A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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"E' lecito pagare il tributo a Cesare?" (Matteo 22,17)

Ultimo Aggiornamento: 06/10/2012 21:51
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...si, ma lasciando a Dio ciò che gli appartiene...



Leggiamo tante volte L'USO, L'ABUSI E LA STRUMENTALIZZAZIONE DI QUESTA FRASE del Vangelo, dimenticando forse che tale risposta risposta  di Geù è molto più enigmatica di quel che non si crede.....e si allarga la sua interpretazione anche ad altri aspetti che non siano solo quelle del denaro........
Dunque qui non tratterò il caso Cesare per quel che riguarda LE TASSE.....vorrei andare oltre perchè la risposta che Gesù diede non riguardava solo i tributi.......
I farisei, ansiosi di tendere un tranello a Gesù, gli mandarono i loro seguaci, assieme agli erodiani, parteggianti per la politica di Roma, per porgli questa domanda: "E' lecito pagare il tributo a Cesare?" (Matteo 22,17)
Il tributo di allora aveva un carattere di assoggettamento: era una contribuzione imposta da un conquistatore ad un vinto (Roma aveva conquistato la Palestina con la forza delle armi)..... Gesù iniziò con lo smascherare il gioco degli inviati dicendo:
"Ipocriti, perché mi tentate con questo tranello?" .....[SM=g1740730]
Dopodiché, dopo essersi fatta mostrare la moneta del tributo, e avendo fatto notare l'effige che sopra vi era impressa..... disse loro "Date a Cesare ciò che appartiene a Cesare e a Dio ciò che appartiene a Dio".
Lo scopo ordinario di coloro che citano questa frase.... è di voler dimostrare che pagare le imposte è un dovere anche cristiano, così come....attenzione.....tale frase è usata PER SEPARARE LE QUESTIONI POLITICHE DA QUELLE DELLA CHIESA....come dire: "TU CHIESA, FATTI I FATTI TUOI.."
E lo fanno anche con molta eloquenza.... perché si fermano alla prima metà della frase....: quella cioè che riguarda Cesare; l'altra, invece... riguardante ciò che appartiene a Dio, passa nell'ombra, talmente ha importanza Cesare nei loro discorsi....[SM=g7574]
Facciamoci una domanda:

Ma ciò che appartiene a Cesare è illimitato?....[SM=g7574]  Davvero appartiene TUTTO A CESARE? E come mai assistiamo al particolare che Gesù fa notare l'effige che vi è impressa sulla moneta?
Partiamo da un fatto: non tutto gli può appartenere!.....
E' assurdo dare a Cesare tutto ciò che egli domanda.....[SM=g1740730]
 Questi Cesari che si sono succeduti nella storia......in fondo si ritrovano di fronte a Pietro nella successione apostolica della Chiesa che tramanda ai suoi questa lezione del Vangelo...[SM=g7609]   Oggi, questi Cesare si sono adoperati in effigi che si chiamano IDEOLOGIE-BANDIERE...... ed hanno comunemente l'abitudine di avere un difetto: RITENERE DI ESSERE E DI ESPRIMERE IN ASSOLUTO LA VOLONTA' DEL POPOLO E DUNQUE TUTTO CIO' CHE RIGUARDA IL POPOLO, LA SOCIETA'......TUTTO GLI APPARTIENE......o meglio: tutto essi possono gestire..... nel senso che non si preoccupano di considerare che ci sono delle cose che appartengono all'UOMO e che essi truffano con dei falsi traguardi, con delle leggi accomodanti che possano introdurre un concetto DI UGUAGLIANZA CHE NON E' NATURALE....[SM=g1740729] 
Cesare, ben inteso, è il governo..... o meglio i governi, nei quali vi sono tanti Cesari (i politici nel Parlamento, gli onorevoli....) quanti sono i gradi diversi dei ministri nella struttura politica di un Paese..... Abbiamo Cesari municipali, Cesari provinciali, regionali..... fra un po' avremo Cesari federali. Manca solo che ci si imponga un Cesare sopranazionale a giurisdizione mondiale, per coronare la piramide.......ma non è fanta politica....L'UNIONE EUROPEA NE E' UN ABBOZZO....

volete un esempio?

Zapatero NON avrebbe mai potuto fare la Legge che ha fatto perchè LA COSTITUZIONE SPAGNOLA LO VIETA.....che ha fatto allora il furbo? HA USATO LA COSTITUZIONE EUROPEA LA QUALE E' AL DI SOPRA DELLE COSTITUZIONI NAZIONALI E CHE PREVEDEVA NEI SUOI ARTICOLI QUELLO CHE ZAPATERO NON HA FATTO ALTRO CHE USARE E TRADURRE IN LEGGE
..........
avete capito come ha fatto?[SM=g1740730]
Idem in Italia.....LA NOSTRA COSTITUZIONE NON POTRA' MAI FAR AVANZARE UNA LEGGE FAVOREVOLE ALLE COPPIE OMOSESSUALI PERCHE' LA COSTITUZIONE PROTEGGE IL CONCETTO DI FAMIGLIA QUALE FONDAMENTA DELLA NOSTRA SOCIETA'.......TUTTAVIA, "DOMANI"....ESSENDOCI RIUSCITO ZAPATERO, ANCHE DA NOI SI POTRA' USARE LO STESSO ESPEDIENTE E LA LEGGE PASSERA' SENZA NEPPURE LA CONSULTAZIONE REFERENDARIA.......perchè? Perchè LA COSTITUZIONE EUROPEA CHE SI E' RIFIUTATA DI DARE A DIO QUEL CHE E' DI DIO, HA PENSATO SOLO A CESARE E ALLA SUA EFFIGE.....DI CONSEGUENZA QUESTI ARTICOLI SONO SUPERIORI ALLE COSTITUZIONI DEI SINGOLI PAESI....[SM=g1740730] ....
per questo dicevo:Abbiamo Cesari municipali, Cesari provinciali, regionali..... fra un po' avremo Cesari federali. Manca solo che ci si imponga un Cesare sopranazionale a giurisdizione mondiale, per coronare la piramide.....La Costituzione Europea PRIVA DELLE RADICI CRISTIANE E PRIVA DEL RIFERIMENTO A DIO E' DI FATTO UN CESARE SUPERIORE A TUTTI GLI ALTRI CESARE COME ZAPATERO HA ABILMENTE DIMOSTRATO......
Rendere a Cesare quello che appartiene a Cesare.... non deve essere proclamato per autorizzare Cesare a prendersi (o a insegnare....) quello che non gli appartiene.....
Neppure Cesare si deve permettere di togliere al popolo ciò che appartiene al popolo per darlo a Mammona...[SM=g1740730] ...

Oggi i governi, tutti i governi commettono questa doppia colpevolezza.....l'essere umano "che Dio ha posto alla sommità dell'universo visibile facendolo, in economia come in politica, la misura di ogni cosa" non deve essere sempre posto al primo rango delle realtà terrestri?..... Non recitava così perfino l'enciclica "Divini Redemptoris"?
La persona nasce in una famiglia, ed è cresciuta in una famiglia.... la famiglia è la sola società temporale stabilita direttamente dalla natura delle cose....CREATE ED ORDINATE DA DIO.... ed è la cellula dell'organismo sociale....ed è quel DARE A DIO CIO' CHE E' DI DIO........
LA PERSONA UMANA DUNQUE NON APPARTIENE NE' A SE' STESSA NE' TANTO MENO A CESARE.........ESSA APPARTIENE A DIO........
 Paolo stesso ci ricorda che NEPPURE IL NOSTRO CORPO CI APPARTIENE...CHE NON SIAMO PADRONI DEL NOSTRO CORPO........MA CHE DIVENTIAMO POSSESSORI DI UN BENE (IL CORPO DEL CONIUGE) RECIPROCAMENTE PERCHE' VI E' IN QUESTO LA COLLABORAZIONE AL PROGETTO DI DIO CHE GLI APPARTIENE TOTALMENTE........
Mammona non è un Cesare legittimo..... Non c'è nulla che appartenga a Mammona....per questo Gesù ne fa un riferimento quasi ironico.... perché niente appartiene di diritto a Mammona (neanche il suo nome: Paolo di Tarso lo chiamava Belial, Leopardi lo chiamava Arimane, ma lo si potrebbe chiamare ancora "vitello d'oro"). Mammona è....più semplicemente.... un intruso, un impostore, un ladro, un tiranno.....Per questo Gesù ammonisce:

Matteo 6:24

Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona.......... E Mammona....invece.... è divenuto il sovrano supremo, addirittura....al di sopra di Cesare, al di sopra dei più possenti Cesari del mondo.....E' LA LIBERTA' DI PENSIERO INTESA COME RELATIVISMO, INSUBBORDINAZIONE AL DARE A DIO CIO' CHE E' DI DIO.....DISOBBEDIENZA ALLE LEGGI DI DIO....[SM=g1740730]

Il vero pericolo del sincretismo delle fedi sta anche in questo.....SERVIRE CONTRO IL MONITO DI CRISTO: DIO E MAMMONA....ACCONTENTARSI di accontentare TUTTI e chiunque...cristiani che difendono l'essere cristiani ma poi sono favorevoli ALL'EFFIGE DI CESARE E SERVONO MAMMONA.......con l'aborto, il divorzio, l'eutanasia, l'omosessualità....ecc.....ORA ANCHE A GIOCARE A FARE DIO CON GLI EMBRIONI.......contro il Samo 138....[SM=g7831]


Per concludere, per ora....c'è un altro passo del Vangelo che riguarda sempre una somma da pagare.....è un'altra occasione, meno citata, ma molto interessante, dove Gesù ebbe a che fare con  una tassa....una imposta. E, questa volta, non si trattava di dare un tributo al vincitore.... ma d'una imposta stabilita dalla stessa nazione giudea per la manutenzione del tempio, perchè imposta dall'occupate romano che traeva contributi anche per il Tempio (Matteo 17, 24-36).
 
Gli esattori di questa tassa vennero da S. Pietro e gli domandarono: "Il vostro maestro Gesù non paga la tassa? Gesù disse a Pietro: "Vai in riva al lago, getta l'amo per pescare, e il primo pesce che abbocca tiralo fuori; aprigli la bocca e ci troverai una grossa moneta d'argento. Con questa moneta paga la tassa per me e per te". Pietro, pescatore di mestiere, ben fece tutto questo...OBBEDENDO ALLA RISOLUZIONE DELLA TASSA DA PAGARE.....


Qui osserviamo due cose:


1) Gesù pagherà solo PER LUI E PIETRO, ma non per gli altri eppure gli altri erano presenti....


2) secondo aspetto....Gesù NON FA OBIEZIONI.....quasi a riconoscere la giustizia di quella Tassa, altrimenti chi doveva pagare per IL TEMPIO DEL SIGNORE?


Qui non c'è solo il Tempio in mezzo, ma UN PO' TUTTO CIO' CHE RIGUARDA LA SOCIETA' CIVILE E LA SUA MANUTENZIONE.....ma questo è un altro discorso.......


Ritengo che per ora abbiamo tirato in ballo molti spunti su cui meditare.......pregandovi di non ridurre l'argomento ad una questione monetaria...


Segue la breve riflessione di un vescovo:

 

Dio e Cesare
Il progetto di Dio affidato alla sua Chiesa non è un progetto politico, non è un progetto di ordine materiale, per trasformare questo mondo, non è una filosofia, non deve scadere nella ideologia della Persona Cristo: la trasformazione di questo mondo verrà dall'accettazione del vero progetto di Dio, che è di ordine spirituale, e che ha, come conseguenza, un profondo effetto anche di ordine materiale e quindi morale. "Dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare": quella moneta recava certamente l'effigie dell'imperatore romano, che era l'oppressore; il popolo era sottomesso all'impero romano che imponeva con la forza delle armi il suo potere, oggi questo potere lo identifichiamo nelle leggi degli uomini che avanzano inesorabilmente contro la Legge universale di Dio e a queste i cattolici devono opporsi chiaramente, anche a costo della propria vita, devono lasciare a Cesare la sua effige con la quale i cattolici non devono assolutamente assoggettarsi.

         "Dare a Dio quel che è di Dio e agli uomini quel che è degli uomini": e a Dio, quando gli diamo tutto, risponde mirabilmente nella sua bontà infinita, ci da il centuplo e ci ridà quello che gli stiamo dando, ci retribuisce, e come conseguenza della vittoria sul peccato, che è la causa di tutti i mali, compresi quelli materiali, etici e morali, avremo un mondo differente.

Fratelli miei,  san Paolo, nella più antica lettera da lui scritta, ci ricorda che non basta proclamare la Parola di Dio, ma che dobbiamo mostrarne l'effetto nella nostra vita. Non è cattolico chi dice di esserlo, ma è cattolico soprattutto chi dice di esserlo e vive questa sua fede; non è cattolico chi dice di esserlo, ma poi si lascia assoggettare da Cesare. San Paolo, indirizzando questa lettera ai suoi figli, li elogia perché essi hanno le mani piene di buone opere, perché seguono gli insegnamenti del Signore, mettono in pratica il Magistero e testimoniano quello che è di Dio e che a Lui appartiene in assoluto.
+Eugenio De Araujo Sales


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Il Dio «ignorato»


don Pierangelo Sequeri

L'antica testimonianza racconta. Alzatosi in mezzo all'Areòpago, Paolo disse: "Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve l'annunzio" (Atti 17, 22-23).
Il discorso di Paolo, filosoficamente istruito, conclude con l'annuncio di "un giorno nel quale Dio dovrà giudicare la terra per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti la prova sicura col risuscitarlo dai morti" (Atti 17, 31).
E' anche questo, in forma di essenziale folgorazione, annuncio dell'evangelo inaudito di Dio: proprio in Gesù si rivela il Signore della creazione e il fondamento del suo riscatto. Si ironizza talora - benevolmente - su questo testo, alludendo alla reazione di alcuni che, sentendo parlare di risurrezione di morti, ridevano dicendo "Ti sentiremo un'altra volta".
 La morale, in verità un po' demagogica, che se ne vorrebbe trarre, è appunto che con la "filosofia" non si va molto lontano e non si raccoglie granché. Però si dimentica che alcuni altri "aderirono a lui e divennero credenti" (Atti 17, 32.34). Dunque, non sarei così drastico, e apprezzerei di più l'abilità dell'intreccio sapiente del linguaggio di Paolo che orchestra insieme la religiosità degli interlocutori, la filosofia dei classici e il nocciolo incandescente dell'assoluto cristiano di Dio, impiantato nel cuore del mondo in Gesù Signore: "per mezzo di un uomo" Dio compie la creazione e disvela la qualità della storia.
Agli inizi del millennio che è appena iniziato, abbiamo però in Occidente uno scenario relativamente nuovo. E persino inedito. E' la nuova evidenza culturale di un "Dio ignorato", più che di un "Dio ignoto", che ci sollecita e ci interpella. Comprendere il senso di questa inedita costellazione del pensiero e dell'epoca è un giusto motivo di leale confronto fra credenti e non credenti. Per i credenti, la nuova l ingua dell'annuncio deve transitare coraggiosamente di qui.
Il bel testo (anzi bellissimo) della Commissione Cei per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi ("Questa è la nostra fede. Nota pastorale sul primo annuncio del Vangelo") non elude fumosamente il punto che fa la differenza. E dà l'esempio, parlando una lingua cristiana precisa, limpida ed essenziale, ma non un gergo intra-ecclesiastico. Si confronta direttamente con la complessità del nuovo Areopago, in cui convivono modi culturali, forme di costume, e persino epoche diverse della "nominazione" e dell'"ignoranza" di Dio.
E mette a fuoco, con efficacia non ancora così frequente, la dimensione esistenziale di un annuncio che deve lampeggiare nel quotidiano il senso di una dichiarazione dell'evangelo esplicita e vigorosamente raccolta sulla verità essenziale. Non c'è alternativa fra annuncio e dialogo, testimonianza e discorso, rigore e slancio. Molte belle espressioni però mirano a creare affezione e coinvolgimento per una felice scoperta che entusiasma e risana. Ché questo è prima di tutto, l'evangelo di Gesù Cristo che chiama la fede.
Ne raccolgo lo spirito, invitando caldamente alla lettura, dedicandovi un delizioso apologo chassidico raccolto da Martin Buber.
"Una storia va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto. Mio nonno era zoppo. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo Maestro. Allora raccontò di come il santo Baal-Schem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il Maestro. Da quel momento, guarì. Così vanno raccontate le storie".


Avvenire - 20 maggio 2005


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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IMPLICAZIONI VINCOLANTI


SI DERUBA CESARE SE NON SI DÀ A DIO[SM=g1740730]


Vittorio Possenti www.avvenire.it


Non espellere Dio dalla vita pubblica dei popoli
, come con rinnovato vigore ha chiesto Benedetto XVI domenica scorsa, nel discorso di apertura del Sinodo, comporta non ridurre la religione ad un fatto meramente privatistico.
Nelle fogge più varie individui e civiltà stanno in rapporto con Dio, e da ciò traggono l'essenziale del loro valore-disvalore. Vi sono età più religiose, altre più profane, ma tutte stanno "dinanzi a Dio". Non muta il "dinanzi"; muta il modo. Anche per questo è una strada che non conduce lontano quella di rendere Dio superfluo per l'uomo, secondo l'intento del secolarismo europeo, forse l'unica civiltà che pretenda di essere completamente libera da ogni religione e di ripudiare il proprio passato: la vicenda del silenzio sulle radici cristiane dell'Europa l'ha ben evidenziato.


Sul nesso fra Dio, religione e politica, l'insegnamento di Gesù Cristo si pone come evento inedito per quanto concerne la diversità fra Dio e Cesare: la novità cristiana è racchiusa nella nota frase: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Si tratta di un detto instauratore, capace di introdurre un passo in avanti nell'esperienza spirituale e politica dell'umanità.


Venne così introdotta la duplicità della rappresentanza (spirituale e temporale) al posto dell'unità tipica della città antica in cui si congiungeva in un solo vertice (nell'imperatore che era anche pontefice) la rappresentanza sacrale e quella civile. La diversità cristiana apparve un attentato di cospicue dimensioni alla politica poiché, introducendo la "laicità" sconosciuta alle culture antiche, apriva inedite possibilità di liberazione e di dissidio.


Quasi superfluo richiamare la dialettica fra cristianesimo e Impero roman o, tra il papato e il Sacro Romano Impero, la lotta per le investiture, i variabili rapporti fra Stato e Chiesa nella modernità, e via discendendo sino alle ideologie intramondane e totalitarie del secolo passato. Queste hanno voluto con ogni mezzo rendere Dio straniero in casa sua con i sanguinosi esiti che ben si conoscono.


Come spesso ha rivelato Joseph Ratzinger, la frase di Gesù sottolinea non solo che occorre marcare i confini fra Dio e Cesare, ma che occorre rendere o dare. Il risuonare di tale verbo cambia la prospettiva della semplice separatezza fra Dio e Cesare. Il rendere a Cesare quanto è necessario: giustizia, pace, diritti, rispetto, è qualcosa di grande. Ma Cesare non è Dio.


Cesare può essere patria temporale, ma non è patria definitiva per alcun uomo. Il rendere a Cesare implica, perché sia autentico e pieno, il rendere a Dio quanto è necessario e salutare. Dare solo a Cesare senza dare a Dio è rovina. Il versetto evangelico domanda un doppio dare, e l'uno non può stare senza l'altro.


Il secolarismo europeo è esattamente definito dal dare a Cesare senza minimamente dare a Dio, mediante l'ipocrisia di confinare Dio nella più remota privatezza della coscienza, come ha denunciato domenica Benedetto XVI. In questo modo si sterilizza il contributo che la religione offre al miglioramento civile. Mirando al vigore della vita morale e delle virtù, essa raggiunge la società nel suo punto più nevralgico.


 Contrariamente all'asserto del materialismo storico marxista, l'anatomia della società civile è l'etica, non l'economia politica. Chi riesce a migliorare il comportamento morale delle persone adempie il compito più importante nella società. Non ve ne è nessuna che, per quanto dotata di istituzioni molto elaborate, possa sussistere in maniera decente e cos tituire una vita civile accettabile, se i suoi cittadini cedono troppo ai vizi e allo scatenamento delle passioni.

Se lo Stato può soggiacere a smisurate richieste eudaimonistiche ma non può garantire i propri fondamenti morali, deve trovare fuori di sé, ossia nella società, tali basi: che oggi sono messe a rischio dal relativismo intellettuale e morale, e dal secolarismo.


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Questo dare a Cesare e dare a Dio ..dovrebbe farci riflette sul nostro essere COERENTI....alla fede che professiamo....
Cristo rievoca la cosiddetta "legge del taglione" prima di insegnare il PORGERE L'ALTRA GUANCIA.....:
"Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente...MA IO VI DICO CHE....."
Gesù fa capire qui IL CONCETTO DI PENA CHE SE PER LA GIUSTIZIA UMANA E' LEGITTIMO DISTRIBUIRLA CON UN PARI COERENTE AL DELITTO COMMESSO......Egli AGGIUNGE che un Cristiano può fare di meglio, può fare di più....ed è la strade che apre alla SANTITA' come ci ha dimostrato il martirio di don Andrea!

Questa legge del Taglione - al di là della sua formulazione che suona brutale ai nostri orecchi - non è nient'altro che una colorata definizione della giustizia distributiva: a un delitto deve corrispondere una pena del tutto pari e coerente.

Gesù non vuole negare il principio della giustizia ma - come avviene in tutta la serie di casi che egli propone in quel discorso - vuole suggerire al suo discepolo di procedere oltre, imboccando la via dell' amore, del perdono, della non-violenza....che attenzione NON E' IL PACIFISMO......


Ecco, allora, il suo insegnamento affidato a un trittico di esempi che sono simili a mini-parabole:
"Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; a chi ti vuol chiamare in causa per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello; e se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne con lui due".
Alla stessa legge di Lamek nell'A.T. che pone appunto il concetto della legittima reazione pari al danno subito...... egli opporrà questa legge antitetica: "Non perdonerai fino a sette volte sette ma fino a settanta volte sette" (Matteo 18,22). E Gesù sarà sempre coerente con questo suo principio: si pensi al suo arresto e all' invito rivolto al suo discepolo che tenta di difenderlo con una spada ("Rimetti la spada nel fodero..."), o al silenzio davanti a Pilato, al silenzio durante la flagellazione, fino al Calvario, fino sulla Croce.....

L'INSEGNAMENTO DI GESU' CONDUCE ALLA CROCE QUELLO DEL MONDO CONDUCE ALLA GUERRA......s09c#07

Ora, nello spirito di tutto quel discorso della Montagna nelle beatitudini - Gesù non vuole imporre UNA IDEA LEGISLATIVA O GOVERNATIVA, no! Lui INSEGNA LA RADICALITA'......possiamo definirlo UN FONDAMENTALISMO CHE SI RIVELERA' ESSERE L'UNICA STRADA PER LA RISURREZIONE...o se preferite la STOLTEZZA DELLA CROCE, LO SCANDALO come la definiosce san Paolo.... Egli delinea un atteggiamento radicale, una vera e propria opzione della coscienza; la sua è una spina messa nel fianco del buonsenso, dell'ovvio, del luogo comune così da mostrare una più alta potenzialità di vita, una ben diversa società, una meta, possibile eppur desueta, aperta all'uomo; certo per Gesù stesso E' LEGITTIMO CHE L'UOMO APPLICHI LA LEGGE DEL TAGLIONE.....MA QUESTA NON CONDURREBBE ALLA CROCE......[SM=g7831]

In questa luce solo chi NON COMPRENDE E CHI VUOLE RESTARE ATEO PARLA di... utopia...... ma questa utopia cristiana lo è nel senso più alto del termine e Gesù incarna in modo supremo la missione genuina delle religioni. Esse non devono ridursi a gestire la propria fede, come deve fare uno Stato, né ridursi a dover fare compromessi per barattare la verità (essendo poi Gesù la Verità, sarebbe come BARATTARE LUI), ma bensì far tendere l'umanità verso un Oltre e un Altro.

In questa prospettiva si muove tutto il magistero di Giovanni Paolo II, ed oggi quello di Benedetto XVI con l'Enciclica Deus Caritas Est.....così come LE AMMONIZIONI DEI VESCOVI della Chiesa......, anche in occasione degli attuali eventi tragici.... la Chiesa è qui a ricordare questa VERITA' INESPUGNABILE.......

Questo, però, non significa che la morale religiosa (e cristiana in particolare ) debba escludere la giustizia e la storicità con tutto il suo peso.....
Leggiamo altre parti del Vangelo evitando di dividere quello che ci fa comodo....Gesù stesso polemizza aspramente, per esempio.... con la gestione del potere politico e religiosa di allora, facendo denuncie specifiche ( si legga, ad esempio, Matteo 23 ) ma anche col suo celebre detto: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" riconosce un' autonomia al potere politico...ed insegna ai SUOI L'AUTONOMIA DEL POTERE DI DIO CHE SOVRASTA ANCHE IL POTERE DI CESARE..... [SM=g7574]

Paolo nella Lettera ai Romani affronta la questione fiscale affermando la legittimità dell'autorità costituita - che nella fattispecie era quella imperiale di Nerone - così come del suo sistema penale perché "non invano essa porta la spada" ( 13,1-7 ) . L' Apocalisse, invece, attacca aspramente le repressioni e le ingiustizie di quello stesso potere romano, raffigurato sotto l' immagine di Babilonia....ma non è una contraddizione come potrebbe apparire è bensì una denuncia ed una condanna AGLI ABUSI DEL POTERE DI CESARE......

Ecco, allora....che proprio da san Paolo arriva la costante necessità per i cristiani di non perdere di vista l'ideale, riducendosi a un partito o a movimento di opinione, ma anche di non astrarsi dalla realtà racchiudendosi nel bozzolo della tensione apocalittica o mistica....Paolo INVITA A REAGIRE SOPRATTUTTO CON LA PAROLA-L'EVANGELIZZAZIONE-IL GRIDARE DAI TETTI LA VERITA': DATE RAGIONE SEMPRE A CHI VI CHIEDE MOTIVO DELLA VOSTRA FEDE......
E' un difficile equilibrio che comporta, da un lato, la continua affermazioni dei grandi valori, della moralità alta, di ideali anche supremi, e d'altro lato, la necessità della loro "incarnazione" e quindi del confronto col groviglio delle vicende sociali, politiche, economiche DI OGNI TEMPO E SOTTO OGNI CESARE DI TURNO perchè, dirà Paolo....I GOVERNI SI SUSSEGUONO LA CHIESA RESTA ETERNA........

Riferirci alla legittima difesa che di per sé eccede rispetto alla logica del "porgere l'altra guancia"....... naturalmente si colloca nel piano più "basso" della norma di giustizia e questo proprio secondo la mentalità di Cesare e del mondo....... Famosa è la giustificazione etica addotta da San Tommaso d' Aquino: "L'azione di difendersi reca con sé un duplice effetto: l'uno è la conservazione della propria vita, l'altro è la morte dell'aggressore. Il primo è quello veramente voluto, l'altro non lo è" (Summa Theologiae II-III,64,7).....

La tradizione cristiana preciserà questa regola del "duplice effetto" in ambito pubblico elencando le condizioni da rispettare per ammettere la legittimità di questa autodifesa: che tutti gli altri mezzi si rivelino impraticabili e inefficaci, che l'uso di armi non crei mali e disordini più gravi del male da eliminare (proibita sarebbe, perciò, l'opzione nucleare), che non si colpiscano innocenti, che il danno inflitto dall' aggressore sia durevole, grave e provato nelle sue responsabilità.

E' ciò che è affermato anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 (nn.2.263e 2.309) ed è ciò che è stato ripetuto dalla lettera dei vescovi cattolici americani al presidente Bush da Giovanni paolo II: "La nostra nazione ha il diritto morale e il grave obbligo di difendere il bene comune contro tali attacchi terroristici...Ma ogni risposta militare dev'essere in accordo con i sani principi morali quali la probabilità di successo, l'immunità dei civili e la proporzionalità".........

Ma lo stesso testo comprende anche una eco del principio evangelico da cui siamo partiti, formulato attraverso l'invito a impegnarsi per rimuovere le cause strutturali ingiuste, a ripudiare l'intolleranza etnica e religiosa, a considerare sempre arabi e musulmani come fratelli e sorelle, "parte della nostra famiglia nazionale e umana", e - citando una frase di Giovanni Paolo II - a "non cedere alla tentazione dell'odio e della violenza, impegnandosi al servizio della giustizia e della pace"........

La chiesa, quindi, pur coinvolta nella giustizia che dovrebbe reggere la città di Cesare, non deve mai dimenticare la legge ultima del Regno di Dio........ma questo non toglie il fatto che ogni MEMBRO DELLA CHIESA NON DEBBA IN QUALCHE MODO DIFENDERSI DALLE INGIUSTIZIE QUANDO LO STATO SI DIMOSTRASSE ASSENTE O INCAPACE DI FAR FRONTE ALLE SITUAZIONI PIU' DISPERATE........

Fraternamente ....http://digilander.libero.it/le.faccine/faccinea/timido/00013039.gif.....Caterina


Tra religione e politica

Dare a Cesare
quel che è suo


Esce martedì 12 agosto negli Stati Uniti un nuovo libro di Charles Joseph Chaput, cappuccino e arcivescovo di Denver (Render Unto Caesar. Serving the Nation by Living Our Catholic Beliefs in Political Life, New York, Doubleday, 2008, pagine 258, dollari 21,95). Ne pubblichiamo in anteprima una recensione.

di Robert Imbelli
Docente di teologia al Boston College
Massachusetts, Stati Uniti d'America



Questo libro, benché sia rivolto principalmente ai cattolici, servirà anche a promuovere un dibattito molto necessario all'interno della Chiesa e al di fuori di essa. Inoltre, viene pubblicato in un momento particolarmente significativo:  la vigilia di una delle più importanti elezioni presidenziali della storia americana recente. Il testo può essere letto a diversi livelli, che si illuminano a vicenda.
Il primo livello ci viene suggerito dal sottotitolo:  "Servire la nazione vivendo il nostro credo cattolico nella vita politica".

Al centro della posizione dell'autore c'è il fatto che la fede, sebbene intensamente ed essenzialmente personale, non è però mai privata. Il rapporto con Dio attraverso Gesù Cristo è anche rapporto con altri in Gesù Cristo, come spiega benissimo la scena del giudizio nel venticinquesimo capitolo del Vangelo di Matteo. Tuttavia, anche a prescindere da questo, la fede biblica ha sempre implicazioni sociali e persino politiche. Chiunque prenda sul serio la tradizione profetica dell'Antico Testamento lo riconosce subito. Il compimento della rivelazione in Gesù Cristo non fa che intensificare la vocazione del credente a promuovere l'avvento del Regno in ogni dimensione della vita umana.


La dottrina sociale della Chiesa cattolica - dalla Rerum novarum di Leone xiii, passando per la Gaudium et spes del Vaticano ii fino al recente discorso alle Nazioni Unite di Benedetto XVI - è l'applicazione permanente di questa tradizione profetica ai contesti mutevoli della storia mondiale. L'arcivescovo Chaput esprime così la propria convinzione:  "La Chiesa non rivendica il diritto di dominare la dimensione secolare, ma ha tutto il diritto - di fatto l'obbligo - di impegnare l'autorità secolare e di sfidare quanti la esercitano a soddisfare le esigenze di giustizia. In questo senso, la Chiesa cattolica non può stare, non è mai stata e non starà mai "fuori dalla politica". La politica implica l'esercizio del potere. L'uso del potere ha un contenuto morale e conseguenze umane. Il benessere e il destino della persona umana sono decisamente materia, e speciale competenza, della comunità cristiana" (pp. 217-218; i corsivi sono nel testo originale).
D'altro canto vi sono personalità influenti, sia negli Stati Uniti sia in Europa, che cercano di ridurre la religione e la fede a un'opzione privata senza un ruolo pubblico da svolgere. Quindi cercano di edificare ciò che un critico definisce a naked public square, "una nuda pubblica piazza", rinchiudendo così la religione tra le pareti domestiche e secolarizzando totalmente la dimensione pubblica.

Per l'arcivescovo Chaput questa strategia non solo snatura la religione, e in particolare il cattolicesimo, ma è in profonda contraddizione con l'unicità storica dell'"esperimento americano della democrazia". Il cosiddetto "muro di separazione" fra Stato e Chiesa negli Stati Uniti - un'espressione utilizzata spesso in maniera fuorviante - non ha mai voluto escludere il pieno impegno dei credenti nella vita politica e civile della nazione, e l'ingiunzione della Costituzione americana contro il "riconoscimento" istituzionale della religione è stata una preziosa tutela contro l'intrusione arbitraria dello Stato negli affari religiosi.


L'autore si ispira in modo significativo al pensiero del teologo gesuita John Courtney Murray, che al Vaticano ii svolse un ruolo importante nell'elaborazione della pionieristica dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Murray sosteneva - e Chaput è d'accordo - che i documenti fondanti della democrazia americana avevano fatto ricorso a un'idea di legge naturale che afferma le verità universali sulla condizione umana. Quindi i cattolici, con il loro impegno per la tradizione della legge naturale, possono apportare un contributo importante alla vita pubblica e al processo politico americani. Infatti, come si può contribuire al bene comune se non si portano nei dibattiti e nelle discussioni le proprie convinzioni morali e i propri valori profondi?
Inoltre, le figure più autorevoli della tradizione cattolica, come san Tommaso d'Aquino, riconoscono la legittima autonomia della dimensione secolare. La pretesa di "Cesare" alla lealtà e alla dedizione dei cittadini è legittima, ma la lealtà non può mai usurpare l'obbedienza e il culto che si devono solo a Dio.

 L'arcivescovo Chaput dedica un capitolo commovente al santo inglese Tommaso Moro, che Papa Giovanni Paolo II definì "il celeste patrono dei governanti e dei politici". La grandezza di Moro sta nella sua lotta coraggiosa per restare fedele al proprio dovere verso il suo sovrano terreno senza mai compromettere la sua dedizione fondamentale ai dettami della propria coscienza come riflesso della sua obbedienza al suo Re celeste. Come è ben noto, questa coerenza alla fine gli costò la vita, ma la sua testimonianza resta una forza potente e una ispirazione per quanti cercano di illuminare l'ordine sociale con la luce del Vangelo.


Il secondo livello di lettura del libro è un appello ai cattolici americani a riacquistare una comprensione salda e completa della propria tradizione di fede. Troppo spesso, nei quarant'anni trascorsi dal concilio, i cattolici si sono ritrovati divisi da appelli selettivi all'uno o all'altro aspetto della tradizione. Questa tendenza a scegliere selettivamente è stata definita cafeteria Catholicism, cattolicesimo à la carte, e il crescente individualismo di una società americana orientata al consumo non ha fatto che esacerbarla. Dunque, invece di essere "lievito" nella società, vi è il rischio di adattarsi indiscriminatamente alla cultura contemporanea, e questo indebolisce la testimonianza evangelica della Chiesa. L'autore lancia una sfida diretta ai cattolici:  "In quanto cattolici dobbiamo guardare in modo più lucido e autocritico a noi stessi come credenti, alle questioni che sono alla base dell'erosione attuale dell'identità cattolica, all'assimilazione totale - ma forse assorbimento è un termine migliore - dei cattolici da parte della cultura americana" (p. 84).


In effetti, l'arcivescovo Chaput pone ai suoi compatrioti la stessa sfida che san Paolo pose ai suoi concittadini dell'impero romano:  "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Romani, 12, 2). La chiave qui è la virtù del discernimento - e questo è sempre un compito arduo. Tuttavia sarebbe ingenuo non ammettere che il discernimento autentico pone problemi particolari nella nostra epoca in cui l'influsso dei mezzi di comunicazione sociale è tanto dilagante. I sistemi di comunicazione immediata offrono di certo dei benefici, ma possono anche, a causa della loro assuefazione all'effimero, impedirci di fare quella necessaria e accurata valutazione che sola può aiutarci a formulare un giudizio valido. Inoltre, gran parte dei mezzi di comunicazione sociale più diffusi (musica, film, videogiochi) promuove un divertimento di pura evasione o di natura violenta, che anestetizza e offusca la coscienza.

 Nessuna meraviglia dunque che l'arcivescovo Chaput ricorra diverse volte all'analisi del critico della cultura contemporanea Neil Postman e al suo libro, dal titolo inquietante, Amusing Ourselves to Death ("Divertirsi da morire").
La valutazione realistica di Chaput della sfida che dobbiamo affrontare sfocia in un rinnovato apprezzamento del costo dell'essere discepoli. Evoca figure come il pastore luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, il sostenitore americano dei diritti civili Martin Luther King e il vescovo cattolico vietnamita, poi cardinale, François-Xavier Nguyên van Thuân come testimoni esemplari di ciò che una coraggiosa sequela di Cristo può implicare. Di fronte alla loro testimonianza di fede la nostra propensione ai facili compromessi può apparire un tradimento.
Alla fine, il criterio definitivo di un discernimento che sia fonte di vita per un cristiano può essere solo il Signore Gesù. Egli è il tesoro assoluto della Chiesa, il Vangelo di vita che siamo chiamati a condividere. L'autore scrive:  "La fede cattolica è molto più di un insieme di principi sui quali concordiamo. È piuttosto uno stile di vita completamente nuovo. Le persone devono vedere questa nuova vita vissuta. Devono vedere la gioia che essa reca. Devono vedere l'unione del credente con Gesù Cristo" (p. 190; il corsivo è nel testo originale).


Infine, il terzo possibile livello di lettura del libro è quello di una lettura del Concilio Vaticano ii. Sebbene non utilizzi il termine e nemmeno affronti la questione ex professo, l'arcivescovo legge chiaramente il Vaticano ii attraverso la lente di una "ermeneutica della riforma" all'interno della tradizione millenaria della Chiesa.


Di fronte a frequenti appelli allo "spirito" del Concilio, afferma esplicitamente:  "L'insegnamento del Vaticano ii è innanzi tutto e soprattutto nei documenti conciliari stessi. Nessuna interpretazione del concilio ha valore a meno che non proceda organicamente da cosa ha effettivamente detto, e poi vi rimanga fedele" (p. 112; il corsivo è nel testo originale). Inoltre, quanto il concilio ha effettivamente affermato va compreso nel contesto del suo intero complesso di insegnamenti. Quindi, per quanto siano importanti la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate) o la dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae), esse devono sempre essere lette nel contesto generale fornito dalle quattro "costituzioni" - i principali pilastri del Vaticano ii.

In particolare esse vanno lette alla luce della visione cristocentrica del concilio che trae il suo orientamento dalla confessione della Lumen gentium che "Cristo è la luce delle genti" (n. 1) e dalla gioiosa affermazione della Gaudium et spes che "Cristo rivela pienamente l'uomo a se stesso e gli rende chiara la sua altissima vocazione" (n. 22).
È vero naturalmente che i lavori conciliari sono stati focalizzati sull'ecclesiologia e che il concilio non ha dedicato un documento specificamente alla cristologia. Nonostante questo la visione del concilio è stata permeata dalla cristologia - e in particolare da una cristologia "alta". Ho scritto altrove a proposito della "profonda grammatica" cristologica del Vaticano ii:  come cioè tutto l'insegnamento del Vaticano ii deve essere letto alla luce della sua confessione dell'unicità di Gesù Cristo. Nel libro dell'arcivescovo Chaput ritrovo questa stessa convinzione. Per esempio scrive:  "Dobbiamo radicare la dimensione sociale della nostra fede cattolica e qualunque altra cosa facciamo nell'amore di Dio, che alimenta la nostra missione di evangelizzazione. Non possiamo offrire un'azione sociale cattolica agli uomini e alle donne del mondo senza al contempo offrire loro Gesù Cristo" (p. 193).


La missione e l'identità cattoliche sono inseparabili e trovano espressione sacramentale nell'Eucaristia, fonte e culmine della vita cattolica:  ecclesia de Eucharistia. L'arcivescovo afferma:  "La Chiesa cattolica è una rete di rapporti basati sulla relazione più importante di tutte:  il dono di sé di Gesù Cristo nell'Eucaristia per la nostra salvezza. Nessuno di noi si guadagna il dono dell'amore di Cristo. Nessuno di noi "merita" l'Eucaristia" (p. 223).

In uno degli ultimi capitoli l'autore affronta alcune questioni pastorali relative all'accesso all'Eucaristia da parte di personalità pubbliche che sostengono pratiche giudicate dalla Chiesa intrinsecamente malvagie, per esempio l'aborto.

L'atteggiamento dell'arcivescovo è sensibile dal punto di vista pastorale e convincente da quello teologico. Aiuterà a fare chiarezza nell'attuale dibattito e nel discernimento su questa delicata materia - una materia che esige di essere affrontata per il bene dell'integrità della fede.
Insomma, l'arcivescovo Chaput ha scritto un libro documentato, equilibrato, civile e incisivo. Andrebbe letto, discusso, preso a cuore negli Stati Uniti e altrove. Per molti versi il suo messaggio è semplice, ma di certo non semplicistico. Pone esplicitamente la domanda che cosa debbano fare i cattolici oggi per il loro Paese, e risponde in modo altrettanto esplicito:  "La risposta è:  non mentire. Se ci professiamo cattolici, dobbiamo dimostrarlo. La vita pubblica americana ha bisogno di persone che difendano a fronte alta, senza infingimenti, la verità della fede cattolica e i comuni valori umani che essa sostiene" (p. 197; il corsivo è nel testo originale). Io trovo qui una chiara eco di ciò che l'apostolo Paolo indica agli Efesini (4, 25) come requisito della loro unione in Cristo:  "Lasciate dunque la menzogna:  dite la verità, ciascuno al proprio prossimo; siamo infatti membra gli uni degli altri".




(©L'Osservatore Romano - 11-12 agosto 2008)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Politica e questione morale nella seconda metà del IV secolo

Dio e Cesare
secondo sant'Ambrogio


di Santiago de Apellániz

Dinanzi agli interventi delle autorità ecclesiastiche nelle questioni temporali, è frequente che alcuni interlocutori parlino di ingerenza e vogliano ricordare a tali autorità, non senza una certa ironia, che si deve dare "a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".

Ciò mette in evidenza, quantomeno, due questioni di un certo spessore:  in primo luogo che oggigiorno nella cultura occidentale il dualismo politico religioso è pacificamente accettato come modo di intendere i rapporti fra l'autorità politica e quella religiosa; in secondo luogo, che il testo evangelico a cui abbiamo fatto allusione non è percepito in maniera univoca.

Lo studio sistematico dell'epistolario politico di sant'Ambrogio ha, fra le altre virtù, quella di contribuire a chiarire il contenuto di questa frase di nostro Signore. La prossimità temporale del santo agli accordi di Milano del 313, il suo passato come funzionario pubblico dell'Impero, la sua santità di vita e i suoi interventi, come vescovo di Milano (374-397), dinanzi alle autorità politiche del suo tempo, si presentano come credenziali più che sufficienti per questo compito.

Troviamo in questi testi affermazioni e atteggiamenti che coincidono nel mostrare l'ostacolo che il monismo politico-religioso, allora imperante nella prassi politica, rappresenta per il libero inserimento della Chiesa e dei cristiani nella realtà temporale che li accoglie. "Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Matteo, 22, 21), è l'argomentazione presentata all'imperatore per esigere una sfera di autonomia per la Chiesa, nel suo agire temporale, libero da ingerenze dell'autorità politica (cfr. Epistole, 75, 30, 31 e 35 e 76, 19). Possiamo quindi affermare che sant'Ambrogio si fa protettore di una sorte di rivoluzionario, in quanto nuovo, dualismo fra l'ambito politico e quello religioso, che presenta come un paradigma più adeguato e rispettoso verso il messaggio evangelico del modello dominante, il quale includeva la dimensione cultuale-religiosa come attività propria delle autorità politiche.

In tal senso, la disputa per l'altare della Vittoria, che oppone il santo all'aristocrazia pagana di Roma, è un ulteriore tentativo di procedere alla desacralizzazione del potere temporale, per avanzare nella concessione della cittadinanza e della libertà alla sfera spirituale-politica. Ciò logicamente significava sottrarre al potere temporale tutto ciò che riguardava la vita religiosa dei popoli; per il santo, Cesare non è competente per decidere quello che si deve dare a Dio.

Gli interventi del vescovo Ambrogio nelle questioni temporali dell'epoca, così come quelli dei vescovi di oggi, mettono in evidenza il fatto che l'autonomia e l'indipendenza necessarie per l'agire della sfera politica e di quella religiosa non implicano mancanza di comunicazione o isolamento fra le stesse. Così, per esempio, il santo segnala l'esistenza di doveri religiosi propri della sfera di azione dell'autorità politica, che fanno riferimento sia alla libertà religiosa dei cittadini dell'impero sia all'onore dovuto a Dio.

Pertanto, ci sembra che per tracciare il suo dualismo politico-religioso il santo parta da una realtà accettata nella società del suo tempo:  la dimensione pubblica del fatto religioso. Ciò che il vescovo aggiunge è che questa venga espressa in dualità di ambiti. Vale a dire che l'autorità politica deve riconoscere la centralità di Dio nella vita dei popoli, ma debba farlo in un modo consono alla natura e al fine che le sono propri:  il servizio che deve rendere a Dio si deve esprimere nel compimento fedele della sua missione, cercando il bene comune dei cittadini con atti non religiosi, ma civili.

Sant'Ambrogio chiede ripetutamente agli imperatori di stare attenti a far sì che i loro atti di governo non siano contrari al volere di Dio:  è questo il modo concreto attraverso il quale, in dualità di ambiti, l'autorità politica onora e rende gloria a Dio. Così, il santo segnala che la dimensione morale non appartiene solo all'ambito religioso, ma anche a quello politico:  ed è questo ordine morale, che le due sfere condividono, il luogo in cui s'incontrano.

L'autorità temporale potrebbe però interpretare questa pretesa del santo come qualcosa di circoscritto a quelle decisioni politiche riguardanti, in modo più o meno diretto, le questioni religiose, di modo che per il resto delle decisioni politiche si verificherebbe una situazione di amoralità. L'episodio della strage di Tessalonica chiarisce questo particolare in modo nuovo per le categorie dell'epoca. Qui non c'è un motivo religioso, reale o apparente, che inviti il santo a intervenire:  a Tessalonica si sono verificati gravi tumulti, contrari all'ordine pubblico, e Teodosio, nell'esercizio della sua sovranità, ha firmato l'ordine di giustiziare, senza discriminare fra innocenti e colpevoli, parte della popolazione della città.

Di fronte a tale abuso, il vescovo dichiara l'imperatore fuori dalla commissione ecclesiastica e lo esorta a pentirsi e a fare penitenza. Questa condanna religiosa di una decisione politica sottolinea l'impossibile estraneità alla moralità di qualunque atto di governo, qualsiasi sia la sua entità. Pone in tal modo l'accento sul fatto che ogni atto dell'uomo - religioso, politico o di altra natura - è un atto morale, ovvero un atto con il quale si orienta, o no, verso Dio.

Strettamente vincolato a questo argomento e da esso derivato, è il pensiero di sant'Ambrogio sul carattere relativo della sovranità del potere temporale:  l'autorità politica non è un potere alla mercé di se stesso e non può esercitare la sua missione in modo arbitrario o senza considerare la presenza di Dio nel Creato e nella storia degli uomini. Così, insieme al rispetto e all'obbedienza dovuti all'autorità politica costituita, il santo sottolinea che la sovranità assoluta corrisponde solo a Dio, fonte e origine di ogni autorità. Per questo motivo, anche in dualità di ambiti, ogni forma di autorità è in ultima istanza legittimata dal suo adeguarsi a quanto disposto dal supremo e divino Legislatore.

Stando così le cose, possiamo cercare di cogliere il senso della sua famosa frase, citata nella disputa per le basiliche, imperator enim intra ecclesiam, non supra ecclesiam (Epistole, 75, 36). Per sant'Ambrogio esiste una chiara gerarchia fra l'ordine temporale e quello spirituale:  posto che Dio deve essere preferito agli uomini e che il potere civile deve rifiutare ciò che può costituire un'offesa a Dio, la sfera religiosa si situa al di sopra di quella temporale. Ebbene, in dualità di ambiti, tale superiorità è esclusivamente spirituale, significa precedenza di colui che è portatore e portavoce di Cristo e non dipendenza o strumentalizzazione, poiché gli ambiti sono autonomi e indipendenti.
 
Infine, vediamo come il santo intende la partecipazione dell'autorità religiosa alle questioni temporali. Sant'Ambrogio segnala la necessità e l'obbligatorietà di questi interventi, quando sono in gioco l'onore o il bene delle anime. Il modo preciso in cui interviene è attraverso giudizi di carattere etico-religioso, la cui finalità principale è di orientare gli imperatori affinché le loro decisioni siano giuste, conformi al volere di Dio.

La causa di questo intervento obbligato del vescovo la identifica nel possesso di un deposito di Verità salvifica, consegnato da Dio alla sua Chiesa per aiutare e invitare gli uomini a seguire le orme di Cristo sulla terra. In tal modo, l'ambito religioso, in virtù della sua superiorità spirituale, è presentato come luce e aiuto insostituibile per l'ambito politico, nel suo compito di promuovere il vero Bene comune.

In definitiva, la proposta di sant'Ambrogio sul modo d'intendere i rapporti fra l'autorità politica e quella religiosa, consta di due elementi centrali:  la dualità degli ambiti e il riconoscimento della centralità di Dio nella storia degli uomini e delle comunità.

Il primo permette ed esprime la maniera adeguata di dare "a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio"; il secondo crea le condizioni affinché la comunità politica, agendo come tale, non dimentichi di dare "a Dio quello che è di Dio". Ci sembra che questi due elementi siano fondamentali per una corretta comprensione del testo evangelico. Nelle moderne società occidentali il modello di dualità di ambiti è pacificamente accettato. Si ha tuttavia l'impressione che le autorità politiche stiano trascurando il fatto che, come tali e nel compimento dei fini che corrispondono loro, devono far sì che nelle società si dia "a Dio quello che è di Dio".

Possono forse essere motivo di riflessione per i responsabili della sfera politica, e anche per tutti i cittadini, il significato del carattere relativo dell'autonomia dell'autorità politica e l'irrinunciabile vincolo dell'esercizio di questa autorità con l'ordine morale, indicati dal santo.



(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 2010)

Fraternamente CaterinaLD

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06/10/2012 21:50
 
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[SM=g1740733] 12PORTE -

27 settembre 2012: L'annuale festa di San Matteo, patrono della Guardia di Finanza, è stata l'occasione di una Messa celebrata dal Cardinale Arcivescovo nella chiesa di Sant'Isaia, adiacente al Comando regionale. Nell'omelia, il cardinale ha toccato il tema spinoso delle tasse, dalla duplice prospettiva di chi è chiamato a pagarle e di chi le deve amministrare.

www.gloria.tv/?media=339303

S. Messa per i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bologna
Chiesa parrocchiale di Sant'Isaia, 21 settembre 2012

1. La narrazione evangelica appena ascoltata è una delle più suggestive, e non a caso ha affascinato molti artisti a rappresentarla visivamente. Per quali ragioni?

In ragione di chi è chiamato: Matteo (o Levi). È un esattore di tasse: oggi si direbbe uno che lavorava all’Agenzia delle entrate. Un lavoro che rende solitamente odioso agli occhi degli altri chi lo compie. In particolare presso gli ebrei del tempo di Gesù. Chi esigeva le tasse per il fisco dell’Impero, riconosceva sul popolo un’autorità che era solo di Dio.

Narrazione suggestiva anche in ragione di come si conclude la chiamata di Matteo da parte di Gesù. Finisce con un pranzo che Matteo offre ai suoi colleghi e a Gesù. Un fatto che mostrava la misericordia senza limiti di Gesù.

A dire il vero, il Signore aveva già detto coi fatti che cosa pensava sul pagamento delle tasse. Richiesto un giorno di pagare la tassa sul Tempio, Egli la pagò per sé e per Pietro. Al riguardo dunque non ha lasciato dubbi. Ed infatti la Chiesa, fin dall’inizio, ha insistito sull’obbligo, come si evince dalle seguenti parole di S. Paolo: "è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo infatti voi pagate le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse"
[Rm 13,5-7].

Prestate bene attenzione alle parole dell’Apostolo. Egli configura un rapporto fra lo Stato ed il cittadino di alto profilo morale. Da una parte questi deve pagare le tasse "non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza". Che cosa significa "ragioni di coscienza"? Per la consapevolezza di un obbligo che non trova giustificazione solo nella legge penale dello Stato, ma nell’esistenza di un ordine morale inscritto nella natura stessa delle cose, ed in ultima analisi in Dio medesimo.

Dall’altra parte, coloro che svolgono questo compito, dice l’Apostolo, "sono a servizio di Dio". Sono cioè al servizio di un bene comune esigito dalla natura stessa della persona umana, creata da Dio.

Come vedete, cari amici, l’Apostolo, e dopo lui tutta la dottrina cristiana vede Stato e cittadino legati dal più forte dei legami, quello della coscienza, in ordine al raggiungimento del bene comune delle persone umane.

Quando questo rapporto si guasta giungendo perfino a corrompersi? Da parte del cittadino quando perde la consapevolezza che il bene comune è frutto della cooperazione di ognuno, e che pertanto è grave violazione della giustizia distributiva volerne usufruire senza cooperarvi. Tutto questo ha un nome: evasione fiscale. [SM=g1740721]

Da parte dello Stato quando perde la consapevolezza di essere al servizio del cittadino; di essere legato ad un obbligo grave di rispettare il patto col cittadino medesimo: do ut facias, dice il cittadino allo Stato. Tutto questo ha un nome: espansione della spesa pubblica.
[SM=g1740721]

Cari amici, questo è quanto è successo. Stato e cittadino si sono mancati di rispetto reciprocamente; non sono stati fedeli al patto, col risultato che si sono danneggiati, e non di rado gravemente. Il danno maggiore è stato la perdita della stima l’uno dell’altro, una perdita sostituita dal sospetto reciproco.

 

2. La Chiesa è chiamata ad aiutare la società civile ad uscire da questa situazione. Certamente è ottima cosa la lotta senza quartiere all’evasione, così come un grande impegno per diminuire la spesa pubblica. Ma non è di questo che vorrei parlarvi: lo fanno già in molti. Vorrei piuttosto richiamare la vostra attenzione, molto brevemente, su un altro punto.

Non si costruisce nulla, se ciò che una mano edifica l’altra distrugge. [SM=g1740733] Nessuno spegne un incendio buttandovi sopra benzina. Non è possibile ricostruire la consapevolezza profonda e vissuta di un bene comune, se continuiamo a trasmettere ai nostri giovani un’idea sbagliata, corrotta, di libertà. Se il paradigma fondamentale dei nostri processi educativi continua ad essere la visione individualista della persona umana, non usciremo mai dalla situazione attuale.
Così come se edificheremo ordinamenti giuridici basati sull’identificazione del diritto soggettivo col desiderio. Se si continua ad abbandonare o comunque a erodere quella visione della legge, che è stata la colonna portante dei nostri ordinamenti giuridici: un ordinamento razionale in vista del bene comune. Un pensatore della fine dell’Antichità scrisse che le leggi non sono promulgate "per nessun bene privato [nullo privato commodo], ma per l’utilità comune dei cittadini" [Isidoro di Siviglia, Libro delle Etimologie 21; PL 82,203A].

È a questo livello educativo che la Chiesa è chiamata soprattutto a ricostruire.

Cari amici, l’incontro di Gesù con Matteo è stato decisivo per il futuro apostolo. È così per ogni vero credente: che questo incontro accada veramente in ognuno di noi, e diventeremo costruttori di una società più libera e più virtuosa.




[SM=g1740722]


[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 06/10/2012 21:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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