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Il Signore degli Anelli

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2015 21:07
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26/05/2010 19:52
 
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La filosofia della provvidenza ne "Il signore degli anelli"

Tolkien e la tessitura degli eventi


Si è svolto a Modena il convegno "Tolkien e la filosofia" organizzato dall'Istituto filosofico di studi tomistici e dall'Associazione romana di studi tolkieniani. Pubblichiamo alcuni stralci della relazione di uno dei maggiori studiosi dello scrittore britannico e, a destra, l'estratto di un intervento durante il dibattito dedicato al tema "Tolkien pensatore cattolico?".

di Tom Shippey

Ne Il signore degli anelli Tolkien non ricorre mai alla parola "provvidenza". D'altra parte, utilizza le parole "fato" e "caso" molte volte. Quindi può sembrare che Tolkien fosse molto più consapevole del fato e del caso che della provvidenza, ma non è vero:  esistono alcuni passaggi in cui l'autore esprime dubbi o permette ai suoi personaggi di farlo sull'esistenza stessa del caso.

Gandalf, per esempio, parlando con Frodo e con Gimli, dopo la Guerra dell'Anello, dice che potremmo definire triste la morte di Dain, il re dei Nani:  "Certo le cose sarebbero potute andare diversamente e molto peggio, ma è stato evitato, perché una sera ho incontrato Torin Oakenshield (...) un incontro casuale, come diciamo nella Terra di mezzo". L'implicazione è che al di fuori della Terra di Mezzo, nelle Terre Immortali, quell'incontro non sarebbe stato considerato affatto un caso. Tutto questo viene suggerito diverse volte altrove.

Ho preso il testo de Il signore degli anelli e ho cercato tutte le espressioni "caso" e ne ho trovate tre. Poi ho provato con "fato" e ne ho trovate due. Ho rinvenuto altre sette espressioni nelle quali le parole caso o fato sono utilizzate per spiegare eventi, ma con il punto interrogativo, come i dubbi di Gandalf o di Bombadil sul fatto che i loro incontri fossero o no veramente avvenuti "per caso".

Tre di queste espressioni mi sembrano particolarmente importanti per la filosofia della provvidenza in Tolkien.
La prima si trova quando Merry e Pippin vengono portati via da Grishnakh, orco al servizio di Sauron, proprio quando i Cavalieri di Rohan attaccano. Grishnakh prende un coltello per ucciderli, ma la freccia di uno dei cavalieri lo colpisce. Quella freccia "è stata lanciata con perizia" oppure è stata guidata dal fato? Non lo sappiamo.

Tuttavia, se non fosse stata "lanciata con perizia", se fosse stata solo un colpo a caso, allora perché dire "guidata"? L'espressione "guidata" implica una guida e una intenzione deliberata. Può essere che anche altre cose in apparenza casuali siano invece intenzioni di qualche forza che non conosciamo.
Questo pensa l'elfo Gildor Iglorion. Incontra Frodo mentre con i suoi amici sta lasciando Shire e mettendo in fuga i Cavalieri Neri.

L'elfo è riluttante a dare a Frodo qualsiasi consiglio perché, come dice:  "Gli elfi hanno i loro problemi e le proprie pene e sono poco interessati agli hobbit o a qualsiasi altra creatura sulla terra. I nostri sentieri si incrociano raramente, per caso o a uno scopo. Quest'incontro dev'essere più che un caso, ma lo scopo non mi è chiaro e temo di dire troppo".

Questo implica di nuovo che l'incontro fra Frodo e Gildor, come quello fra Gandalf e Thorin, non è stato casuale, bensì voluto, ma non da loro. Dunque sono "guidati" da forze sconosciute e, se lo sono loro, lo siamo anche noi? Quando, a Rivendell, Gandalf vede Frodo riprendersi dalla ferita di coltello infertagli dal Cavaliere Nero, dice che è stato fortunato a sopravvivere:  "La fortuna o il fato ti hanno aiutato, per non dire il coraggio. Infatti il tuo cuore è illeso e solo la tua spalla è stata trafitta. E questo perché hai resistito fino allo stremo". Forse il fato ha aiutato Frodo. Tuttavia avrebbe potuto non farlo, se lui non avesse aiutato a sua volta il fato, esercitando il suo libero arbitrio di resistere.

Queste frasi non ci dicono molto né sono chiarissime, ma suggeriscono che ne Il signore degli anelli sono all'opera alcune forze e una di esse, secondo me, è quella che percepiamo come caso, ma che è di fatto il modo in cui opera la provvidenza, quella forza mai menzionata.
È corretto voler vedere nell'opera di Tolkien qualcosa che lo scrittore non menziona nemmeno una volta? Secondo me è implicita in tutta la struttura dei volumi secondo e terzo de Il signore degli anelli. È una struttura molto complessa, si potrebbe anche dire una struttura inutilmente complessa, a meno che non sia lì per richiamare la nostra attenzione su qualcosa.

Innanzitutto, permettetemi di ricordarvi, filosoficamente, cosa dice Filosofia a Boezio sulla provvidenza. Gli spiega che noi umani, in fondo, non siamo in grado di comprendere la natura della provvidenza perché percepiamo le cose a poco a poco, una dopo l'altra e le percepiamo anche come se riguardassero solo noi stessi:  abbiamo una conoscenza solo limitata di ciò che accade al di fuori di ciò che vediamo. Non sappiamo da dove vengono le cose, che si tratti di frecce, di incontri o di altre persone. La Mente Divina non è così. Essa vede ogni cosa che accade, che è accaduta e che accadrà contemporaneamente. Vede le connessioni laddove noi vediamo soltanto eventi slegati tra loro.

Può guidare eventi per sortire risultati che non possiamo prevedere. Può prendere in considerazione le nostre reazioni a quegli eventi per prepararne altri. Boezio utilizza l'immagine della ruota che gira. Al centro non si muove nulla. Alle estremità c'è il cambiamento continuo della Ruota della Fortuna. Re Alfred, traducendo Boezio con molte modifiche in anglosassone, chiarisce proprio questo, affermando che la ruota è la ruota di un carro che poggia su un asse, ha un mozzo, raggi e cerchioni. Siamo tutti sulla ruota, ma siamo lontanissimi dall'asse, che non si muove.

Più lontani si è dall'asse, più ci si sente in balia del caso, o del fato, o della sorte. Tuttavia queste sono solo parole e, per motivi filosofici aggiungerei un altro termine alla lista, ossia "fortuna". Sono tutte parole che servono a esprimere "il modo in cui gli umani percepiscono le azioni della Provvidenza".

Ne Il signore degli anelli Tolkien ci dice questo mostrando persone che non sono in relazione le une con le altre, ma sono sempre influenzate dalle azioni di altri, di cui non sanno nulla. Leggendo il libro, nello stesso tempo osserviamo la percezione limitata dei personaggi e alcuni accenni alla percezione generale della provvidenza. Ciò che chiamiamo "fortuna" è il risultato delle azioni di altre persone. La totalità delle azioni delle altre persone forma un disegno che è stabilito dalla provvidenza. Tuttavia definiamo "fortuna" o "caso", o ancora in anglosassone wyrd, i frammenti che vediamo e dunque la nostra visione parziale di tale disegno. Re Alfred lo ha spiegato con una semplice frase:  "Chiamiamo precognizione di Dio e sua Provvidenza  ciò  che è nella sua mente prima che accada, ma una volta accaduto lo chiamiamo wyrd", ovvero fato o fortuna.

Uno degli esiti narrativi di Tolkien è che, da una parte, il lettore incontra molte sorprese, perché sa ancor meno dei personaggi:  nessuno si aspetta di imbattersi in Merry e Pippin che fumano tranquillamente presso le rovine di Isengard perché l'ultima scena li mostrava guardare giù verso la Valle del Mago con Isengard ancora intatta. Nessuno si aspetta che Gandalf appaia di nuovo da Moria.

Il signore degli anelli quindi fa due cose. Ci mostra le azioni come sono percepite dai personaggi, quando sembrano essere il risultato del caso. Ci mostra anche che sono, invece, gli esiti di catene di decisioni, che formano un modello che possiamo di certo definire provvidenziale. Non c'è alcun dubbio sul libero arbitrio dei personaggi, che devono prendere le loro decisioni senza sapere assolutamente se sono giuste o meno. Aragorn deve farlo continuamente e a un certo punto sembra scoraggiarsi e dice a Legolas:  "Dai la possibilità di scegliere a uno che non sa scegliere. Da quando siamo passati attraverso l'Argonath le mie scelte sono andate male".

Gandalf, però, sottolinea che le cose sono andate inaspettatamente bene, perché "fra loro i nostri nemici hanno macchinato per portare Merry e Pippin con straordinaria velocità, in un attimo, a Fangorn, dove altrimenti non sarebbero mai arrivati". Ci sono molti di questi rinvii, non tutti immediatamente evidenti. Avremmo potuto pensare fosse stata la "fortuna" a salvare Frodo dall'Occhio di Sauron su Amon Hen, ma non è stata la fortuna, è stato Gandalf. Tuttavia lo scopriamo solo sessanta pagine dopo e un lettore poco attento potrebbe perfino non capirlo mai. Il rinvio più importante, secondo me, ma alcuni non sono d'accordo e molti altri non se ne sono mai accorti, deriva dai palantir. Questi ingannano continuamente chi li usa. Prima Sauron, poi Denethor, cercano di indovinare cosa accadrà dopo e programmare di conseguenza le loro azioni. Questo è un errore terribile, come dice Galadriel a Sam dopo aver guardato nel suo Specchio:  "Alcune cose non accadranno mai, anche se coloro che hanno queste visioni devieranno dal loro cammino per farle accadere".

Prendete le vostre decisioni, non cercate di saperne di più della provvidenza. Quest'ultima è risultato di tutte le decisioni, le intesse tra loro nel suo modello provvidenziale. Nessun umano può sapere come andrà perché "perfino i saggi non possono saperlo".

Penso che questa sia una dichiarazione molto chiara, molto più chiara, di fatto, di quella della Filosofia a Boezio, ma essenzialmente identica. Qui il concetto viene espresso con un linguaggio non filosofico, come una storia, non come un'argomentazione, come un insieme di esempi, non come una tesi. Essendo un filologo e non un filosofo trovo gli esempi molto più facili da comprendere del principio generale.

Tolkien non è stato l'unico autore inglese  a  giungere  a  questa  conclusione.
George Eliot, nome d'arte di una donna, nel suo breve romanzo Silas Marner racconta una serie di disastri:  un avaro derubato del suo oro, una fanciulla che si è smarrita, un padre scomparso, un ladro che non viene mai scoperto. È anche degno di osservazione, e ai filologi questo piace molto, che è uno dei pochissimi romanzi inglesi di tutti i tempi in cui nessuno parla un inglese corrente:  parlano tutti una forma o l'altra di dialetto provinciale.

Alla fine, gli eventi non sono riassunti da un narratore istruito, ma da Dolly Varden, una povera donna di campagna che parla solo il suo dialetto. Fa un lungo discorso, che in realtà è sulla provvidenza. "Noi - afferma - vediamo solo parti degli eventi e ci possono sembrare dei disastri, ma, se li vedessimo nel loro insieme, forse non ci sembrerebbero tali".
La cosa ancor più strana nel suo discorso è che si tratta chiaramente di una parafrasi del paragrafo 6 del quarto libro del De consolatione philosophiae, ma, sebbene questo romanzo sia stato studiato, pubblicato e arricchito di note più volte, non credo che i miei colleghi nel campo letterario degli studi inglesi se ne siano mai accorti.

Perché avrebbero dovuto? Boezio scriveva in latino, lingua che non fa parte del programma di studio inglese. Nelle facoltà di inglese non si studia la filosofia.
Ahimé, tutto ciò fa parte della crescente suddivisione in settori degli studi nella moderna università. Tuttavia, senza la filosofia non possiamo sempre comprendere la narrativa; Tolkien, con il suo amico Lewis, è stato uno dei grandi comunicatori di filosofia al mondo moderno, che corre il pericolo di dimenticarla.


(©L'Osservatore Romano - 27 maggio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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