tale concetto.


La prassi attuale

Tornando ai due elementi rituali che sono oggetto del nostro scritto, è possibile osservare che la prassi oggi prevalente nelle chiese di rito romano prevede che la croce sia collocata a fianco dell’altare o dietro di esso, e che i fedeli ricevano la Comunione stando in piedi. Si tratta, com’è noto, di due significativi cambiamenti rispetto alla normativa vigente nel diritto liturgico antico, che voleva la croce al centro dell’altare e la Comunione distribuita ai fedeli inginocchiati.

Introdotte contestualmente alla promulgazione dei Messale riformato (con qualche ritardo o anticipazione a seconda dei luoghi), le due modifiche in questione furono motivate in vario modo. La croce, in seguito alla nuova dislocazione degli altari prevista (anche se non imposta) dalla riforma liturgica, veniva evidentemente considerata un ostacolo che impediva al celebrante e al popolo di guardarsi. Quanto alla Comunione, la possibilità di riceverla in piedi fu giustificata col ripristino di un uso arcaico, ancora osservato in molti riti orientali, che avrebbe avuto, secondo i riformatori, il vantaggio di incentivare la partecipazione attiva e cosciente dei fedeli al sacro rito [9]. Una diffusa tendenza a considerare vincolanti certe indicazioni puramente facoltative ha fatto sì che tali riforme entrassero nella pratica generale.

È noto che da qualche tempo il maestro delle cerimonie pontificie ha ripristinato, per questi due elementi, l’uso antico [10]. Tale decisione ha suscitato reazioni di segno opposto. Alcuni l’hanno giudicata positivamente e hanno auspicato una sua più larga diffusione nelle chiese locali. Per altri, invece, si tratta di una «moda» passeggera, frutto di idee personali del Papa e destinata a non durare a lungo.

Nonostante la divergenza di opinioni, sembra che tanto i primi quanto i secondi si accordino su un punto: la mancanza di idee chiare circa la compatibilità dell’uso antico con le norme liturgiche universali attualmente in vigore. La domanda che molti si pongono può essere così sintetizzata: la prassi introdotta di recente nella cappella papale va considerata una deroga alle leggi generali – consentita al Papa in quanto supremo legislatore, ma non agli altri – oppure una legittima possibilità contemplata dai libri liturgici?

Stante questa situazione di incertezza, ci proponiamo, col presente articolo, di dare uno sguardo al diritto liturgico in vigore per quanto riguarda la posizione della croce e il modo di amministrare la Comunione, di spiegare le ragioni in favore dell’uso antico e, infine, di fornire alcune indicazioni pratiche. Inutile dire che la nostra trattazione si riferisce soltanto alla forma ordinaria del rito romano: nella forma straordinaria la croce dev’essere sempre situata al centro dell’altare [11] e la Comunione ricevuta in ginocchio [12].


Il diritto liturgico

Per quanto riguarda la posizione della croce, l’Ordinamento generale del Messale romano ci fornisce tutte le indicazioni necessarie. Sarà, quindi, sufficiente elencarle, spiegarle e trarne le logiche conseguenze.

Innanzi tutto, la croce è annoverata tra le suppellettili indispensabili per la celebrazione della Messa, non solo all’interno di un luogo sacro, ma anche fuori di esso: «La celebrazione dell’Eucaristia, nel luogo sacro, si deve compiere sopra un altare; fuori del luogo sacro, invece, si può compiere anche sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale, la croce e i candelabri» [13].

Alla sua importanza sul piano simbolico si allude nella rubrica precedente, affermando che sull’altare «si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce» [14]. Più oltre si legge che la funzione della croce consiste nel «ricordare alla mente dei fedeli la salvifica Passione del Signore» [15]: essa, pertanto, dovrebbe restare «vicino all’altare anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche» [16]. Del resto, se pensiamo che nella tradizione ecclesiastica, tanto occidentale quanto orientale, l’altare rappresenta simbolicamente Gesù Cristo [17], non sarà difficile comprendere che la croce posta sopra di esso assolve l’indispensabile compito di rendere esplicita tale corrispondenza.

Quanto alle caratteristiche e alla posizione della croce, l’Ordinamento generale prescrive: «Vi sia sopra l’altare, o accanto ad esso, una croce, con l’immagine di Cristo crocifisso, ben visibile allo sguardo del popolo radunato» [18]. Collocare la croce sopra l’altare è, dunque, perfettamente legittimo. Ma si può dire di più. Poiché, nella formulazione delle leggi liturgiche, le possibilità alternative vengono di solito disposte in ordine di preferenza, sembra che la dislocazione della croce sopra l’altare sia non soltanto permessa, ma, a parità di condizioni, raccomandata.

Le rubriche non forniscono nessuna indicazione, neppure indiretta, circa il punto preciso dell’altare sul quale dovrebbe trovarsi la croce. La scelta, quindi, spetta ai rettori delle singole chiese. E nulla impedisce loro di conformarsi all’uso antico che prevede la collocazione della croce al centro, davanti al sacerdote celebrante, a condizione che le altre disposizioni stabilite dalle rubriche siano rispettate.

Chiarita la questione della croce, resta da trattare quella della Comunione. Sull’argomento, il testo italiano dell’Ordinamento generale non brilla per perspicuità. In esso si afferma che «i fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale» [19]. Viene spontanea una domanda: la congiunzione «o» ha valore esclusivo o inclusivo? Nel primo caso i fedeli dovrebbero adeguarsi all’unica modalità prescritta dalla Conferenza Episcopale, mentre nel secondo entrambe le modalità sarebbero possibili, a patto che la Conferenza Episcopale abbia autorizzato la Comunione in piedi.

Per avere una risposta sicura è necessario ricorrere al testo latino, nel quale il termine corrispondente ad «o» è «vel» (inclusivo) [20]. Ne consegue che, secondo il diritto liturgico oggi vigente, ricevere la Comunione in ginocchio non è affatto proibito, neppure nei luoghi in cui la Conferenza Episcopale ha autorizzato la Comunione in piedi, ma si configura, per lo meno, come legittima possibilità.

Bisogna ammettere, tuttavia, che, per come è esposta nelle rubriche del Messale italiano, la norma che abbiamo appena analizzato si presta a numerosi fraintendimenti, dal momento che la sua corretta interpretazione è legata a una sottigliezza linguistica. Molti, in effetti, ritengono in buona fede che la Comunione in piedi, nei paesi in cui è stata autorizzata, sia un obbligo a cui tutti i fedeli devono attenersi. Queste incertezze hanno dato luogo a diverse situazioni incresciose. Appare dunque indispensabile ricorrere ad altre fonti del diritto liturgico nelle quali il problema in esame sia affrontato ex professo e, quel che più conta, con maggior chiarezza.

Per nostra fortuna, esistono due documenti della S. Congregazione per il Culto Divino che consentono di risolvere la questione in modo definitivo.

Si tratta di due lettere del 1° luglio 2002, invitate, rispettivamente, a un Vescovo e a un laico [21]. Costoro, di fronte al fenomeno di alcuni sacerdoti che erano soliti negare la Comunione a chi si presentava a riceverla in ginocchio, si domandavano se tale atteggiamento fosse lecito. In entrambe le risposte, la Congregazione, dopo aver dichiarato che «qualsiasi rifiuto della Santa Comunione ad un fedele sulla base del suo modo di presentarsi sia una grave violazione di uno dei più fondamentali diritti del fedele cristiano, precisamente quello di essere assistito dai suoi Pastori per mezzo dei Sacramenti (CIC 213)», coglie l’occasione per precisare il senso della rubrica sopra esaminata: «Anche ove la Congregazione abbia approvato norme sulla posizione del fedele durante la Santa Comunione, in accordo con gli adeguamenti ammessi alla Conferenza Episcopale dall’Institutio Generalis Missalis Romani, 160, comma 2, ciò è stato fatto colla clausola per cui su tale base non si potrà negare la Santa Comunione ai comunicandi che sceglieranno di inginocchiarsi».

Confrontando queste disposizioni con l’Ordinamento generale del Messale, si possono trarre due conclusioni che riassumono in sé tutta la normativa attuale in materia. Primo, la distribuzione della santa Eucaristia ai fedeli inginocchiati è una prassi del tutto legittima. Secondo, spetta al singolo fedele, senza bisogno di previo accordo col celebrante (salvo ragioni particolari), scegliere la posizione che preferisce: la Congregazione parla infatti di «comunicandi che sceglieranno di inginocchiarsi» [22].

Da tutto ciò emerge che ricevere la Comunione in ginocchio non è semplicemente una legittima possibilità, ma un vero e proprio diritto di ciascun fedele, che nessun sacerdote può negare, limitare o ignorare [23].


Ragioni a favore dell’uso antico

Abbiamo fin qui cercato di rispondere alla domanda che dà il titolo al presente articolo. Prima di concludere con alcune indicazioni pratiche, resta da vedere se questo uso antico, di cui abbiamo dimostrato la legittimità giuridica, offra anche dei vantaggi a livello liturgico e pastorale rispetto alla prassi comune.

A proposito della posizione della croce, il card. Ratzinger osserva: «Anche nell’attuale orientamento della celebrazione, la croce potrebbe essere collocata sull’altare in tal modo che i sacerdoti e i fedeli la guardino insieme. Nel canone essi non dovrebbero guardarsi, ma guardare insieme lui, il trafitto (Zc 12, 10; Ap 1, 7)» [24]. E motiva la sua proposta con argomenti che a me paiono molto convincenti:

«Nella preghiera non è necessario, non è anzi nemmeno conveniente, guardarsi l’uno con l’altro, e tanto meno nel ricevere la comunione. [...] In un uso esagerato e malinteso della “celebrazione rivolta al popolo” si è continuato a rimuovere la croce dal mezzo dell’altare perfino nella basilica di San Pietro a Roma, per non ostacolare la visuale tra il celebrante e il popolo. La croce sull’altare non è però un impedimento alla visuale, ma un punto comune di riferimento. Essa è l’iconostasi, che è scoperta, non ostacola l’andare l’uno verso l’altro, ma media e significa pure per tutti l’immagine che concentra e unisce i nostri sguardi. Ardirei addirittura la tesi che la croce sull’altare non è impedimento ma presupposto della celebrazione “versus populum”. Diverrebbe così nuovamente ricca di significato la distinzione tra liturgia della parola e canone. Nella prima si tratta dell’annuncio, e pertanto di un indirizzo immediato, nell’altra di un’adorazione comune, nella quale noi tutti stiamo più che mai durante la invocazione “conversi ad Dominum”: Rivolgiamoci al Signore; convertiamoci al Signore» [25].

Mi limito ad aggiungere che, per costituire veramente un «punto comune di riferimento», la croce ha bisogno di essere collocata non solo sull’altare, ma anche in posizione centrale. Al centro della mensa eucaristica, l’immagine di Cristo crocifisso attira necessariamente su di sé lo sguardo, assolvendo bene la sua funzione simbolica; a lato dell’altare, per grande che sia, finisce per essere praticamente ignorata.

Per quanto riguarda la Comunione, riceverla in ginocchio, a mio avviso, favorisce nei fedeli un atteggiamento di maggior devozione, esprime in maniera visibile l’adorazione nei confronti di nostro Signore e costituisce una pubblica manifestazione di fede nella presenza reale [26]. A chi obietta che la disposizione interiore del comunicando non dipende dallo stare in ginocchio piuttosto che in piedi, rispondo che una delle funzioni del rito è appunto quella stimolare la pietà dei fedeli mediante un saggio uso dei segni esteriori che ci vengono offerti dalla nostra tradizione liturgica. E se è vero che, presa in se stessa, la posizione in piedi non esprime meno devozione di quella in ginocchio, è anche vero che, in una prospettiva storica, questo si verifica. La ragione è assai semplice. I riti non si limitano ad essere rivestimenti esteriori dell’immutabile Sacrificio dell’altare, ma plasmano la mentalità dei fedeli e, con essa, il loro sensus fidei [27].

Così, se per un orientale ricevere la Comunione in piedi è un atto di massima riverenza, perché così gli ha tramandato la sua tradizione, per un occidentale, abituato da secoli a riceverla in ginocchio, passare improvvisamente da un atto di riverenza maggiore a uno minore non è indifferente. Nel migliore dei casi un simile cambiamento si limita a produrre un’impressione di disagio o di confusione. Nel peggiore indebolisce la fede nella Presenza Reale.

Non è un caso, dunque, che il card. Ratzinger si sia espresso a favore di questa pratica, scrivendo che essa «ha in suo favore una tradizione secolare, ed è un segno particolarmente eloquente di adorazione, completamente adeguato alla luce della presenza vera, reale e sostanziale di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» [28].

Per concludere, mi sembra opportuno rilevare come, nei due casi presi in esame, il ripristino dell’uso antico non si configura affatto come una sterile operazione di archeologia liturgica o di antichizzazione del rito. Si tratta, piuttosto, di un
iniziativa che prende le mosse da un principio tanto evidente quanto trascurato: quando le rubriche ammettono diverse possibilità, la prassi più comune non è necessariamente la migliore. I singoli pastori di anime dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia pastorale delle scelte liturgiche da essi operate, senza avere timore, se le norme lo consentono, di adottare una soluzione diversa. Il popolo, dopo un’opportuna catechesi, capirà e apprezzerà.


Indicazioni pratiche


Concludiamo il presente contributo con una serie di indicazioni utili per tradurre in pratica i princìpi teorici finora esposti.

1) Per la croce è preferibile servirsi del modello generalmente in uso prima della riforma liturgica, composto da una base, da un’alzata e dalla croce propriamente detta con l’immagine del Crocifisso. Esso consente di collocarla sull’altare senza bisogno di piedistalli inutili e poco decorosi, e di rimuoverla facilmente quando sia necessario. Quanto alle dimensioni, si ricordi che la rubrica prescrive una croce «ben visibile allo sguardo del popolo radunato» [29] ed anche, naturalmente, del sacerdote celebrante. Sarebbe bene, a mio avviso, che arrivasse più o meno all’altezza del volto del celebrante. In questo modo fungerebbe davvero da fulcro visivo della funzione, verso cui convergono gli sguardi di tutti, e, al tempo stesso, non impedirebbe al popolo la vista dell’altare e in particolare delle sacre Specie durante l’elevazione. Quando l’altare è versus populum, da che parte dev’essere rivolta l’immagine del Crocifisso? Le rubriche non lo specificano, poiché l’indicazione sulla visibilità appena citata si riferisce genericamente alla croce, non specificamente all’immagine del Cristo morente. Varie ragioni consigliano che il Crocifisso sia rivolto al celebrante. Così, infatti, voleva la tradizione antica [30] e così appare meglio, a mio avviso, lo speciale legame che esiste tra il Cristo raffigurato sulla croce d’altare e il sacerdote che agisce in sua persona. Tale soluzione, del resto, è quella adottata dal Santo Padre nelle funzioni da lui presiedute [31].

2) Avendo parlato del Crocifisso, è impossibile non dire nulla a proposito dei candelieri. Com’è evidente, essi non hanno più da molto tempo la funzione pratica di dar luce all’altare, ma conservano intatto il loro valore simbolico, che allude, con la fiamma, a Cristo luce del mondo, e, con la consumazione della cera, al sacrificio [32]. Si capisce, dunque, che relegarli in un angolo dell’altare (o addirittura fuori da esso), appaiati, piccoli, quasi invisibili, ha poco senso. Molto meglio sarebbe collocarli simmetricamente da una parte e dall’altra della croce [33], cui il loro simbolismo è strettamente connesso: non necessariamente accanto ad essa, ma anche, e preferibilmente, alle estremità laterali dell’altare, quasi a fare da cornice luminosa alla mensa divina. Quanti devono essere? La rubrica ne prescrive almeno due, ma nulla impedisce che siano quattro o sei [34] (sempre in numero pari, per ragioni di simmetria rispetto alla croce); non di più [35], quando l’altare è versus populum, e non troppo alti, per evitare, come ammoniscono le norme, che ostacolino eccessivamente la vista [36].

3) La Comunione può essere distribuita alla balaustra nelle chiese che ancora la conservano? Non credo vi sia nessun ostacolo a questa soluzione. La rubrica, infatti, ordina che i fedeli si rechino all’altare processionalmente [37]; ma non vieta che, una volta giunti davanti ad esso, si dispongano lungo la balaustra. Tuttavia, per chi non potesse o non volesse adottare questo sistema, è consigliabile disporre, all’entrata del presbiterio, un inginocchiatoio piuttosto grande, ricoperto di cuscini, che consenta ai fedeli che intendono comunicarsi in ginocchio di poterlo fare agevolmente. Conviene che la balaustra o la parte superiore dell’inginocchiatoio siano ricoperti, come avveniva anticamente, da una tovaglietta bianca [38], che alluda al loro uso come «tavola della Comunione» dei fedeli, simbolico prolungamento dell’altare [39]. Questa tovaglia non esime dall’uso, obbligatorio, del piattello [40]. Si ricordi che la scelta sul modo di fare la Comunione spetta al singolo fedele; pertanto, la distribuzione dell’Eucaristia alla balaustra o all’inginocchiatoio non deve costituire un impedimento per coloro che vorranno continuare a riceverla in piedi. È compito del celebrante ricordare nei momenti opportuni, sia durante la liturgia che negli incontri di catechesi, la possibilità di comunicarsi in ginocchio e le ragioni a favore di tale scelta, senza tuttavia trasformarla, esplicitamente o implicitamente, in un obbligo.

4) È necessario ricordare, infine, che l’ordinamento delle norme liturgiche universali, come quelle che riguardano la posizione della croce o il modo di ricevere la Comunione, compete unicamente alla Santa Sede [41]. Le Conferenze Episcopali e i singoli Ordinari non hanno la facoltà di abrogarle, modificarle o restringerne il senso, a meno che ciò non sia loro espressamente consentito dal diritto [42] (nel caso da noi preso in esame, alle autorità locali è concessa soltanto la possibilità di autorizzare la Comunione in piedi). Di conseguenza, laddove le rubriche ammettono diverse possibilità, la scelta spetta al sacerdote celebrante o, quando previsto, al fedele.



[1] Cfr. Intervista a mons. Guido Marini: Il Tempo, 29 dic. 2008. Il Papa, quando era ancora Cardinale, ha affrontato più volte l’argomento nei suoi scritti, esprimendosi a favore della collocazione centrale della croce e della possibilità di ricevere la Comunione in ginocchio.

[2] Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, cap. 1-2: Denz. 938-940; can. 1-4: Denz. 948-951.

[3] Cfr. PIO XI, Enciclica Ad catholici sacerdotii (20 dic. 1935): Denz. 2275; PIO XII, Enciclica Mediator Dei (20 nov. 1947): Denz. 2300; Catechismo della Chiesa cattolica, 1566.

[4] Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XIII, cap. 1 e 3: Denz. 874 e 876; can. 1 e 4: Denz. 883 e 886; S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theol., III, q. 65, a. 3.

[5] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 11; GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 apr. 2003), 1.

[6] Cfr. CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, cap. 5: Denz. 943.

[7] Cfr. Rom. 1, 20; TERTULLIANO, De corona, c. 2, 3, 4: PL 2, 98-99; S. BASILIO MAGNO, De Spiritu Sancto, 27, 66: PG 32, 188; S. GIROLAMO, Ad Vigilantium, nn. 8-9: PL 23, 362-363; S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theol., II-II, q. 81, a. 7. La definizione dogmatica risale al CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, can. 7: Denz. 954: «Si quis dixerit, caeremonias, vestes sacras et externa signa, quibus in Missarum celebratione Ecclesia catholica utitur, irritabula impietatis esse magis quam officia pietatis: anathema sit».

[8] CONCILIO DI TRENTO, sess. XXII, cap. 5: Denz. 943 («non facile queat [natura hominum] sine adminiculis exterioribus ad rerum divinarum meditationem sustolli»). Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theol., II-II, q. 81, a. 7: «Mens autem humana indiget, ad hoc quod coniungatur Deo, sensibilium manuducatione, quia “invisibilia Dei per ea, quae facta sunt, intellecta conspiciuntur”, ut Apostolus dicit (Rom. 1, 20). Et ideo in divino cultu necesse est aliquibus corporalibus uti, ut eis quasi signis quibusdam mens hominis excitetur ad spirituales actus, quibus Deo coniungitur. Et ideo religio habet quidem interiores actus quasi principales, et per se ad religionem pertinentes; exteriores vero actus, quasi secundarios, et ad interiores actus ordinatos».

[9] Cfr. A. M. ROGUET, La cena del Signore: la Messa oggi, trad. it., Milano, 1970, p. 170.

[10] Cfr. Intervista a mons. Guido Marini: Il Tempo, 29 dic. 2008: «Il cambiamento è diversificato. Uno è stata la collocazione del crocifisso al centro dell’altare per indicare che il celebrante e l’assemblea dei fedeli non si guardano, ma insieme guardano verso il Signore che è il centro della loro preghiera. L’altro aspetto è la comunione data in ginocchio dal Santo Padre e distribuita in bocca. Ciò per mettere in evidenza la dimensione del mistero, la presenza viva di Gesù nella Santissima Eucarestia. Anche l’atteggiamento, la postura sono importanti perché aiutano l’adorazione e la devozione dei fedeli».

[11] Missale Romanum, editio typica 1962, Rubricae generales Missalis romani, 527.

[12] Rituale Romanum (editio prima post typicam, 1954), tit. V, cap. II, n. 4. Sebbene la rubrica che prescrive la genuflessione riguardi direttamente solo i chierici, essa si applica, per evidente analogia, anche ai laici.

[13] Ordinamento generale del Messale romano, terza edizione tipica, 297. Si noti che la terza edizione tipica italiana del Messale romano, il cui testo latino è stato pubblicato nel 2000, è ancora in fase di allestimento. Esiste però una versione ufficiale, approvata il 25 gennaio 2004, della Institutio generalis (= Ordinamento generale), che è quella attualmente vigente, nonostante i messali attualmente in commercio nel nostro Paese seguano ancora la seconda edizione tipica.

[14] Ibid., 296.

[15] Ibid., 308.

[16] Ibid.

[17] Cfr. P. RADÓ, Enchiridion liturgicum, Romae-Friburgi Brisg.-Barcinone, 1961, vol. II, pp. 1408-1409.

[18] Ordinamento generale del Messale romano, 308.

[19] Ibid., 160.

[20] Missale Romanum, ed. typica tertia (2000), Institutio generalis, 160: «Fideles communicant genuflexi vel stantes, prout Conferentia Episcoporum statuerit».

[21] Pubblicate in Notitiae, nov.-dic. 2002.

[22] Ibid. A proposito della Comunione in piedi, è opportuno ricordare qui una norma spesso disattesa: «Quando [i fedeli] si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme [emanate dalla Conferenza Episcopale]» (Ordinamento generale del Messale romano, 160).

[23] È la stessa Congregazione per il Culto divino, in una delle due lettere menzionate, a mettere bene in luce questo punto: «Datasi l’importanza di tale questione, la Congregazione vorrebbe richiedere alla vostra Eccellenza che s’indaghi specificamente se questo prete abbia effettivamente l’abitudine di rifiutare la Santa Comunione a qualsiasi fedele nelle suddescritte circostanze; e, se la lamentela è comprovata, sia fermamente istruito a lui e ad altri preti che possano aver avuto una tale abitudine di evitare simili comportamenti per il futuro».

[24] J. RATZINGER, La festa della fede. Saggi di teologia liturgica, Milano, 1984, pp. 129-136.

[25] Ibid.

[26] Per sottolineare meglio l’importanza degli atti esteriori come manifestazione efficace della fede, non sarà inutile ricordare un significativo episodio della vita di S. Elisabetta Anna Bayley Seton. Assistendo per caso a una Messa solenne nel santuario di Montenero (presso Livorno), la Santa, pur essendo ancora protestante, fu molto colpita dall’atteggiamento di devozione manifestato dai fedeli, tanto che ella stessa, intuendo il mistero della Presenza Reale (come avrebbe poi ammesso nei suoi scritti), si inginocchiò dinanzi all’altare. Si trattò della prima tappa di un percorso che l’avrebbe condotta ad avvicinarsi e poi a convertirsi al cattolicesimo.

[27] È questo, del resto, il senso autentico dell’adagio «lex orandi, lex credendi», messo bene in luce da PIO XI nella Costituzione Apostolica Divini cultus (20 dic. 1925): Denz. 2200: «Hinc intima quaedam necessitudo inter dogma et Liturgiam sacram, itemque inter cultum christianum et populi sanctificationem».

[28] Cit. nella Lettera della Congregazione per il Culto Divino sul diritto di ricevere la Comunione in ginocchio: Notitiae, nov.-dic. 2002.

[29] Ordinamento generale del Messale romano, 308.

[30] Cfr. Dizionario pratico di Liturgia romana, a cura di R. LESAGE, trad. it., Roma, 1956, p. 138.

[31] Non sarebbe meglio, osserveranno alcuni, che il Crocifisso della croce d’altare fosse rivolto non solo verso il celebrante (e i ministri dell’altare), ma anche verso i fedeli? Certamente sì. Tale condizione, però, è realizzabile solo in quelle rare chiese dove si è mantenuta la prassi (perfettamente legittima: cfr. Risposta della Congregazione per il Culto Divino, prot. n° 2036/00/L, 25 settembre 2000) di celebrare verso l’abside. Nelle altre, a meno che non si voglia dotare la croce d’altare di un Crocifisso su entrambi i lati (soluzione che a me pare poco conveniente) si impone una scelta. La migliore, a mio avviso, consiste nel tenere l’immagine del Cristo morente rivolta verso il celebrante, per le ragioni che ho esposto. Nulla impedisce, tuttavia, di collocare nell’abside – come pala d’altare o a completamento della pala già esistente – un’altra croce con Crocifisso rivolta verso i fedeli, in posizione centrale ed elevata. Questa soluzione trova un parziale riscontro nell’architettura tradizionale delle chiese valdostane, dove, sebbene la croce d’altare fosse visibile ai fedeli (poiché la celebrazione avveniva versus Deum), si era soliti collocare un Crocifisso di grandi dimensioni in alto, tra la navata e l’abside.

[32] Cfr. P. RADÓ, op. cit., vol. I, pp. 73-74.

[33] Così prevedevano (e prevedono ancora, per le celebrazioni nella forma straordinaria del rito romano) le norme in vigore prima della riforma liturgica postoconciliare: cfr. Missale Romanum, editio typica 1962, Rubricae generales Missalis romani, 527.

[34] Ordinamento generale del Messale romano, 117: «almeno due candelabri con i ceri accesi, o anche quattro o sei, specialmente se si tratta della Messa domenicale o festiva di precetto». Per la Messa «stazionale» del Vescovo diocesano il Caeremoniale Episcoporum (125 c) raccomanda di usare sette candelieri.

[35] Salvo nel caso della Messa «stazionale» del Vescovo diocesano: cfr. la nota precedente.

[36] Secondo l’Ordinamento generale del Messale romano, 117, i candelieri non devono impedire «ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’altare».

[37] Ordinamento generale del Messale romano, 160: «Poi il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente».

[38] Rituale Romanum (editio prima post typicam, 1954), tit. V, cap. II, n. 1.

[39] Cfr. Enciclopedia liturgica, a cura di R. AIGRAIN, trad. it., Alba, 1959, p. 204.

[40] S. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Istruzione Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), 93.

[41] Codex Iuris canonici, can. 838, § 2.

[42] Ibid., §§ 3-4.


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Intervista di Paix Liturgique al vescovo Schneider


PRIMA PARTE – SULLA COMUNIONE

La riforma della riforma promossa dal Sommo Pontefice è un'opera che progredisce lentamente non avendo per ora riscontrato il supporto necessario nella gerarchia episcopale. Nonostante questo, alcuni prelati si sono gettati con entusiasmo e ubbidienza nella promozione del nuovo movimento liturgico voluto da Papa Benedetto. Siamo lieti di proporvi questa settimana la prima parte di un'incontro esclusivo con uno di questi, S.E. Mons. Athanasius Schneider [nella foto, al centro], Vescovo ausiliare di Karaganda nel Kazakistan, autore del libro “Dominus Est, Riflessioni di un Vescovo dell'Asia centrale sulla sacra Comunione
”, pubblicato nel 2008 dalla Libreria Editrice Vaticana.


1) Eccellenza, innanzitutto, può presentarci l'ordine religioso al quale appartiene: i Canonici regolari della Santa Croce detti anche Canonici di Coimbra?

S.E. Mons. Athanasius Schneider: Furono Don Tello e San Teotoneo, il primo santo del Portogallo, a creare l'ordine nel 1131 a Coimbra. Lo fondarono con altri dieci religiosi, scegliendo di seguire la regola di Sant'Agostino e mettendosi sotto la doppia protezione della Santa Croce e dell'Immacolata Concezione. L'ordine conobbe una crescita rapida.
Portoghese di nascita, anche Sant'Antonio da Padova, prima di passare ai francescani, appartenne all'ordine. Nel 1834 il governo portoghese chiuse gli ordini religiosi. Per la Chiesa, però, un'ordine si estingue soltanto 100 anni dopo la morte del suo ultimo membro. Dopo il Concilio Vaticano II, fu il Primate di Portogallo a chiedere di rilanciare l'ordine. Il rilancio venne approvato nel 1979 da un decreto della Santa Sede, firmato dall’allora arcivescovo Augustin Mayer, Segretario della Congregazione per i Religiosi.
L'ordine è dedicato alla venerazione della Santa Croce e degli angeli, in stretto legame con l'opera perseguita dall'Opus Angelorum. Nato nel 1949 in Austria, l'Opus Angelorum ha dato vita nel 1961 alla Confraternità degli Santi Angeli Custodi con la vocazione di raggrupare i “fratelli della Croce”. La fondatrice dell'Opus Angelorum, umile madre di famiglia austriaca, Gabrielle Bitterlich, voleva portare un aiuto spirituale ai sacerdoti e partecipare all'espiazione per i sacerdoti mediante la pratica dell'Adorazione eucaristica.
L'Opus Angelorum è stato oggetto di vari interventi della Santa Sede per chiarirne il funzionamento ed è diventato alla fine, nel 2007, il terz'ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce.
L'ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce conta 80 sacerdoti per 140 membri ed è presente in Europa, America e Asia.
Nell’ordine la messa si celebra secondo il Novus Ordo, però versus Deum e dando la comunione nel modo tradizionale, quello che il Santo Padre ha riportato nelle sue cerimonie: Comunione in bocca data ai fedeli inginocchiati. In questo si perpetua anche la memoria della fondatrice dell'Opus Angelorum che soffriva molto per la generalizzazione della comunione nella mano.

2) E' stato questo rispetto particolare per l'Eucaristia, Eccellenza, ad averla spinta ad unirsi all'ordine?

AS: Si. Dovete sapere che per 12 anni, i primi della mia vita, ho vissuto sotto la tirannia del comunismo sovietico. Sono cresciuto nell'amore di Gesù Eucaristia grazie a mia madre che era una “donna eucaristica”. Una di quelle pie donne che custodivano l'Ostia consacrata per evitare che venissero commessi dei sacrilegi quando i sacerdoti venivano arrestati o messi sotto indagine dalle autorità.
Quindi, quando siamo arrivati in Germania nel 1973, sono rimasto scioccato nel vedere come si faceva la comunione in chiesa. Mi ricordo di avere detto a mia madre, vedendo per la prima volta la comunione data in mano: “Mamma, ma è come quando distribuiscono le caramelle a scuola!”
Più tardi, quando ho creduto di avere la vocazione sacerdotale, ho cercato una via che consentisse anche a me di poter essere custode di Gesù Ostia, a mio modo. La Providenza ha voluto che fosse proprio negli anni del rilancio dei Canonici della Santa Croce...

3) Sin dalla sua elezione, avvenuta in pieno anno eucaristico, Benedetto XVI ha riaffermato spesso la presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell'Eucaristia. Ha anche ripreso, a partire dalla festa del Corpus Domini del 2008 l'uso di dare la comunione sulla lingua a fedeli inginocchiati. Colpiti da quest'esempio papale, numerosi sacerdoti, spesso tra i più giovani, cominciano a dubitare dei meriti della comunione generalizzata in mano, ritenuta per altro da alcuni come uno dei danni maggiori della riforma liturgica.
Il suo libro, Dominus Est, affronta precisamente questo tema. Secondo Lei, possiamo dire, come S.E. Mons. Malcolm Ranjith nella prefazione del suo libro, che la comunione in mano ha favorito una perdita di fede, sia dei fedeli che dei chierici, nella presenza reale di Cristo e, di conseguenza, una mancanza di rispetto nei confronti del Santissimo Sacramento? Ci riferiamo allo spostamento dei tabernacoli negli angoli bui delle chiese, ai fedeli che non si genuflettono più davanti al Santissimo Sacramento, alle comunioni sacrileghe, ecc.

AS: Vorrei innanzitutto dire che penso che si possa prendere la comunione con grande riverenza anche ricevendo l'Eucaristia nella mano. Nella sua forma più diffusa e generalizzata, però, dove la sacralità sembra venire dimenticata sia dal ministro che dal fedele, devo ammettere che la comunione in mano contribuisce a un indebolimento della fede e della venerazione del Signore eucaristico. E in questo senso sono in pieno accordo con le osservazioni di S.E Mons. Malcolm Ranjith.
Alcune cose lo fanno capire:
- Non c'è nessuna garanzia della protezione di Nostro Signore nei suoi frammenti più piccoli. Io soffro della perdita dei frammenti dell'Eucaristia, ormai assai diffusa a causa della pratica quasi generalizzata della comunione in mano. E' possibile, mi dico, una tale trascuratezza, che con il tempo conduce ad una diminuzione e persino ad una mancanza di fede nella Transustanziazione?
- La comunione in mano favorisce fortemente il furto delle specie eucaristiche. Si commettono così dei sacrilegi veri che non dovremmo mai permettere.
- Lo spostamento del tabernacolo, inoltre, non aiuta la centralità dell'Eucaristia, anche a scopo educativo: deve sempre essere visibile il luogo centrale dove si ripara Nostro Signore Gesù Cristo.

4) Nonostante sia stato consentito solo da un apposito indulto all'inizio, il modo di comunicarsi in mano è divenuto una norma, quasi un dogma, nella maggioranza delle diocesi. Come mai una tale evoluzione?

AS: Questa situazione si è imposta con tutte le caratteristiche di una moda ed ho inoltre il sospetto che la sua diffusione sia dovuta anche ad una vera e propria strategia. La consuetudine della comunione nella mano si è diffusa con l’effetto di una valanga. Mi domando: siamo così insensibili da non riconoscere più la sublime sacralità delle specie eucaristiche, Gesù vivente tra noi con la Sua maestà Divina?

5) Per il momento pochissimi prelati hanno deciso di imitare il Santo Padre e di dare la comunione nel modo tradizionale. Di conseguenza numerosi preti esitano a seguire il Papa. Secondo Lei, si tratta delle solite resistenze conservatrici (non si toccano gli “avanzi” di Vaticano II) o, ciò che sarebbe quasi peggio, di un disinteresse per l'argomento?

AS: Non possiamo giudicare le intenzioni, ma un'osservazione esterna ci lascia pensare che ci sia una reticenza o, almeno, un disinteresse per il modo più sacro e più sicuro di ricevere la comunione. Si ha l'impressione che una parte dei pastori nella Chiesa faccia finta di non vedere quello che porta avanti il Sommo Pontefice: un magistero eucaristico-pratico.

[Modificato da Caterina63 08/01/2011 16:22]
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sabato 25 dicembre 2010

Il Papa riconsidera l'indulto della comunione sulla mano: revocato alle Messe papali

Notizia di enorme significato: nelle Messe celebrate dal Santo Padre (a partire dalla Messa della Notte di Natale 2010), non solo lui, ma tutti i sacerdoti che lo aiutano a distribuire ai fedeli la comunione, non porranno più l'ostia santa sul palmo della mano, ma solo in bocca, a ciascun comunicando, laico o chierico che sia.
Non c'è dubbio, per chi è stato anche una sola volta alle messe celebrate in San Pietro dal Papa, che il momento della comunione è spesso di grande confusione, e c'è gente che allunga le mani verso ogni sacerdote, a volte dando quasi l'impressione di voler ghermire una particola.

Adesso ciascuno, con più ordine, e con meno pericoli di far cadere a terra le particole, dovrà con calma presentarsi di fronte al ministro e ricevere da lui sulla bocca la santa comunione.

Questo modo di ricevere il Corpo di Cristo, non solo aumenta la devozione e la consapevolezza della reale presenza del Salvatore, ma previene anche non difficili furti delle sacre specie che possono avvenire nelle messe più affollate.

A quanti diranno che "si torna indietro" ecc. ecc., è bene SEMPRE ricordare:

a) Il modo UNICO previsto dal Messale di Paolo VI è ricevere la comunione sulla bocca.
b) La possibilità alternativa di ricevere sulle mani è regolata da un INDULTO che può essere messo in vigore in alcuni luoghi (e ritirato) da alcuni vescovi (e non da altri).



Testo preso da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/12/il-papa-riconsidera-lindulto-della.html#ixzz19FcZeDvy



SI DIVULGHI QUESTA INFORMAZIONE AI PROPRI PARROCI!!!
del resto
mons. Guido Marini, ha spiegato, parlando di questo Avvento e delle Messe celebrate dal Pontefice:

E quali le particolarità delle liturgie pontificie?

Se pure in un contesto peculiare, quale quello dovuto alla presenza del Santo Padre, le liturgie pontificie non possono che presentare le caratteristiche tipiche di questo tempo dell’anno. Con una nota in più: quello della esemplarità. Perché non è mai da dimenticare che le celebrazioni presiedute dal Papa sono chiamate a essere punto di riferimento per l’intera Chiesa.
E’ il Papa il Sommo Pontefice, il grande liturgo nella Chiesa, colui che, anche attraverso la celebrazione, esercita un vero e proprio magistero liturgico a cui tutti devono rivolgersi.




Fraternamente CaterinaLD

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08/01/2011 16:20
 
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Ministri straordinari della Comunione


da Cordialiter:

Una ragazza mi ha scritto per lamentarsi circa l'abuso dell'utilizzo dei ministri straordinari della Comunione.

Ciao, [...]. Questa sera ho avuto l'occasione di accedere al suo blog! (un po' per caso, poiché le mie ricerche erano improntate sulla ricerca di materiale per un incontro di preghiera). Ritrovandomi sul suo blog, ho iniziato a leggere i primi 2 articoli, ma man mano ho fatto scorrere tutta la pagina. E non posso nasconderle che in alcuni articoli ho rivisto le mie stesse situazioni, soprattutto una in cui mi sto trovando proprio in quest'ultimo periodo e per la quale chiedo preghiera, poiché mi trovo a dover fare una scelta decisiva, ma che ancora non è chiara in me! Sono molto combattuta. Comunque, grazie anche alla mia famiglia, Gesù è una parte di me che è entrata a far parte della mia vita e che affascina il mio cuore; da un anno ho anche una sorella che entrata in un monastero di vita contemplativa benedettina.

Volevo comunque sapere [...] vedendo i saggi consigli che dà, mi sento di farle una domanda che da tempo volevo porre a qualcuno che mi potesse dare una risposta neutrale e non influenzata da alcunché. […] Cosa ne pensa dei ministri straordinari della comunione (laici) all'interno della Chiesa? Mi può spiegare quali sono le regole che la Chiesa ha dettato al riguardo?

[…] La prego di scusarmi se mi sono dilungata, ma spero di avere una sua risposta. Intanto la ringrazio e la saluto in Gesù e Maria.

(lettera firmata)


Gentile lettrice,
                           diamoci del “tu”, visto anche che abbiamo più o meno la stessa età.

Ti ringrazio di avermi scritto, spero di riuscire a chiarire le questioni che mi hai posto. Mi fa piacere constatare è la tua delicatezza di coscienza.

Ci sono dei luoghi (pensiamo ad esempio alle terre di missione) dove i preti sono troppo pochi, e da soli non possono distribuire la Comunione a tutti gli ammalati o ad altre persone che non possono recarsi in chiesa. Pertanto la Chiesa ha saggiamente istituito i ministri straordinari della Comunione, che hanno appunto il compito di aiutare i sacerdoti in casi straordinari. Il problema è che spesso c'è un abuso nel loro utilizzo.
 
La Santa Sede nell'Istruzione “Redemptionis sacramentum” del 2004 ha testualmente affermato:

 “Soltanto in caso di vera necessità si dovrà ricorrere all’aiuto dei ministri straordinari nella celebrazione della Liturgia. Ciò, infatti, non è previsto per assicurare una più piena partecipazione dei laici, ma è per sua natura suppletivo e provvisorio. […] Se è di solito presente un numero di ministri sacri sufficiente anche alla distribuzione della santa Comunione, non si possono deputare a questo compito i ministri straordinari della santa Comunione. In simili circostanze, coloro che fossero deputati a tale ministero, non lo esercitino. È riprovevole la prassi di quei Sacerdoti che, benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la Comunione, incaricando di tale compito i laici. […] Il ministro straordinario della santa Comunione, infatti, potrà amministrare la Comunione soltanto quando mancano il Sacerdote o il Diacono, quando il Sacerdote è impedito da malattia, vecchiaia o altro serio motivo o quando il numero dei fedeli che accedono alla Comunione è tanto grande che la celebrazione stessa della Messa si protrarrebbe troppo a lungo. Tuttavia, ciò si ritenga nel senso che andrà considerata motivazione del tutto insufficiente un breve prolungamento, secondo le abitudini e la cultura del luogo” (LEV).

Come hai potuto leggere tu stessa, la Sede Apostolica ammette l'uso dei ministri straordinari in chiesa, solo in casi rari, ad esempio se c'è un enorme concorso di fedeli.

Spero tanto di esserti stato di qualche utilità. Se hai altre domande, non esitare a scrivermi.

Approfitto dell'occasione per porgerti i miei più cordiali saluti in Gesù e Maria.

Cordialiter


********************************************************************

RICORDA QUANTO SEGUE:


Papa Sisto I e la Comunione nelle mani

 "E' stato stabilito [da Sisto I] che i vasi sacri non siano toccati da altri che da uomini consacrati e dedicati al Signore. E' davvero molto indegno che i sacri vasi, qualunque essi siano, servano ad usi umani o siano trattati da altri che da uomini che servono e sono consacrati al Signore, per evitare che Egli, adirato a causa di tali presunzioni, non infligga un castigo al suo popolo" (Mansi I 653)
Insomma, Sisto I proibì ai laici di toccare i vasi sacri, come il calice e la patena. E' logico pensare che egli tanto più proibisse ai laici di toccare e di trattare con le proprie mani l'Eucaristia.
Sicuramente, con Papa Sisto I, quindi alle origini della Chiesa, era proibita la Comunione sulla mano. Sicuramente assai presto, i Pontefici e la Chiesa delle origini videro quali abusi poteva causare il dare l'Eucaristia sulle mani...e Sisto proibì ai laici persino di toccare i vasi sacri. Davvero bravo papa Sisto!
Severino Bini commenta: "Questo decreto sta nella seconda epistola di Sisto in cui è stabilito che i vasi sacri, che sono necessari all'amministrazione dei Sacramenti e del Sacrificio incruento, e sono stati dedicati al culto divino con religiosa e episcopale consacrazione, in primo luogo il calice e la patena, non siano toccati dai laici. La loro consacrazione è la causa per cui debbano essere salvaguardati dall'essere toccati da costoro [i laici]" (ivi).
Fonte: Si si no no 31 Dicembre 2010 
[Modificato da Caterina63 24/02/2011 14:44]
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Come si è arrivati alla "Comunione sulla mano"....



Nel 16° secolo, i riformatori protestanti, nel loro nuovo culto cristiano ristabilirono la Comunione sulla mano per affermare due loro eresie fondamentali: 1) Essi assolutamente non credevano ci fosse la transustanziazione e che il pane usato era pane comune. In altre parole sostenevano che la reale presenza di Cristo nell’Eucarestia fosse solo una superstizione papista ed il pane fosse solo semplice pane e chiunque lo potesse maneggiare. 2) Inoltre affermarono che il ministro della Comunione non fosse affatto diverso, nella sua natura, dai laici. É invece insegnamento cattolico che il Sacramento dell’Ordine Sacro dona all’uomo un potere spirituale, sacramentale, imprime cioè un segno indelebile nella sua anima e lo rende sostanzialmente diverso dai laici. Al contrario il ministro protestante è un uomo comune che guida gli inni, fa sermoni per sostenere le convinzioni dei credenti.

Egli non può trasformare il pane ed il vino nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore, non può benedire, non può perdonare i peccati, non può, in una parola, fare niente che non possa fare un qualsiasi semplice laico. Egli, dunque, non è veicolo di grazia soprannaturale. Il ristabilimento protestante della Comunione nella mano fu un semplice modo per manifestare il rifiuto di credere nella reale presenza di Cristo nell’Eucarestia, rifiuto del Sacerdozio Sacramentale, in breve il loro modo di rifiutare l’intero Cattolicesimo.

Da quel momento in avanti, la Comunione sulla mano acquistò un significato chiaramente anticattolico. Era una pratica palesemente anticattolica, fondata sulla negazione della reale presenza di Cristo nell’Eucarestia e del Sacerdozio. Dopo il Vaticano II, in Olanda, alcuni preti cattolici di mentalità protestante cominciarono a dare la Comunione sulla mano, scimmiottando la pratica protestante. Ma alcuni Vescovi olandesi, anziché fare il loro dovere e condannare l’abuso, lo tollerarono e in tal modo permisero che l’abuso continuasse incontrollato, la pratica si diffuse dunque alla Germania, al Belgio, alla Francia. Ma se alcuni Vescovi parvero indifferenti a questo scandalo, gran parte del laicato di allora rimase oltraggiato.

Fu l’indignazione di un grande numero di fedeli che spinse papa Paolo VI a prendere l’iniziativa di sondare l’opinione dei Vescovi del mondo su questa questione ed essi votarono unicamente per mantenere la pratica tradizionale di ricevere la Santa Comunione sulla lingua. É anche doveroso notare che, a quell’epoca, l’abuso era limitato a pochi Paesi Europei. Non era ancora iniziato negli Stati Uniti e in America Latina. Papa Paolo VI promulgò allora, il 28 maggio 1969, il documento Memoriale Domini in cui affermava testualmente:

1) I Vescovi del mondo sono unanimemente contrari alla Comunione sulla mano. 2) Deve essere osservato questo modo di distribuire la Comunione, ossia il sacerdote deve porre l’Ostia sulla lingua dei comunicandi. 3) La Comunione sulla lingua non toglie dignità in nessun modo a chi si comunica. 4) Ogni innovazione può portare all’irriverenza ed alla profanazione dell’Eucarestia, così come può intaccare gradualmente la dottrina corretta.

Il documento afferma inoltre : Il Supremo Pontefice giudica che il modo tradizionale ed antico di amministrare la Comunione ai fedeli non deve essere cambiato. La Sede Apostolica invita perciò fortemente i Vescovi, i preti ed il popolo ad osservare con zelo questa legge. Ma poiché questa era l’epoca del compromesso ed il documento contiene il germe della sua stessa distruzione poiché l’Istruzione continuò dicendo che, dove l’abuso si era già fortemente consolidato, poteva essere legalizzato con la maggioranza dei due terzi in un ballottaggio segreto della Conferenza Episcopale Nazionale (a patto che la Santa Sede confermasse la decisione).

Ciò finì a vantaggio dei sostenitori della Comunione nella mano. E si deve sottolineare che l’Istruzione diceva dove l’abuso si è già consolidato. Così i Paesi, in cui la pratica non si era sviluppata, furono ovviamente esclusi dalla concessione e tutti i Paesi anglofoni, compresi gli Stati Uniti, finirono in questa categoria.

Naturalmente il clero di mentalità protestante in altri Paesi (compreso il nostro) concluse che, se questa ribellione poteva essere legalizzata in Olanda, poteva essere legalizzata ovunque. Pensarono che, ignorando il Memoriale Domini e sfidando la legge liturgica della Chiesa, questa ribellione non solo sarebbe stata tollerata, ma alla fine legalizzata. Questo fu esattamente ciò che accadde, ed ecco perché abbiamo oggi la pratica della Comunione sulla mano. La Comunione sulla mano, quindi, non solo fu avviata nella disobbedienza, ma fu perpetuata con l’inganno. La propaganda, negli anni ’70, fu usata per proporre la Comunione sulla mano ad un popolo ingenuo , con una campagna di mezze verità che:

1) Davano ai cattolici la falsa impressione che il Vaticano II avesse fornito una disposizione per l’abuso, quando, di fatto, non vi è accenno in nessuno dei documenti del Concilio. 2) Non dicono al lettore che la pratica fu avviata da un clero di mentalità filoprotestante e filomassone, in spregio alla Legge liturgica stabilita, ma la fanno suonare come una richiesta da parte del laicato. 3) Non chiariscono al lettore che i Vescovi del mondo, quando fu sondata la loro opinione, votarono unanimemente contro la Comunione nella mano. 4) Non fanno riferimento al fatto che il permesso doveva essere solo una tolleranza dell’abuso, laddove si fosse già instaurato nel 1969. Non vi era una via libera perché si diffondesse ad altri Paesi come l’Italia e gli Stati Uniti, ecc.

Siamo ora arrivati al punto in cui la Comunione sulla mano è addirittura presentata come il modo migliore di ricevere l’Eucarestia ; la maggior parte dei nostri fanciulli cattolici è stata male istruita a ricevere la Prima Comunione sulla mano. Ai fedeli si dice che è una pratica facoltativa e se a loro non piace, possono riceverLa sulla lingua. La tragedia di tutto questo è che se questo è facoltativo per il laicato, non lo è per il clero. I preti sono chiaramente istruiti ad amministrare la Comunione sulla mano, che a loro piaccia o no, a chiunque lo richieda, gettando così moltissimi preti in una agonizzante crisi di coscienza.

É dunque evidente che nessun prete può essere legittimamente forzato ad amministrare la Comunione sulla mano ; dobbiamo pregare affinché il maggior numero di preti abbia il coraggio di salvaguardare la riverenza dovuta a questo Sacramento e non venga intrappolato in una falsa ubbidienza che fa sì che essi collaborino alla perdità di sacralità di Cristo nell’Eucarestia. I preti devono trovare il coraggio di combattere questa nuova pratica che fa parte dell’occulta strategia di protestantizzazione del Cattolicesimo, ricordando che Papa Paolo VI, giustamente, predisse che, la Comunione sulla mano, avrebbe portato all’irriverenza e alla profanazione dell’Eucarestia e ad una graduale erosione della dottrina ortodossa. Questo abuso illegittimo si è così ben radicato come una tradizione locale, che anche papa Giovanni Paolo II non ebbe successo, nonostante un suo tentativo per frenare l’abuso.

Nella sua Lettera Dominae Cenae del 24 febbraio 1980, il Papa riaffermò gli insegnamenti della Chiesa che toccare le Sacre Specie e amministrarLe con le proprie mani è un privilegio dei consacrati. Ma, per un qualsivoglia motivo, questo documento del 1980 non conteneva nessuna minaccia di sanzioni contro laici, sacerdoti o vescovi che avessero ignorato la difesa dell’uso della comunione sulla lingua come voleva il Papa. Una legge senza una pena non è una legge, ma bensì un suggerimento. Il documento di Giovanni Paolo II fu accolto da diversi membri del clero dei paesi dell’occidente, come un suggerimento non apprezzato e purtroppo trascurato…



Don Marcello Stanzione (Ri-Fondatore della M.S.M.A.)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/06/2011 16:26
 
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Lo "splendore della tradizione" nella cerimonia papale a San Marino


di Paolo Facciotto

Ha sorpreso lo splendore della tradizione



SAN MARINO - Venticinque fra vescovi e cardinali hanno concelebrato ieri mattina con il Papa: fra loro, in testa, il vescovo emerito di Rimini mons. Mariano De Nicolò e il vescovo attuale mons. Francesco Lambiasi. Un esercito di duecento sacerdoti ha vestito la veste bianca - prevista nella solennità della Santissima Trinità - che in fondo recava lo stemma di Benedetto XVI . Tantissimi i religiosi e le religiose. A lato del palco, il grande coro e le diverse formazioni vocali e strumentali, diretti dal giovane musicista e parroco, Maestro don Andrea Bosio, e dal direttore del Coro Camerata del Titano Maestro Augusto Ciavatta.

La santa messa si è svolta senza interruzioni né applausi, in un’atmosfera partecipata ma composta. Ha sorpreso molti, e dominato l’attenzione generale, la celebrazione eucaristica con molte riprese della bimillenaria tradizione liturgica della Chiesa romana. Il Prefazio, che introduce al centro della messa che è l’eucaristia, è stato interamente cantato dal Santo Padre nella versione latina gregoriana. Come preghiera eucaristica è stata scelta la prima in assoluto fra quelle possibili, il cosiddetto Canone romano che nel suo nucleo è riconducibile alla tradizione petrina e delle prime comunità; anch’esso nella versione latina, dove la voce del Papa e quella dei concelebranti (mons. Negri, Card. Bertone, Card. Caffarra) si alternano. Anche il Pater Noster è stato cantato, nella versione latina gregoriana, così come, in precedenza, il Credo (il Credo III° gregoriano entrato nel canone della Missa de Angelis), con l’alternanza fra i cori maschile e femminile, consueto a chi si nutre della tradizione. Il Gloria invece era stato eseguito dalle formazioni corali-strumentali e, come altre stupende parti della messa - ad esempio il canto Laudate Dominum -, era un’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, uno dei musicisti più amati da Papa Ratzinger: brani dalla Spaur-Messe, la missa brevis in Do maggiore K 258, o dalla Missa Solemnis.

Ha colpito inoltre la comunione ricevuta sulla lingua, escludendo la modalità sulle mani. Una indicazione forte, che nell’avviso ripetuto tre volte prima dell’inizio della celebrazione, è risuonata nel suo autentico significato e nelle sue ragioni. Così spiegava l’avviso, voluto dalla diocesi di San Marino-Montefeltro: «In questa domenica della Santissima Trinità, la nostra Chiesa diocesana si ritrova unita con il successore di Pietro per la celebrazione della Santa Messa, fonte e culmine della vita nuova in Cristo. Vogliamo vivere questo momento in comunione con la Chiesa universale, presieduta nella Carità da Sua Santità il Padre Benedetto XVI.

Per questo motivo, richiamiamo ora l’attenzione sulle modalità di ricezione della Santa Comunione. (...)
 I fedeli che, essendosi confessati, si trovano attualmente in stato di Grazia e che dunque, soli, possono ricevere il Corpo Santissimo del Signore, si avvicineranno al ministro loro più vicino. L
a Comunione, secondo le disposizioni universali vigenti, sarà distribuita solo ed esclusivamente sulla lingua, al fine di evitare profanazioni ma soprattutto per educarci ad avere una sempre maggiore e più alta considerazione del Santo Mistero che è la Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Non sarà pertanto consentito a nessuno di ricevere la Comunione sulle proprie mani. Dopo aver fatto la debita riverenza, adoreremo l’Ostia che viene successivamente appoggiata sulla lingua. Per chi non fosse impedito per motivi di spazio o di salute, la Comunione può essere ricevuta anche stando in ginocchio
».

[Magnifico: semplice, diretto, completo e chiaro. Visto, reverendi? Ci vuole poco a rieducare i fedeli: qualche avviso e sintetica spiegazione, e si inizia a ricostruire]

In ginocchio, come coloro che l’hanno ricevuta da Papa Benedetto XVI - una costante nelle celebrazioni del Sommo Pontefice, che con questa sua espressa disposizione vorrebbe segnare un modello. Favoriti anche alcuni momenti di profondo silenzio. In uno dei lati del palco, la riproduzione della Madonna di Fiorentino.

A Maria si è rivolto il Papa durante l’Angelus: "A lei affido tutti voi e l’intera popolazione sammarinese e montefeltrina".

Pope Benedict XVI (2nd L) gives communion to a girl as he  celebrates a mass at the Olympic stadium in Serravalle June 19, 2011.


Fonte: La Voce di Romagna odierna. Grazie all'Autore per la segnalazione e, ancor più, per il testo.

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25/07/2011 10:33
 
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"Niente genuflessione prima della Comunione!": così un prete siracusano sgrida una fedele.

La settimana scorsa abbiamo riferito di un increscioso episodio avvenuto a San Remo (diocesi di Ventimiglia - San Remo), che ha visto negare ad un fedele la Comunione in ginocchio da parte di un disobbediente ed arrogante Cappuccino. Non più tardi di 7 giorni, ci perviene da Siracusa (Arcidiocesi Metropolitana di Siracusa), un'altra segnalazione di un abuso analogo. Anche in questo caso, da parte di chi avrebbe dovuto favorirlo (un sacerdote della Santa Chiesa!) si è invece arbitrariamente impedito un pio ed antico atto di adorazione di Gesù; e ciò in spregio non solo delle norme della Santa Sede (sul DIVIETO di negare la Comunione ai fedeli per il solo fatto che la vogliano ricevere in ginocchio e/o in bocca), ma anche del coerente esempio del Papa esplicitato durante le sue celebrazioni!
E ora la parola al lettore.

Roberto

"Oggi [ieri domenica 24 luglio, n.d.r.] mi son recata alla S. Messa delle 20.15 nella chiesa di Santa Rita a Mare (parrocchia di Maria Stella del Mare in Santa Rita a Mare, nella località balneare di Fontane Bianche a Siracusa). Al momento di ricevere la S. Comunione, mi sono normalmente messa in fila per accostarmi al sacerdote che la distribuiva. "Al mio turno", ho fatto una genuflessione davanti al Santissimo rialzandomi immediatamente per poterla ricevere in bocca. Con molto stupore l'anziano don Ignazio Sbona (che distribuiva le Ostie) inspiegabilmente e a voce alta mi ha rimbrottata dicendomi che non avrei dovuto fare la genuflessione! Quando io ho cercato di spiegare che quello era il mio modo di rendere giusta adorazione a Gesù Eucarestia, il prete, a voce ancor più alta, mi ha sgridata sostenendo che in quel modo facevo fare brutta figura a tutti i fedeli che non si erano (e non si sarebbero) genuflessi come me. Tutto questo, ovviamente, bloccando il rito della Comunione e invitando gli altri fedeli, oltretutto,a ricevere la Comunione solo sulla mano.
Tengo a precisare che la mia genuflessione cerca di rispondere semplicemente ad un intimo desiderio di adorazione, scevro da qualsiasi forma di protagonismo.
Cosa penserà Mons. Salvatore Pappalardo, mio arcivescovo, che un suo prete disobbedisce palesemente al Papa e disattende le istruzioni della Santa Sede???

*******************************

Embarassed in questi casi, umilmente SUGGERISCO, di non cedere alla provocazione.... NON RISPONDETE al sacerdote che vi rimbrotta, restate fermi ad occhi bassi SULLA SACRA PARTICOLA.... INVOCATE GESU' NELLA MENTE, NEL CUORE, A FIL DI LABBRA.... PRENDETE L'UMILIAZIONE PER AMORE DI GESU', NON RISPONDETE.....TACETE COME TACEVA LUI DI FRONTE AGLI ACCUSATORI....e se potete, inginocchiatevi un attimo prima, mentre la persona che vi sta davanti sta ricevendo la Comunione....  
 
Non ricordo chi lo raccontò, ma era di una santa: aveva difficoltà nel ricevere l'Eucarestia perchè aveva saputo dello stato di peccato del sacerdote.... pregò così fortemente e fece immensi sacrifici che il Signore le concesse di vedere quanto segue:  
accanto al sacerdote che stava per distribuire la Comunione, c'era il Diavolo che se la divertiva.... a quella visione lei temette, ebbe paura di accostarsi all'Eucaristia, ma il suo Angelo Custode la rassicurò ACCOMPAGNANDOLA, allora vide dall'altro lato venire insieme al sacerdote Gesù nelle vesti sacerdotali e regali.... e il Diavolo coprirsi il volto e svanire....  
IN QUEL MOMENTO CONTA SOLO GESU'......VIVO, PRESENTE, IN CORPO, ANIMA E DIVINITA'.....  
NON LASCIATEVI SCORAGGIARE.... Gesù a chi tanto dona, tanto chiede.....maggiormente chiede, immensamente CHIEDE...  





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31/08/2011 17:34
 
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[SM=g1740722] Una delle Catechesi più belle e riuscitissime del santo Padre: L'ESEMPIO, LA TESTIMONIANZA.... L'APPLICAZIONE DI CIO' CHE DICE, POCHE PAROLE, MA FATTI CONCRETI...

Il momento della Comunione alla Messa del Papa celebrata per i Seminaristi radunati a Madrid per la Gmg
it.gloria.tv/?media=189799


Coraggio Sacerdoti! riportate questa sacralità nelle nostre Parrocchie, desideriamo rivedere l'inginocchiatoio... desideriamo riascoltare queste musiche sacre, rivogliamo IL SILENZIO ATTRAVERSO IL QUALE GESU'-OSTIA-SANTA COMUNICA CON NOI.....



[SM=g1740717]

[SM=g1740722]
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21/10/2011 21:54
 
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il grande inganno circa la S. Comunione in mano

S. Cirillo di Gerusalemme e la Comunione sulla mano

Archeologite Liturgica – Sacrilegio Dilagante



In UnaVox

[A proposito della questione relativa alla cosiddetta "Comunione sulla mano", riproduciamo un articolo del R. P. Giuseppe Pace, S. B. D., pubblicato nel n° di gennaio 1990 del periodico Chiesa Viva (Editrice Civiltà, via Galileo Galilei, 121, 25123 Brescia).]
La ghianda è una quercia in potenza; la quercia è una ghianda divenuta perfetta. Il ritornare ghianda per una quercia, posto che lo potesse senza morire, sarebbe un regredire. Per questo nella Mediator Dei (n. 51) Pio XII condannava l'archeologismo liturgico come antiliturgico con queste parole: «… non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi, ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono, con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del Depositum Fidei affidatole dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò».


Di una tale ossessione morbosa - di archeologite - sono preda quei pseudoliturgisti che stanno desolando la Chiesa in nome del Concilio Vaticano II; pseudoliturgisti che talora giungono al punto di spingere con l'esortazione e con l'esempio i loro sudditi a violare quelle poche leggi sane che ancora sopravvivono, e da loro stessi formalmente promulgate o confermate.
Sintomatico a questo riguardo è il caso del rito della Santa Comunione. Qualche vescovo infatti, dopo aver proclamato che il rito tradizionale, di collocare le sacre Specie sulle labbra del comunicando, è tuttora in vigore, permette tuttavia che si distribuisca la santa Comunione in cestelli che si passano i fedeli dalla mano dell'uno a quella dell'altro; o lui stesso depone le sacre Specie nelle mani nude - e sempre pulite? - del comunicando. Se si vuole convincere i fedeli che la santissima Eucarestia non è che del pane comune, magari anche benedetto, per una refezioncella simbolica, certo si è imbroccata la via piú diretta: quella del sacrilegio.
I fautori della Comunione in mano fanno appello a quell'archeologismo pseduoliturgico condannato apertis verbis da Pio XII. Dicono infatti e ripetono che in tal modo la si deve ricevere, perché in tal modo si è fatto in tutta la Chiesa, sia in Oriente che in Occidente dalle origini in poi per mille anni.


È vero e certo che dalle origini in poi per quasi duemila anni i comunicandi dovevano astenersi da qualsiasi cibo e bevanda, dalla vigilia fino al momento della santa Comunione, in preparazione alla medesima. Perché quelli dell'archeologite non restaurano un tale digiuno eucaristico? che certamente contribuirebbe non poco a mantenere vivo nella mente dei comunicandi il pensiero della santa Comunione imminente, e a disporveli meglio.
È invece certamente falso che dalle origini in poi per mille anni ci sia stata in tutta la Chiesa, in Oriente e in Occidente, la consuetudine di deporre le sacre Specie nelle mani del fedele.


Il cavallo di battaglia di quei pesudoliturgisti è il seguente brano delle Catechesi mistagogiche attribuite a san Cirillo di Gerusalemme: «Adiens igitur, ne expansis manuum volis, neque disiunctis digitis accede; sed sinistram velut thronum subiiciens, utpote Regem suscepturæ: et concava manu suscipe corpus Christi, respondens Amen». (Andando quindi [alla Comunione] accostati non con le palme delle mani aperte, né con le dita disgiunte; ma tenendo la sinistra a guisa di trono sotto a quella che sta per accogliere il Re; e con la destra concava ricevi il corpo del Cristo, rispondendo Amen).
Giunti a questo Amen, si fermano; ma le Catechesi mistagogiche non si fermano lí, ed aggiungono:

«Postquam autem caute oculos tuos sancti corporis contactu santificaveris, illud percipe… Tum vero post communionem corporis Christi, accede et ad sanguinis poculum: non extendens manus; sed pronus [in greco: 'allà kùpton, che il Bellarmino traduce genu flexo], et adorationis ac venerationis in modum, dicens Amen, sancticeris, ex sanguine Christi quoque sumens. Et cum adhuc labiis tuis adbaeret ex eo mador, manibus attingens, et oculos et frontem et reliquos sensus sanctifica… A communione ne vos abscindite; neque propter peccatorum inquinamentum sacris istis et spiritualibus defraudate mysteriis». (Dopo che tu con cautela abbia santificato i tuoi occhi mettendoli a contatto con il corpo del Cristo, accostati anche al calice del sangue: non tenendo le mani distese; ma prono e in modo da esprimere sensi di adorazione e venerazione, dicendo Amen, ti santificherai, prendendo anche del sangue del Cristo. E mentre hai ancora le labbra inumidite da quello, toccati le mani, e poi con esse santifica i tuoi occhi, la fronte e tutti gli altri sensi… Dalla comunione non staccatevi; né privatevi di questi sacri e spirituali misteri neppure se inquinati dai peccati). (P. G. XXXIII, coll. 1123-1126).


Chi potrà sostenere che un tale rito fosse sia pure un po' meno che per mille anni consueto nella Chiesa universale? E come conciliare un tale rito, secondo il quale è ammesso alla santa Comunione anche chi è inquinato di peccati, con la consuetudine certamente universale sin dalle origini che proibiva la santa Comunione a chi non era santo?: «Itaque quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem seipsum homo: et sic de pane illo edat, et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne, indicum, sibi manducat et bibit non diiudicans corpus Domini». (Perciò chiunque abbia mangiato di questo pane e bevuto del calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Si esamini dunque ognuno: e cosí [trovatosi senza peccati gravi] di quel pane si cibi e di quel calice beva. Colui infatti che ne mangia e ne beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non discernendo il corpo del Signore ). (I Corinti, 11, 27-29).


Un tal stravangante rito della Santa Comunione, la cui descrizione si conchiude con l'esortazione di fare la santa Comunione anche se inquinati di peccati, non fu certo predicato da San Cirillo nella Chiesa di Gerusalemme, né poté essere lecito in qualsivoglia altra Chiesa. Si tratta infatti di un rito dovuto alla fantasia, oscillante tra il fanatismo e il sacrilego, dell'autore delle Costituzioni Apostoliche: un anonimo Siriano, divoratore di libri, scrittore instancabile, che riversa nei suoi scritti, indigerite e contaminate dai parti della sua fantasia, gran parte di quelle sue stesse letture; che al libro VIII di dette Costituzioni apostoliche, aggiunge, attribuendo a san Clemente Papa, 85 Canoni degli Apostoli; canoni che Papa Gelasio I, nel Concilio di Roma del 494, dichiarò apocrifi: «Liber qui appellatur Canones Apostolorum, apocryfus (P. L., LIX, col. 163).
La descrizione di quel rito stravagante, se non necessariamente sempre sacrilego, entrò nelle Catechesi mistagogiche per opera di un successore di san Cirillo, che i piú ritengono sia il vescovo Giovanni, cripto-ariano, origeniano e pelagiano; e perciò contestato da sant'Epifanio, da san Gerolamo e sant'Agostino.

Come può il Leclercq affermare che: «… nous devons y voir [in detto rito stravagante] une exacte représentation de l'usage des grandes Eglises de Syrie»? Non lo può affermare che contraddicendosi, dato che poco prima afferma trattarsi di: «… une liturgie de fantasie. Elle ne procède et elle n'est destinée qu'à distraire son auteur; ce n'est pas une liturgie normale, officielle, appartenant à une Eglise déterminée» (Dictionaire de Archeologie chretienne et de Liturgie, vol. III, parte II, col. 2749-2750).

Abbiamo invece delle testimonianze certe della consuetudine contraria, e cioè della consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando, e della proibizione ai laici di toccare dette sacre Specie con le proprie mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, ci assicura san Basilio, si poteva derogare da detta norma, ed era concesso ai laici di comunicarsi con le proprie mani (P. G., XXXII, coll. 483-486).
Non intendiamo, è chiaro, passare in rassegna tutte le testimonianze invocate a dimostrare che nell'antichità vigeva la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando laico; ne indichiamo solo alcune sintomatiche, e peraltro sufficienti a smentire quanti affermano che per mille anni nella Chiesa universale, sia d'Oriente che d'Occidente, fu consuetudine deporre le sacre Specie nelle mani dei laici.

Sant'Eutichiano, Papa dal 275 al 283, a che non abbiano a toccarle con le mani, proibisce ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati: «Nullus præsumat tradere communionem laico vel femminæ ad deferendum infirmo» (Nessuno osi consegnare la comunione ad un laico o ad una donna per portarla ad un infermo) (P. L., V, coll. 163-168).
San Gregorio Magno narra che sant'Agapito, Papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarí un sordomuto all'atto in cui «ei dominicum Corpus in os mitteret» (gli metteva in bocca il Corpo del Signore) (Dialoghi, III, 3).



Questo per l'Oriente; e per l'Occidente, si sa ed è indubitabile che lo stesso san Gregorio Magno amministrava in tal modo la santa Comunione ai laici.
Già prima il Concilio di Saragozza, nel 380, aveva lanciato la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucarestia come se si fosse in tempo di persecuzione, tempo nel quale anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani (SAENZ DE AGUIRRE, Notitia Conciliorum Hispaniæ, Salamanca, 1686, pag. 495).

Innovatori indisciplinati non mancavano certo neppure anticamente. Il che indusse l'autorità ecclesiastica a richiamarli all'ordine. Cosí fece il Concilio di Rouen, verso il 650, proibendo al ministro dell'Eucarestia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: «[Presbyter] illud etiam attendat ut eos [fideles] propria manu communicet, nulli autem laico aut fœminæ Eucharistiam in manibus ponat, sed tantum in os eius cum his verbis ponat: "Corpus Domini et sanguis prosit tibi in remissionem peccatorum et ad vitam æternam". Si quis hæc transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem comtemnit, et quantum in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» ([Il presbitero] baderà anche a questo: a comunicare [i fedeli] di propria mano; a nessun laico o donna deponga l'Eucarestia nelle mani, ma solo sulle labbra, con queste parole: "Il corpo e il sangue del Signore ti giovino per la remissione dei peccati e per la vita eterna". Chiunque avrà trasgredito tali norme, disprezzato quindi Iddio onnipotente e per quanto sta in lui lo avrà disonorato, venga rimosso dall'altare). (Mansi, vol. X, coll. 1099-1100).
Per contro gli Ariani, per dimostrare che non credevano nella divinità di Gesú, e che ritenevano l'Eucarestia come pane puramente simbolico, si comunicavano stando in piedi e toccando con le proprie mani le sacre Specie. Non per nulla sant'Atanasio poté parlare dell'apostasia ariana (P. G., vol. XXIV, col. 9 ss.).

Non si nega che sia stato permesso ai laici di toccare talora le sacre Specie, in certi casi particolari, o anche in alcune Chiese particolari, per qualche tempo. Ma si nega che tale sia stata la consuetudine della Chiesa sia in Oriente che in Occidente per mille anni; e piú falso ancor affermare che si dovrebbe fare cosí tuttora. Anche nel culto dovuto alla santissima Eucarestia è avvenuto un sapiente progresso, analogo a quello avvenuto nel campo dogmatico (con il quale non ha nulla a che fare la teologia modernista della morte di Dio).
Detto progresso liturgico rese universale l'uso di inginocchiarsi in atto di adorazione, e quindi l'uso dell'inginocchiatoio; l'uso di coprire la balaustra di candida tovaglia, l'uso della patena, talora anche di una torcia accesa; e poi la pratica di fare almeno un quarto d'ora di ringraziamento personale. Abolire tutto ciò non è incrementare il culto dovuto a Dio nella santissima Eucarestia, e la fede e la santificazione dei fedeli, ma è servire il demonio.



Quando san Tommaso (Summa Theologica, III, q. 82, a 3) espone i motivi che vietano ai laici di toccare le sacre Specie, non parla di un rito di recente invenzione, ma di una consuetudine liturgica antica come la Chiesa. Ben a ragione il Concilio di Trento non solo poté affermare che nella Chiesa di Dio fu consuetudine costante che i laici ricevevano la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicavano da sé; ma addirittura che tale consuetudine è di origine apostolica (Denzinger, 881). Ecco perché la troviamo prescritta nel Catechismo di san Pio X (Questioni 642-645). Ora tale norma non è stata abrogata: nel Nuovo Messale Romano, all'articolo 117, si legge che il comunicando tenens patenam sub ore, sacramentum accipit (tenendo la patena sotto la bocca, prenda il sacramento).
Dopo di che non si riesce a capire come mai gli stessi promulgatori di tanto sapiente norma, ne vadano dispensando le diocesi una dopo l'altra. Il semplice fedele di fronte a tanta incoerenza, non può che concepire una grande indifferenza nei riguardi delle leggi ecclesiastiche liturgiche e non liturgiche.

tratto da: http://muniatintrantes.blogspot.com/2011/10/s.html
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30/12/2011 15:16
 
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Vescovo brasiliano parla chiaro: "N.O.: da Natale darò solo la Comunione in ginocchio. Vietato negarLa ai fedeli che si inginocchiano"

Un altro bell'esempio di applicazione della "Riforma della Riforma" sull'esempio di Benedetto XVI: un Vescovo brasiliano da Natale in Cattedrale la S. Comunione si potrà ricevere solo in ginocchio. Il prelato però va oltre: nella lettera pastorale aggiunge che è un abuso gravissimo negare la S. Comunione ai fedeli che si inginocchino per riceverLa: anche laddove le Conferenze Episcopali abbiano concesso la possibilità di riceverLa in piedi, si tratta appunto solo di possibilità, restando in vigore il diritto dei fedeli di inginocchiarsi per comunicarsi.
Dovrebbero leggersi meglio i documenti della Congregazione quei simpatici fratacchioni capuccini che a San Remo -un posto tra tanti- hanno negato con cafona platealità la S. Comunione ad un fedele inginocchiato.

 

Roberto

 

 

Il sito Salvem a Liturgiam! ha pubblicato una lettera di S. E. monsignor Antonio Keller, Vescovo di Frederico Westphalen, in Brasile, sulla distribuzione della Santa Comunione.

 

Il Vescovo ricorda la necessità che il fedele sia in stato di grazia per ricevere il Corpo di Cristo e ha condotto una chiara distinzione tra il pane comune, nutrimento del corpo, e il pane eucaristico, Corpo, Sangue, Anima e Divinità del Signore, per nutrire l'anima.
Il prelato fa cenno anche all'obbligo di mantenere il digiuno nell'ora precedente, e raccomanda l'osservanza delle modalità dei gesti e il modo di ricevere la Santa Eucaristia.
La lettera ha annunciato che, da Natale in Cattedrale il vescovo distribuirà ai fedeli la S. Comunione sempre in ginocchio su un inginocchiatoio, come nella foto.

Non meno interessante è questo paragrafo dalla lettera del vescovo Keller:
"La negazione della Santa Comunione ai fedeli a causa della posizione in ginocchio, dovrebbe essere considerata una grave violazione di uno dei diritti più fondamentali dei fedeli cristiani, e cioè quello di essere assistiti dai loro pastori attraverso sacramenti (CDC, Canone 213). Anche in luoghi dove la Congregazione ha approvato che la Comunione si possa ricevere in piedi secondo gli adeguamenti ammessi dalle Conferenze Episcopali ... [la Congregazione] ha stabilito che ai fedeli che scelgono di comunicarsi in ginocchio non potrà essere negata la Santa Comunione per tale motivo (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Lettera del 1 luglio 2002, Notitiae (2002) 582-585). "

Fonte: Acción Litúrgica

*******************************
 

S. Messa di "rientro" di ex anglicani canadesi nella Chiesa Cattolica. Liturgia celebrata secondo i canoni "benedettiani"


Ottawa 2011 -
Qui al link altre foto della prima celebrazione (forse in Agosto 2011) per fedeli ex anglicani tornati in comunione con Roma grazie all'Ordinariato per gli Anglicani (voluto dal Papa, e di cui avevamo dato lieto annuncio).
La S. Messa è stata celebrata dall'Arcivescovo di Ottawa, Mons. Terrence Prendergast, alla presenza dei pastori anglicani che saranno ordinati sacerdoti secondo il Rito Cattolico Romano, e di 700 fedeli cattolici che hanno voluto dare il loro "benvenuto" (o meglio "bentornato") ai fratelli che abbandonato l'anglicanesimo, si sono convertiti alla fede cattolica.
Un altro prezioso frutto del pontificato di Benedetto XVI.
 

[SM=g1740738]



[Modificato da Caterina63 25/04/2012 14:20]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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31/07/2012 21:27
 
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L'uso di dare la Comunione in bocca può risalire a Gesù?

 

 
 
 
di mons. Nicola Bux

Il Santo Padre, non solo pronunziò il noto discorso del 22 dicembre sull' interpretazione del concilio ecumenico Vaticano II, che invitava a compiere nel senso della riforma in continuità con la tradizione della Chiesa (Ecclesia semper reformanda), ma lo ha pure messo in pratica nella liturgia. In primis, facendo ricollocare il Crocifisso dinanzi a sè sull'altare, in modo che la preghiera del sacerdote e dei fedeli sia "rivolta al Signore".
 

Qui però, mi soffermo sulla seconda 'innovazione' di Benedetto XVI: l'amministrazione della S.Comunione ai fedeli, in ginocchio e in bocca. Dico 'innovazione', rispetto al noto indulto che in diverse nazioni consente di riceverla sulla mano.Infatti, si ritiene da non pochi, che solo nella tarda antichità-alto medioevo, la Chiesa d'Oriente e d'Occidente abbia preferito amministrarla in tal modo. Allora, Gesù ha dato la Comunione agli Apostoli sulla mano o chiedendo di prenderla con le proprie mani?
 


 
Visitando la mostra del Tintoretto a Roma, ho osservato alcune 'Ultime Cene' in cui Gesù dà la Comunione in bocca agli Apostoli: si potrebbe pensare che si tratti di una interpretazione del pittore ex post, un po' come la postura di Gesù e degli apostoli a tavola nel Cenacolo di Leonardo, che 'aggiorna' alla maniera occidentale l'uso giudaico dello stare invece reclinati a mensa. Però, riflettendo ulteriormente, l'uso di dare la S.Comunione direttamente in bocca al fedele, può essere ritenuto non solo di tradizione giudaica e quindi apostolica, ma anche risalente al Signore Gesù. Gli ebrei e gli orientali in genere, avevano ed hanno ancor oggi l'usanza di prendere il cibo con le mani e di metterlo direttamente in bocca all'amata o all'amico. Anche in occidente lo si fa tra innamorati e da parte della mamma verso il piccolo ancora inesperto. Si capisce così il testo di Giovanni 13,26-27: "Gesù allora gli (a Giovanni) rispose: 'E' quello a cui darò un pezzetto di pane intinto'. Poi, intinto un pezzetto di pane, lo diede a Giuda di Simone Iscariota. E appena preso il boccone il satana entrò da lui". Mons.Athanasius Schneider ha compiuto ottimi approfondimenti nel suo libro Dominus est, Lev 2009.
 


 
Che dire però dell'invito di Gesù: "Prendete e mangiate"..."Prendete e bevete" ?
Prendete (in greco: lavete; in latino: accipite), significa anche "ricevete".

[SM=g1740733] Se il boccone è intinto, non lo si può prendere con le mani, ma ricevere direttamente in bocca.


Vero è che Gesù ha consacrato separatamente pane e vino, ma, se durante il Mistico Convito - come lo chiama l'Oriente - ossia l'Ultima Cena, i due gesti consacratori avvennero, come sembra, in tempi diversi della Cena pasquale - quando gli Apostoli, forse aiutati dai sacerdoti giudaici che si erano convertiti (Atti 6,7) quali esperti diremmo così nel culto, li unirono all'interno della grande preghiera eucaristica - la distribuzione del pane e del vino consacrati fu collocata dopo l'anafora, dando origine al rito di Comunione. Agli inizi, le comunità cristiane erano piccole e i fedeli facilmente identificabili. Con l'estendersi della cristianità, nacquero le esigenze di precauzione: affinchè le sacre specie fossero amministrate con riverenza e evitando la dispersione dei frammenti, che contengono il Signore realmente e interamente. Pian piano prende forma la Comunione sotto le due specie, date consecutivamente o per intinzione.
Infine in occidente, ordinariamente sotto la sola specie del pane, perchè la dottrina cattolica, garante san Tommaso, insegna che il Signore Gesù è tutto intero in ciascuna specie (Catechismo della Chiesa Cattolica 1377).
 


 
Però, dai sostenitori della Comunione sulla mano, si fa appello a san Cirillo di Gerusalemme, il quale, chiedendo ai fedeli di fare della mano un trono al momento di ricevere la Comunione, vuol dire che consegnava la specie del pane sulla mano. Ritengo sommessamente che l'invito a disporre le mani in tal modo, possa essere inteso non al fine di riceverla in esse, ma a protenderle, anche inchinando il capo, in un unico atto di adorazione, oltre che per prevenire la caduta di frammenti. Infatti, per l'innato senso del sacro, molto forte in Oriente, si affermava sempre più la riverenza verso il Sacramento con le precauzioni nell'assumere la Comunione in bocca, per molteplici ragioni, tra cui quella di non poter garantire mani pure e in specie la salvaguardia dei frammenti. Questo nella Catechesi Mistagogica 21.
Ciò rende più comprensibile la sentenza di sant'Agostino: "nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando". Non si deve mangiare il Corpo del Signore senza averlo prima adorato. Benedetto XVI l'ha richiamata significativamente proprio nel suaccennato discorso sull'interpretazione del Vaticano II e poi nell'Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis 67.




 
Ancora Cirillo o i suoi successori, nella Catechesi Mistagogica 5,22, invita a "Non stendere le mani, ma in un gesto di adorazione e venerazione (tropo proskyniseos ke sevasmatos) accostati al calice del sangue di Cristo". Di modo che, l'apostolo fa proskinesis, la prostrazione o inchino fino a terra - simile alla nostra genuflessione - protendendo allo stesso tempo le mani come un trono, mentre dalla mano del Signore riceve in bocca la Comunione. Così sembra efficacemente raffigurato dal Codice purpureo di Rossano, risalente tra la fine del V e l'inizio del VI secolo d.C., un Evangelario greco miniato composto sicuramente in ambiente siriaco.
Dunque, non deve meravigliare il fatto che la tradizione pittorica orientale e occidentale,dal V al XVI secolo abbia raffigurato Cristo che fa la Comunione agli apostoli direttamente sulla bocca.
Il Santo Padre, in continuità con la tradizione universale della Chiesa, ha ripreso il gesto. Perchè non imitarlo? Ne guadagnerà la fede e la devozione di molti verso il Sacramento della Presenza, specialmente in un tempo dissacratorio come quello odierno.
 
 


Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/#ixzz22EJYaJlt
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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11/08/2012 14:28
 
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[SM=g1740733].... e se ancora non vi basta.....

Come suggerisce http://letturine.blogspot.it/2012/08/contro-i-ministri-cosiddetti.html contro la "comunione sulla mano" vale la pena leggere l'intera citazione delle Catechesi Mistagogiche di san Cirillo da Gerusalemme, che nella versione monca è stata il cavallo di battaglia dei dissacratori modernisti:

http://www.unavox.it/032b.htm


Sant'Eutichiano, Papa dal 275 al 283, vieta esplicitamente i ministri cosiddetti straordinari della Comunione: «Nullus præsumat tradere communionem laico vel femminæ ad deferendum infirmo» (Nessuno osi consegnare la comunione ad un laico o ad una donna per portarla ad un infermo).

Sant'Agapito, Papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarí un sordomuto all'atto in cui «ei dominicum Corpus in os mitteret» (gli metteva in bocca il Corpo del Signore). Ma come? La comunione "sulla mano" non era durata un millennio?

Nel Concilio di Rouen, verso il 650, si proibì al ministro dell'Eucarestia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico, pena la rimozione dagli uffici sacri: «[Presbyter] illud etiam attendat ut eos [fideles] propria manu communicet, nulli autem laico aut fœminæ Eucharistiam in manibus ponat, sed tantum in os eius cum his verbis ponat: "Corpus Domini et sanguis prosit tibi in remissionem peccatorum et ad vitam æternam". Si quis hæc transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem comtemnit, et quantum in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» ([Il presbitero] baderà anche a questo: a comunicare [i fedeli] di propria mano; a nessun laico o donna deponga l'Eucarestia nelle mani, ma solo sulle labbra, con queste parole: "Il corpo e il sangue del Signore ti giovino per la remissione dei peccati e per la vita eterna". Chiunque avrà trasgredito tali norme, disprezzato quindi Iddio onnipotente e per quanto sta in lui lo avrà disonorato, venga rimosso dall'altare). Ma come? la comunione "sulla mano" non era durata un millennio?
 


[Modificato da Caterina63 11/08/2012 14:31]
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04/10/2012 14:16
 
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[SM=g1740733] A quanto è stato riportato in questo thread, con tono volutamente provocatorio, va detto che la Comunione alla mano, di cui si è abusato obbligandola ai fedeli come Norma, è tuttavia CONCESSA, quindi lo ribadiamo: è un uso legittimo, per abuso si intende l'obbligo che è stato imposto ai fedeli, non la concessione fatta dalla Chiesa.

Ciò che si vuole sottolineare è che la comunione alla mano non è la Norma e che la Chiesa preferisce che i fedeli, debitamente ISTRUITI, comprendano che è più sacro ricevere l'Eucaristia alla bocca e magari anche in ginocchio, per favorire un clima più adatto e ridurre al limite le eventuali profanazioni.... e dispersione delle molliche, dei frammenti nei quali è contenuto tutto intero Nostro Signore e quindi è un sacrilegio che questi frammenti si disperdano nella mano, poichè il fedele non potrebbe notarle....

Riportiamo dalla Redemptionis Sacramentum quanto segue, facendo attenzione alle parti in neretto:


[91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che«i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli».[177] Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi.

[92.] Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca,[178] se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli.[179]

[93.] È necessario che si mantenga l’uso del piattino per la Comunione dei fedeli, per evitare che la sacra ostia o qualche suo frammento cada.[180]

94.] Non è consentito ai fedeli di «prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano»[181] la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione.


*************

osserviamo quanto segue:

92. il diritto è quello di ricevere la Comunione alla bocca, mentre, la ricezione della Comunione alla mano è significata da un permesso extra dato dal Vescovo del luogo e confermata dalla Sede apostolica..... Si evince chiaramente che la Comunione alla bocca è la prassi normativa di tutta la Chiesa, mentre quella alla mano è una concessione legittima.
E laddove ci fosse pericolo di profanazione, la comunione alla mano non deve essere data, mentre resta sicuro e certo il modo tradizionale di ricevere la Comunione alla bocca....

[SM=g1740733] e da non sottvalutare questi abusi:

Non è consentito ai fedeli di «prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano»[181] la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione.

[SM=g1740771]

 

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Insegnamenti sulla liturgia del Santo Padre Benedetto XVI

 





A seguito della riforma del Concilio Vaticano II, l'Ufficio per le Cerimonie Pontificie ha assunto una importanza sempre maggiore nel settore della pastorale liturgica. Le celebrazioni presiedute dal Santo Padre, infatti, sono chiamate a essere, anche per l’incidenza dei mass-media, un punto di riferimento esemplare per l’attuazione della riforma liturgica secondo gli insegnamenti conciliari, in continuità con l’intera tradizione ecclesiale e in conformità al più recente magistero dei Sommi Pontefici.


Insegnamenti sulla liturgia del Santo Padre Benedetto XVI

 

         










UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE  

 

LA COMUNIONE RICEVUTA SULLA LINGUA E IN GINOCCHIO

La più antica prassi di distribuzione della Comunione è stata, con tutta probabilità, quella di dare la Comunione ai fedeli sul palmo della mano. La storia della liturgia evidenzia, tuttavia, anche il processo, iniziato abbastanza presto, di trasformazione di tale prassi. Sin dall’epoca dei Padri, nasce e si consolida una tendenza a restringere sempre più la distribuzione della Comunione sulla mano e a favorire quella sulla lingua. Il motivo di questa preferenza è duplice: da una parte, evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici; dall’altra, favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento.

All’uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua fa riferimento anche san Tommaso d’Aquino, il quale afferma che la distribuzione del Corpo del Signore appartiene al solo sacerdote ordinato. Ciò per diversi motivi, tra i quali l’Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che «non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili» (Summa Theologiae, III, 82, 3).

Lungo i secoli, la Chiesa ha sempre cercato di caratterizzare il momento della Comunione con sacralità e somma dignità, sforzandosi costantemente di sviluppare nel modo migliore gesti esterni che favorissero la comprensione del grande mistero sacramentale. Nel suo premuroso amore pastorale, la Chiesa contribuisce a che i fedeli possano ricevere l’Eucaristia con le dovute disposizioni, tra le quali figura il comprendere e considerare interiormente la presenza reale di Colui che si va a ricevere (cf. Catechismo di san Pio X, nn. 628 e 636). Tra i segni di devozione propri ai comunicandi, la Chiesa d’Occidente ha stabilito anche lo stare in ginocchio. Una celebre espressione di sant’Agostino, ripresa al n. 66 della Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, insegna: «Nessuno mangi quella carne [il Corpo eucaristico], se prima non l’ha adorata. Peccheremmo se non l’adorassimo»(Enarrationes in Psalmos, 98,9). Stare in ginocchio indica e favorisce questa necessaria adorazione previa alla ricezione di Cristo eucaristico.

In questa prospettiva, l’allora cardinale Ratzinger aveva assicurato che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall’adorazione» (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo 2001, p. 86). Per questo, egli riteneva che «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (cit. nella Lettera This Congregation della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del 1° luglio 2002: EV 21, n. 666).

Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, ha scritto al n. 61:

«Dando all’Eucaristia tutto il rilievo che essa merita, e badando con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza, ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. Ci invita a questo una tradizione ininterrotta, che fin dai primi secoli ha visto la comunità cristiana vigile nella custodia di questo “tesoro”. [...] Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché “in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza”».

In continuità con l’insegnamento del suo Predecessore, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, il Santo Padre Benedetto XVI ha iniziato a distribuire ai fedeli il Corpo del Signore, direttamente sulla lingua e stando inginocchiati.

[SM=g1740733]

[Modificato da Caterina63 04/10/2012 14:20]
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Il cardinale Prefetto del Culto divino presenta la riorganizzazione del dicastero e il nuovo dipartimento per la musica e l’arte: «Le chiese non sono semplici luoghi di riunione, ma luoghi dell’incontro con il mistero di Dio»

Andrea Tornielli
Città del Vaticano - 24.12.2012

La Congregazione è stata riorganizzata e c’è un nuovo ufficio dedicato all’architettura e alla musica sacra: può spiegare perché e a che cosa serve?

 

«In effetti, nella Congregazione, a partire dal 1 dicembre, si è costituito un nuovo “ufficio”: si tratta di un dipartimento dedicato all’arte e alla musica sacra al servizio della liturgia, con il quale si intende dare impulso a quanto si legge nei capitoli 6 e 7 della Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium”. Un’iniziativa necessaria per poter rispondere nel migliore modo possibile e adeguato alle esigenze della liturgia in questi due ambiti. Non ogni espressione musicale o artistica risponde alla natura della liturgia, che ha le sue proprie leggi da salvaguardare. Se dobbiamo approfondire il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II e potenziare la bellezza che la liturgia stessa è e deve avere, la musica e l’arte sono elementi fondamentali. È dunque molto importante che la Congregazione per il Culto dia impulso all’arte e alla musica per la liturgia, offra criteri e orientamenti per questo scopo in conformità con gli abbondanti insegnamenti e la ricchissima tradizione della Chiesa, favorisca i rapporti con musicisti, architetti, pittori, orafi, etc. E tutto ciò richiede un’attenzione specifica e concreta. Per questa ragione e per questo scopo si è creato questo “ufficio” o dipartimento».

 

Negli ultimi cinquant’anni abbiamo assistito alla costruzione in tutto il mondo di chiese che assomigliano a garage, a blocchi di cemento, a colate di piombo. Che caratteristiche deve avere, secondo lei, una chiesa cattolica?

 

«Il Catechismo della Chiesa cattolica lo esprime in un modo molto chiaro e semplice, presentando l’edificio della chiesa in due paragrafi. In uno afferma che le chiese “non sono semplici luoghi di riunione, ma significano e manifestano la Chiesa che vive in quel luogo, dimora di Dio con gli uomini riconciliati e uniti in Cristo”. Si capisce come l’obiettivo più profondo dell’esistenza di un edificio sacro non sia semplicemente quello di rendere possibile la riunione dei fedeli. Questo è già tanto, ma al tempo stesso è poco. In realtà, la Chiesa è il luogo dell’incontro con il Figlio di Dio vivo, e così è il luogo dell’incontro tra di noi. Il Catechismo aggiunge che la

“casa di preghiera in cui l’Eucaristia è celebrata e conservata; in cui i fedeli si riuniscono; in cui la presenza del Figlio di Dio nostro Salvatore, che si è offerto per noi sull’altare del sacrificio, viene venerata a sostegno e consolazione dei fedeli, dev’essere nitida e adatta alla preghiera e alle sacre funzioni. In questa ‘casa di Dio’, la verità e l’armonia dei segni che la costituiscono devono manifestare Cristo che in quel luogo è presente e agisce». Le nuove chiese dovrebbero essere costruite in fedeltà a questi criteri basilari, com’è avvenuto nella lunga e ricchissima tradizione della Chiesa, ed è per questo che abbiamo questi esempi di arte tanto straordinari. Nell’ultimo secolo, per citare una chiesa emblematica che tiene molto in considerazione quei criteri, ricordo la basilica della Sagrada Familia, di Antonio Gaudí, a Barcellona».

 

Come definirebbe lo stato della musica e del canto per la liturgia?

 

«Si deve riconoscere che, nonostante alcuni sforzi lodevoli e ben realizzati, la musica e il canto nella liturgia  necessitano di un rinnovamento e di un nuovo impulso. Non dimentichiamo che il grande rinnovamento liturgico di san Pio X venne accresciuto e accompagnato dallo splendido rinnovamento del canto e della musica effettuato da lui. Non ci sarebbe oggi l’urgente e quanto mai necessario rinnovamento liturgico se non si svolgesse un lavoro serio ed efficace nel rinnovamento della musica e del canto, che non è un ornamento per rendere più gradevoli le celebrazioni, ma è invece un elemento della stessa celebrazione, che ci pone davanti al mistero, davanti alla presenza di Dio stesso, che deve corrispondere con quello che accade nella celebrazione liturgica, e cioè “il cielo che si apre alla terra”».

 

Lei è Prefetto del Culto divino da ormai quattro anni. Può ricordare brevemente il lavoro svolto e spiegare quali siano gli obiettivi per il futuro più immediato?

 

«Sì, ho compiuto in questo mese di dicembre quattro anni dal mio arrivo in questo dicastero. Seguendo il lavoro rigoroso e molto valido dei miei predecessori, non ho tentato nient’altro che di dare impulso al rinnovamento liturgico del Vaticano II e questo sarà il mio obiettivo per il nuovo anno. Per questo scopo, oltre alla necessaria riorganizzazione e al nuovo regolamento del dicastero, che ha la sua complessità, si sta lavorando per offrire “orientamenti e direttrici per la formazione liturgica” dei sacerdoti, degli aspiranti al sacerdozio, delle persone consacrate, dei collaboratori parrocchiali nella celebrazione liturgica, dei fedeli cristiani in generale, per aiutare a conoscere di più e assimilare meglio gli insegnamenti sulla liturgia del Vaticano II, in continuità con la ricca tradizione ecclesiale. Stiamo anche preparando uno strumento, un sussidio, per aiutare a celebrare bene e a partecipare adeguatamente all’Eucaristia. Si stanno rivedendo le “introduzioni ai vari rituali per i sacramenti”: il lavoro è molto avanzato per quello riguardante il sacramento della penitenza. Si sta lavorando per l’introduzione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e al rinnovamento della pastorale dell’iniziazione. Spero che tra qualche mese sia pronta la nuova introduzione al rituale per il culto eucaristico al di fuori della messa, in particolare per l’adorazione eucaristica. È a uno stadio avanzato anche il lavoro sul rituale delle esequie. Continuano poi i lavori per un quinto volume della Liturgia delle Ore. Spero che in qualche mese si finisca il progetto del Direttorio per l’omelia e si finisca un volume con i suggerimenti per le omelie per i tre cicli liturgici seguendo il Catechismo della Chiesa cattolica. Non posso non menzionare quello che già si sta facendo con il nuovo dipartimento di “arte e musica per la liturgia”: tra le altre coe, la preparazione di direttori per la musica e l’arte. Oltre agli altri lavori in corso, e agli incontri continentali con i responsabili della liturgia delle conferenze episcopali, bisogna ricordare anche la preparazione del Simposio internazionale che si terrà nel febbraio 2014 sulla Costituzione conciliare sulla liturgia, “Sacrosanctum Concilium”, che speriamo abbia una significativa risonanza».



E la correzione degli abusi liturgici?

 

«Un impegno che va ricordato è quello della visita ad limina dei vescovi, occasioni di grande interesse per diffondere i principi del rinnovamento liturgico richiesto dal Vaticano II, senza trascurare l’aiuto nella correzione di alcuni abusi liturgici come viene messo in pratica dall’importante istruzione della Congregazione per il Culto e per la Dottrina della fede, “Redemptionis Sacramentum”, scritta per correggere gli abusi e aiutare a celebrare e a partecipare bene alla liturgia. Tutto contribuirà all’obiettivo principale, che è far sì che la liturgia occupi il posto centrale che le corrisponde nella vita della Chiesa. Spero che il 2013 sia un anno importante in questo campo. Mi accontenterei, soprattutto, in questo Anno della fede, che si rivalorizzasse e si rivitalizzasse l’Eucaristia domenicale, che si recuperasse la domenica e si partecipasse di più e meglio al sacramento della penitenza. La nostra Congregazione continuerà in questo cammino».

 

Qual è, a suo avviso, lo stato della liturgia cattolica nel mondo? La stagione degli abusi è finita?

 

«Sto parlando della necessità approfondire il rinnovamento liturgico voluto dal Vaticano II, un segno chiaro dello stato in cui si trova la liturgia cattolica nel mondo. Non attraversa il suo miglior momento. Chiaramente c’è la necessità di ravvivare il vero senso della liturgia nella vita cristiana e nella vita della Chiesa. Si è fatto molto, senza dubbio, però risulta insufficiente e bisogna fare molto di più, soprattutto nel far sì che gli insegnamenti del Vaticano II entrino nella coscienza di noi che formiamo la Chiesa perché la liturgia sia centro della Chiesa, sia fonte e culmine della vita cristiana. Disgraziatamente, oltre a una certa superficialità, esteriorità e rischio della routine, ci sono anche abbondanti abusi. Gli abusi sono espressione di errori nella fede, che al tempo stesso conducono a sfigurare la fede stessa. Bisogna porre il massimo impegno nel correggere gli abusi e lavorare in favore della fede. Una responsabilità che tutti abbiamo sempre, ma soprattutto in quest’Anno della fede e in modo particolare i vescovi».

 

A che punto sono le traduzioni del nuovo Messale nelle varie lingue?

 

«Le traduzioni proseguono a un buon ritmo. Come si sa, è stata approvata già la traduzione in lingua inglese per tutti i Paesi anglofoni. È arrivata la traduzione italiana e si sta lavorando alla sua revisione: spero che non si tardi tanto nell’approvarla. Sono anche arrivare le traduzioni in lingua spagnola delle conferenze episcopali del Messico e della Spagna. Anche queste spero non si tardi troppo ad approvarle. Attendiamo che arrivino quelle tedesca, francese, portoghese».

 

Si passerà anche in Italia dalla formula della consacrazione che recita «versato per voi e per tutti» a quella che dice «per voi e per molti»?

 

«Dopo la lettera del Papa su questo tema, così ragionata e convincente, non credo che cambieranno le cose: sarà “per molti”. Le parole della consacrazione nella santa messa vengono approvate direttamente dal Papa».

 

La Costituzione conciliare «Sacrosanctum Concilium» è ancora attuale? È stata attuata?

 

«Quella Costituzione è totalmente attuale e ha una ricchezza ammirabile di contenuto. Se di certo quello che è più visibile nel rinnovamento liturgico appare nella riforma liturgica, è anche certo che la verità della liturgia e gli insegnamenti di “Sacrosanctum Concilium” sono entrati sufficientemente, non sono stati calati con la necessaria profondità nella mente e nella vita del popolo di Dio. Per questo abbiamo bisogno di approfondirla maggiormente e così ci sarà una nuova rinascita nella Chiesa, un nuovo vigore per l’evangelizzazione, un grande rinnovamento della Chiesa. Che non sta nel cambiare le forme, ma nell’entrare, per viverla, nell’interiorità della liturgia sacra. Per questo io non parlo di “riforma” ma di approfondimento del rinnovamento liturgico voluto dal Vaticano II».

Fraternamente CaterinaLD

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[SM=g1740720] Invitiamo TUTTI a vedere questo breve filmato.... la giaculatoria che si sente e si legge proviene dall'insegnamento dell'Angelo ai tre Pastorelli durante le apparizioni di Fatima....
meditiamo e vi supplichiamo di appoggiare la riforma di Papa Benedetto XVI invitanto i parroci a rimettere gli inginocchiatoi per la comunione, lasciando LIBERA la gente se usarlo o meno....

e Voi Sacerdoti.... pensate bene a quello che fate, a cosa imponete, alle profanazioni che accadono a causa della vostra leggerezza...

www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=PFNeXzBbEeE



[SM=g1740720]

[SM=g1740750] [SM=g1740752]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/05/2013 22:10
 
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Quando papa Francesco dà la comunione a quelli che lo assistono all'altare, la dà in bocca e mentre sono inginocchiati.

Proprio come faceva Benedetto XVI con tutti.


            

Nel suo libro-intervista del 2010 "Luce del mondo", Joseph Ratzinger motivò così questa sua scelta:


"Non sono contro la comunione in mano per principio, io stesso l'ho amministrata così ed in quel modo l'ho anche ricevuta. Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e che la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la presenza reale.
Non da ultimo perché proprio nelle celebrazioni di massa, come quelle nella basilica di San Pietro o sulla piazza, il pericolo dell'appiattimento è grande.
Ho sentito di persone che si mettono la comunione in borsa, portandosela via quasi fosse un souvenir qualsiasi.
In un contesto simile, nel quale si pensa che è ovvio ricevere la comunione – della serie: tutti vanno avanti, allora lo faccio anch'io – volevo dare un segnale forte. Deve essere chiaro questo: 'È qualcosa di particolare! Qui c'è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio. Fate attenzione! Non si tratta di un rito sociale al quale si può partecipare o meno'".

dagli insegnamenti e citazioni di Benedetto XVI sull'Eucaristia.... ritroviamo limpido l'insegnamento dei Padri della Chiesa. La scheda riporta due citazioni fatte sovente da Benedetto XVI nel suo lungo ministero sacerdotale e gerarchico, questo insistere sulla vera educazione nei confronti dell'Eucaristia lo portò a ricondurci, per mano e con amore, in ginocchio davanti alla Comunione Eucaristica.









“Cum amore ac timore”: osservazioni storico-liturgiche sulla Comunione

Il brano che segue è ripreso da “Dominus est”, il libro di Mons. Athanasius Schneider recentemente pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana (vedi sopra) soprattutto dopo la scelta del Santo Padre di distribuire la Comunione in bocca ai fedeli inginocchiati. Mons. Schneider evidenzia come la Chiesa abbia sempre raccomandato adorazione e rispetto nel ricevere l’Eucaristia, evidenziando la sacralità delle Specie Sacramentali fin dal tempo dei Padri della Chiesa, che paragonavanol’Eucaristia al latte materno. E’ un libro la cui lettura è raccomandabilissima, sia per la precisione e la ricchezza delle fonti, sia per  le testimonianze di amore eroico verso la Sacra Comunione negli anni tragici  del comunismo sovietico e delle sue orribili persecuzioni e repressioni.

Il grande Papa Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, dal titolo Ecclesia de Eucharistia, ha lasciato alla Chiesa un’ammonizione ardente che suona come un vero testamento: «Dobbiamo badare con ogni premura a non attenuare alcuna dimensione o esigenza dell’Eucaristia. Così ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. … Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero!» (n. 61).

 

La consapevolezza della grandezza del mistero eucaristico si mostra in modo particolarmente evidente nella maniera con cui è distribuito e ricevuto il Corpo del Signore. Ciò appare evidente nel rito della Comunione, in quanto essa costituisce la consumazione del sacrificio eucaristico. Per il fedele essa è il punto culminante dell’incontro e dell’unione personale con Cristo, realmente e sostanzialmente presente sotto l’umile velo delle specie eucaristiche. Questo momento della liturgia eucaristica ha veramente un’importanza eminente che comporta una speciale esigenza pastorale anche nell’aspetto rituale del gesto.
Consapevole della grandezza ed importanza del momento della sacra Comunione, la Chiesa nella sua bimillenaria tradizione ha cercato di trovare un’espressione rituale che potesse testimoniare nel modo più perfetto possibile la sua fede, il suo amore e il suo rispetto. Questo si è verificato, quando nella scia d’uno sviluppo organico, a partire almeno dal 6° secolo, la Chiesa cominciò ad adottare la modalità di distribuire le sacre specie eucaristiche direttamente in bocca. Così testimoniano: la biografia di Papa Gregorio Magno (pontefice negli anni 590-604)1 e un’indicazione dello stesso Papa2. Il sinodo di Cordoba dell’anno 839 condannò la setta dei cosiddetti «casiani» a causa del loro rifiuto di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca3. Poi il sinodo di Rouen nell’anno 878 ribadiva la norma vigente della distribuzione del Corpo del Signore sulla lingua, minacciando i ministri sacri della sospensione dal loro ufficio, se avessero distribuito ai laici la sacra Comunione sulla mano4.

In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il Corpo del Signore si osserva negli ambienti monastici già a partire del 6° secolo (per esempio nei monasteri di san Colombano)5. Più tardi (nei secoli 10° e 11°), questo gesto si è divulgato ancora di più6.
Alla fine dell’età patristica la prassi di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca divenne quindi una prassi ormai diffusa e quasi universale. Questo sviluppo organico si può considerare come un frutto della spiritualità e della devozione eucaristica del tempo dei Padri della Chiesa. Di fatto ci sono parecchie esortazioni dei Padri della Chiesa sulla massima venerazione e cura verso il Corpo eucaristico del Signore, in particolare a proposito dei frammenti del pane consacrato. Quando si cominciò a notare che non esistevano più le condizioni nelle quali si potevano garantire le esigenze del rispetto e del carattere altamente sacro del pane eucaristico, la Chiesa sia in Occidente sia in Oriente in un ammirevole consenso e quasi istintivamente ha percepito l’urgenza di distribuire la sacra Comunione ai laici solamente in bocca.
Il noto liturgista J.A. Jungmann spiegava che, a causa della distribuzione della Comunione direttamente in bocca, si eliminarono varie preoccupazioni: che i fedeli debbono avere mani pulite, la preoccupazione ancora più grave perché nessun frammento del pane consacrato si perda, la necessità di purificare i palmi della mano dopo la ricezione del sacramento. Il panno di Comunione, e più tardi il piattino della Comunione saranno un’espressione di un’aumentata cura riguardo al sacramento eucaristico7.
A questo sviluppo ha contribuito parimenti un crescente approfondimento della fede nella presenza reale, che si è espresso in Occidente per esempio nella prassi dell’adorazione del Santissimo Sacramento solennemente esposto.

Il Corpo e il Sangue eucaristico sono il dono per eccellenza che Cristo ha lasciato alla Chiesa, Sua sposa. Papa Giovanni Paolo II parla nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia dello «stupore adorante di fronte al dono incommensurabile dell’Eucaristia» (n. 48), che si deve manifestare anche nei gesti esterni: 
«Sull’onda di questo elevato senso del mistero si comprende come la fede della Chiesa nel mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l’istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne» (ibid., n. 49).
Perciò, l’atteggiamento più consono a questo dono è l’atteggiamento della ricettività, l’atteggiamento d’umiltà del centurione, l’atteggiamento di lasciarsi nutrire, appunto l’atteggiamento del bambino. Questo viene espresso anche dalle seguenti famose parole di un inno eucaristico: «Il pane degli angeli diventa pane degli uomini. … O cosa ammirabile: il servo povero ed umile mangia il Signore!»8.
La parola di Cristo, che ci invita ad accogliere il regno di Dio come un bambino (cf. Lc 18,17), può trovare la sua illustrazione in modo assai suggestivo e bello anche nel gesto di ricevere il pane eucaristico direttamente in bocca e in ginocchio. Questo rito manifesta in un modo opportuno e felice l’atteggiamento interiore del bambino che si lascia nutrire, unito al gesto d’umiltà del centurione e al gesto dello stupore adorante.
Papa Giovanni Paolo II metteva in evidenza la necessità di espressioni esterne di rispetto verso il pane eucaristico:
«Se la logica del “convito” ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa “dimestichezza” col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore. … Il convito eucaristico è davvero convito “sacro”, in cui la semplicità dei segni nasconde l’abisso della santità di Dio. Il pane che è spezzato sui nostri altari … è pane degli angeli, al quale non ci si può accostare che con l’umiltà del centurione del Vangelo»9.
L’atteggiamento del bambino è il più vero e profondo atteggiamento di un cristiano davanti al suo Salvatore, che lo nutre con il Suo Corpo e il Suo Sangue, secondo le seguenti commoventi espressioni di Clemente di Alessandria:
«Il Logos è tutto per il bambino: padre, madre, pedagogo, nutritore. “Mangiate, dice Lui, la Mia carne e bevete il Mio sangue!” … O incredibile mistero!»10.
È possibile supporre che Cristo durante l’Ultima Cena abbia dato il pane a ciascun apostolo direttamente in bocca e non soltanto a Giuda Iscariota (cf. Gv 13,26-27). Infatti esisteva una tradizionale pratica nell’ambiente del Medio Oriente al tempo di Gesù e che dura ancora ai nostri giorni: il padre di casa nutre i suoi ospiti con la propria mano, mettendo un pezzo simbolico di cibo nella bocca degli ospiti. 
Un’altra considerazione biblica è fornita dal racconto della vocazione del profeta Ezechiele. Ezechiele ricevette la parola di Dio simbolicamente direttamente in bocca: «Apri la bocca e mangia ciò che io ti do. Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. … Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo. Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele» (Ez 2,8-9;3,2-3).
Nella sacra Comunione riceviamo la Parola, fatta carne, fatto cibo per noi piccoli, per noi bambini. Quindi, quando ci accostiamo alla sacra Comunione, possiamo ricordarci di quel gesto del profeta Ezechiele o anche della parola del Salmo 81,11, che si trova nella liturgia delle Ore della solennità del Corpo e Sangue di Cristo: «Apri la tua bocca, la voglio riempire» (dilata os tuum, et implebo illud).

Cristo ci nutre veramente con il Suo Corpo e Sangue nella sacra Comunione e ciò è paragonato nell’età patristica all’allattamento materno, come mostrano queste suggestive parole di san Giovanni Crisostomo: 
«Con questo mistero eucaristico Cristo si unisce ad ogni fedele, e quelli che ha generato li nutre da sé e non li affida ad un altro. Non vedete con quanto slancio i neonati accostano le loro labbra al petto della madre? Ebbene, anche noi accostiamoci con tale ardore a questa sacra mensa e al petto di questa bevanda spirituale; anzi, con un ardore maggiore di quello dei lattanti!»11.

Il gesto di una persona adulta, che sta in ginocchio e che apre la sua bocca per lasciarsi nutrire come un bambino, corrisponde in un modo molto felice e impressionante alle ammonizioni dei Padri della Chiesa sull’atteggiamento da avere durante la sacra Comunione, cioè: «Cum amore ac timore!»12.
Il gesto più tipico dell’adorazione è quello biblico dell’inginocchiarsi, come lo hanno recepito e praticato i primi cristiani. Per Tertulliano, che visse tra il 2° e il 3° secolo, la più alta forma dell’orazione è l’atto dell’adorazione di Dio, che si deve manifestare anche nel gesto della genuflessione.
«Pregano tutti gli angeli, prega ogni creatura, pregano il bestiame e le belve e piegano le ginocchia»13.
Sant’Agostino avvertiva che noi pecchiamo, se non adoriamo il Corpo eucaristico del Signore quando Lo riceviamo:
«Nessuno mangi quella carne, se prima non l’ha adorata. Pecchiamo se non l’adoriamo»14.
In un antico Ordo communionis della tradizione liturgica della Chiesa copta fu stabilito:
«Tutti si prostrino a terra, piccoli e grandi e così comincia la distribuzione della Comunione»15.
Secondo le Catechesi Mistagogiche, attribuite a san Cirillo di Gerusalemme, il fedele deve ricevere la Comunione con un gesto di adorazione e venerazione:
«Non stendere le mani, ma in un gesto di adorazione e venerazione accostati al calice del Sangue di Cristo»16.
San Giovanni Crisostomo esorta coloro che si accostano al Corpo eucaristico del Signore ad imitare i Magi dell’Oriente nello spirito e nel gesto dell’adorazione:
«Accostiamoci dunque a Lui con fervore e con ardente carità. Questo corpo, benché si trovasse in una mangiatoia, lo adorarono gli stessi Magi. Ora, quegli uomini, senza conoscenza della religione ed essendo barbari, adorarono il Signore con grande timore e tremore. Ebbene, noi che siamo cittadini dei cieli, cerchiamo almeno di imitare questi barbari! Tu, a differenza dei Magi, non vedi semplicemente questo corpo, ma ne hai conosciuto tutta la sua forza e tutta la sua potenza salvifica. Sproniamo dunque noi stessi, tremiamo e mostriamo una pietà maggiore di quella dei Magi»17

 

Note   1 Vita S. Gregorii, PL 75, 103;   In “Dialoghi III” (PL 77, 224) Gregorio Magno narra come Papa Agapito (535-536) aveva distribuito la Comunione in bocca;   3Jungmann J. A., Missarum Solemnia. Eine genetische Erklarung der romischen Messe, II, p. 436, n. 52;   4 Mansi X, 1199-1200;   Regula Coenobialis, 9;  6 Jungmann, ibidem, pp. 456-457 e p. 458 n. 25;   7 loc. cit. pp. 463-464;   8 “Panis Angelicus fit panis hominum. O res mirabilis manducat Dominum servus pauper et humilis“: inno Sacris Sollemniis dell’Ora delle letture nella solennità del Corpus Domini;   9 Enc. Ecclesia de Eucharistia, n. 48;  10 Clemens Alexandrinus, Paedagogus I, 42, 3;   11 In Ioan. hom. 82, 5;   12 S. Cyprianus, Ad Quirinum, III, 94; S. Basilius M., Regulae brevius tract., 172 (PG 31, 1996); S. Ioannes Chrys., Hom. Nativ., 7 (PG 49, 360);   13 De 0ratione, 29;    14 S. Augustinus, Enarr. In Ps. 98, 9 (PL 37, 1264): “Nemo illam carnem manducet, nisi prius adoraverit… peccemun non adorando“;  15 Collectiones Canonum Copticae: H. Denzinger, Ritus Orientalium, Wurzburg 1863, vol. I p. 405: “Omnes prosternent se adorantes usque ad terram, parvi et magni incipientque distribuire Comunionem“;   16 Catech. Myst. 5, 22;   17 In 1 Cor. hom 24, 5,







[Modificato da Caterina63 17/04/2014 13:30]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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14/07/2014 19:53
 
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venerdì 11 luglio 2014


Mons. Athanasius Schneider: sulla Santa Comunione e su un possibile scisma


Intervista integrale rilasciata da S.E. Rev.ma Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Santa Maria di Astana, a Sarah Atkinson, giornalista indipendente ed editore della rivista Mass of Ages (organo ufficiale della Latin Mass Society of England and Wales). Di questa intervista è stata pubblicata una sintesi sul sito Catholic Herald, e il testo integrale sul sito della stessa Latin Mass Society.Offriamo qui la traduzione del testo integrale inglese, ad opera della Prof. Eva Fabbri Baroncini, di Bologna.


MONS. SCHNEIDER: Per quanto riguarda la mia esperienza e la mia conoscenza, la ferita più grande nella crisi attuale della Chiesa è la ferita Eucaristica; gli abusi del Santissimo Sacramento.Molta gente riceve la Santa Comunione in un oggettivo stato di peccato mortale… Questo si sta diffondendo nella Chiesa, specialmente nel mondo occidentale in cui la gente raramente si accosta alla Santa Comunione con una preparazione sufficiente.Certa gente che si accosta alla Santa Comunione vive situazioni di moralità irregolare, che non corrispondono al Vangelo. Senza essere sposati, si accostano alla Santa Comunione. Può darsi il caso che siano divorziati e che vivano in un nuovo matrimonio, un matrimonio civile, e ciononostante si accostano alla Santa Comunione. Penso che questa sia una situazione molto, molto grave.C’è anche la questione dell’oggettiva irriguardosa accoglienza della Santa Comunione. La cosiddetta nuova, moderna maniera di ricevere la Santa Comunione direttamente in mano è molto grave perché espone Cristo ad essere trattato in un modo enormemente banale.C’è il doloroso fatto della perdita dei frammenti Eucaristici. Nessuno può negarlo. E i frammenti dell’ostia consacrata sono schiacciati dai piedi. Questo è orribile! Il Nostro Signore, nelle nostre chiese, viene calpestato! Nessuno può negarlo.E questo accade su larga scala. Questo dev’essere considerato, per una persona che ha fede ed ama Dio, un fenomeno molto grave.Non possiamo continuare come se Gesù non esistesse come Dio, come se esistesse solo il pane. Questa moderna pratica della Comunione in mano non ha niente a che fare con la pratica della Chiesa antica. La pratica moderna del ricevere la Comunione in mano contribuisce gradualmente alla perdita della fede cattolica nella presenza reale e nella transustanziazione.Un prete e un vescovo non possono dire che questa pratica va bene. Qui è a rischio ciò che è più sacro, più divino e concreto sulla Terra.

D.  Lei sta portando avanti questa posizione da solo?

MONS. SCHNEIDER: Sono molto dispiaciuto di sentirmi come uno che grida nel deserto. La crisi Eucaristica dovuta all’uso moderno della Comunione in mano è così evidente. Non è un’esagerazione. È ora che i vescovi facciano sentire le loro voci in difesa di Gesù Eucarestia che non ha voce per difendersi. Qui c’è un attacco a ciò che è più Santo, un attacco alla fede Eucaristica.Certamente ci sono persone che ricevono la Santa Comunione in mano con molta devozione e fede, ma sono una minoranza. La massa delle persone sta perdendo la fede a causa di questa maniera banale di prendere la Santa Comunione come un cibo comune, come una patatina o un pezzo di torta. Tale maniera di ricevere la cosa più Santa qui sulla terra non è sacra e col tempo distrugge la profonda consapevolezza e la fede cattolica nella presenza reale e nella transustanziazione.

D. La Chiesta sta andando nella direzione opposta alla Sua?

MONS. SCHNEIDER: Sembra che la maggioranza del clero e i vescovi siano soddisfatti di quest’uso moderno della Comunione in mano e non realizzano i veri pericoli connessi a tale pratica. Per me questo è incredibile. Com’è possibile, quando Gesù è presente nei piccoli frammenti? Un prete e un vescovo dovrebbero dire: “Devo fare qualcosa, almeno per ridurre gradualmente tutto questo. Devo fare tutto quello che posso.” Sfortunatamente ci sono membri del clero che fanno propaganda all’uso moderno della Comunione in mano e a volte proibiscono il ricevere la Comunione sulla lingua e in ginocchio. Ci sono persino preti che discriminano coloro che si inginocchiano per ricevere la Santa Comunione. Questo è molto, molto triste.C’è anche un incremento del furto delle ostie a causa della distribuzione della Comunione direttamente in mano. C’è una rete, un commercio del furto delle Sante Ostie e questo è facilitato dalla Comunione in mano.Perché dovrei io, come prete e vescovo, esporre Nostro Signore a tale pericolo, a tale rischio? Se questi vescovi o preti (che approvano la Comunione in mano) possiedono qualcosa di valore, non la esporrebbero mai al grave pericolo di essere persa o rubata. Proteggono le loro case ma non proteggono Gesù e permettono che venga rubato così facilmente.

D. In base al questionario sul tema della famiglia, la gente si aspetta grandi cambiamenti…

MONS. SCHNEIDER: Su questo tema c’è molta propaganda, portata avanti dai mass media. Dobbiamo stare molto attenti. Ci sono i mass media ufficialmente anti cristiani in tutto il mondo. In quasi tutti i paesi trasmettono lo stesso contenuto delle notizie, con forse l’eccezione dei paesi africani, asiatici o nell’Europa dell’Est.Solo in Internet si possono diffondere le proprie idee. Grazio a Dio che Internet esiste.L’idea che si faranno cambiamenti nel matrimonio e in legge morale nel prossimo sinodo dei vescovi a Roma viene principalmente dai media anti cristiani. E alcuni membri del clero e dei cattolici collaborano con loro per diffondere le attese del mondo anti cristiano per un cambiamento della legge di Dio riguardo al matrimonio e alla sessualità.È un attacco dal mondo anti cristiano ed è molto tragico e triste che alcuni membri del clero collaborino con loro. Per sostenere un cambiamento della legge di Dio, essi usano il concetto di misericordia sofisticamente. Ma in realtà questa non è misericordia, questa è crudeltà.Non è misericordia, per esempio, se qualcuno sta male e lo si lascia in tale penosa condizione. Questa è crudeltà.Io non darei, per esempio, dello zucchero ad un diabetico, per me sarebbe crudele. Io cercherei di toglierlo da questa situazione e dargli un altro cibo.
Forse non lo gradirà all’inizio, ma sarà la cosa migliore per lui.
Quelli del clero che vogliono ammettere i divorziati e i risposati alla Santa Comunione operano con un falso concetto di misericordia. È paragonabile ad un dottore che dà al paziente dello zucchero anche se sa che ciò lo ucciderà. Ma l’anima è più importante del corpo.Se i vescovi ammettono i divorziati e i risposati alla Santa Comunione, allora li confermano nei loro errori allo sguardo di Dio. Faranno persino tacere la voce della loro coscienza. Li spingeranno ancora di più nella loro situazione irregolare solo per il bene di questa vita temporale, dimenticandosi che dopo questa vita però c’è il giudizio di Dio.Questo tema verrà discusso nel sinodo. È sull’agenda. Ma spero che la maggioranza dei vescovi abbia ancora abbastanza spirito e fede cattolica da respingere la proposta sopra menzionata e non accettarla.

D.  Qual è la crisi di cui Lei parla?

MONS. SCHNEIDER: Questa è una crisi di più ampia portata rispetto alla ricezione del Sacratissimo Sacramento in sé per sé. Penso che questo problema del ricevere la Santa Comunione da parte dei risposati farà scoppiare e rivelare la vera crisi nella Chiesa. La crisi reale della Chiesa è l’antropocentrismo, dimenticandosi del Cristocentrismo. Infatti questo è il male più grande, quando l’uomo o il clero si mettono al centro quando celebrano la liturgia e quando cambiano la verità rivelata da Dio, per esempio riguardo al sesto comandamento e alla sessualità umana.La crisi si rivela anche nella maniera con la quale è trattato il Signore Eucaristico. L’Eucarestia è al cuore della Chiesa. Quando il cuore è debole, tutto il corpo è debole. Così quando la pratica che riguarda l’Eucarestia è debole, allora il cuore e la vita della Chiesa è debole. E quando la gente non ha più una visione soprannaturale di Dio nell’Eucarestia allora essi inizieranno ad adorare l’uomo, e poi anche la dottrina cambierà a piacimento dell’uomo.Questa crisi è quando ci mettiamo, inclusi i preti, al centro e quando Dio è messo in un angolo e questo succede anche fisicamente. A volte il Santissimo Sacramento è posto in un armadietto lontano dal centro e la sedia del prete è al centro. Siamo in questa situazione già da 40 o 50 anni e c’è il reale pericolo che Dio, i suoi Comandamenti e le sue leggi saranno messe da parte e il desiderio umano naturale al centro. C’è una connessione causale tra la crisi Eucaristica e quella dottrinale.Il nostro primo dovere come esseri umani è adorare Dio, non noi, ma Lui. Sfortunatamente, la pratica liturgica degli ultimi 40 anni è stata molto antropocentrica.Partecipare alla liturgia è innanzitutto non fare cose ma pregare e adorare, amare Dio con tutta l’anima. Questa è vera partecipazione, essere uniti a Dio nella propria anima.
La partecipazione esteriore non è essenziale.
La crisi è veramente questo: non abbiamo messo Cristo o Dio al centro. E Cristo è Dio incarnato. Il nostro problema oggi è che mettiamo da parte l’incarnazione. L’abbiamo eclissata. Se Dio rimane nella mia mente solo come un’idea, questa è Gnosi. Nelle altre religioni come per gli ebrei, musulmani, Dio non è incarnato. Per loro, Dio è nel libro ma Lui non è concreto. Solo nel Cristianesimo, e specialmente nella Chiesa Cattolica, l’incarnazione è pienamente realizzata e questo deve perciò essere sottolineato in ogni punto della liturgia. Dio è qui e veramente presente. Perciò ogni dettaglio ha importanza.Viviamo in una società non cristiana, in un nuovo paganesimo. Oggi la tentazione per il clero è di adattarsi al nuovo mondo, al nuovo paganesimo, essere collaborazionisti. Siamo in una situazione simile a quella dei primi secoli, quando la maggioranza della società era pagana e il Cristianesimo era discriminato.

D. Pensa di vedere tutto questo a motivo della Sua esperienza in Unione Sovietica?

MONS. SCHNEIDER: Sì, (so cosa significa) essere perseguitati, testimoniare che sei Cristiano.Siamo una minoranza. Siamo circondati da un mondo pagano molto crudele. La tentazione e la sfida di oggi può essere paragonata a quella dei primi secoli. Ai Cristiani veniva chiesto di accettare il mondo pagano e di mostrare ciò mettendo un grano di incenso nel fuoco di fronte alla statua dell’Imperatore o di un idolo pagano. Ma questa era idolatria e nessun buon Cristiano gettò alcun grano d’incenso. Preferirono dare le proprie vite, persino i bambini, i laici che erano perseguitati diedero le loro vite. Sfortunatamente nei primi secoli c’erano membri del clero e persino vescovi che gettarono grani d’incenso di fronte alla statua dell’Imperatore o di un idolo pagano o che consegnarono i libri della Sacra Scrittura per essere bruciati. Tali Cristiani collaborazionisti e chierici venivano chiamati a quei tempi “thurificati” o “traditores”.Ora, ai nostri giorni la persecuzione è più sofisticata. Ai cattolici o al clero non è chiesto di mettere incenso di fronte ad un idolo. Sarebbe un gesto solo fisico/materiale. Ora, il mondo neo-pagano vuole che sostituiamo le nostre idee con le loro, come la dissoluzione del Sesto Comandamento di Dio, col pretesto della misericordia. Se alcuni membri del clero e i vescovi iniziano a collaborare con il mondo pagano oggi per la dissoluzione del Sesto Comandamento e nella revisione del modo in cui Dio creò uomo e donna, allora essi sono traditori della fede, stanno partecipando in definitiva ad un sacrificio pagano.

D. Può vedere una futura spaccatura nella Chiesa?

MONS. SCHNEIDER:  Sfortunatamente, per alcuni decenni alcuni membri del clero hanno accettato queste idee del mondo. Ora tuttavia essi le stanno seguendo pubblicamente. Se tali cose continuano, penso, ci sarà una spaccatura all’interno della Chiesa di coloro che sono fedeli alla fede del loro battesimo e all’integrità della fede cattolica. Ci sarà una spaccatura con coloro che stanno prendendo in carico lo spirito di questo mondo e ci sarà una chiara spaccatura, penso. Si può immaginare che i Cattolici, che rimangono fedeli all’immutabile verità cattolica possano, per un periodo, essere perseguitati o discriminati anche a nome di chi ha potere nelle strutture esteriori della Chiesa? Ma le porte dell’inferno, cioè dell’eresia, non prevarranno contro la Chiesa e il Supremo Magistero certamente promulgherà un’inequivocabile sentenza dottrinale che respinge qualsiasi collaborazione con le idee neo pagane di cambiamento per esempio del Sesto Comandamento di Dio, il significato della sessualità e della famiglia. Allora alcuni liberali e molti collaboratori dello spirito di questo mondo, molti moderni “thurificati e traditores” lasceranno la Chiesa. Poiché la verità Divina porterà senza dubbio la chiarificazione, ci libererà e separerà nel mezzo della Chiesa i figli della Divina luce e i figli della pseudo luce di questo mondo pagano e anti cristiano. Posso supporre che tale separazione riguarderà ogni livello dei Cattolici: laici e persino senza escludere l’alto clero. Quei membri del clero che accettano oggi lo spirito del mondo pagano in materia di moralità e di famiglia si dichiarano Cattolici e persino fedeli al Papa. Dichiarano persino estremisti quelli che sono fedeli alla fede cattolica o quelli che promuovono la gloria di Cristo nella liturgia.

D. Pensa di essere stato definito estremista?

MONS. SCHNEIDER: Non sono stato dichiarato tale formalmente. Direi che tali membri del clero non sono in maggioranza ma stanno acquisendo influenza nella Chiesa. Sono riusciti ad occupare delle posizioni chiave in alcuni uffici della Chiesa. Tuttavia questo non è potere agli occhi di Dio. I veri potenti sono i piccoli nella Chiesa, quelli che conservano la fede.Questi piccoli nella Chiesa sono stati delusi e trascurati. Hanno preservato la purezza della loro fede e rappresentano il vero potere della chiesa agli occhi di Dio e non quelli che hanno cariche di amministrazione. Grazie a Dio, il numero di questi piccoli sta crescendo.Ho parlato, per esempio, con alcuni giovani studenti di Oxford e sono stato impressionato da questi studenti, ero così felide di vedere la loro purezza di fede, le loro convinzioni e la chiara mente Cattolica. Tali esempi e gruppi sono in crescita nella Chiesa e questo è il lavoro dello Spirito Santo. Questo rinnoverà la Chiesa. Perciò sono fiducioso e speranzoso anche riguardo alla crisi nella Chiesa. Lo Spirito Santo vincerà questa crisi con il suo piccolo esercito.Non sono preoccupato per il futuro. La Chiesa è la Chiesa di Cristo e Lui è il vero Capo della Chiesa, il Papa è solo il Vicario di Cristo. L’anima della Chiesa è lo Spirito Santo e Lui è potente. Tuttavia ora noi stiamo facendo esperienza di una grave crisi nella Chiesa come è accaduto diverse volte in duemila anni.

D. Peggiorerà prima di migliorare?

MONS. SCHNEIDER:  Ho l’impressione che sarà peggio. A volte le cose devono peggiorare e poi si vedrà il collasso di questo antropocentrismo, sistema clericale, che sta abusando del potere amministrativo della Chiesa, abusando della liturgia, abusando dei concetti di Dio, abusando della fede e della devozione dei piccoli nella Chiesa.Poi vedremo l’ascesa di una Chiesa rinnovata. Questo si sta già preparando. Poi questo edificio clericale liberale crollerà perché non ha né radici né frutti.

D.  Certa gente direbbe che Lei si preoccupa di cose non importanti, e riguardo i poveri?

MONS. SCHNEIDER: Questo è sbagliato. Il primo comandamento che Cristo ci ha dato era adora Dio solo. La liturgia non è una riunione di amici. È il nostro primo compito adorare e glorificare Dio nella liturgia e anche nel nostro modo di vivere. Da una vera adorazione ed amore di Dio si sviluppa l’amore per il povero e per il nostro vicino. È una conseguenza. I santi in duemila anni di Chiesa, tutti i santi che erano così devoti e pii, erano tutti estremamente misericordiosi con i poveri di cui si prendevano cura.In questi due comandamenti ci sono tutti gli altri. Ma il primo comandamento è amare e adorare Dio e ciò è realizzato in modo supremo nella sacra liturgia. Quando si trascura il primo comandamento, allora non si sta facendo la volontà di Dio ma si sta accontentando se stessi. La felicità è eseguire la volontà di Dio, non eseguire la nostra volontà.

D. Quanto ci vorrà prima che la Chiesa venga rinnovata?

MONS. SCHNEIDER: Non sono un profeta. Possiamo solo ipotizzare. Ma, se si guarda alla storia della Chiesa, la crisi più grande fu nel quarto secolo con l’Arianesimo. Fu una crisi terribile, tutto l’episcopato, quasi tutto, collaborò all’eresia. Solo alcuni vescovi rimasero fedeli, si potevano contare sulle dita di una mano. Questa crisi durò più o meno 60 anni.Poi la terribile crisi del cosiddetto secolo buio, il decimo secolo, quando il papato fu occupato da alcune famiglie romane molto malvagie ed immorali. Occuparono la sede papale con i loro figli corrotti e questa fu una crisi terribile.Il successivo periodo di danni fu il cosiddetto esilio di Avignone e danneggiò molto la Chiesa, causando il grande scisma occidentale. Tutte queste crisi durarono circa 70-80 anni e furono molto gravi per la Chiesa.Ora siamo, direi, nella quarta grande crisi, in una tremenda confusione riguardo alla dottrina e alla liturgia. Ci siamo già da 50 anni. Forse Dio sarà misericordioso con noi tra 20 o 30 anni? Eppure noi abbiamo tutta la bellezza delle verità divine, del divino amore e della grazia nella Chiesa. Nessuno può portarle vie, nessun sinodo, nessun vescovo, persino neppure un Papa può sottrarre il tesoro di bellezza della fede Cattolica, di Gesù Eucarestia, dei sacramenti. La dottrina immutabile, i principi liturgici immutabili, la sacralità della vita costituiscono il vero potere della Chiesa.

D. Il nostro tempo è visto come il periodo più liberale nella Chiesa…

MONS. SCHNEIDER: Dobbiamo pregare Dio che guidi la Sua Chiesa fuori da questa crisi e che dia alla Sua Chiesa apostoli che siano coraggiosi e santi. Abbiamo bisogno di difensori della verità e difensori di Gesù Eucarestia. Quando un vescovo difende il gregge e difende Gesù nell’Eucarestia, allora questo vescovo sta difendendo i piccoli nella Chiesa, non i potenti.

D. Perciò non le importa essere impopolare?

MONS. SCHNEIDER: È abbastanza insignificante essere popolare o impopolare. Per ogni uomo di chiesa il primo interesse è essere popolare agli occhi di Dio e non agli occhi di oggi o dei potenti. Gesù disse un avvertimento: Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi.La popolarità è falsa. Gesù e gli apostoli rifiutarono la popolarità. I grandi santi della Chiesa, come SS Tommaso Moro e John Fisher, rifiutarono la popolarità e sono dei grandi eroi. E coloro che oggi sono preoccupati della popolarità attraverso i mass media e l’opinione pubblica, non saranno ricordati nella storia. Saranno ricordati come codardi e non come eroi della Fede.

D. I media hanno grandi aspettative da Papa Francesco…

MONS. SCHNEIDER: Grazie a Dio Papa Francesco non si è espresso in quel modo che i media si aspettano da lui; egli ha proclamato fino ad ora, nei suoi discorsi ufficial,i una dottrina cattolica molto bella; io spero che continui insegnare in modo molto chiaro la dottrina cattolica.

D. E sulla Comunicatio in Sacris con gli anglicani e gli altri?

MONS. SCHNEIDER: Ciò non è possibile, ci sono fedi differenti. La santa comunione non è un mezzo per raggiungere l'unità: è l'ultimo passo, non il primo passo.Ciò sarebbe una desacralizzazione di ciò che è più santo. Naturalmente dobbiamo essere uno: abbiamo ancora nel credo alcune differenze sostanziali.L'eucaristia è un segno di profondissima unità. a Comunicatio in Sacris con i non cattolici sarebbe una bugia, sarebbe contraria alla logica.L’Ecumeinismo è necessario per mantenere buone relazioni con i fratelli separati per amarli. In mezzo alla sfida del nuovo paganesimo, noi possiamo e dobbiamo collaborare con seri non cattolici per difendere la verità divina rivelata e la legge naturale creata da DioSarebbe meglio non avere [una relazione strutturata] stato-chiesa, quando lo Stato governa la vita della Chiesa, come per esempio, nell’ambito della nomina del clero o dei vescovi. Una tale pratica di una chiesa di stato danneggerebbe la chiesa stessa. In Inghilterra per esempio, lo stato governa la Chiesa d'InghilterraQuesta influenza dello Stato può corrompere spiritualmente e teologicamente la Chiesa: così è meglio essere liberi da una chiesa di stato così strutturata.

D. E sulle donne nella Chiesa?

MONS. SCHNEIDER: Le donne sono chiamate il sesso debole dato che sono fisicamente più deboli; comunque esse sono spiritualmente più forti e più coraggiosi degli uomini.Ci vuole coraggio per dare alla luce un bambino, per questo Dio ha dato alla donna un coraggio che l'uomo non ha.Naturalmente ci sono stati molti uomini coraggiosi in tempo di persecuzione.Ancora oggi Dio ama scegliere i deboli per confondere i potenti; per esempio le donne eucaristiche delle quali io ho parlato nel mio libro È il Signore lavoravano nelle loro famiglie e desideravano aiutare i sacerdoti perseguitati in un modo veramente eccezionale.Esse non avrebbero mai osato toccare le ostie sante con le loro dita. E se si sarebbero persino rifiutati di proclamare le letture durante la MessaMia madre per esempio, che ha ottantadue anni e vive in Germania, quando per la prima volta venne in occidente, rimase scioccata e scandalizzata nel vedere donne in presbiterio, durante la Santa Messa.Il vero potere della donna cristiana e cattolica e il potere di essere il cuore della famiglia, chiesa domestica; di avere il privilegio di essere la prima che nutre il corpo del suo bambino e anche di essere la prima che dà il nutrimento all'anima dello stesso, insegnando le prime preghiere e le prime verità della fede cattolica. 
La più prestigiosa tra le professioni che può svolgere una donna, è quella di essere madre e specialmente di essere una madre cattolica.




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La Santa comunione sulla mano: storia di un abuso

LA SANTA COMUNIONE IN MANO?
 NO, ASSOLUTAMENTE NO!!!
 
 
 

La Madonna ci chiede di ricevere l' Eucaristia in ginocchio, direttamente dalle mani del sacerdote, perché solo i sacerdoti possono prendere l' Ostia in mano: solo loro hanno le mani consacrate come i 12 apostoli, i primi 12 sacerdoti consacrati da Gesù.

Padre Pellegrino Ernetti descrive nel suo libro “La Catechesi di satana” ciò che piace a lucifero, come si sa da alcuni esorcismi: “la particola alla mano, così posso calpestare il vostro Dio, quel Dio che io ho ucciso, e posso celebrare le mie messe (le messe nere) con i miei sacerdoti che ho strappato a Lui …

Ma perché allora la Chiesa permette che i fedeli ricevano l' Eucaristia direttamente sulla mano e non sulla lingua?


L’origine di una simile prassi

Nel 16° secolo i riformatori protestanti, nel loro nuovo culto, introdussero la Comunione sulla mano per affermare due loro eresie fondamentali:

1) Essi non credevano nella transustanziazione ed affermavano che il pane usato era semplicemente pane comune. In altre parole sostenevano che la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia fosse solo una superstizione papista ed il pane fosse semplice pane che chiunque poteva maneggiare.

2) Inoltre affermavano che il ministro della Comunione non era affatto diverso, per natura, dai laici. Questo contro l’insegnamento cattolico che il Sacramento dell’Ordine Sacro dona al sacerdote un potere spirituale e sacramentale, imprime cioè un segno indelebile nella sua anima e lo rende sostanzialmente diverso dai laici. AI contrario invece il ministro protestante è un uomo comune che guida gli inni, fa sermoni per sostenere le convinzioni dei credenti. Egli non può trasformare il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore, non può benedire, non può perdonare i peccati, non può, in una parola, fare niente che non possa fare un qualsiasi semplice laico. Egli, dunque, non è veicolo di Grazia soprannaturale.

Il ristabilimento protestante della Comunione nella mano fu un modo immediato per manifestare il rifiuto di credere nella reale presenza di Cristo nell’Eucaristia e il rifiuto del Sacerdozio Sacramentale: in breve fu il loro modo di rifiutare I‘intero Cattolicesimo. Da quel momento, la Comunione sulla mano acquistò un significato chiaramente anticattolico. Era una pratica palesemente anticattolica, fondata sulla negazione della reale presenza di Cristo nell‘Eucaristia e del Sacerdozio.


Interpretazioni erronee del Concilio Vaticano II

Dopo il Vaticano II, in Olanda, alcuni preti cattolici di mentalità protestante cominciarono a dare la Comunione sulla mano, scimmiottando la pratica protestante. Purtroppo alcuni Vescovi olandesi, anziché fare il loro dovere e condannare l’abuso, lo tollerarono, e in tal modo permisero che l’abuso si diffondesse incontrollato. La pratica si diffuse dunque in Germania, Belgio, Francia. Ma se alcuni Vescovi parvero indifferenti a questo scandalo, gran parte del laicato di allora rimase oltraggiato. Fu proprio l‘indignazione di un gran numero di fedeli che spinse papa Paolo VI a prendere l’iniziativa di sondare l’opinione dei Vescovi del mondo su questa questione, ed essi votarono unanimamente per MANTENERE la pratica tradizionale di ricevere la Santa Comunione sulla lingua. È anche doveroso notare che, in quel periodo, l’abuso era limitato a pochi Paesi Europei. Non era ancora iniziato negli Stati Uniti e in America Latina. Papa Paolo VI promulgò allora, il 28 maggio 1969, il documento Memoriale Domini in cui affermava testualmente:

1) I Vescovi del mondo sono unanimemente contrari alla Comunione sulla mano.

2) Deve essere osservato il modo consueto di distribuire la Comunione, ossia il sacerdote deve porre l’Ostia sulla lingua dei comunicandi.

3) La Comunione sulla lingua non toglie dignità in alcun modo a chi si comunica.

4) Ogni innovazione può portare all’irriverenza ed alla profanazione dell‘Eucaristia, così come può progressivamente intaccare la corretta dottrina.

Il documento afferma inoltre: il Supremo Pontefice giudica che il modo tradizionale ed antico di amministrare Ia Comunione ai fedeli non deve essere cambiato. La Sede Apostolica invita perciò fortemente i Vescovi, i preti ed il popolo ad osservare con zelo questa legge.

Ma questa era l’epoca del compromesso, e il documento conteneva in sé il germe della sua stessa distruzione affermando che, dove l’abuso si era gia fortemente consolidato, poteva essere legalizzato dalle Conferenze Episcopali Nazionali con Ia maggioranza dei due terzi, in un ballottaggio segreto (a patto che Ia Santa Sede confermasse Ia decisione). Questa eccezione andò alla fine a vantaggio dei sostenitori della Comunione nella mano. Si deve sottolineare che l’Istruzione diceva “dove l’abuso si é gia consolidato”, per cui i Paesi ove Ia pratica non si era sviluppata restavano esclusi dalla concessione, quindi anche i Paesi anglofoni e gli Stati Uniti. Ma il clero di mentalità protestante in altri Paesi (compreso il nostro) concluse che, se questa ribellione veniva legalizzata in Olanda, allora poteva essere legalizzata ovunque. Ignorando il Memoriale Domini e sfidando la legge liturgica della Chiesa, pensavano che questa ribellione non solo sarebbe stata tollerata, ma alla fine legalizzata.

Questo fu esattamente ciò che accadde, ed ecco perché abbiamo oggi Ia pratica della Comunione sulla mano.


Disobbedienza e inganno

La Comunione sulla mano, quindi, non solo fu avviata nella disobbedienza ma fu perpetuata con l’inganno.

Negli anni '70 una diffusa propaganda fu usata per proporre Ia Comunione sulla mano ad un popolo ingenuo, con una campagna dl mezze verità che:

1) Davano al cattolici Ia falsa impressione che il Vaticano II avesse approvato una disposizione per tale abuso, mentre dl fatto non vi si accenna in alcun documento del Concilio.

2) Si taceva il fatto che Ia pratica fu avviata da un clero di mentalità filoprotestante e filomassone, in spregio alla legge liturgica stabilita, facendola apparire come una richiesta da parte del laicato.

3) Si taceva il fatto che i Vescovi di tutto il mondo, quando fu sondata Ia loro opinione, votarono unanimemente contro Ia Comunione nella mano.

4) Non si faceva alcun riferimento al fatto che il permesso era solo una tolleranza dell'abuso, laddove si fosse già instaurato e consolidato nel 1969. Non vi era affatto un “via libera” perché si diffondesse ad altri Paesi come l’Italia e gli Stati Uniti.


La visione distorta attuale

Siamo ora arrivati al punto in cui Ia Comunione sulla mano è addirittura presentata come il modo migliore dl ricevere l’Eucaristia; Ia maggior parte del nostri fanciulli cattolici è stata male istruita a ricevere Ia Prima Comunione sulla mano. Al fedeli si dice che è una pratica facoltativa e, se a loro non piace, possono riceverLa sulla lingua. La tragedia dl tutto questo è che, se questo è facoltativo per il laicato, non Io è per il clero. I preti sono chiaramente istruiti ad amministrare Ia Comunione sulla mano, che a loro piaccia o no, gettando così moltissimi preti in una agonizzante crisi dl coscienza.

In base al Magistero della Chiesa nessun prete può essere legittimamente forzato ad amministrare Ia Comunione sulla mano. Dobbiamo pregare affinché il maggior numero di preti abbia il coraggio dl salvaguardare Ia riverenza dovuta a questo Sacramento e non venga intrappolato in una falsa ubbidienza che fa sì che essi collaborino alla perdita dl sacralità dl Cristo nell’Eucaristia. I preti devono trovare il coraggio dl combattere questa nuova pratica che fa parte dell‘occulta strategia dl protestantizzazione del Cattolicesimo. Ricordiamo infatti che Papa Paolo VI, giustamente, predisse che Ia Comunione sulla mano avrebbe portato all’irriverenza e alla profanazione dell’Eucaristia e ad una graduale erosione della dottrina ortodossa.

Questo abuso illegittimo si è nel tempo ben radicato come “tradizione locale”, così che anche Papa Giovanni Paolo II non ebbe successo nel suo tentativo di frenare |’abuso. Nella sua Lettera Dominicae Cenae del 24 febbraio 1980, il Papa riaffermò infatti l’insegnamento della Chiesa che toccare le Sacre Specie e amministrarLe con le proprie mani è privilegio del consacrati. Ma, non si sa per quali motivi, questo documento del 1980 non conteneva alcuna sanzione contro laici, sacerdoti o vescovi che avessero ignorato Ia difesa dell’uso della Comunione sulla lingua come voleva il Papa. Una legge senza una pena non è una legge, diventa un mero suggerimento. Così iI documento dl Giovanni Paolo II fu accolto da diversi membri del clero del paesi dell’Occidente come un suggerimento, per lo più non apprezzato e purtroppo trascurato...
I contenuti di questa pagina sono tratti da:

 
LA STORIA DELLA COMUNIONE SULLA MANO
Cronistoria di un abuso liturgico filo-protestante: ecco come il nuovo modo della Comunione nelle mani si fece largo nella Chiesa
Don Marcello Stanzione, Presidente dell’Associazione ‘Milizia di San Michele Arcangelo’

‎"Dovunque vado nel mondo intero, 
la cosa che mi rende più triste 
è guardare la gente ricevere la 
Comunione sulla mano." 


(Beata Madre Teresa di Calcutta, 
St. Agnes Church, New York, 1989)


 






 
 
 


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  IL CARD. BURKE: PERCHÉ LA COMUNIONE SULLA MANO PARLA DELLA CRISI DELLA LITURGIA E DELLA CHIESA




Il card. Burke: perché la Comunione sulla mano parla della crisi della liturgia e della Chiesa



di Raymond L. Burke


 


La santa Eucaristia è il mistero per eccellenza della fede. Mediante l'azione della Santa Messa, Cristo, assiso in gloria alla destra del Padre, discende sugli altari delle chiese e delle cappelle di tutto il mondo per rendere nuovamente presente il suo sacrificio sul Calvario, sacrifico unico con il quale l'uomo è salvato dal peccato e perviene alla vita in Cristo grazie all'effusione dello Spirito Santo. È mediante la santa Eucaristia che la vita quotidiana di un cattolico riceve simultaneamente ispirazione e forza.


Mi ricordo bene, nella mia infanzia, la diligenza di cui davano prova i miei genitori, così come i sacerdoti e le suore della scuola cattolica, per preparare i bambini a ricevere per la prima volta la santa Comunione. Mi sovvengono anche i frequenti richiami alla riverenza e all'amore che dovevamo dimostrare ricevendo la santa Comunione e facendo il ringraziamento subito dopo la ricezione del sacramento.

 

All'epoca della mia prima comunione, il 13 maggio 1956, la santa Ostia si riceveva alla balaustra, sulla lingua e in ginocchio, con le mani ricoperte da una tovaglia. Questo modo di ricevere la santa Comunione mi ha sempre colpito come la più alta espressione dell'infanzia spirituale insegnata da Nostro Signore (Mt 18,1-4), e di cui santa Teresa di Lisieux è una delle figure più notevoli. Proprio in quel periodo della mia vita, mio padre era gravemente malato ed era costretto a letto in casa. Morì nel mese di luglio 1956. Ricordo la grande preparazione e l'attenzione che egli manifestava ogni volta che il sacerdote veniva a portargli la santa Comunione. Si preparava una piccola tavola di fianco al suo letto, con un crocifisso, dei ceri e una tovaglia speciale. Si accoglieva il sacerdote in silenzio alla porta con un cero acceso e, anche se mio padre non poteva alzarsi, tutti restavano in ginocchio durante la cerimonia.

 

Anni più tardi, nel maggio 1969, è stata autorizzata la pratica di ricevere la Comunione in mano, a discrezione delle Conferenze episcopali, in parallelo con la pratica plurisecolare di ricevere la Comunione direttamente sulla lingua. Uno degli argomenti avanzati per introdurre la seconda opzione era l'esistenza di un uso antico di ricevere la santa Comunione in mano. Nello stesso tempo, l'istruzione della Congregazione per il Culto Divino, che permetteva la pratica della ricezione della santa Comunione in mano, sottolineava il fatto che la tradizione plurisecolare di ricevere la Comunione sulla lingua doveva essere preservata a motivo del rispetto dei fedeli verso la santa Eucaristia che questa pratica esprime. In questo senso, è interessante notare che il Papa Paolo VI (durante il cui pontificato è stato dato il permesso di ricevere la santa Comunione in mano), nella sua lettera enciclica Mysterium Fidei sulla dottrina e il culto del Santissimo Sacramento, promulgata quattro anni prima della concessione del permesso, si riferisce a un costume antico dei monaci che vivevano in solitudine, nonché dei cristiani perseguitati, secondo il quale essi prendevano la santa Comunione con le loro proprie mani. Tuttavia, il Papa aggiunge subito che questo riferimento ad un uso di altri tempi non rimette in questione la disciplina che si è diffusa in seguito circa il modo di ricevere la santa Comunione.

 

La pratica tradizionale si comprende meglio alla luce dell'ermeneutica della riforma nella continuità, contrapposta all'ermeneutica della discontinuità e della rottura, di cui ha parlato il Papa Benedetto XVI nel suo discorso di Natale 2005 alla Curia romana. Nell'ermeneutica della continuità, l'unica Chiesa «cresce nel tempo e […] si sviluppa, rimanendo però sempre la stessa». Così, la pratica tradizionale di ricevere la santa Comunione manifesta una crescita ed uno sviluppo tanto della Fede eucaristica, quanto delle espressioni di riverenza verso il Santissimo Sacramento. Si potrebbe dire a proposito del modo tradizionale di comunicarsi ciò che il Papa Benedetto XVI diceva a proposito dell'Adorazione eucaristica nell'Esortazione Apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis: «l'Adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa».

Sfortunatamente, l'iniziativa di ristabilire l'uso antico sopraggiunse proprio in un momento in cui numerosi abusi liturgici avevano gravemente sminuito la riverenza e la devozione dovute al Santissimo Sacramento. Inoltre, il periodo conosceva una secolarizzazione e un relativismo crescenti, i cui effetti furono devastanti nella Chiesa. Per di più, la "restaurazione" di questa pratica fu incompleta, perché si limitò alla ricezione della Comunione in mano, senza però includere gli altri ricchissimi dettagli dell'uso antico. In esito a tutto ciò, la ricezione della santa Comunione è diventata l'occasione di negligenze - anzi, addirittura di vere e proprie irriverenze - e, in qualche caso particolarmente deplorevole, il Santissimo Sacramento ricevuto in mano non viene consumato, ma, al contrario, assoggettato a varie forme d'abuso, fino al caso estremo in cui qualcuno porta via il Corpo di Cristo per profanarlo più tardi nel corso di una "messa nera". Nella mia personale esperienza pastorale, i casi in cui la santa Ostia era stata lasciata in un libro di canti o in qualche altro posto, o anche portata a casa per la devozione privata - mi spiace doverlo segnalare - non sono stati rari. È ugualmente triste aver visto abbastanza spesso alcuni comunicanti strapparmi letteralmente l'Ostia dalle mani piuttosto che ricevere il Corpo di Cristo in modo conveniente.


Dalla prefazione a Corpus Christi, la communion dans la main au cœur de la crise de l’Église (Contretemps 2014) di mons. Athanasius Schneider, recente edizione francese di Corpus Christi. La santa comunione e il rinnovamento della Chiesa, pubblicato nel 2013 da Libreria Editrice Vaticana

da IlTimone








[Modificato da Caterina63 21/02/2015 22:12]
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25/02/2015 22:35
 
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Comunione a tutti? Il Sacro Cuore dice no

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Sant Ignazio e San Luigi

Sui giornali del 25 febbraio, nei resoconti della messa da Requiem per la sepoltura del regista di teatro Luca Ronconi, celebrata nella piccola parrocchia umbra di Civitella Benazzone, si legge che il parroco al momento della comunione ha detto: “Chi non è battezzato o non è cristiano, non può fare la comunione”, e che tali parole “hanno gelato i presenti, creato imbarazzo e qualche mormorio”, fino all’esclamazione: “Forse perché noi teatranti un tempo venivamo sepolti in luoghi sconsacrati?”.

Ecco l’ennesimo sintomo di quale sia l’idea corrente della comunione eucaristica e di come la proposta di dare la comunione ai divorziati risposati dipenda in buona misura proprio da questa riduzione dell’eucaristia a semplice gesto di amicizia, da estendere doverosamente a tutti.

Ma l’idea della comunione non è stata affatto questa, fino a pochi decenni fa, nemmeno nell’Occidente secolarizzato. E non lo è tuttora per una larga parte dei fedeli di tutto il mondo, dove continua a valere la visione classica dell’eucaristia.

Quelli che seguono sono alcuni appunti che un valoroso prete italiano in terra di missione ha scritto sul suo taccuino, riflettendo sulla distanza abissale che intercorre tra certi indirizzi teologici e pastorali e la devozione della gente comune.

*

SACRO CUORE DI GESÙ AIUTACI

di ***

Mi sembra che fino ad ora sulla comunione ai divorziati risposati il dibattito sia rimasto chiuso nei due poli della dottrina e della pastorale.

Ma la nostra fede cattolica non è composta solo di questi due elementi. L’ascetica, la mistica, le devozioni dove le abbiamo lasciate?

La dottrina la studiano i teologi che saranno forse un migliaio. La pastorale la impostano il papa, i vescovi, i pastori d’anime che saranno forse un milione.

Ma l’ascetica e la mistica e le devozioni le praticano i cristiani semplici che saranno forse un miliardo.

Di devozioni ne sono sorte molte e tra queste parecchie sono state riconosciute e approvate dal magistero della Chiesa: il rosario, il Sacro Cuore di Gesù, il Cuore Immacolato di Maria, le Quarant’Ore, la Via Crucis e tante altre ancora.

Addentrandosi in questa abbondanza di devozioni il cristiano viene aiutato moltissimo a sentire il soprannaturale e a trovare le consolazioni necessarie per la sua vita immancabilmente seminata da prove, gioie, trepidazioni.

Mi vorrei soffermare sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù.

Margherita Maria Alacoque, nata e morta in Francia tra il 1647 e il 1690, entrata  nel monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, ha avuto molte apparizioni e rivelazioni nell’arco di 17 anni a cominciare dal 27 Dicembre 1673.

Gesù appare a questa suora e mostra sempre il suo cuore come lo vediamo nei dipinti. Un cuore con in cima una piccola croce avvolta da una fiamma. Il cuore è circondato da una corona di spine. Il simbolo parla molto chiaro. Un cuore che arde di amore ma che soffre terribilmente per le spine che vi sono conficcate.

Tra le dodici promesse raccolte da Gesù nel corso delle apparizioni fa spicco quella che dice:

“A tutti quelli che per nove mesi consecutivi si comunicheranno al primo venerdì d’ogni mese io prometto la grazia della perseveranza finale. Essi non moriranno in mia disgrazia, ma riceveranno i santi sacramenti, ed il mio Cuore sarà per loro sicuro asilo in quel momento estremo”.

Margherita Maria Alacoque voleva tenersi per sé tutte queste rivelazioni ma il suo confessore, padre Claude de la Colombière, poi proclamato santo, la obbligò a scrivere tutto quello che aveva ricevuto.

Claude de la Colombière era un membro della Compagnia di Gesù. E fu grazie a lui e a tanti altri suoi confratelli gesuiti che questa devozione ebbe un impulso grandioso e universale (nell’illustrazione, il Sacro Cuore con sant’Ignazio di Loyola e san Luigi Gonzaga). Ma purtroppo ai giorni nostri tanti membri di questa stessa Compagnia di Gesù sono paladini di un movimento che va nella direzione opposta.

Sostenuta dai papi e approvata per la Chiesa universale, da 350 anni questa devozione è entrata nella vita pratica di moltissimi cristiani.

Tantissime chiese e parrocchie sono state  intitolate al Sacro Cuore di Gesù, per avere la protezione da lui promessa.

Nel mio paese di missione abbiamo otto parrocchie intitolate al Sacro Cuore. Una di queste è la mia ultima, in un luogo molto difficile dove ho avuto le prove che il Sacro Cuore ci ha protetti.

Sulla base dell’altra promessa che dice: “La mia benedizione si poserà sulle case dove sarà esposta ed onorata l’immagine del mio Cuore”, in moltissime case è esposta l’immagine del Sacro Cuore, anche tra persone appartenenti ad altre religioni.

Traggo da tutto ciò alcune considerazioni.

Il Corpo di Cristo. Scopriamo attraverso queste rivelazioni che Gesù dà una grande importanza al dono che ci ha fatto dell’eucaristia, di questo suo Corpo di Cristo, e soffre terribilmente per il fatto che persino i cattolici non gli diano questa importanza. Da qui mi vengono alcune domande. La devozione al Sacro Cuore di Gesù va d’accordo con le nuove teorie di “apertura” riguardo la comunione? Se queste teorie fossero approvate non dovremmo allora buttare a mare il povero san Thomas More e tutti i martiri del tempo dello scisma anglicano? Non è che dovremmo cestinare anche tutta la devozione al Sacro Cuore con i suoi 350 anni di fede e pratica cristiana? Chi avrà il coraggio di andare contro anche al Sacro Cuore?

Misericordia. Anche nella devozione al Sacro Cuore si parla molto di misericordia, ma in tutto un altro senso di come se ne parla nel dibattito per dare la comunione ai risposati. Qui è una faccenda di dolore da parte di Gesù, perché quelli che dovrebbero amarlo invece l’offendono. Anzi è Gesù che chiede in elemosina un po’ di misericordia da parte degli uomini e che si accontenta di un giorno di festa e di una comunione fatta bene per sentirsi amato.

Mistica. Da questo humus mistico sono nate la devozione al Sacro Cuore come tante altre devozioni. Ma allora io mi chiedo da quale altra sponda e da quale altra mistica nasca questo movimento che si dice di “apertura” verso comportamenti che non mi pare proprio siano in sintonia con l’ascetica, la mistica e la morale cristiana. Queste teorie vengono da qualche libro e da qualche teologo. Ma non mi risulta che dal soprannaturale ci sia venuta nel passato qualche rivelazione mistica che abbia sostenuto simili teorie. Oso anche dire che probabilmente non ne verranno nemmeno nel futuro. Ed allora con quale sicurezza si ha il coraggio di capovolgere tutta la dottrina e la mistica e l’ascetica di millenni di cristianesimo?

Aperture. Di aperture verso chi è debole ed è peccatore nella Chiesa ce ne sono sempre state e ce ne saranno. Non vedo la necessità di compilare un documento in cui si debba esplicitare una regola che non fa altro che generare confusione. La carità si fa, non si mette in pubblico.

Cattolicesimo. Ho l’impressione che tanti sono stanchi di essere cattolici. Quando invece il cattolicesimo è una realtà unica di cui dobbiamo essere felici e fieri. Abbiamo il papa che è il vicario di Cristo. Abbiamo sette sacramenti mentre i protestanti ne hanno solo uno che è il battessimo. Tra questi sacramenti la confessione è un dono immenso che ci dà la pace. Il Corpo e Sangue di Cristo ci fanno diventare una cosa sola con la seconda persona della Trinità. Abbiamo il sacerdozio celibe che è il mezzo più appropriato per amministrare la grazia. Abbiamo, unico in tutto il mondo, il matrimonio sacramentale che è la miglior celebrazione della cosa più importante che c’è al mondo e che è l’amore. Perché guardarci in giro e invidiare gli idoli e le effimere pompe che presenta il mondo?




 

Presto in libreria

 
comunione sulla mano Juan Rodolfo Laise
Il libro di SER Mons. Juan Rodolfo Laise, ofm cap, vescovo emerito di San Luis, Argentina, sulla comunione sulla mano, è fresco di stampa, e verrà distribuito in libreria il 17 marzo.

E' la prima volta che quest'agile opera, che raccoglie documenti storici e canonici circa il rifiuto di Mons. Laise di applicare l'indulto sulla comunione sulla mano nella sua diocesi, viene tradotta in italiano, e pubblicata a cura delle edizioni Cantagalli.

Il libro è arricchito dalla prefazione originale di SER Mons. Athanasius Schneider, e da un'appendice sulla comunione spirituale.





 
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Don Antonio Livi: “La comunione si riceve in bocca mentre si sta in ginocchio”

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antonio-liviCol noto ed autorevole teologo professor Antonio  Livi, sacerdote e animatore dell’importante sito Fides et  Ratio, La Fede Quotidiana in questa intervista parla a tutto campo di liturgia e Papa Francesco.

Monsignor Livi, di ritorno dal viaggio apostolico in Armenia  durante la tradizionale conferenza stampa. Papa Francesco ha detto che tra le varie categorie, la Chiesa dovrebbe chiedere perdono anche ai gay. Qual è la sua opinione?

«Penso che su questo punto il discorso di papa Francesco si presti a troppe interpretazioni diverse sul piano pastorale e a troppi equivoci sul piano dottrinale. Del resto, quello che Bergoglio afferma in una chiacchierata con i giornalisti mentre è in volo di ritorno da un viaggio apostolico è, sì, interessante e anche importante, ma certamente non gli si può attribuire il valore di un atto del Magistero, e tanto meno può essere considerato un discorso dotato di tale solidità dottrinale da poter essere messo in contrapposizione con i documenti del Magistero vero e  proprio. La Chiesa cattolica, quando ha voluto prendere ufficialmente posizione su quel tema, ha sempre avuto ed ha una condotta coerente ispirata alla Parola di Dio e alla Dottrina della fede, che interpreta infallibilmente quella Parola. La Tradizione dottrinale della Chiesa (il dogma e le norme morali che ne conseguono) è oggi consultabile facilmente da ogni fedele se fa ricorso alla lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica, voluto e promulgato da san Giovanni Paolo II.  Anche per quanto riguarda il giudizio della Chiesa sugli atti omosessuali, non ritengo che ci sia tanto da aggiungere a quello che si legge nel Catechismo, che contiene una dottrina certa, definitiva e chiarissima. La Chiesa ha sempre ammonito tutti coloro che vogliono conoscere da Essa la verità rivelata da Dio circa la gravità intrinseca degli atti omosessuali volontari e deliberati, che sono peccati contro natura e che sono tra quei peccati abominevoli che “gridano vendetta al cospetto di Dio”. Non è possibile, pertanto, che il Papa abbia voluto abrogare con due chiacchere in areo tutta la tradizione della Chiesa e le norme del vigente Codice di diritto canonico.
Piuttosto, penso che, come al solito, Papa Francesco abbia voluto lanciare un messaggio gradito alla cultura che indubbiamente è egemone in questo nostro mondo occidentale, una cultura che è caratterizzata dalla rivendicazione assurda della liceità, e anzi della pubblica esemplarità, dei comportamenti omosessuali, ivi compresa l’imitazione del vero matrimonio naturale attraverso quella che in Italia hanno chiamato ipocritamente “unione civile”.
E’ evidente che in questa occasione, come in tante altre, il Papa, nel parlare con i giornalisti della televisione  e della stampa internazionale,  ha seguito dei criteri che non sono di Magistero ma di mera diplomazia vaticana e di mera politica mediatica: ha voluto accarezzare il verso del mondo, ha detto quello che la gente ama sentirsi dire, il politicamente corretto. E’ una specie di self promotion (autopromozione) della Chiesa cattolica al ribasso. In questa ottica non è azzardato sostenere che il Papa (senza con questo voler puntare il dito o giudicare le decisioni insindacabili della suprema autorità nella Chiesa) stia portando definitivamente allo sfascio, non la Chiesa come tale , ma l’opinione pubblica all’interno della Chiesa. Infatti, questo modo estemporaneo di parlare fa pensare a molta gente – che ormai legge solo la stampa laicista e massonica – che la Chiesa su questi temi abbia davvero cambiato idea e abbia messo da parte la dottrina di sempre, mentre così non è perché non può essere».

La santa Comunione: come farla correttamente?

«L’ostia consacrata, che è il corpo di Cristo, va ricevuta in bocca e in ginocchio. Questo modo, che la Chiesa ha prescritto per secoli, è l’unico confacente al rispetto per il sacramento dell’Eucaristia, al decoro della Liturgia, al senso di adorazione  che è conseguenza della fede autentica nella Presenza Reale di Cristo, che è Dio fatto Uomo,  sotto le “specie”  del pane e del vino che il sacerdote ha consacrato nella santa Messa. La comunione nella mano,  che ha qualche cosa di protestante (perché intende enfatizzare la dimensione di convito che ha l’Eucaristia) , è da evitare, e infatti Papa Paolo VI la concesse solo come eccezione per venire incontro ad alcuni episcopati cattolici d’Europa, e Benedetto XVI era chiaramente contrario. La prassi della comunione nella mano banalizza il sacramento, e poi di fatto si arriva talvolta a profanazioni di massa, come è successo a Manila in occasione della santa Messa di Papa Francesco, alla quale assistettero due  milioni di persone, e il momento della Comunione fu un caos indescrivibile. Bisogna amministrare la Comunione nella bocca, e possibilmente a fedeli che si mettono in ginocchio per riceverla. Mettendoci in ginocchio noi esprimiamo tutta la nostra  piena adorazione. Oggi ci si inginocchia poco perché è entrato in circolo lo spirito luterano, ed anche perché il senso del sacro tende a scemare. Ci si dimentica che nel Vangelo si legge: “Davanti a Gesù Cristo ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e da ogni parte”».

 

Papa Francesco alla consacrazione non si genuflette, perché?

«Occorre chiederlo a lui.  Le “rubriche” del Messale Romano (anche quello di Paolo VI, attualmente in vigore per la celebrazione della Messa in rito ordinario) prescrivono che il celebrante, dopo la consacrazione del Pane e poi anche dopo la consacrazione del Vino, debba fare la genuflessione. Nessuno può trascurare volontariamente quanto prescritto dalle vigenti norme liturgiche. Mi risulta, almeno dalle immagini, che il Papa attuale, al Giovedì Santo, si inginocchi per il rito della lavanda dei piedi ,il che mi fa pensare che non è un problema  ortopedico, di salute. Temo che questo comportamento sia di cattivo esempio, ma non ne faccio un dramma e non mi scandalizzo. Del resto, la storia della Chiesa è piena di Papi che, in una cosa o nell’altra (sempre accidentale, mai sostanziale), hanno dato il cattivo esempio. Ma quegli stessi Papi hanno dato anche dei buoni esempi di santità, e soprattutto non hanno mai mancato al dovere di mantenere intatto il “deposito della fede”, che non dipende né deriva da loro, ma è la Parola di Dio stesso che ci ama e vuole la nostra salvezza eterna.

Bruno Volpe



     








[Modificato da Caterina63 02/08/2016 18:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/07/2017 07:57
 
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LITURGIA
Comunione in ginocchio
 

Il significato della comunione in ginocchio e di quella in piedi sono chiari: ognuno esprime una sensibilità. Ma la confusione fatta dopo il Concilio Vaticano II ha portato ad una mancanza di consapevolezza in chi la riceve in mano. Bisogna ricordare che i gesti educano la coscienza, per questo i testi spiegano come comunicarsi in entrambi i casi. 

di padre Riccardo Barile O.P.

Tenendo la prolusione di un convegno sulla liturgia a Milano (Università Cattolica del Sacro Cuore), il 6 giugno scorso, il card. Robert Sarah ha spezzato una lancia a favore della recezione della comunione in ginocchio. Oltre alla sua testimonianza personale, ha portato l’esempio di san Giovanni Paolo II e di santa Teresa di Calcutta. Di recente poi è capitato un equivoco di informazione sul provvedimento di un Vescovo, che invece si è rivelato corretto. Tutto questo induce a valutare che la questione sia un poco “calda” e che debba essere affrontata riferendosi alla disciplina della Chiesa, cioè ai documenti che legittimano e motivano le diverse posture per la recezione dell’Eucaristia, evitando un dibattito emozionale.

“Prima del Concilio” vigeva la comunione in ginocchio alla balaustra e sulla lingua. “Dopo il Concilio” alla postura in ginocchio si è affiancata quella in piedi e alla comunione sulla lingua si è affiancata la comunione in mano. Combinando i vari fattori, le soluzioni potrebbero risultare quattro - tra le quali la comunione in ginocchio e sulla mano (!) -, ma di fatto la prassi si riduce a due posture: a) la più praticata e cioè in piedi con la comunione sulla mano o sulla lingua; b) la meno praticata e cioè in ginocchio con la comunione sulla lingua.

Il punto di partenza legislativo è l’Istruzione Inaestimabile donum del 3.4.1980, che al n. 11 prevede che la comunione «può essere ricevuta dai fedeli sia in ginocchio che in piedi, secondo le norme stabilite dalla Conferenza Episcopale». Chiamata in causa, la Conferenza Episcopale Italiana in data 19.7.1989 emanò la delibera n. 56 secondo la quale: «La santa comunione può essere distribuita anche deponendo la particola sulla mano dei fedeli» (ECEI 4/1845). La stessa CEI pubblicò contestualmente una Istruzione Sulla comunione eucaristica che al n. 14 promuoveva di fatto anche la postura in piedi in questi termini: «Particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi, con un gesto di riverenza, le specie eucaristiche, professando con l’Amen la fede nella presenza sacramentale di Cristo» (ECEI 4/1859).

Si noti che la concessione della CEI non riguardava l’alternativa “in ginocchio / in piedi”, sempre possibile secondo la citata Istruzione Inaestimabile donum, ma riguardava la comunione sulla mano o in bocca; infine ed inoltre «i fedeli sono liberi di scegliere tra i due modi ammessi» (n. 15 = ECEI 4/1860.1864). Si esigeva però un segno di venerazione, un leggero inchino (ECEI 4/1859.1866), non esigito se la comunione era in ginocchio, secondo le disposizioni della Santa Sede: «Quando i fedeli ricevono la comunione in ginocchio, non è loro richiesto alcun segno di riverenza verso il Ss.mo Sacramento, perché lo stesso atto di inginocchiarsi esprime adorazione. Quando invece la ricevono in piedi, accostandosi all’altare processionalmente, facciano un atto di riverenza prima di ricevere il sacramento» (Inaestimabile donum 11).

La situazione che ne seguì dall’introdurre la comunione in piedi e in mano fu la difficoltà di trovare e di insegnare il previsto gesto di venerazione, per cui la recezione della comunione avvenne/avviene per lo più senza questo gesto. E non si tratta solo di un gesto: la comunione avviene per lo più senza lo “spirito” di venerazione/adorazione espresso dal gesto. Infatti il gesto rituale, come per tante altre esperienze umane, non si limita a “manifestare” un atteggiamento interiore, ma - presupposta una minima e previa catechesi - è anche la causa che genera e mantiene tale atteggiamento interiore.

A conferma e controprova riporto uno solo di alcuni testi patristici che la già citata concessione CEI appone in nota al n. 3 delle Indicazioni particolari (ECEI 4/1865): «Ciascuno si avvicina, con lo sguardo abbassato e le mani tese. Guardando in basso il fedele esprime, mediante l’adorazione, una specie di debito di convenienza» (Teodoro di Mopsuestia). Ora è chiaro che un atteggiamento simile è un poco difficile e in parte estraneo alla mentalità del “fedele tipo” che fa la comunione processionalmente e in piedi, per cui non attecchì. Così non tardarono le reazioni. Giovanni Paolo II nella Dominicae cenae (24.2.1980, secondo anno di pontificato), al n. 11 stigmatizzava in alcuni casi «mancanze di rispetto» e repressioni quanto alla libertà di scelta di coloro che intendevano ricevere la comunione in bocca. Benedetto XVI favorì la comunione in ginocchio nelle celebrazioni da lui presiedute, non senza polemiche, per la verità strane, dal momento che il n. 160 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano stabilisce laconicamente che: «I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale».

Comunque, a seguito di divieti e di paralleli ricorsi a Roma, la Congregazione per il Culto divino, con la lettera This Congregation ad un vescovo e ad un fedele circa la postura per ricevere la comunione eucaristica, in data 1 luglio 2002 chiarificò che: «Pur avendo la Congregazione approvato la legislazione che stabilisce per la santa comunione la postura eretta, in accordo con gli adattamenti permessi dalle Conferenze dei vescovi per mezzo della Istitutio generalis Missalis Romani, n. 160, par. 2, lo ha fatto chiarendo che i comunicandi che scelgono di inginocchiarsi non devono per questo motivo subire un rifiuto» (EV 21/665). Un documento successivo sanciva e ribadiva la stessa legge di libertà, rivolgendosi evidentemente ai ministri competenti e specificando che: «Non è lecito negare a un fedele la santa comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi» (Redemptionis sacramentum 91, del 25.3.2004). Dunque tutte e due le possibilità sono ammesse in un regime di libertà e dal punto di vista della legislazione vige una perfetta “par condicio”.

Se si osservassero le leggi,  sarebbe tutto semplice e si sarebbe evitata la gimkana tra i documenti di cui sopra. Le difficoltà sorgono perché a volte “qualcuno” - un parroco, un formatore di seminaristi o di religiosi, un vescovo - sconsiglia o vieta la comunione in ginocchio, evidentemente abusando della sua autorità. Che fare? Evitando ricostruzioni storiche e analisi liturgiche che pure circolano, diamo per scontato che la comunione in mano e in piedi è al momento irreversibile e, invece di sognare improbabili virate, cerchiamo di darne ragione al meglio, motivando nel contempo la comunione in ginocchio e la libertà di scelta per entrambe a secondo della “grazia” personale: La comunione in ginocchio mette in evidenza l’adorazione, la preghiera in ginocchio presente nel Vangelo da parte di Gesù (Lc 22,41) e poi di tanti altri verso Gesù o semplicemente nella preghiera (Mt 1,40; 10,17; 17,14; Lc 5,8; At 7,60; 9,40; 20,36; 21,5). È un restituire a Cristo in adorazione ciò che nella passione ricevette per scherno (Mt 27,29; Mc 15,19). È un riconoscimento del disegno grandioso della salvezza e della vittoria escatologica di Gesù Cristo (Ef 3,14; Fil 2,10; Rm 14,11), anticipo del regno futuro che si attua nell’Eucaristia;
la comunione in piedi (sulla mano) e camminando si riallaccia simbolicamente al “pane del cammino” del profeta Elia, che «con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio» (1Re 19,8), o alla manna data per sostenere il popolo durante il cammino (Es 16,1ss.). Gesù, portando a compimento queste Scritture, moltiplicò i pani per coloro che lo seguivano ascoltandone la parola (Mt 14,13; 15,3; Mc 6,34; 8,1-2; Lc 9,11; Gv 6,2).

Dunque ricevere la comunione in piedi e processionalmente - con un previo atto di riverenza/adorazione - è un gesto simbolico del cammino della vita verso Cristo per riceverne forza e per camminare orientati a lui. Ecco la “sinfonia cattolica”. Mentre i dittatori di un sedicente “dopo il Concilio” impongono una sola dimensione non accettando la varietà dei carismi, coloro che attenendosi fedelmente alle norme «dimostrano in modo silenzioso ma eloquente il loro amore per la Chiesa» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 52) - accettano che per dono dello Spirito alcuni fedeli nel ricevere la comunione esprimano una pluralità di atteggiamenti. Lasciando coesistere le due forme, si ha un vicendevole influsso ed un arricchimento l’una dall’altra: la comunione processionale ricorda la serietà di vivere il rapporto con Cristo ben radicandolo in questo mondo; la comunione in ginocchio ricorda che il senso ultimo della vita non si riduce a sistemare bene questo mondo, ma ad adorare e lodare il nostro unico Salvatore nella forza dello Spirito e a gloria del Padre.

Certo la Chiesa, in quanto fedele ermeneuta di Gesù Cristo, può e potrà modificare tale disciplina e bisognerà attenervisi. Ma ad oggi - leggi alla mano - stabilire a chi e quando sia dato l’uno o l’altro carisma non dipende dagli operatori pastorali. Perché, se così fosse, si tratterebbe sì di “clericalismo”.



[Modificato da Caterina63 26/07/2017 08:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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