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Il Sacramento della Confessione-Riconciliazione

Ultimo Aggiornamento: 20/11/2013 14:38
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18/06/2009 13:40
 
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Chiesa/ Papa a preti: Confessionali deserti non vi scoraggino

"Disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento"


APCOM

Il Papa esorta i sacerdoti di tutto il mondo a non "rassegnarsi" di fronte ai confessionali deserti, sintomo di "disaffezione" nei confronti dei sacramenti e della pratica religiosa.
"I sacerdoti - scrive Benedetto XVI nella lettera stilata per l'avvio, domani, dell'anno sacerdotale - non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento". Richiamando la figura di Jean-Marie Vianney, Curato d'Ars in Francia dopo la Rivoluzione francese, Benedetto XVI sottolinea che alla sua epoca "la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un'esigenza intima della Presenza eucaristica. Seppe così dare il via a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo - ricorda Ratzinger - fece sì che i fedeli cominciassero ad imitarlo, recandovisi per visitare Gesù, e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parroco, disponibile all'ascolto e al perdono. In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno".

© Copyright Apcom

PAPA: PRETI NON RASSEGNATEVI AI CONFESSIONALI DESERTI

I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali ne' limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli verso il sacramento stesso della confessione.
Lo scrive papa Benedetto XVI nella lettera inviata ai tutti preti del mondo alla vigila dell'apertura dell'Anno sacerdotale. Benedetto XVI indica come modello ai preti il curato d'Ars, San Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci e instancabile confessore, capace di rimanere fino a 16 ore al giorno in confessionale. Seguendo il suo esempio, papa Ratzinger esorta a ''mettere al centro delle nostre preoccupazioni pastorali'' il sacramento della confessione, imparando dal curato ''una inesauribile fiducia nel sacramento della penitenza''.

© Copyright Asca





Grazie alla nostra Lapis possiamo leggere questo importantissimo brano, tratto dal libro-intervista
"Rapporto sulla fede", il "colloquio" fra Joseph Ratzinger e Vittorio Messori.
L'allora cardinale ci parla del Sacramento della Confessione, argomento di scottante attualita' visto che e' annunciata l'uscita di una sorta di "vademecum".
Grazie ancora a Lapis :-))
R.

La condizione stessa del sacerdote è singolare, estranea alla società d’oggi.
Sembra incomprensibile una funzione, un ruolo che non si basino sul consenso della maggioranza, bensì sulla rappresentanza di un Altro che partecipa a un uomo la sua autorità.
In queste condizioni è grande la tentazione di passare da quella soprannaturale “autorità di rappresentanza" che contrassegna il sacerdozio cattolico a un ben più naturale “servizio di coordinamento del consenso”, cioè a una categoria comprensibile, perché solo umana e per di più omogenea alla cultura d’oggi.

Dunque, se ho ben capito, a suo avviso si eserciterebbe sul sacerdote una pressione culturale perché passi da un ruolo “sacrale” a un ruolo “sociale”, in linea con i meccanismi “democratici”, di consenso dal basso, che contrassegnano la società “laica , democratica, pluralista”.

Qualcosa del genere- conferma - Una tentazione di sfuggire dal mistero della struttura gerarchica fondata su Cristo verso il plausibile dell’organizzazione umana.

Per chiarire meglio il suo punto di vista ricorre a un esempio che è di grande attualità, il sacramento della riconciliazione, la confessione.

Ci sono sacerdoti che tendono a trasformarla quasi solo in un “colloquio”, in una sorta d' autoanalisi terapeutica tra due persone sullo stesso livello. Ciò sembra assai più umano, più personale, più adatto all’uomo di oggi.
Ma questo modo di confessarsi rischia di avere poco a che fare con la concezione cattolica del sacramento, dove non contano tanto le prestazioni, l’abilità di chi è investito dell’ufficio.
Occorre anzi che il prete accetti di mettersi in secondo piano, lasciando spazio al Cristo che solo può rimettere il peccato. Bisogna dunque anche qui tornare al concetto autentico del sacramento, dove uomini e mistero si incontrano.
Bisogna recuperare interamente il senso dello scandalo per cui un uomo può dire a un altro uomo “Io ti assolvo dai tuoi peccati”.
In quel momento - come del resto nella celebrazione di ogni altro sacramento - il prete non trae di certo la sua autorità dal consenso degli uomini, ma direttamente da Cristo.
L’”io” che dice “ti assolvo” non è quello di una creatura, ma è direttamente l’”Io” del Signore.

Eppure, dico, non sembrano infondate tante critiche al “vecchio” modo di confessarsi.

Replica subito: Mi sento sempre più a disagio quando sento definire con leggerezza “schematica”, “esteriore”, “anonima” la maniera un tempo diffusa di avvicinarsi al confessionale.
E mi suona sempre più amaro l’autoelogio di alcuni preti per i loro “colloqui penitenziali”, divenuti rari, ma “in compenso ben più personali”, come dicono.
A ben guardare, dietro la “schematicità” di certe confessioni di un tempo c’era anche la serietà dell’incontro tra due persone consapevoli di trovarsi davanti al mistero sconvolgente del perdono di Cristo che giunge attraverso le parole e il gesto di un uomo peccatore.
Senza dimenticare che in tanti “colloqui” divenuti sin troppo analitici è umano che si insinui una sorta di compiacenza, un’autoassoluzione che- nel profluvio delle spiegazioni – può non lasciare quasi più spazio al senso del peccato personale del quale, al di là di tutte le attenuanti, siamo sempre responsabili.

Un giudizio davvero severo, osservo: non rischia forse di essere troppo drastico?

Non voglio dire che non si potrebbe avere una riforma adeguata anche della celebrazione esteriore della confessione.
La storia mostra in proposito una tale ampiezza di sviluppi che sarebbe assurdo voler canonizzare per sempre una singola forma, quella attuale.
E’ indubbio che alcuni uomini, oggi, non riescono a trovare più nessuna accesso al tradizionale confessionale, mentre la forma colloquiale di confessione apre ad essi realmente una porta. Perciò non vorrei in nessun modo sottovalutare il significato di queste nuove possibilità e la benedizione che esse possono rappresentare per molti. Del resto, il problema fondamentale non è questo. Il punto decisivo della questione si trova ad un livello più profondo e ad esso volevo richiamare.
Tornando infatti alle radici in cui gli sembra di individuare la crisi del sacerdote, mi parla della tensione di ogni momento di un uomo, come è oggi il prete, chiamato ad andare assai spesso controcorrente.
Un uomo simile può alla fine stancarsi di opporsi, con le sue parole e ancor più con il suo stile di vita, alle ovvietà dell’apparenza così ragionevole che contrassegnano la nostra cultura.
Il prete - colui, cioè, attraverso il quale passa la forza del Signore - è stato sempre tentato di abituarsi alla grandezza, di farne una routine. Oggi la grandezza del Sacro potrebbe avvertirla come un peso, desiderare (magari inconsciamente) di liberarsene, abbassando il Mistero alla sua statura umana, piuttosto che abbandonarvisi con umiltà ma con fiducia per farsi elevare a quell’altezza.

(Rapporto sulla Fede, ed. San Paolo, cap. IV, pagg. 56-58).
[Modificato da Caterina63 18/06/2009 13:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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