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Non ho capito un passo del Vangelo (chiarimenti e approfondimenti sulla Scrittura)

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2018 19:20
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Da un vecchio dialogo del 2004, ritengo utile riproporre questo sereno confronto... [SM=g1740717]

ometterò volutamente i nomi tranne quelli dei Moderatori...

(Messaggio originale) Inviato: 11/10/2004 23.06

Qualche giorno fa aprendo una pagina a caso del vangelo mi sono imbattuto in un passo che mi ha lasciato un po perplesso e di cui non ho probabilmente capito il significato.Lo riporto per intero:

- Ed ecco una donna cananea,di quella regione,si avvicinò e gridò: "abbi pietà di me,Signore figlio di Davide,la mia figliola è tormentata da un demonio!"
Ma Egli non le rispose nemmeno una parola. Allora i suoi disciepoli si avvicinarono e lo pregarono: "rimandala contenta perchè ci vien dietro gridando!". Gesù rispose ; "io non son stato mandato che alle pecore perdute d'israele".
La donna tuttavia,fattasi avanti,si prostrò e insisteva : "Signore aiutami!". Egli gli rispose : "non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". Riprese la donna ;"si,signore,ma anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni". Allora Gesù : "o donna,la tua fede è grande,ti sia fatto come vuoi!"
E da quel momento la sua figlia fu guarita .-

Innanzitutto mi ha lasciato alquanto perplesso il comportamento di Gesù...perchè mai "non le rispose nemmeno una parola"???. E perchè mai solo sotto l'incitamento dei discepoli decide di rispondere e afferma ""io non sono stato mandato che per le pecore perdute d'israele"?? ma il suo non è "mandato" universale?
Poi non ho compreso le similitudini con i cagnolini...mi sfugge il senso...
Thanks


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Inviato: 11/10/2004 23.53

Forse l'atteggiamento di Gesù è stato una voluta provocazione per provare fino a che punto quella donna avesse fede

Infatti, la umilia, la fa sentire come un cane che elemosina delle briciole, ma la donna non cede e forse è questo l'insegnamento che se ne deve trarre: avere costanza e fiducia in Dio nonostante le prove a volte dolorose che dobbiamo sopportare.




Inviato: 12/10/2004 0.12

vuoi praticamente dire che Gesù ha paragonato la donna e il suo popolo a dei cagnolini????beh se veramente è cosi e se ci fossi stato io al posto di quella donna,non so se Gesù sarebbe tornato tutto intero dai suoi discepoli...



Inviato: 12/10/2004 0.36

E cos'avresti imparato? Nulla.

Avresti semplicemente soddisfatto il tuo orgoglio.

Invece, quella donna imparò che la forza della fede va oltre l'orgoglio e può fare miracoli.

Inviato: 12/10/2004 0.53

si forse hai ragione..
allora domani andrò dal prete della mia parrocchia e gli suggerirò di testare la fede dei suoi parocchiali chiamandoli "cani "quando questi gli chiederanno qualche favore...
Qui non si tratta di avere orgoglio o meno..si tratta solo del fatto che la donna è stata offesa senza aver fatto nulla di male,sempre se l'interpretazione giusta del passo è quella che hai fatto tu


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Inviato: 12/10/2004 7.26

Perchè quella donna avrebbe dovuto avere tanta fede in uno sconosciuto?
Uno sconosciuto che suscitava successo e faceva adepti, certo, ma sempre sconosciuto.
Chi poteva rassicurare quella donna che quell'uomo non fosse un imbonitore come tanti ce n'erano e ce ne sono?

Noi diciamo che l'insistenza di quella donna fosse mossa dalla fede, qualcun altro potrà dire che fosse mossa dalla creduloneria.

o no?



Inviato: 12/10/2004 8.20

Non credo che quella donna pensasse di essere di fronte ad un imbonitore altrimenti, dopo la prima rispostaccia, se ne sarebbe andata incavolata. Proprio come dice ****.

La creduloneria ha dei limiti, la fede no.



°Gino¹ Inviato: 12/10/2004 8.21

Da un'omelia presa da Totus Tuus, credo che sia chiarissima questa parabola e soprattutto il suo insegnamento..... spero che **** sia soddisfatto [SM=g7560]

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. Il carattere universale della salvezza in Cristo Gesù.

L'incontro di Gesù con la "cananea" ci offre elementi fondamentali della storia della salvezza. Da una parte incontriamo il pregiudizio dei discepoli che desideravano liquidare rapidamente la donna che rallentava il cammino del maestro. L'evangelista dice che era "cananea" volendo dire che era pagana, e cioè che non apparteneva al popolo giudeo. Cosa si può cavare da una donna che viveva ai margini del popolo eletto? Gesù stesso aveva dato ai dodici la seguente indicazione: "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele" (Mt 10,5-7). Dall'altra parte però, questo passo ci mostra l'atteggiamento di Gesù verso i pagani. Restava chiaro che Gesù era venuto a recuperare le pecore sperdute della casa d'Israele. Egli era stato inviato per questo. Era la sua missione.

Tuttavia, Gesù può fare un'eccezione quando incontra una fede solida che riconosceva che la salvezza viene da Dio. In questo caso, si tratta della grande fede della donna che non chiede nulla per sé, ma solo per sua figlia. Ha una fiducia assoluta nel potere di Cristo. Sant'Ilario de Poitiers vede nella donna cananea i proseliti (pagani convertiti alla fede ebraica e, in questo caso alla fede cristiana) e nella figlia vede tutti i popoli pagani, chiamati anche loro a aderire alla fede. In un certo senso non si tratta di un'eccezione, ma bensì di un principio generale: i non giudei hanno gli stessi privilegi dei figli d'Israele a condizione però che abbiano una fede sufficiente. E qui si ripete il caso del centurione: "non ho incontrato una fede tanto grande in Israele". La Chiesa capì immediatamente questo principio e lo applicò largamente alla predicazione del Vangelo.

È importante sottolineare che la fede di cui si sta parlando è una risposta alla rivelazione di Dio. Di fronte a un Dio che si rivela la risposta appropriata è l'obbedienza della fede. La "cananea" attraversava, in questo modo, non solo la frontiera geografica del popolo giudeo, ma aderiva in modo iniziale ma profondo alla rivelazione di Cristo. La donna si rivolgeva a Gesù con lo stesso titolo che si sarebbe dato al futuro re d'Israele: Figlio di Davide e aggiunge anche un altro titolo con il quale solitamente i discepoli chiamavano Gesù: Signore. La grandezza della fede della cananea sta nel penetrare nel cuore misericordioso di Gesù per scoprire che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi. Non si toglierà il pane ai figli, ma c'è cibo a sufficienza, affinché i cagnolini si nutrano delle briciole che cadono a terra dalla mensa dei loro padroni. È tanto grande il dono e tanto profonda l'indigenza umana che vale la pena sopportare qualche sofferenza, qualche umiliazione, qualche sacrificio e con questi partecipare alla salvezza degli uomini che viene da Dio. La cananea accettava la rivelazione di Gesù come si presentava, accettava il misterioso piano di salvezza, accettava la propria povertà e, proprio in questa accettazione sta la sua ricchezza. La risposta della cananea alla rivelazione di Gesù è la fede. Nel tempo che stiamo vivendo, nel quale si sta insinuando il pluralismo religioso, conviene mantenere saldamente la distinzione tra la fede teologale, che è accoglienza della verità rivelata da Dio Uno e Trino, e la credenza propria delle altre religioni, che è un'esperienza religiosa di ricerca della verità assoluta, ma manca del consenso a un Dio che si rivela (cf. Dominus Iesus, 7).


2. La fede nella preghiera.

La preghiera della donna cananea ci aiuta a scoprire alcuni tratti fondamentali della nostra relazione con Dio. La sua richiesta: Abbi pietà di me risuona continuamente nei salmi ed esprime adeguatamente la situazione della creatura di fronte al suo creatore. Si tratta di una preghiera di richiesta nella quale si manifesta la convinzione che Dio può realizzare ciò che si chiede, cioè che Egli ha il potere di curare la bambina e cambiare una situazione concreta. È una fede che ottiene quello che chiede perché chiede quella che è la volontà di Dio. Si tratta perciò di chiedere quello che Dio vuole che chiediamo. Da un'altra parte, il passo evangelico ci mostra che la preghiera è una lotta, un combattimento spirituale che ci porta a conformarci con la volontà di Dio, uno "strappare le grazie", come Cristo stesso ci ha indicato: "chiedere…cercare…toccare" La preghiera ottiene ciò che sollecita perché mantiene la sua condizione di povertà e mostra a Dio le sue necessità. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce (Salmo 34,7).

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. Il rinnovamento della preghiera.

In questi giorni ci si offre la possibilità di rinnovare la nostra vita di preghiera. Il mondo irrequieto in cui viviamo non ci lascia neanche un minuto, un piccolo spazio per raccogliere la nostra anima e innalzarla a Dio. Noi ci troviamo in un certo senso "estroversi", distratti dalle cose e dagli accadimenti. Non siamo capaci di riservare alcuni minuti per la preghiera personale. Sarà molto utile creare le condizioni necessarie per trovare un contatto più diretto e spontaneo con Dio Nostro Signore. Lo possiamo fare rinnovando le preghiere che da bambini offrivamo a Dio alla mattina e alla sera. Lo possiamo fare durante la preghiera di benedizione del cibo, prima di mangiare, mentre preghiamo Dio per la nostra famiglia e per i nostri figli.

Quale grande e profonda esperienza è quella di una famiglia che prega tutta unita! Come rimangono scolpite nella mente dei bambini le preghiere recitate insieme al padre e alla madre! Le testimonianze delle persone che ritornano alla fede dopo molti anni di distacco sono eloquenti: la prima cosa che fanno è tornare alle preghiere dell'infanzia, che hanno appreso dalla mamma, le preghiere fondamentali del cristianesimo, soprattutto il Padrenostro e l'Ave Maria. Non ne conoscono altre, e cominciano a ripetere le Ave Maria una dopo l'altra, donando al proprio spirito la pace e il tempo di cui ha bisogno durante la giornata. Ravviviamo la nostra fede nella preghiera. Imponiamoci questa ascesi, che suppone di dedicare un minuto al giorno al silenzio interiore e al dialogo profondo con Dio. La nostra anima otterrà pace, speranza, fortezza per affrontare le circostanze della vita.


2. L'amore non si ferma di fronte alle difficoltà.

È vero, l'amore non conosce dilazioni, non conosce ostacoli. L'amore consiste in un costante atteggiamento di donazione e di sacrificio in favore della persona amata. È questo ciò che vediamo nella donna cananea. La sua preghiera a Gesù è tutta rivolta in favore della propria figlia.

Considerazioni

1) la richiesta della donna: con fede e umiltà (appariranno chiaramente dopo)
2) il primo silenzio di Gesù nei suoi confronti:

a) per poter spiegare come il futuro miracolo non sarebbe stato contraddittorio con le indicazioni date in precedenza
(Mt 10,5-6): "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele". Chiunque ha fede è una pecora della casa d'Israele.

b) perché crescesse la devozione della donna: a volte Gesù tarda ad esaudirci perché ci leghiamo di più a lui: (Sal 49,13) "...l'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono".

3) la fede della donna, che riconosce la divinità di Gesù:
Mt 15,25: Ma quella venne e si prostrò (adorazione) dinanzi a lui dicendo: "Signore (titolo divino) , aiutami!".

4) l'umiltà della donna che non contraddice Gesù quando le dice che "non si può dare ai cani il cibo dei figli", ma ammette la sua condizione di peccatrice. Nota come passa da "cani" a "cagnolini", quasi dichiarando che ciò che è oggettivamente degno di disprezzo (i cani) per Gesù è oggetto di compassione (cagnolini): Il "cane" può essere cacciato e disprezzato, ma un "cagnolino" richiama tenerezza. E la donna, benché respinta, crede di non poter essere disprezzata da Gesù, ma intuisce i sentimenti di tenerezza e misericordia pur non ancora appieno rivelati.


Raccomandiamoci alla Madonna , che ci ottenga un fede simile a quella della Cananea: "E' da notare la grande fede della donna cananea: crede nella divinità di Gesù, quando lo chiama "Signore", nella sua umanità quando lo chiama "Figlio di David". Non chiede nulla presumendone il merito, ma si aggrappa alla sola misericordia di Dio quando dice "Abbi pietà di me"

Le meditazioni sono del sacerdote Alfredo M. Morselli


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7978Pergamena Inviato: 12/10/2004 9.46

vuoi praticamente dire che Gesù ha paragonato la donna e il suo popolo a dei cagnolini????
.........

Amico mio....perchè ti scandalizzi? [SM=g7560]
Non ci ha paragonati A TUTTI, Gesù, alle PECORE CHE RICONOSCONO LA VOCE DEL PADRONE? [SM=g7609]
E non ha paragonato la cura del Padre verso di noi ad una Chioccia che accudisce i suoi PULCINI??
E non ha fatto il paragone con gli uccelli nel cielo?
E a Pietro non ha detto: PASCI I MIEI AGNELLI ??
E non ha detto...VI FARO' PESCATORI DI UOMINI....in paragone con i pesci che i due apostoli prendevano come lavoro mediante la pesca?

Dunque siamo:
-pescati;
-accuditi come pulcini;
-paragonati ai gigli dei campi e agli uccelli per quanto riguarda i doni che il Padre ci elargisce;
-agnelli da accudire;
-greggi da convogliare in un unico Ovile.....


Il paragone con i cagnolini, come diceva anche Y**** è sottointeso non all'essere quattrozampe....MA ALLA FEDELTA' CHE E' INSITA NEL CANE....a quel CHIEDERE....a quel MENDICARE...non dimentichiamo san Domenico di Guzman, Fondatore dei Domenicani, la mamma poco prima di partorirlo vide un cane chiazzato bianco e nero che con una torcia in bocca incendiava il mondo con il fuoco della Verità e da allora i Domenicani (termine che popolanamente sottolinea l'essere cani=FEDELI del Signore) sono sempre stati associati a questa immagine .... [SM=g1740727]

La donna non è stato affatto offesa, ma Gesù fece predominare nella scena LA FEDELTA' E LA RICHIESTA MENDICATRICE DI UN FAVORE.. [SM=g7831] ...non siamo forse disposti A VENDERE L'ANIMA o comunque non facciamo ogni cosa che è in nostro potere....per un posto di lavoro, per una gratificazione.....per una somma di danaro in più...ecc.....?? Non siamo forse disposti a pagare somme ingenti per una cura medica, per un viaggio sognato, per rimettere in ordine i denti..?? [SM=g7574]
...cerchiamo di vedere sempre le cose nella loro PROSPETTIVA...
Gesù stesso è paragonato dalla Bibbia all'AGNELLO.. [SM=g7831] ..CARNE CONDOTTA AL MACELLO.... [SM=g1740720] ..

Gesù usava spesso quelle immagini che la gente viveva nella quotidianità. e che avrebbe potuto comprendere meglio..non avrebbe certo potuto fare paragoni con un E.T. o con un Excalibur... [SM=g7560] ....

Nella famosa Lettera Didachè....si chiede anche di non dare l'Eucarestia ai cani......perchè? Perchè l'avanzo del pane veniva dato agli animali sia ai maiali quanto ai cani domestici perchè i mangimi confezionati all'epoca non esistevano, e si davano dunque gli avanzi della tavola.......nella Didachè emerge che quel PANE una volta consacrato non è più pane semplice e il darlo ai cani diventava ed è blasfemia perchè quel Pane è vero corpo di Cristo.. [SM=g7574] ...

A prescindere dalle intenzioni dell'uomo il fatto serve PRINCIPALMENTE A NOI per comprendere l'importanza di quel cibo.....a non sprecarlo, a non sciuparlo...a trattarlo con DECOROSO E DIGNITOSO RISPETTO......

CARO N****......

la tua domanda è l'eterna domanda che ogni persona si pone.....quella donna AVEVA BISOGNO DI QUALCOSA...ed era urgente.....si trattava della propria figlia.... qualsiasi genitore avrebbe fatto ricorso a QUALSIASI COSA E PERSONA pur di trovare una soluzione e di salvare quella figlia... [SM=g7831] ..
quell'atteggiamento di Gesù è volto alla donna e a noi....per ricordarci che la soluzione del problema NON STA ESCLUSIVAMENTE NEL MIRACOLO...e non sarà il miracolo in sè che risolve il problema....ma LA FEDE...quella smuove le montagne anche quando i miracoli NON avvengono...posso dunque NON ricevere alcun miracolo, ma conservare con questa Fede LA MEDESIMA DIGNITA' di chi è stato graziato... [SM=g7831]

Molti di noi sono, siamo...CREDULONI...come segnala ****, la fede è appunto ben altra cosa.....
Se fosse stata solo una credulona...credo che Gesù avrebbe ricevuto come risposta una bella PAROLACCIA... [SM=g7563]

E' come la donna al pozzo.....LA SAMARITANA ricordate?
"chiunque beve di quest'acqua, avrà ancora tanta sete, ma se tu berrai l'acqua che io ti darò...non avrai più sete...."
Non è così l'acqua di Lourdes in sè ad essere prodigiosa.....
Anche in natura abbiamo piante curative...come mai non su tutti hanno gli effetti benefici che producono invece su altri?

Infine come leggevo al messaggio postato da Gino, Gesù era venuto per compiere una missione che solo in un secondo tempo SI ALLARGA ALMONDO INTERO.....Non è un caso che Egli sia nato Ebreo.....dovevano avverarsi le Scritture, altrimenti quelle Scritture erano uguale che ad un romanzo storico e mitologico......dunque il primo messaggio e la prima parte della missione riguarda ESCLUSIVAMENTE AD ISRAELE.....alle "pecore smarrite"......Gesù dice anche che ci sono molte percore di ALTRI OVILI......ma che Lui appunto è venuto per formare UN SOLO OVILE SOTTO UN SOLO PASTORE.......PADRE, prega Gesù, FA CHE SIANO UNA COSA SOLA PERCHE' IL MONDO CREDA......

Con la Pentecoste si allarga questa missione, lo spiega bene Paolo nelle sue lettere....ecco il messaggio allora rivolto ai gentili e ai pagani forse anche più LIBERI di accettare l'annuncio nuovo....
L'eccezione che Gesù compie su quella donna, INSEGNA AI SUOI DISCEPOLI che tale messaggio può essere allargato a chiunque CHIEDE.... [SM=g7831] ...
Non vi è nessun mistero occulto dunque all'attaggiamento di Gesù....è solo una GRADUALITA'.....perchè tutto ciò che leggiamo nei Vangeli prettamente era soprattutto volto ad ammaestrare i Discepoli e a far capire loro la portata dell'Annuncio e il ministero di cui avrebbero dovuto occuparsi.......

Fraternamente Caterina [SM=g1740750] [SM=g7182]




Inviato: 12/10/2004 17.23

mah,sarà....ci devo riflettere, comunque grazie, ora ho molto materiale sul quale meditare!

7978Pergamena Inviato: 12/10/2004 17.27

.....eheheheh caro **** e te pare poca cosa poter dire..."ci devo pensare"...anzichè avanzare precipitosamente solo per provare a se stessi di avere ragione senza appunto...pensarci un pò su?? [SM=g7560]

Quando vuoi sai dove trovarci..

Fraternamente Caterina

Teofilo Inviato: 12/10/2004 23.26

Riporto:

Innanzitutto mi ha lasciato alcuanto perplesso il comportamento di Gesù...perchè mai "non le rispose nemmeno una parola"???. E perchè mai solo sotto l'incitamento dei discepoli decide di rispondere e afferma ""io non sono stato mandato che per le pecore perdute d'israele"?? ma il suo non è "mandato" universale?
Poi non ho compreso le similitudini con i cagnolini...mi sfugge il senso...

*****************
Caro *****,
siccome il caro Gino ha provveduto a trovarti un ottimo commento al brano, mi limito a fare solo qualche mia breve considerazione.
Nel Vangelo troviamo a volte che Gesù col suo comportamento si prefigge di portare gradualmente i suoi interlocutori a determinate conclusioni.
Anche attraverso i miracoli, e non solo attraverso le parole, notiamo questo stile.
Gesù sapeva che alla fine avrebbe graziato la donna, ma evidentemente si prefiggeva con la sua apparente durezza di far esprimere a quella cananea il meglio che poteva esprimere: la sua fede attraverso il riconoscimento della signoria di Gesù. Una fede che non aveva trovato nel suo stesso popolo. La donna cananea impersona in un certo senso la stessa Chiesa in cui sarebbero entrati tutti i pagani del mondo.


Ho notato in questo brano anche l'intervento degli apostoli.
Gesù attende che siano essi a intercedere per la donna prima che Egli parlasse ed agisse. Quale grande importanza hanno le preghiere di intercessione, specialmente quelle degli uomini cari a Dio! E anche se il SIgnore sembra ancora tergiversare nell'esaudire, lo fa solo a scopo didattico, perchè intende far maturare progressivamente le sue creature, sia pure quando esse si trovano ai margini o al di fuori del suo regno.

Con affetto Teofilo


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[Modificato da Caterina63 15/01/2009 21:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/07/2010 15:26
 
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Ci scrive Claudio 2010 nel Blog sull'osservatorio degli errori catecheteci del Cammino Neocatecumenale:

Mic riporta una frase di Kiko ritenendola una delle più blasfeme.
"Forse che Dio ha bisogno del Sangue del Figlio suo, del suo sacrificio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel sacrificio di Suo Figlio alla maniera degli dei pagani....? "

Ma ???? Non so tu cosa capisci in questa frase di Kiko che hai citato (però me lo dovresti spiegare bene), io ci capisco, ed è quello che s'intende, e cioè che Gesù non è stato sacrificato dagli uomini per placare l'ira di Dio, ma al contrario Dio l'ha inviato a sacrificarsi per la nostra conversione, per la conversione umana.
Dimmi come fai a capire un'altra cosa, diversa da quella che ti ho scritto.

*****************************

Rispondo io, Caterina (nel collegamento sopra al titolo, troverete altre risposte):

C'è un problema di fondo ed è quello di far diventare UNA OPINIONE UNA SORTA DI DOTTRINA O LA SUA APPENDICE...

Gli errori sono molteplici in queste affermazioni:

1) Kiko sbaglia la domanda e l'osservazione;
2) Claudio 2010 per assolvere Kiko ed evitare di dire che l'osservazione è sbagliata, si riprende inserendo una risposta cattolica, ma che non assolve affatto la domanda di Kiko...



SI! Dio aveva bisogno di quel Sangue Divino....aveva bisogno dell'AGNELLO PURO E IMMACOLATO, il perchè lo spiega san Paolo con il NUOVO ADAMO!
Cristo è il Nuovo Adamo
!
L'errore di Kiko sta in quell'aggiungerci:
"PER PLACARE LA SUA IRA"...
ora chiediamoci: quando mai la Chiesa ha insegnato che il Sacrificio di Cristo era per PLACARE L'IRA DI DIO?


Impostare dunque così una catechesi è un errare in partenza ed un falsare la risposta...

La risposta corretta era:
"Scusami Kiko, ma che c'entra l'ira di Dio?"


Quindi non è la Chiesa ad aver fatto di Dio un Padre che aveva bisogno del Sangue del Figlio PER PLACARE LA SUA IRA...
mentre invece la Chiesa ha sempre insegnato che quel SANGUE INNOCENTE ERA NECESSARIO PER SALVARCI...

E' Kiko che imbroglia le carte

Dio Padre semmai in quel Sangue versato e in quel Corpo dionato SI COMPIACE!!!!
lo dice quella Voce che dice davanti a tutti: "Questi è il mio Figlio NEL QUALE MI SONO COMPIACIUTO!"




nessuna ira da placare, MA SOLO PURO COMPIACIMENTO DI UNA DONAZIONE TOTALE A FAVORE DELL'UOMO...
ma quel Sangue puro ERA NECESSARIO!
e resta un mistero che un Dio si grande abbia avuto "bisogno" del Sacrificio del Figlio per salvarci...ma questi sono i fatti, ogni altra SPECULAZIONE rischia di uscire fuori dall'ortodossia!

P.S.

l'IRA DI DIO è ben altra cosa e ben altra situazione che solitamente accompagna tutto l'Antico Testamento per placarsi CON L'AVVENTO DELL'INCARNAZIONE...

Senza dubbio nell'A.T. abbiamo la descrizione di un Dio che perde la pazienza, punisce e ci ripensa (leggasi il Diluvio per esempio); di un Dio che fa a cazzotti con Giacobbe...mentre Gesù si limiterà a cacciare i mercanti dal tempio...e si farà baciare dal traditore...

L'Ira di Dio è palese e tangibile fino all'arrivo del Messia...
è ovvio pertanto, che a voler fare i pignoli, l'Incarnazione di Dio MODIFICA IL SUO RAPPORTO CON L'UOMO...
un Dio che non ingaggia più
gli Eserciti ma da il via alla Chiesa...
un Dio che dice di deporre le armi, ma avverte a Pilato che il potere che ha gli è stato dato dall'Alto, dunque un Dio che legittima L'AUTORITA' DELL'IMPERATORE

Se l'Antico Testamento non viene letto in chiave CRISTOLOGICA E CATTOLICA, sarà difficile comprendere il cambiamento che si legge dal Dio dell'A.T. al Dio INCARNATO....quasi con la tentazione di Marciano di DIVIDERE i due testi solo perchè non si comprende la differenza fra Gesù Cristo e il Padre....e questo povero Spirito Santo usato sempre e sola come forza motrice ma mai come TERZA PERSONA DELLA TRINITA' AVENTE PARTE AI FATTI...


Dal Catechismo Chiesa Cattolica:

1330 Memoriale della passione e della risurrezione del Signore.

Santo sacrificio, perché attualizza l'unico sacrificio di Cristo Salvatore e comprende anche l'offerta della Chiesa; o ancora santo sacrificio della Messa, « sacrificio di lode » (Eb 13,15), (156) sacrificio spirituale, (157) sacrificio puro (158) e santo, poiché porta a compimento e supera tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza.

Santa e divina liturgia, perché tutta la liturgia della Chiesa trova il suo centro e la sua più densa espressione nella celebrazione di questo sacramento; è nello stesso senso che lo si chiama pure celebrazione dei santi misteri. Si parla anche del Santissimo Sacramento, in quanto costituisce il sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo.

1336 Il primo annunzio dell'Eucaristia ha provocato una divisione tra i discepoli, così come l'annunzio della passione li ha scandalizzati: « Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? » (Gv 6,60). L'Eucaristia e la croce sono pietre d'inciampo. Si tratta dello stesso mistero, ed esso non cessa di essere occasione di divisione: « Forse anche voi volete andarvene? » (Gv 6,67): questa domanda del Signore continua a risuonare attraverso i secoli, come invito del suo amore a scoprire che è lui solo ad avere « parole di vita eterna » (Gv 6,68) e che accogliere nella fede il dono della sua Eucaristia è accogliere lui stesso.





[Modificato da Caterina63 14/07/2010 15:51]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L'albero genealogico del Messia

Ascoltando durante la celebrazione della Santa Messa, il brano evangelico della genealogia di Gesù., ci saremo certamente chiesti cosa significhi quella lunga e monotona serie di nomi. Cerchiamo qui, di capirne insieme il messaggio.

«Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di David, figlio di Abramo».


Con questo primo versetto Matteo ci suggerisce l’ottica per interpretare la figura di Cristo, come figlio di David, cioè figlio di colui al quale Dio aveva promesso un discendente che sarebbe stato re; e figlio di Abramo, che vuol dire figlio di colui al quale Dio aveva promesso una discendenza e una benedizione per tutte le famiglie della terra.


Ma come si compie la promessa di Dio? Il "come" sta in quella serie di nomi che scandiscono la storia di Israele a cominciare da «Abramo generò Isacco».

La storia della salvezza infatti, incomincia con la promessa fatta ad Abramo, senza merito umano, è puro inizio, è un puro dono!

«Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar»: una straniera. è la prima donna che viene nominata nella genealogia , poi dopo di lei, persone di cui non sappiamo nulla. Fares, Esròm, Aram, Aminadàb, Naasòn, Salmòn, appartengono ai secoli oscuri della permanenza di Israele in Egitto. Sembra che questa terra , con le sue sabbie e le sue paludi, abbia coperto anche il ricordo della promessa di Dio. Tuttavia, la Parola di Dio rimane viva, e domina gli avvenimenti.

Dopo questa serie di generazioni oscure, «Salmon generò Booz da Racab». Racab è una prostituita; che ha riconosciuto nella fede il Dio di Israele e la validità delle sue promesse .

«Booz generò Obed da Rut»: altra donna stupenda. Rut, nonostante sia una Moabita, ha amato sinceramente il suo sposo, e si è presa cura della madre di lui, tanto che, rimasta vedova, sta con la suocera e l’accompagna nella terra di Israele.

Dopo di lei viene Iesse e poi David. Qui finalmente si potrebbe dire: la promessa ha trovato una realizzazione. Era stato detto ad Abramo:« in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3)...« farò di te un popolo grande». (Gen 12,2). Ora il nome grande è arrivato, perché David è un re grande. Ma la promessa di Dio non si ferma a David:«David generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria». Nella vita di David non va tutto bene, troviamo un adulterio e addirittura un omicidio commesso per coprirlo. E tuttavia, nonostante questo, la storia della promessa continua.

Il  sogno di Abramo (miniatura) Il sogno di Abramo (miniatura)

Dopo Salomone viene Roboamo, un re sciocco che provoca la divisione del regno. Poi seguono altri re fino a «Giosia, che generò Jeconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia». Qui si potrebbe dire:«è fatta, avevamo un regno, abbiamo rovinato tutto». La deportazione provocaca la perdita di ogni autonomia politica., è l’annientamento per un popolo.

La genealogia continua: «Jeconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabéle, Zorobabéle generò Abiùd». Fino a Zorobabéle ci orientiamo: di lui sappiamo chi era, ma dopo di lui nuovanente il buio. Abiùd, Eliacim, Azor, Sadoc, Achim, Eliùd, Eleàzar, Mattan: chi sono costoro?. E’ semplicemente gente che è nata, ha lavorato, ha sofferto, ha amato, senza lasciare un segno Eppure sono nella genealogia! La promessa di Dio passa certamente attraverso i re, come David, ma passa anche attraverso gente che ha una storia apparentemente banale, tanto da non far notizia; è però una vita che, nonostante tutto, porta il segno della benedizione di Dio. Forse ci voleva, dopo il periodo dei re, un tempo di nascondimento, di silenzio, perché Israele tornasse ad essere fecondo, a generare.

Ed ecco la conclusione: «Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo».

Dio fedele, compie quello che ha detto, e lo compie in modo molto diverso da quanto si sarebbero aspettato gli uomini. Per quanto Davide possa avere sperato in una discendenza perenne, ed Abramo possa avere desiderato un popolo grande, quello che al termine della genealogia viene annunciato, supera ogni immaginazione e ogni pensiero: «Giuseppe figlio di David, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù : egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21)

A questo punto si ha una svolta improvvisa. Quella genealogia poteva produrre una razza forte, grande, ma non l’Emmanuele, il Dio con noi. Per questo era necessario che Dio manifestasse in modo sorprendente, inatteso, il suo intervento e la sua grazia.

La concezione verginale di Maria dice proprio questo: il termine della promessa è pura grazia. E Maria è la creatura umana che ne accoglie il dono, concependo il Verbo in sé, prima di tutto con la sua fede e la sua docilità. Così la storia della promessa ha il suo compimento.

Ringraziamo la Madre del Verbo e imitiamola !


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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26/04/2011 19:49
 
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[SM=g1740733] Da molti anni, oserei dire 10 per l'esperienza diretta....assistiamo ad una MODA nelle Parrocchie con la quale si SCIMMIOTTA E SI IMITA l'Ultima Cena di Gesù in una forma ERRATA che sta gettando confusione: si può fare? non si deve fare? ma che significa? ecc....

Un esempio lo avete se cliccate qui:
http://it.gloria.tv/?media=147556 

l'autore del video ha CHIUSO l'opportunità di replicare.... e allora, fraternamente, gli ho scritto in messaggio privato questa risposta che giro anche a voi:

  E' sbagliato non dare modo di fare una correzione fraterna chiudendo i commenti al video.... dica al suo Parroco che sta sbagliando di grosso a far fare in Parrocchia una messa in scena del genere: la Pasqua del Signore fu altra cosa e il Papa la spiega nella Sacramentum Caritatis che sarebbe più importante per voi leggere e meditare, nonchè APPLICARE, anzichè perdere tempo con le cene degli altri e che non a torto agli Ebrei stessi non piace affatto questo teatrino, li state offendendo...  
dice Benedetto XVI:  
 
 Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla.  
 
L'istituzione dell'Eucaristia  
10. In tal modo siamo portati a riflettere sull'istituzione dell'Eucaristia nell'Ultima Cena. Ciò accadde nel contesto di una cena rituale che costituiva il memoriale dell'avvenimento fondante del popolo di Israele: la liberazione dalla schiavitù dell'Egitto. Questa cena rituale, legata all'immolazione degli agnelli (cfr Es 12,1-28.43-51), era memoria del passato ma, nello stesso tempo, anche memoria profetica, ossia annuncio di una liberazione futura. Infatti, il popolo aveva sperimentato che quella liberazione non era stata definitiva, poiché la sua storia era ancora troppo segnata dalla schiavitù e dal peccato.
 
Il memoriale dell'antica liberazione si apriva così alla domanda e all'attesa di una salvezza più profonda, radicale, universale e definitiva. È in questo contesto che Gesù introduce la novità del suo dono.
Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria « esaltazione ». Istituendo il sacramento dell'Eucaristia, Gesù anticipa ed implica il Sacrificio della croce e la vittoria della risurrezione. Al tempo stesso, Egli si rivela come il vero agnello immolato, previsto nel disegno del Padre fin dalla fondazione del mondo, come si legge nella Prima Lettera di Pietro (cfr 1,18-20). Collocando in questo contesto il suo dono, Gesù manifesta il senso salvifico della sua morte e risurrezione, mistero che diviene realtà rinnovatrice della storia e del cosmo intero. L'istituzione dell'Eucaristia mostra, infatti, come quella morte, di per sé violenta ed assurda, sia diventata in Gesù supremo atto di amore e definitiva liberazione dell'umanità dal male.  
 
Figura transit in veritatem  

11. In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno dell'antica cena sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla.
Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L'antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ... figuris terminum (20). Con il comando « Fate questo in memoria di me » (Lc 22,19; 1 Cor 11,25), Egli ci chiede di corrispondere al suo dono e di rappresentarlo sacramentalmente.  
 
Buona Pasqua DI NOSTRO SIGNORE....

****************************************************

Ricordandovi che NOI Cattolici riviviamo quell'evento con la Messa detta IN COENA DOMINI: MESSA DELLA CENA DEL SIGNORE....  - durante la quale si fa la Lavanda dei piedi, e che si può fare anche al di fuori della Messa - al termine della quale si fa l'adorazione Eucaristica con la Reposizione, ossia il Santissimo Sacramento viene messo in un Tabernacolo preparato appositamente a ricordare gli eventi di quella Notte Santa in cui venne arrestato e processato....va detto dunque che alcuni sostengono che tale errore di rivivere l'Ultima Cena scimmiottando la cena ebraica, sia di matrice NEOCATECUMENALE.... ed è vero... ma purtroppo non è solo un errore loro, è una MODA che sta prendendo piede in moltissime Parrocchie, ebbene, fate sapere ai vostri Sacerdoti che è sbagliato!!!


Come si deve svolgere allora quel Giovedì Santo?
Come ci ha insegnato la Chiesa e come è solito ripetere il Pontefice....

DIFFIDATE DA CIO' CHE NON E' CATTOLICO specialmente a riguardo dei RITI SACRI....



P.S.
il video in questione è stato rimosso...... ma non è sufficiente rimuovere le immagini SE NON SI RIMUOVE L'ERRORE....

due immagini dell'errore sono qui  MONITO per tutti i Sacerdoti per evitare di divulgare ciò che non ha nulla a che fare con i riti CATTOLICI.....

Prima immagine del Sacerdote vestito da rabbino ebraico...

Seconda immagine del Sacerdote che utilizza i calici della Messa per la cena ebraica.

Video della celebrazione della Pasqua Ebraica con i comunicandi della Parrocchia San Paolo Apostolo in Crotone, secondo la modalita' diabolica della setta Neocatecumenale...

Verranno gli ingannatori che, secondo i loro desideri, cammineranno nella via dell’empietà” (Gd. 18)

VOGLIAMO RICORDARE a questi Sacerdoti che la loro Ordinazione non c'entra più con il sacerdozio LEVITICO....il "nuovo" Sacerdozio di cui Cristo è L'UNICO, è "al modo di Melchisedek"....

Ecco invece un'esempio concreto di come dobbiamo vivere questi Tempi Liturgici:

Radicati nella Fede

ecco il link ad un blog, che ricordato da un lettore, vale la pena di visitare!
Da segnalare: i video delle celebrazioni del Triduo Sacro, e le parole del sacerdote. (e la presenza di fedeli giovani!)



Card. Scherer: il “vero Gesù” non è quello che ciascuno si costruisce


Ci sono molte immagini “distorte e fantasiose”


SAN PAOLO, venerdì, 22 aprile 2011 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo di San Paolo (Brasile), il Cardinale Odilo Scherer, invita i cattolici a non accontentarsi “di qualsiasi immagine di Gesù Cristo”.

In un articolo apparso sulla rivista “O São Paulo”, il porporato invita a non fermarsi alle immagini di Gesù “che si limitano a promettere miracoli e non chiedono la conversione del cuore, o nascondono il cammino della croce”.

“Sono tante le immagini distorte e fantasiose su Gesù, nel corso della storia e anche oggi”, ha affermato.

La Chiesa, “comunità dei discepoli di Gesù Cristo, ha sofferto molto all'inizio per affermare e preservare l'immagine attendibile di Gesù e per trasmetterla in modo fedele attraverso i secoli”.

“Non ha mai assunto interpretazioni discordanti dalla testimonianza degli apostoli, di quelli che 'hanno visto' Gesù, sono stati con lui e lo hanno incontrato dopo la sua morte e resurrezione - 'non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato' (At 4,20)”.

Il Cardinale ha sottolineato che le celebrazioni della Settimana Santa e della Pasqua suscitano alcune domande per le quali si devono cercare risposte sincere.

“Chi è Gesù Cristo? Quali sono stati i suoi insegnamenti? Perché è stato condannato alla morte di croce? Che cosa dicono le testimonianze del Nuovo Testamento sui fatti ricordati nella celebrazione della Pasqua? Che significato hanno la sua vita, passione e morte per l'umanità e per ciascuno di noi? Qual è la mia relazione personale con Gesù Cristo?”

Riferendosi al secondo libro di Papa Benedetto XVI su “Gesù di Nazaret”, il porporato ha affermato che una delle preoccupazioni del Papa “è quella di fornire ai lettori l'accesso al 'vero Gesù' e l'incontro con lui, come ci è fatto conoscere dalla Scrittura e dalla fede della Chiesa”.

“Il 'vero Gesù' non è quello che ciascuno di noi si costruisce in base alle proprie convenienze, ai sentimenti o ai preconcetti, ma colui che ci è fatto conoscere da quanti sono stati con lui e lo hanno raccontato nel Nuovo Testamento”.

“E anche dalla fede della comunità dei fedeli, nella Chiesa, che persevera 'nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere' (cfr. At 2,42) – ha dichiarato –; lì il Risorto stesso continua ad essere presente e si manifesta ai suoi, come fece dopo la resurrezione”.


[Modificato da Caterina63 28/04/2011 17:45]
Fraternamente CaterinaLD

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[SM=g1740733]LA "NUOVA" MANNA.....

La Nuova Manna
Omelia per la XIX Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Del card. Joseph Ratzinger
Testi della Liturgia
Prima lettura: 1Re 19,4-8
Seconda lettura: Ef. 4,30-5,2
Vangelo: Gv. 6,41-51

La lettura che abbiamo ascoltato all’inizio, tratta dal primo libro dei Re, ci presenta uno dei momenti cruciali della storia di Israele. Nel regno settentrionale delle dieci tribù che si erano separate da Giuda, sotto il dominio di una regina pagana e di un re di lei succube, la fede nel Dio dei Padri, nell’unico Dio, si era quasi del tutto estinta. Elia, unico profeta superstite di questo Dio, si trovava di fronte a quattrocento profeti del culto della fecondità del dio Baal.

Fuoco dal cielo

In questa situazione, in cui la causa di Dio pare davvero senza prospettive, Elia invoca il fuoco dal cielo e la sua richiesta viene esaudita, così che i quattrocento profeti vengono passati a fil di spada. Ma ben presto Elia deve riconoscere che non è questo il modo in cui Dio vince; che la fede non può essere rafforzata da simili segni, mediante la violenza. Permane il potere della regina pagana, che trova una corrispondenza profonda nell’inclinazione del cuore umano al paganesimo, nel senso di estraneità nei confronti del Dio ignoto, nel radicamento nelle cose di questo mondo e nelle sue abitudini. Affinchè rinasca la fede deve succedere di più e di altro.
Elia deve fuggire davanti al potere del re. E così anche l’ultimo profeta del Signore scompare dal paese. Sembra che Dio abbia fallito, la sua storia pare alla fine. Ed Elia stesso si rassegna, ha perso. La sua grandezza va a pezzi, vuole morire, tutto ormai va in rovina, tutto è inutile.

La fiamma dell’Oreb

E in questo momento in cui egli perde la sua grandezza, in cui crede di non essere in grado di restaurare il regno di Dio, le vie di Dio conoscono un nuovo principio.
Ora, infatti, Dio stesso può, anzi deve agire. La fuga diventa una via di fede.
Elia deve tornare indietro, per quaranta giorni e quaranta notti, fino al punto dove la storia della fede è propriamente cominciata, fino al monte Oreb. Ora diventa chiaro che la vera sventura di quest’ora sta nel fatto che è spenta la fiamma dell’Oreb, la fiamma della conoscenza di Dio, della sua parola, della legge che ne scaturisce, del giusto ordine della vita, dell’adorazione di Dio. E anche se ora Israele vive nella sua terra, in realtà ha fatto ritorno in Egitto; è divenuto pagano, maturo per l’esilio, ha perso se stesso.
Perché la terra sia davvero terra, perché la promessa si compia, è necessario ciò che rende davvero possibile la convivenza autentica, ovvero la presenza della parola di Dio, l’ascolto di ciò che Lui dice, la vita a partire da Lui. Elia deve ritornare, deve ripercorrere, per così dire, la storia d’Israele – i quarant’anni vengono riassunti nei quaranta giorni e nelle quaranta notti – deve tornare a peregrinare, in rappresentanza di Israele.
Un simile ritorno, il ricupero della propria storia, deve ripetersi in continuazione.
Avviene nei quaranta giorni di Gesù trascorsi nel deserto. La Chiesa cerca di farlo ogni anno nei quaranta giorni della preparazione alla Pasqua: uscire nuovamente dal peso del paganesimo, che continua a spingerci lontano da Dio, tornare  sempre a rivolgerci a Lui. E all’inizio della celebrazione eucaristica, nella confessione dei peccati, cerchiamo anche noi di riprendere questo cammino, di uscire nuovamente, di tornare a incontrare sul monte di Dio la sua Parola e la sua presenza.

Il Dio < povero >

Elia giunge sull’Oreb, il monte di Dio; la rivelazione deve avvenire nuovamente ed essa lo introduce in una nuova fase. Ora infatti diventa evidente che colui che egli ha cercato nel fuoco, non è nella tempesta e nella violenza. Dio è nel leggero, silenzioso soffio dello Spirito Santo.
Diventa evidente che Dio è altro, è lieve, in confronto ai rumori di questo mondo. E così l’esperienza di Elia conduce direttamente nel Nuovo Testamento, al Vangelo, alla figura di Gesù, in cui si è compiuto quanto era scritto sul servo del Signore: Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta (Is.42, 2-3).
In lui appare in maniera definitiva il Dio che Elia aveva potuto intuire sell’Oreb, il Dio che non è rumoroso, che non può essere paragonato alle potenze di questo mondo; il Dio “povero”, il Dio che ha solo le umili armi dell’Amore e della Verità, che per questo pare sempre sconfitto, ma che, pure, è l’unica vera forza che salva questo mondo.
A questo punto credo ci si debba fermare a riflettere.
Anche noi sperimentiamo questa impotenza di Dio che sembra sempre essere lo sconfitto; e vorremo che fosse più forte, più evidente, più potente di fronte di fronte a tutti i fallimenti, i pericoli e le minacce di questo mondo. Dobbiamo apprendere di nuovo questo mistero dell’Oreb, che in Cristo è divenuto una figura concreta, imparare che solo nel silenzio, in ciò che è a malapena percettibile, avviene sempre ciò che è grande: l’uomo diventa immagine di Dio e il mondo torna a essere lo splendore della maestà di Dio.
Vogliamo pregare il Signore che ci dia la capacità di percepire la sua silenziosa presenza, che ci aiuti a non rimanere tanto assordati dal chiasso di questo mondo che i nostri sensi non si accorgono più di Lui…

La nuova manna

C’è ancora qualcosa che la storia di Elia ci rivela e che ci porta direttamente al vangelo di oggi. La ripetizione dei quarant’anni di Israele nel deserto implica anche la ripetizione della storia della manna, sia pure in forma molto semplice e dimessa. L’acqua non sgorga più dalla roccia, la manna non scende più dal cielo. Per Elia c’è solo un pezzo di pane e una brocca d’acqua con cui nutrirsi; quel cibo è per i quaranta giorni; la nuova manna in grande umiltà e semplicità
Così diventa evidente ciò che davvero conta nella manna: non che essa piova dal cielo, non quale sia la sua natura e forma, non quale tipo di grano si sviluppi sulla terra; ciò che è essenziale nella manna è detto piuttosto nella frase con cui essa è stata interpretata già nell’A.T. : Tu devi riconoscere che l’uomo non vive di solo pane, ma dalla parola che viene dalla bocca di Dio.
La manna doveva mostrare che l’uomo può vivere solo di Dio, deve imparar a vivere di Dio; solo allora vive davvero, solo allora possiede cioè la vita eterna, poiché Dio è eterno.
Chi vive di lui e con lui è nella vera vita, che va oltre la morte. Vivere di Dio significa non farsi da soli, non voler prendere il mondo nelle proprie mani; significa abbandonare il sogno dell’autarchia  e dell’autonomia, quasi che potessimo  farcela da soli; significa imparare a ricevere giorno per giorno la nostra vita dalle sue mani, senza paura e confidando pienamente in lui.

Dio è divenuto il nostro pane

Nel vangelo di oggi si fa molto concreta questa idea centrale intesa dalla manna e che ne spiega il vero significato: vivere non di se stessi, ma di Dio. Possiamo vivere di Dio perché Dio ora vive per noi. Possiamo vivere di Dio perché egli è divenuto uno di noi, perché egli stesso è diventato, per così dire, il nostro vero pane. Possiamo vivere di Dio perché egli si dà a noi, non solo come parola, ma come corpo offerto per noi, donato a noi, continuamente nel Sacramento.
Ciò che significa questo “vivere di Dio” è espresso con forza in due frasi del Vangelo, intimamente legate fra loro: Chi crede ha la vita eterna. Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo [Gv 6, 47 e 51]. Vivere di Dio significa anzitutto credere ed entrare così in rapporto con lui, entrare in intima armonia con lui. Ma da quando Dio si è fatto carne […] il credere stesso è divenuto qualcosa di corporeo» (p. 53) nella Chiesa, nei sacramenti, e soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, in cui Cristo si dona affinché viviamo in lui, diventando, come dice San Paolo nella seconda lettura (4, 30 – 5, 2), «imitatori di Dio», nelle piccole virtù in cui si concretizza l’amarsi gli uni gli altri - «come Cristo ci ha amati e ha dato sé stesso per noi come dono e sacrificio gradito a Dio» prosegue san Paolo -, cosa impossibile a realizzarsi se non ci si nutre della «vera manna» (p. 55), cioè di Cristo stesso.



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[SM=g1740766] Un sacerdote risponde

Desidero che mi spieghi Rm 7, 14-25 e quale sia il concetto dei protestanti sulla grazia

Quesito

Caro Padre Angelo,
Vorrei porle alcune domande sulla Sacra Scrittura.
Insieme ad alcuni amici di un blog cattolico stiamo meditando sulle parole di San Paolo nella lettera ai Romani Cap. 7,14-25.
La mia Bibbia (la Bibbia di Gerusalemme) intitola questa parte nel modo seguente "La lotta interiore". Trovo questo brano della Sacra Scrittura molto coinvolgente e interessante anche se vi sono alcuni passaggi che mi sono leggermente oscuri.
Desidero riceverne una spiegazione esauriente dal momento che non mi soddisfa la spiegazione che forniscono le note della Bibbia di Gerusalemme.
I passaggi che vorrei mi spiegasse sono i seguenti:
Al versetto 15 San Paolo afferma: "Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: Infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto”.
Cosa intende dire l'Apostolo? In che senso non capisce quello che fa? Vuole forse dire che la sua volontà è soggetta al peccato?
Più avanti al versetto 17 afferma: "Quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me".
Quale è il significato di questa frase? Insomma cosa vuole dire San Paolo in questo discorso?
Vorrei poi sapere quali sono le differenze tra ciò che dice la Chiesa Cattolica riguardo allo stato dell'umanità dopo il peccato originale e quello che sosteneva Lutero e i primi riformatori protestanti?
E' vero che Martin Lutero pensava che la natura umana, in seguito al peccato originale, era corrotta in modo invincibile e totale tanto da non poter essere guarita neanche dalla grazia divina?
Vorrei mi spiegasse in modo chiaro il pensiero di Lutero e la risposta che la Chiesa ha dato nel Concilio di Trento su questo argomento.
Grazie


Risposta del sacerdote

Caro Pasquale,
1. San Paolo dice di non capire quello che fa perché talvolta ci sono in lui dei moti che risentono chiaramente dell’inclinazione al male e che non riesce a dominare.
L’esperienza di San Paolo è anche la nostra: quante volte ci siamo proposti di rimanere calmi e pazienti, di non dire neanche una parola e invece subito dopo abbiamo perso la pazienza e abbiamo parlato?
Quante volte si vorrebbe dominare in maniera perfetta qualche impulso sensuale e invece ci troviamo anche solo parzialmente coinvolti, nonostante la nostra volontà contraria?
L’inclinazione al male è un peso che talvolta si fa sentire.
Per questo San Paolo dice: “faccio il male che non vorrei fare mentre non compio il ben che vorrei fare”.

2. E così è chiaro anche quanto dice nel v. 17.
Qui San Paolo non vuole negare o diminuire la colpevolezza dell’uomo, ma vuole fare conoscere la miseria in cui egli si trova sotto la schiavitù del peccato e la causa per cui fa ciò che disapprova e riconosce come male.
Questa causa è la concupiscenza che proviene dal peccato originale e che è stata acuita dai peccati personali.

3. Lutero afferma che col peccato originale l’uomo si è totalmente corrotto e la grazia non lo coinvolge direttamente entrando dentro di lui, sanandolo, purificandolo e santificandolo.
L’uomo si salva solo perché aderisce a questa notizia: che Dio in Cristo ha espiato i suoi peccati. La grazia consisterebbe solo in questo.
Ma lui personalmente rimarrebbe sempre marcio, sempre profondamente peccatore.
Per questo nessuna cooperazione sua personale può salvarlo, ma solo la fede, ridotta ad adesione di una bella notizia.
Comprendiamo allora perché Lutero dicesse: “Pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente!”
Pertanto per Lutero è inutile qualsiasi sforzo da parte dell’uomo per tirarsi fuori da una situazione di peccato.
Solo la fede e non la sua vita cambiata lo può salvare.

4. La dottrina cattolica invece insegna che la grazia è un germe di vita divina che entra dentro l’uomo, lo rende partecipe della natura divina, lo purifica e lo santifica. San Giovanni dice che “un germe divino dimora in lui” (1Gv 3,9).
È come se il fuoco entrasse in un pezzo di legno inumidito: questo fuoco elimina poco per volta l’umido e rende il legno infuocato, partecipe del fuoco. Così l’uomo, ricevendo un germe di vita divina, poco per volta viene purificato e diventa sempre più santo, sempre più partecipe della natura divina.
Questo, come vedi, è il motivo per cui i protestanti non hanno santi, mentre la Chiesa cattolica sì.
Per i protestanti è impossibile qualsiasi purificazione e santificazione. Per noi e anche per gli ortodossi la santità è possibile e doverosa, perché un germe della vita santa di Dio è entrata dentro di noi.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

 

 

[SM=g1740722] 

 


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[SM=g1740722]ringraziando l'amica Ester:


La Passione di Cristo descritta da un medico

 

di Fausto Rossi, da "Ancora nel Getsemani - Egli cerca l'amore" (1986)

 

Sono un chirurgo. Ho insegnato a lungo, per tredici anni sono vissuto in compagnia di cadaveri e durante la mia carriera ho studiato a fondo l'anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione.

  • Gesù entrato in agonia nel Getsemani, scrive l’evangelista Luca, pregava intensamente e diede in un sudore "come di gocce di sangue” che cadevano fino a terra, il solo evangelista che riporta il fatto era un medico. Il sudar sangue, o ematoidrosi, è un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica accompagnata da ''una scossa morale violenta, causata da una profonda emozione, da una grande paura, il terrore, lo spavento, l'angoscia di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini hanno schiacciato Gesù. Tale tensione estrema produce la rottura delle finissime vene capillari che che stanno sotto le ghiandole sudoripare, il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle, poi cola su tutto il corpo fino a terra.
  • Conosciamo il processo intentato dal Sinedrio ebraico, l’invio di Gesù a Pilato ed il ballottaggio fra il procuratore romano ed Erode. Pilato cede e ordina la flagellazione di Gesù. I soldati spogliano il Signore e lo legano per i polsi ad una colonna dell'atrio. La flagellazione si effettua con delle strisce di cuoio multiple, su cui sono fissate delle palline di piombo e degli ossicini. Le tracce nella Sindone di Torino sono innumerevoli: la maggior parie delle sferzate è sulle spalle, sulla schiena, sulla regione lombare e anche sul petto. I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura. Colpiscono a staffilate la pelle già alterata da milioni di microscopiche emorragie causate dal sudore di sangue. La pelle si lacera e si: il sangue zampilla. A ogni colpo Gesù trasale in un soprassalto di dolore, Le forze gli vengono meno: un sudore freddo gli imperla la fronte, la testa gli gira in una vertigine di nausea, brividi gli corrono lungo la schiena. Se non fosse legato in alto per i polsi, crollerebbe in una pozza di sangue.
  • Poi lo scherno della coronazione. Con lunghe spine, più dure di quelle dell'acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di casco e glielo applicano sul capo. Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno sanguinare (I chirurghi sanno, quanto sanguina il cuoio capelluto). Dalla Sindone si rileva che un forte colpo di bastone, dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù un’orribile piaga contusa, il naso è deformato da una frattura dell'ala cartilaginea.
  • Pilato, dopo aver mostrato quell’uomo straziato alla folla, lo consegna per la crocifissione. Caricano sulle spalle di Gesù il grosso braccio orizzontale della croce; pesa una cinquantina di chili. Il palo verticale è già piantato sud Calvario. Gesù cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare, cosparso di ciottoli. I soldati lo trascinano con corde. Il percorso non è molto lungo, circa 600 metri. Gesù a fatica trascina un piede dopo l'altro e spesso cade sulle ginocchia. La spalla di Gesù è coperta di piaghe perché, quando egli cade a terra, la trave gli sfugge e gli scortica il dorso. Sul calvario comincia la crocifissione i carnefici spogliano il condannato, ma la sua tunica è incollata alle piaghe. Avete mai staccato la garza di medicazione da una larga piaga contusa? Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva. Per levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto dalle piaghe. I carnefici danno uno strappo violento: meraviglia che esso non provochi una sincope. Il sangue riprende a scorrere. Gesù viene disteso sul dorso e le suo piaghe si incrostano di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sul braccio orizzontale della croce. Gli aguzzini prendono le misure e danno un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi. Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo appoggia sul polso di Gesù, con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno: orribile supplizio! Gesù deve avere spaventosamente contratto il volto. Nello stesso instante il suo pollice, con un movimento violento, si è posto in opposizione nel palmo della mano perché il nervo mediano è stato leso. Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo, che si è diffuso nelle dita. come una lingua di fuoco è passato nella spalla e gli ha folgorato il cervello. E' il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito provoca una sincope e fa perdere la conoscenza. Il nervo è distrutto solo in parte. La lesione del tronco nervoso rimane in contatto col chiodo: quando il corpo sarà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino. A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerà risvegliando dolori strazianti. Un supplizio che durerà tre ore. Il carnefice e il suo aiutante impugnano le estremità della trave, sollevano Gesù mettendolo prima seduto e poi in piedi; quindi, facendolo camminare all’indietro, lo addossano al palo verticale. Poi rapidamente incastrano il braccio orizzontale della croce sul palo verticale. Le spalle della vittima strisciano dolorosamente sul legno ruvido e le punte taglienti della grande corona di spine lacerano il cranio. La povera testa di Gesù è inclinata in avanti, poiché lo spessore del casco di spine le impedisce di appoggiarsi al legno. Ogni volta che il martire solleva la testa, riprendono le fitte acutissime. Gli inchiodano i piedi.
  • È mezzogiorno. Gesù ha sete. Non ha bevuto dalla sera prima. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue, la bocca è semiaperta e il labbro inferiore comincia a pendere. La gola secca gli brucia, ma Egli non può deglutire. Ha sete. Un soldato gli tende sulla punta della canna, una spugna imbevuta di bevanda acidula, in uso tra i militari. Uno strano fenomeno si produce sul corpo di Gesù. I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una contrazione che va accentuandosi: i deltoidi, i bicipiti sono tesi e rilevati, le dita si incurvano. Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono descrivere. È ciò che i medici chiamano tetania, quando i crampi si generalizzano: i muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori. Il respiro si è fatto, a poco a poco, più corto. L'aria entra con un sibilo ma non riesce più a uscire. Gesù respira con l'apice dei polmoni. Ha sete di aria: come un asmatico in piena crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico. Gesù, colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d'aria, non possono più svuotarsi. La fronte è imperlata di sudore, gli occhi escono fuori dall'orbita. Dolori atroci martellano il suo cranio.
  • Ma cosa avviene? Lentamente, con uno sforzo sovrumano. Gesù ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza, a piccoli colpi, si alza alleggerendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si distendono. La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e il viso riprende il pallore primitivo. Perché questo sforzo? Perché Gesù vuole parlare: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Dopo un istante il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l'asfissia riprende. Sono state tramandate sette frasi pronunciate da Lui in croce : ogni volta che vuol parlare, dovrà sollevarsi tenendosi ritto sui chiodi dei piedi: inimmaginabile! Sciami di mosche, grosse mosche verdi e blu, ronzano attorno al suo corpo e gli si accaniscono sul viso, ma Egli non può scacciarle. Dopo un po’ il cielo si oscura, il sole si nasconde e d’un tratto la temperatura si abbassa. Fra poco saranno le tre del pomeriggio. Gesù lotta sempre: di quando in quando si solleva per respirare. E’ l'asfissia periodica dell'infelice che viene strozzato: una tortura che dura da tre ore. Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l'asfissia, le vibrazioni dei nervi mediani gli hanno strappato un lamento: "Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Ai piedi della croce stava la Madre di Gesù: possiamo immaginare in quale strazio. Gesù grida: "Tutto è compiuto". Poi a gran voce dice: "Padre, nelle Tue mani raccomando il mio Spirito". E muore.

 

 

 







Così è morto Gesù: check-up della Passione

 

Nei Vangeli la precisione di un referto medico. Attacco di panico nel Getsemani, traumi vari, disidratazione, asfissia e infine una trombosi coronarica.

 

di Roberto Beretta,

da Avvenire (30/05/1999)

 

È come se avesse fatto l'autopsia a Cristo. Quel sabato stesso di Passione, dentro il sepolcro nuovo scavato nella roccia e comprato dal pio Giuseppe d'Arimatea; prima che rotolasse la pietra a custodire (almeno per una notte) il cadavere di Gesù di Nazareth. E quante cose scopre - in un corpo di ormai duemila anni fa - il bisturi accurato di Pierluigi Baima Bollone, 61 anni, direttore dell'Istituto di medicina legale dell'università di Torino (nonché del Centro internazionale di sindonologia).

 

Il professore seziona con la solita accuratezza dell'anatomo-patologo, scientificamente. E, anche se stavolta i suoi reperti sono soltanto letterari, arriva a conclusioni sorprendenti. Gli ultimi giorni di Gesù, il volume che Baima Bollone fa uscire dopodomani per Mondadori (pp. 260), dovrebbe far discutere: perché, quanto a deporre sulla storicità dei Vangeli, potrebbe risultare l'equivalente di un papiro di Qumran. Lo scienziato torinese, infatti, riepiloga e discute i migliori risultati della ricerca medica internazionale sulla passione di Cristo, e ne conclude che il Nuovo Testamento è tutt'altro che un testo esclusivamente «teologico». Non potrebbe, vista la precisione nel descrivere i sintomi dell'agonia: con termini che, alla moderna scienza medica, tornano tutti credibili. E qui lo si vede in dettaglio.

 

Cominciamo dal check-up di Gesù il giovedì santo, professore. Come stava il paziente?

Si potrebbe dire molto in materia, basandosi sui Vangeli. Sappiamo anzitutto che Cristo ha avuto uno sviluppo regolare e armonico, dato che la sua famiglia si spostava in lunghi viaggi senza complicazioni per il bambino. Sappiamo pure che cresceva normalmente, come bambino attivo e capace di iniziativa (vedi l'episodio della fuga nel Tempio).

 

C'è però anche qualche accenno di stress: Cristo era stanco per i viaggi e le privazioni?

Sì, tant'è vero che i farisei lo scambiano per un cinquantenne quando non aveva ancora 40 anni. Insomma, Gesù era in buona salute ma un pò sciupato.

 

E quel giovedì notte, lei scrive, ebbe un attacco di panico nel Getsemani.

Si tratta di un termine tecnico: non indica cioè un semplice stato di paura. Come descritto dagli evangelisti, soprattutto dal medico Luca, la situazione di Gesù corrisponde esattamente alla sindrome da attacco di panico scientificamente accreditata. Esistono infatti 13 sintomi tipici del panico e perché si possa dire di trovarsi in presenza di un attacco occorre che nel soggetto ne ricorrano almeno 4; ora, Cristo nell'orto degli ulivi risponde a parecchi: sudorazione, desiderio di fuggire, paura di morire, caduta a terra, angoscia... Insomma, nonostante gli evangelisti non avessero intenzioni mediche, in realtà sono stati clinicamente molto precisi.

 

E il sudore di sangue?

È una fenomenologia nota (anche se rara) e descritta come ematoidrosi, ovvero sudorazione tinta di sangue dovuta a un totale coinvolgimento neurovegetativo: un fenomeno psicosomatico, si direbbe oggi. Come medico non ho dunque nessuna difficoltà a credere a Luca, anche perché Gesù era ben conscio di quel che gli sarebbe capitato. Un'altra ipotesi è quella di un'emorragia cutanea psicogena.

 

Si possono quantificare i dolori subìti da Cristo durante la passione?

Ci sono anzitutto gli stati di stress psichico, come la paura e la frustrazione per la vergogna subìta con l'arresto. Poi la privazione del sonno, la fame e la sete, oltre alla fatica dei ripetuti interrogatori che dovevano essere estenuanti: paragonabili a quelli di un prigioniero di guerra. Quindi ci sono vari traumatismi contusivi: lo schiaffo di un servo del sacerdote Anna, le percosse dei soldati alla testa, e naturalmente le lesioni delle 39 flagellazioni che già da sole potevano essere mortali. Infine la spogliazione, ripetuta due volte, delle vesti: che deve aver sortito lo stesso effetto di quando si strappano le bende sulle ferite aperte.

 

Possiamo ricostruire com'era fatta la croce?

Era probabilmente a "tau", cioè senza la sporgenza superiore, perché così risultava più facile sistemare il patibolo in cima al palo piantato per terra. Non c'era poi ragione che fosse alta, se si pensa che il Golgota era abbastanza elevato per consentire agli astanti di vedere. Ma quanto al resto - se avesse o no un sedile (come si usava talvolta) o un appoggio per i piedi, se siano stati usati 3 oppure 4 chiodi - non possiamo sapere nulla.

 

Un argomento usato anche contro padre Pio sostiene che egli aveva le stigmate sul palmo delle mani, mentre Gesù fu trafitto nei polsi. È così?

Non lo sappiamo esattamente. In ogni caso l'immaginario comune riferisce le piaghe al palmo, anche se la Sindone dice polso e l'unico caso di archeologia testimonia una crocifissione all'avambraccio.

 

Di che cosa è morto Gesù? L'ipotesi più corrente pare quella dell'asfissia.

Non basta. L'asfissia non è compatibile col fatto che Gesù in croce parla più volte e col grido emesso prima di morire. Secondo me si è trattato di asfissia complicata da un fatto cardiaco terminale. Una trombosi coronarica, probabilmente, col sangue che coagula nelle coronarie. Il sangue di Gesù, infatti, per la disidratazione e le ferite era viscoso, povero d'ossigeno.

 

E perché "solo" tre ore d'agonia?

In effetti, se crocifissi a braccia allargate, i condannati potevano resistere un giorno e oltre: da cui la rottura delle gambe per accelerare la morte. Ma l'organismo di Gesù era indebolito dalla situazione di base e dalle iper-torture subìte.

 

Infine la ferita al costato, da cui «uscì sangue e acqua»: cosa ci dice questo particolare?

Che il sangue era separato nella componente sierosa e in quella rossa, quindi non era più vitale: Gesù era certamente già morto. Ma non è probabile che la lancia del soldato abbia colpito il cuore, perché poi di lì difficilmente il sangue riesce a uscire dal corpo: si ferma nel cavo pleurico. È più accettabile che ci fosse un precedente accumulo di sangue nel torace, forse dovuto a un colpo di flagello.

 

Comunque, dopo la sua analisi, i Vangeli risultano attendibili dal punto di vista medico-legale.

Perfettamente.

 

E cosa dice ad esegeti e teologi che, dalla scuola storico-critica in poi, tendono a considerare l'opera degli evangelisti come una semplice rilettura "catechetica", con scarso valore di cronaca?

Non entro in merito. Dico solo che il riscontro medico legale è questo. E depone a favore della storicità dei Vangeli. Gli evangelisti non volevano fare un referto medico, però l'hanno fatto ed è scientificamente credibile.

 

A questo punto non si può trascurare quella che potrebbe essere la "prova del nove": la Sindone.

No, della Sindone non si parla nel libro e ci tengo che si dica.

 

Perché?

È un problema di metodo: prima studiamo i Vangeli dal punto di vista medico, poi vedremo se i dati sono compatibili con l'uomo della Sindone. Ma in un altro libro.

 

Ci anticipi almeno se i risultati delle due indagini sono compatibili.

Sì, lo sono.

 

 

[SM=g1740720] comprenderete la passione di santa Caterina per il valore del SANGUE di Cristo? Sangue, Sangue, Sangue, soleva invocare spesso la senese, per propiziare la conversione, la misericordia, il perdono, ma anche per suscitare la compassione di chi rifiutava di convertirsi... e comprendiamo bene come la santa e molti altri santi, senza essere medici, hanno saputo descrivere quanto abbiamo letto.... penso anche alla beata Caterina Emmerich dalla quale infatti esce fuori il film The Passion di cui le immagini, e che fu criticato per la sua "brutalità" come a dire: noi siamo sensibili! altro che sensibili! si vuole offuscare la Passione di Cristo per evitare di lasciarci coinvolgere nella conversione....la nuova modernità filtratasi anche nella dottrina del dopo concilio, ha mitigato la Messa e la stessa Passione, trasformando la stessa in una CENA, IN UN BANCHETTO FESTOSO.... non si vuole colpire la sensibilità della gente, tanto Cristo è morto, a che serve ripetere i particolari? basta LA MEMORIA... ed ecco la messa protestantizzata! e non aggiungo altro!



[Modificato da Caterina63 30/11/2011 21:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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05/03/2012 10:10
 
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[SM=g1740733]Tempo fa avviai attraverso l'email, una bellissima corrispondenza con un ragazzo che mi chiedeva approfondimenti sulla TRASFIGURAZIONE, un passo ed un fatto riportato dai Vangeli, per lui non molto chiaro... aveva difficoltà di comprendere quell'evento.... dopo aver sviscerato l'argomento, il ragazzo ringraziò, sentendosi appagato e soprattutto con idee nuove per mandare avanti la propria fede....

L'elemento portante della Trasfigurazione sono due punti chiave: la luce e la voce, ma anche la prova dell'unione indissolubile fra l'Antico Testamento (con Mosè ed Elia) ed il Nuovo Testamento (Gesù che nella trasfigurazione dà prova di essere il Messia atteso)....
Ma vi proponiamo, per chi avesse la stessa difficoltà di comprensione, il tema attraverso l'Angelus di Benedetto XVI.... buona meditazione

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 04.03.2012

Di ritorno dalla visita pastorale alla Parrocchia romana di San Giovanni Battista de La Salle al Torrino , a mezzogiorno il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Questa domenica, la seconda di Quaresima, si caratterizza come domenica della Trasfigurazione di Cristo.
Infatti, nell’itinerario quaresimale, la liturgia, dopo averci invitato a seguire Gesù nel deserto, per affrontare e vincere con Lui le tentazioni, ci propone di salire insieme a Lui sul “monte” della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio.
L’episodio della trasfigurazione di Cristo è attestato in maniera concorde dagli Evangelisti Matteo, Marco e Luca.
Gli elementi essenziali sono due: anzitutto, Gesù sale con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte e là “fu trasfigurato davanti a loro” (Mc 9,2), il suo volto e le sue vesti irradiarono una luce sfolgorante, mentre accanto a Lui apparvero Mosè ed Elia; in secondo luogo, una nube avvolse la cima del monte e da essa uscì una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!» (Mc 9,7). Dunque, la luce e la voce: la luce divina che risplende sul volto di Gesù, e la voce del Padre celeste che testimonia per Lui e comanda di ascoltarlo.
Il mistero della trasfigurazione non va staccato dal contesto del cammino che Gesù sta percorrendo. Egli si è ormai decisamente diretto verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce. Di questo ha parlato apertamente ai discepoli, i quali però non hanno capito, anzi, hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini (cfr Mt 16,23).
Per questo Gesù porta con sé tre di loro sulla montagna e rivela la sua gloria divina, splendore di Verità e d’Amore. Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore» (S. Agostino, Discorsi 78, 2).
Cari fratelli e sorelle, tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita. Questa luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità (cfr Col 2,9). Saliamo con Gesù sul monte della preghiera e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente dalla sua luce. Chiediamo alla Vergine Maria, nostra guida nel cammino della fede, di aiutarci a vivere questa esperienza nel tempo della Quaresima, trovando ogni giorno qualche momento per la preghiera silenziosa e l’ascolto della Parola di Dio.

Buon cammino quaresimale a tutti!

[SM=g1740757]


Il Papa: è impossibile interpretare Gesù come un violento: la violenza è contraria al Regno di Dio, è uno strumento dell’anticristo. La violenza non serve mai all’umanità, ma la disumanizza



LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 11.03.2012

Alle ore 12 di oggi, III domenica di Quaresima, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa terza domenica di Quaresima riferisce – nella redazione di san Giovanni – il celebre episodio di Gesù che scaccia dal tempio di Gerusalemme i venditori di animali e i cambiamonete (cfr Gv 2,13-25).

Il fatto, riportato da tutti gli Evangelisti, avvenne in prossimità della festa di Pasqua e destò grande impressione sia nella folla, sia nei discepoli. Come dobbiamo interpretare questo gesto di Gesù? Anzitutto va notato che esso non provocò alcuna repressione dei tutori dell’ordine pubblico, perché fu visto come una tipica azione profetica: i profeti infatti, a nome di Dio, denunciavano spesso abusi, e lo facevano a volte con gesti simbolici. Il problema, semmai, era la loro autorità. Ecco perché i Giudei chiesero a Gesù: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” (Gv 2,18), dimostraci che agisci veramente a nome di Dio.

La cacciata dei venditori dal tempio è stata anche interpretata in senso politico-rivoluzionario, collocando Gesù nella linea del movimento degli zeloti. Questi erano, appunto, “zelanti” per la legge di Dio e pronti ad usare la violenza per farla rispettare. Ai tempi di Gesù attendevano un Messia che liberasse Israele dal dominio dei Romani. Ma Gesù deluse questa attesa, tanto che alcuni discepoli lo abbandonarono e Giuda Iscariota addirittura lo tradì.

In realtà, è impossibile interpretare Gesù come un violento: la violenza è contraria al Regno di Dio, è uno strumento dell’anticristo. La violenza non serve mai all’umanità, ma la disumanizza.

Ascoltiamo allora le parole che Gesù disse compiendo quel gesto: “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”.
E i discepoli allora si ricordarono che sta scritto in un Salmo: “Mi divora lo zelo per la tua casa” (69,10). Questo salmo è un’invocazione di aiuto in una situazione di estremo pericolo a causa dell’odio dei nemici: la situazione che Gesù vivrà nella sua passione. Lo zelo per il Padre e per la sua casa lo porterà fino alla croce: il suo è lo zelo dell’amore che paga di persona, non quello che vorrebbe servire Dio mediante la violenza. Infatti il “segno” che Gesù darà come prova della sua autorità sarà proprio la sua morte e risurrezione. “Distruggete questo tempio – disse – e in tre giorni lo farò risorgere”. E san Giovanni annota: “Egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,20-21). Con la Pasqua di Gesù inizia un nuovo culto, il culto dell’amore, e un nuovo tempio che è Lui stesso, Cristo risorto, mediante il quale ogni credente può adorare Dio Padre “in spirito e verità” (Gv 4,23).

Cari amici, lo Spirito Santo ha iniziato a costruire questo nuovo tempio nel grembo della Vergine Maria. Per sua intercessione, preghiamo perché ogni cristiano diventi pietra viva di questo edificio spirituale.






[Modificato da Caterina63 11/03/2012 19:01]
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03/07/2012 16:27
 
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Un sacerdote risponde

Mi permetto di avanzare qualche osservazione sulla lettura personale della Sacra Scrittura, che viene oggi intensamente incentivata

Quesito

Gentile padre Angelo,
mi permetto di avanzare qualche osservazione sulla lettura personale della Sacra Scrittura, che viene oggi intensamente incentivata, in modo però che non mi pare, almeno così come viene in concreto realizzata, eccessivamente proficua per i fedeli.
In altri tempi, non molto remoti, la  lettura personale della Bibbia era addirittura scoraggiata e vista con una certa diffidenza, quasi come un cedimento alla mentalità protestante,favorevole al libero esame delle Scritture e ad un rapporto diretto tra le stesse ed il fedele,senza l'intermediazione del magistero ecclesiastico.
Orbene, a me sembra che oggi il semplice fedele,abbandonato a sè stesso e quasi mandato per così dire allo sbaraglio nella lettura del testo sacro,finisca per trarne poca o punta utilità,se non addirittura per riceverne danno.Lo spunto per questa osservazione mi è venuto oggi,18 agosto,ascoltando,senza una parola di spiegazione da parte dell'officiante come pure nel sussidio del messalino pur pregevolissimo dell'Apostolato della Preghiera, l'episodio del voto di Iefte tratto dal libro dei Giudici. Mi domando: ma quale utilità può trarre da un tale episodio, riferito nudamente e crudemente, un normale fedele? Non ne trarrà invece, e il discorso vale per tanti passi della Scrittura, motivo di disorientamento se non addirittura di scandalo? Oggi mi sono trovato in imbarazzo parlando con una persona che mi chiedeva un chiarimento sul senso dell'episodio e sulla lezione da trarne; me la sono cavata con un discorso del tutto elusivo. A me pare che non sia possibile banalizzare la lettura della Bibbia senza uno sforzo di chiarificazione e di spiegazione,soprattutto tenendo conto del  livello ormai assai mediocre delle conoscenze religiose dell'odierno semplice fedele; mi domando se non vi fosse maggiore saggezza nell'orientamento passato, quando si polemizzava contro la diffusione capillare della Bibbia da parte delle società bibliche protestanti. Mi perdoni questo sfogo, che però è dettato esclusivamente dall'amore che provo verso la chiesa e non da spirito polemico.
La saluto con la più viva cordialità e con tanta gratitudine per gli insegnamenti che profonde nella sua corrispondenza con i fedeli,che seguo con assiduità.
Vito


Risposta del sacerdote

Caro Vito,
1. soprattutto in riferimento al passo indicato hai abbastanza ragione.
Ogni volta che lo si legge, mi premuro sempre di commentarlo perché mi pare di vedere la gente abbastanza disorientata.

2. Ecco il commento di san Tommaso: “Nella Sacra Scrittura, però, si legge che Jefte fece voto al Signore, dicendo: se mi darai nelle mani i figli di Ammon, il primo che uscirà e mi verrà incontro alle porte della mia casa quando ritornerò vincitore, l’offrirò in olocausto al Signore” (Gdc 11,30-31).
S. Girolamo dice che Jefte “nel fare il voto fu stolto’”, perché mancò di discernimento (poteva venirgli incontro un uomo o un animale non sacrificabile, come un asino) e “nell’osservarlo fu empio”.
Tuttavia Jefte è posto nel catalogo dei santi e la Scrittura dice che egli agì così perché “fu investito dallo Spirito del Signore”.
Per S. Tommaso Jefte fu posto nel catalogo dei santi per la vittoria ottenuta oppure perché è probabile che si sia pentito di quella iniquità, la quale però prefigurava un bene futuro”(Somma Teologica, II-II, 88, 2, ad 2).
L’editore italiano dice che il bene futuro prefigurato è il sacrificio di Cristo.

2. Il Concilio di Trento aveva detto di essere cauti nel dare la Bibbia in mano a tutti perché molti ne avrebbero avuto più danno che utilità.
Si trattava dunque di un’autentica preoccupazione pastorale.
Ecco le testuali parole: “Regola IV: Poiché è manifesto per via di esperienza che, se si permette la sacra Bibbia dovunque e senza discernimento in lingua volgare, a causa della temerità degli
uomini, ne consegue più un danno che un vantaggio, su questo problema spetta al giudizio del
vescovo o dell'inquisitore se essi, su consiglio del parroco o del confessore, la lettura della
Bibbia tradotta in lingua volgare da autori cattolici, possano concedere a coloro che, secondo quanto essi sono in grado di capire, da una tale lettura possano ricevere non un danno ma un
accrescimento della fede e della pietà” (DS 1884).

3. Il Concilio Vaticano II, animato da uguale preoccupazione pastorale, è desideroso che tutti possano riempire il proprio cuore dei tesori della Divina Rivelazione: “Così dunque, con la lettura e con lo studio dei Libri sacri «la parola di Dio si diffonda e sia glorificata» [2 Ts 3,1] e il tesoro della rivelazione, affidato alla chiesa,
riempia sempre più il cuore degli uomini” (DV 26).
D’altra parte nella Sacra Scrittura Dio si rivela e si comunica agli uomini.
Non vi può essere traguardo più ambito che quello di vedere tutti dissetarsi ai rivi della Scrittura perché la Parola di Dio sia l’anima della loro vita.

4. Tuttavia anche il Concilio Vaticani II non si nasconde i pericoli valutati dal Concilio di Trento e per questo dice: “Ai sacri presuli, poi, depositari della dottrina apostolica compete istruire opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei libri divini, soprattutto del
Nuovo Testamento e in primo luogo dei Vangeli, mediante traduzioni dei sacri testi, che siano
corredate da note necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della chiesa si
familiarizzino con sicurezza e con utilità
con le sacre Scritture e siano imbevuti del loro

spinto.
Inoltre si preparino edizioni della sacra Scrittura, fornite di idonee annotazioni, ad uso dei non-cristiani e adatte alla loro situazione, che sia i pastori d'anime sia i
cristiani di qualunque stato avranno cura di diffondere in ogni maniera con saggezza” (DV 25).

5. Personalmente ho l’impressione che vi sia ancora molta strada da fare per presentare ai fedeli edizioni della Sacra Scrittura che aiutino anche le persone semplici alla comprensione del testo e all’utilità per la loro vita.
Molte edizioni presentano note di carattere scientifico, senza dubbio preziose, ma non adatte per il nutrimento della gente.

Mi compiaccio per la tua fedeltà nel seguire la nostra rubrica.
Ti assicuro il mio ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


Pubblicato 01.07.2012

[SM=g1740738]

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Tra Prometeo e Giacobbe


Il termine “sfida” è la negazione della fede cristiana? Come intenderla?


di Gianfranco Ravasi dicembre 2001


Giacobbe  che lotta con l’angelo, Rembrandt Van Rijn, 1660 circa, Staatliche Museen, Berlino-Dahlem

Giacobbe che lotta con l’angelo, Rembrandt Van Rijn, 1660 circa, Staatliche Museen, Berlino-Dahlem

A prima vista il termine “sfida” sembra essere, a livello etimologico, la negazione della fede: non è forse, “dis-fida”, cioè una “fiducia/fede” negata dal prefisso dis che, nella sua matrice greca, indica negatività e ostilità? Dopo tutto, l’hybris, cioè la sfida di Prometeo, reiterata in molte culture, è il tentativo di occupare il trono divino, sostituendosi al Re trascendente. Eppure, la fede – se colta nella sua struttura costitutiva più intima – si rivela anch’essa come sfida, rischiosa ma esaltante. Scriveva il filosofo Sören Kierkegaard: «La fede è la più alta passione dell’uomo. Ci sono forse in ogni generazione uomini che non arrivano fino ad essa. Ma nessuno va oltre». A questo sforzo di giungere al livello vertiginoso del credere noi dedicheremo ora non tanto un’analisi quanto piuttosto una rappresentazione emblematica per quadri o scene, in una sorta di trattazione “impressionistica”.

Come Giacobbe e Davide...
Inizieremo con un notturno: la celebre lotta di Giacobbe, il patriarca ebreo, contro un essere misterioso, identificato dalla tradizione con un angelo, simbolo comunque del divino. Il racconto di Genesi 32, 23-33 vede il protagonista solitario lungo le rive del fiume Jabbok, un affluente orientale del Giordano. Le acque impetuose e la notte sono segno del nulla, del caos, del dramma. «Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora» (32,25). Quando sorge l’alba, Giacobbe avanza zoppicante, ferito all’articolazione del femore, e il suo nome non è più quello tribale di Giacobbe ma è “Israele”, che significa “contende con Dio”: dall’incontro-lotta con Dio non si esce indenni ma trasformati e trasfigurati. L’esperienza di fede consegna alla persona un compito, una missione, una vocazione, per Giacobbe quella di essere il progenitore, il capostipite e l’archetipo di un popolo.


Il credere, perciò, come era accaduto già ad Abramo costretto dal Signore a sacrificargli il figlio Isacco (Genesi 22),non è una pacifica acquisizione di benedizioni, ma è una sorta di incontro-scontro col mistero. Credere è rischio e il suo percorso si snoda su un sentiero d’altura, come lo era il monte Moria per Abramo, o lungo un fiume impetuoso, come accade a Giacobbe. Ma ci sono altre sfide che attendono il credente, dopo la sua lotta con Dio.

Ecco, allora, l’altro quadro che vorremmo evocare. La scena ora è solare: siamo in campo aperto, davanti a una platea di spettatori incuriositi. Si stanno confrontando in un duello due personaggi del tutto antitetici. Da un lato, si erge l’eroe filisteo Golia che enfaticamente è descritto dalla Bibbia – nel racconto del capitolo 17 del primo Libro di Samuele conun’imponenza di «sei cubiti e un palmo», quasi 2,80metri, capace di reggere una corazza a piastre di 5000sicli di bronzo, cioè di una trentina di chili. Dall’altro lato, avanza Davide, un «ragazzo fulvo di capelli e di bell’aspetto», armato solo di una fionda e di cinque ciottoli lisci di fiume.

È l’eterna sfida tra la corpulenza becera e muscolosa dell’arroganza, del potere, della forza bruta contro la bellezza, la delicatezza, l’intelligenza, la verità. A prima vista il confronto sembra essere impari; ma l’esito è alla fine sorprendente perché i valori dello spirito sono ben più resistenti e decisivi e non possono essere piegati dalla mera brutalità quantitativa. Essi partecipano dell’eternità e dell’infinito ed è per questo che è impossibile metterli in gara con realtà che poggiano solo sulla materialità, di sua natura caduca e finita. La fede è un invito permanente a schierarsi dalla parte della “debolezza”, della “fragilità”, del Bello, del Vero, del Giusto, dell’Amore.

«Resistere nel giorno malvagio»
Ma possiamo procedere oltre, verso un’altra e più inquietante sfida che è ambientata in un interno. Siamo in una sinagoga e Gesù è da poco entrato, creando scompiglio soprattutto in un ebreo fino a quel momento quietamente assiso sul suo scranno. Agitandosi sotto l’irruzione di «uno spirito immondo», egli si mette a urlare: «Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Tu sei venuto a rovinarci! Lo so chi tu sei: il Santo di Dio!».
Nella narrazione del capitolo 1 del Vangelo di Marco lo scontro ha il suo acme quando Cristo si rivolge non all’uomo ma allo “spirito immondo” che lo possiede. «Taci! Esci da quest’uomo!». E l’esito è immediato: «Lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui».


In questo episodio di forte tensione è idealmente rappresentata una sfida che non coinvolge solo Cristo ma ogni credente: siamo costantemente posti in conflitto col male morale e metafisico, siamo in perenne confronto con l’oscurità della storia, con l’ombra di Dio, col grumo incandescente della perversione, con la potenza tenebrosa della morte.
Per usare un’espressione di Bernanos, siamo spesso «sotto il sole di satana», un sole “nero” che scandisce molti tempi della storia e che ci costringe – come dice san Paolo – ad essere attrezzati con «l’armatura di Dio perché possiamo resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di carne e di sangue, ma contro principati e potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male. Prendiamo, perciò, l’armatura di Dio, perché possiamo resistere nel giorno malvagio e restare in piedi...» (Ef 6,11-13).


Questa, però, non è una sfida che si consuma solo all’esterno, nell’orizzonte e nello scenario della storia. Essa celebra i suoi atti più terribili e subdoli all’interno di noi stessi, nello spazio intimo della libertà. È ciò che Paolo dipinge in modo mirabile nel capitolo 7 della Lettera ai Romani: «Quando voglio fare il bene, è il male che mi è accanto. Aderirei alla legge di Dio ma nelle mie membra vedo un’altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo». Lo sbocco sembra essere inevitabile e approdare alle sabbie mobili del peccato e della “carne”, come ama dire l’Apostolo.

Forte come la Morte è l’Amore
In realtà, l’uomo in questa lotta intima non è solo, non solitario. La mano di Dio si stende ed effonde in noi «le primizie dello Spirito, così che gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo, perché nella speranza noi siamo stati salvati» (Rm 8,23-24).
Il verbo “gemere” è quello delle doglie del parto: siamo, quindi, di fronte a una sfida estrema che non produce morte bensì genera una ri-creazione, una nuova vita, una rinascita, compiuta dalla grazia divina.

È in questa luce che appare l’ultima sfida, l’estrema, quella con la morte che ha il suo emblema nella risurrezione di Cristo, ma che è già anticipata nella proclamazione della donna del Cantico dei Cantici:«Forte come la Morte è l’Amore... Le sue vampe sono ardenti, una fiamma del Signore!» (8,6).Affidandosi ad alcuni passi profetici, san Paolo introduce il duello supremo tra Vita e Morte e ne esalta l’esito finale: «La morte è stata ingoiata per la vittoria./ Dov’è, o morte, la tua vittoria? / Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!» (1Cor 15,54-57).

La fede si rivela, perciò, come un confronto aperto a tutto campo, che non teme di inoltrarsi anche sui terreni più incerti e ignoti. Come scriveva ancora Bernanos, «la fede è un rischio da correre. È addirittura il rischio dei rischi». Come ha insegnato Pascal, non è, però, una sfida insensata né solitaria. Il suo itinerario è motivato, i suoi risultati sono vigorosi, il suo tracciato è tormentato eppure nitido, il cammino è seguito da una Presenza. La sfida della fede è pesante ma anche gloriosa, è ardua ma anche serena, ed è un’esperienza aperta a tutti, anche a chi è agnostico.

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/08/2012 19:23
 
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  Il sonno nella Sacra Scrittura



Il rettore della Pontificia Università Lateranense introduce il X Congresso Mondiale sulla Sindrome delle apnee nel sonno


di mons. Enrico dal Covolo

ROMA, lunedì, 27 agosto 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito l’introduzione di monsignor Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, al X Congresso Mondiale sulla “Sindrome delle apnee del sonno”, promosso dal Comitato Scientifico del Congresso (Campidoglio – Pontificia Università Lateranense, Roma, 27 agosto – 1 settembre 2012).

***

Autorità accademiche e civili,

Illustri Membri del Comitato Scientifico promotore del Decimo Congresso Mondiale sulle apnee del sonno,

Cari Colleghi;

mentre – come Rettore della Pontificia Università Lateranense (per antonomasia l’“Università del Papa”), che ospita questo prestigioso evento scientifico –; mentre rivolgo a Voi tutti un deferente e cordiale saluto, desidero proporvi un breve appunto sul sonno nella Sacra Scrittura.

È questo, infatti, il più importante argomento di raccordo fra le tematiche che affronterete nei prossimi giorni, e la sede accademica nella quale le tratterete.

1)La Sacra Scrittura è attraversata dal sonno degli uomini, poiché esso si rivela come una forma adeguata per esprimere la visione di Dio.

Di fatto, è noto che per l’Antico Testamento e per il Giudaismo Dio non si può vedere faccia a faccia, pena la morte di chi cerca di valicare la barriera che lo separa dall’Assoluto. Sin dalle prime pagine del libro della Genesi, Adamo è addormentato da Dio, perché dalla sua costola egli possa trarre Eva, la madre dei viventi (Genesi 2,21-22).

Esempio emblematico del sonno legato alla visione di Dio e dei suoi progetti è poi – dopo Giacobbe (Genesi 28,10-22)– Giuseppe, il patriarca definito per antonomasia “il sognatore”. Egli, mediante i sogni, è capace di identificare la volontà di Dio per sé e il suo popolo (Genesi 37,5-11).

Anche il giovane Samuele vive una particolare esperienza del sonno: ma qui Dio lo desta dal sonno, per costituirlo profeta di Israele (1Samuele 3,11-12).

Con i libri sapienziali e apocalittici, il sonno diventa il luogo privilegiato nel quale Dio rivela la sua volontà per la redenzione finale di Israele, e perché i giusti possano meritare la morte vista come sonno, e non come la fine di tutto.

2) Nel Nuovo Testamento è Matteo l’evangelista che più di tutti gli altri autori si sofferma sul sogno. Non a caso, egli sceglie come personaggio toccato dal sonno Giuseppe, il padre adottivo di Gesù. Di fatto, proprio nel sonno Giuseppe comprende la volontà di Dio su di sé, sulla sua sposa Maria, e su Gesù bambino (Matteo 1-2). La sua vocazione, la fuga in Egitto e il ritorno in patria sono cadenzati dal sonno di Giuseppe, che nel sogno è condotto da Dio attraverso le varie difficoltà.

Significativo è che, mentre Giuseppe il patriarca rivela i sogni da lui sperimentati nel sonno, Giuseppe il padre di Gesù non comunica a nessuno, neanche a Maria, i suoi sogni, ma li conserva nel cuore come uomo giusto e del silenzio. Giuseppe non ha bisogno di rivelare ad altri la volontà di Dio. Vuole solo metterla in pratica, senza tentennamenti.

Così il sonno si manifesta anche come il luogo della prova e della fede, l’elemento su cui discernere, per accogliere o rifiutare il disegno di Dio.

Dall’apocalittica giudaica Paolo mutua il linguaggio del sonno per parlare dei defunti non come morti, bensì come dormienti (1Tessalonicesi 4,13-17). Conviene sottolineare che dal participio greco koimethéntes, qui impiegato, deriva il termine cimitero, che segnala non lo stato della morte o dei morti, bensì quello dei dormienti, in vista della loro partecipazione finale alla risurrezione di Cristo.

3)In conclusione, sono diversi i contributi che il sonno apporta alla teologia e all’antropologia biblica: è il luogo privilegiato in cui, pur non potendo vedere direttamente Dio, l’uomo è comunque destinatario della sua volontà; è anticipazione della condizione mortale, che accomuna tutti gli esseri umani; ed è visto come stato di passaggio verso la vita piena dei credenti, che si uniranno a Cristo.

La proposizione paolina di 1Tessalonicesi 5,10 può essere scelta come conclusiva di una visione positiva e transitoria del sonno: “Sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con il Signore”.

Ma non posso terminare senza fare almeno un cenno al sonno nel tempo della Chiesa. Io sono salesiano, e dunque figlio di un grande sognatore, che si chiama Don Bosco.

Tutta la sua straordinaria opera educativa cominciò con il famoso “sogno dei nove anni”: “A nove anni”, scrive Don Bosco stesso nelle sue Memorie, “a nove anni ho fatto un sogno. Mi sembrava di giocare insieme a tanti ragazzi nel prato dietro alla mia casa. Ma i ragazzi non erano buoni: alcuni urlavano, altri litigavano, altri – addirittura – bestemmiavano. Mi slanciai in mezzo a loro per farli smettere… In quel momento, apparve un uomo maestoso. Mi chiamò per nome: ‘Giovanni!’, e mi ordinò di mettermi alla testa di quei ragazzi…”. Da questo sogno inizia l’avventura educativa di Don Bosco.





******************



  Qualcuno sa spiegare cosa significano questi passi, o cosa intende dire Gesù?

Matteo 5,21-37
21 Voi avete udito che fu detto agli antichi: "Non uccidere"; e: "Chiunque ucciderà, sarà sottoposto al giudizio"; 22 ma io vi dico: Chiunque si adira contro suo fratello senza motivo, sarà sottoposto al giudizio; e chi avrà detto al proprio fratello: "Raca", sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: "Stolto", sarà sottoposto al fuoco della Geenna.









Trascrivo il commento del famoso sacerdote Ricciotti nella Bibbia degli anni 40
" 22 Io invece dico a voi...." In questi passi si distinguono tre mancanze contro la carità verso il prossimo, a cui corrispondono tre specie di tribunali che dovranno giudicarle ed eventualmente punirle o purificarle. La semplice ira contro il prossimo è già degna d'essere giudicata dall'ordinario tribunale locale. Se l'ira è accompagnata da un insulto, quale chiamare Raca (-sciocco) una persona, è degna di essere deferita al tribunale supremo della nazione ch'era, all'epoca, il Sinedrio stabilito a Gerusalemme. Se infine si giungerà a chiamare il prossimo "Stolto", che equivaleva a "empio" e poi ad "ateo", il colpevole è meritevole del fuoco della Geenna.. (..)

Il Discorso del Signore non vuole assolutizzare i termini, piuttosto risponde ad una serie di domande provocatorie dei farisei, le tre mancanze vanno inserite nel lungo contesto che parte dalla legge e i profeti (Mt.5,17) Leggi e precetti Gesù non venne a cambiare ma a portare a compimento e rivela il vero senso di giustizia rimproverato agli Scribi e Farisei vv.19-20; da questo punto il Signore unisce la legge antica e nuova da Lui portata che vuole eliminare ogni ipocrisia (fariseismo) e perciò, dice il Signore: Voi avete udito che fu detto.... Io invece dico a voi.... (...)

Per questo aggiunge subito dopo dal vv.23 "Se dunque tu, nel fare la tua offerta sull'altare, ti rammenti che il tuo fratello ha qualcosa contro di te (ti ha dato dello Stolto, ti ha detto che sei uno sciocco), lascia lì la tua offerta davanti all'altare e và prima a riconciliarti col tuo fratello; poi ritorna a fare l'offerta...." E il discorso continua al vv.25 Gesù consiglia quanto sia più saggio trovare un'accordo con l'avversario, prima che lui ti "ti consegni al giudice e questi alle guardie e tu venga gettato nel carcere, dal quale (e qui Nostro Signore ci ricorda anche il Purgatorio) non ne uscirai fino a quando non avrai pagato fino all'ultimo centesimo...." Seguono infatti ulteriori consigli, la cosiddetta "nuova legge" basata sulle azioni: Il perdono delle offese; l'elemosina; la preghiera; il digiuno; tesori in cielo; occhio e cuori puri; le vane preoccupazioni e la Provvidenza.

Essere "perfetti come Dio" è, nella sostanza, la meta a cui deve tendere il vero discepolo di Cristo; la meta è certamente irraggiungibile, ma dovere del cristiano è questo avvicinarsi il più possibile. Il nostro modello è allora il Cristo stesso, immagine del Dio invisibile, che davanti all'offesa più grave, non ha risposto loro come avrebbero meritato i suoi persecutori. Mantenersi attenti a non venire meno alle tre mancanze contro la carità conduce, allora, alla via della perfezione ed evita che l'avversario possa trovare un qualche appiglio per trascinarti in tribunale...." 





[Modificato da Caterina63 15/01/2014 22:30]
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[SM=g1740733]  Si salvano tutti?

 

Salvezza eterna

È ovvio che molti si chiedano: ma quanti vanno all’inferno?
Rifacciamoci al Vangelo.

Dopo aver concluso la parabola del “convitato senza l’abito
nuziale”, Gesù afferma che fu gettato «nelle tenebre
esteriori, dove sarà pianto e stridore di denti». Poi, Gesù
aggiunge una misteriosa rivelazione: «perché molti sono i
chiamati, ma pochi gli eletti».

Questa “rivelazione” vien ripetuta da S. Matteo, con immagini:
«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta
e spaziosa la via che porta a perdizione e molti sono
quelli che entrano in essa; mentre stretta è la porta e angusta
la via che conduce alla vita e pochi sono quelli che la
trovano».

Per S. Agostino, queste parole di Gesù: “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”, «non è una parola, ma un tuono»; e l’interpreta: «certamente quelli che si salvano sono un piccolo numero».
S. Giovanni Crisostomo si chiedeva: «quante persone sisalveranno della nostra città?» e rispondeva: «tra tante migliaia di persone, nemmeno cento arriveranno alla salvezza».

S. Tommaso d’Aquino cerca di spiegare questa selezione:
«un bene proporzionato alla comune condizione della natura umana si trova in molti..., ma il bene che è al di sopra della comune condizione della natura, è un numero ristretto... E siccome la beatitudine eterna, consistente nella visione di Dio, supera la comune condizione della natura, sono pochi quelli che si salvano. E questo dimostra la misericordia di Dio che
innalza, alcuni a quella salvezza che la maggioranza degli uomini non raggiunge».

Nelle prediche di tutti i Santi di tutti i tempi, quelle parole
di Gesù furono commentate con minacciosi ammonimenti.
S. Leonardo da Porto Maurizio ripeteva spesso, nelle sue prediche, la storia del Prelato di Lione che “per zelo della sua anima”, si era riparato nel deserto a far penitenza, ed era morto nella stessa ora in cui era morto S. Bernardo.
Comparendo, dopo morte, al suo vescovo, gli dice: «nella stessa ora in cui morii io, spirarono trentamila persone. Di queste, l’abate Bernardo ed io salimmo subito al cielo; altri tre, andarono in purgatorio; tutte le altre 29milanovecentocinque anime, precipitarono all’inferno!».

Certo, non è di fede questo contare, perchè la Chiesa non
ha mai tradotto in numeri i “molti chiamati” e i “pochi eletti”, ma ci ricorda che nella profezia dell’ultimo giudizio, Gesù
ha ripetuto: «Io vi dico: in quella notte, due saranno in un letto; l’uno, sarà preso, e l’altro, lasciato; due donne macineranno assieme: una sarà presa, l’altra, lasciata; due saranno al campo: una sarà presa e l’altra lasciata». Mistero di Dio!..

tratto da "Restauriamo la Chiesa" di Don Luigi Villa


[SM=g1740771]


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04/02/2013 11:28
 
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[SM=g1740758] Il vero insegnamento di Benedetto XVI su Giuda Iscariota

04.02.2013 10:39

 

Il vero insegnamento di Benedetto XVI su Giuda Iscariota

 

Amici Lettori,

questo articolo nasce da una richiesta di aiuto di una lettrice che, alla pagina dedicata al "Libro degli ospiti", così ci ha scritto:

Carissimo Staff del blog, da due settimane sto diventando matta per poter risolvere un grave dubbio del mio parroco che però mi attribuisce come ignoranza.

I fatti son questi: il 26 agosto 2012 il Papa ha fatto un angelus in cui alla fine ha parlato di Giuda e del suo problema con Gesù, del tradimento. Il nostro parroco, mentre due settimane fa ci ha fatto una catechesi, ci ha detto che anche il Papa è d'accordo che Giuda "fu tradito da Gesù" perchè visto che Gesù sapeva che egli lo avrebbe tradito, sapeva quindi della sua debolezza, lo aveva già perdonato e quindi anche salvato, perchè Gesù si servì della debolezza di Giuda per mandare avanti il suo piano. Giuda lo comprese e si sentì tradito e così si vendicò.

Appena abbiamo finito l'incontro, dopo il primo shock io con un'altra catechista siamo andate dal parroco a chiedere spiegazioni.

Lui ci ha dati due giornali (capite? per spiegare il Papa ci ha rimandato a due giornali!!!!) con un titolo tremendo: Benedetto XVI riscrive la teologia: Gesù ha tradito Giuda!

messo tra virgolette pensavamo che si trattasse di una frase fedele, ma andando a leggere il testo sul sito del vaticano, la frase non esiste e il Papa disse una cosa diversa.

Ora vi chiediamo di aiutarci a dare una risposta netta al nostro parroco per convincerlo che la sua interpretazione e la sua catechesi a noi, è sbagliatissima!!

La nostra piccola comunità con 14 fra catechisti e diaconi, si sta dividendo per chi dice una cosa e sta con il Papa e chi appoggia il parroco dicendo che il Papa ha riscritto il caso di Giuda.

Aiutateci

*********

Dopo averle dato una breve risposta le abbiamo promesso un articolo più dettagliato perché l'argomento lo merita, ritenendo di fare così un servizio alla Carità - nella Verità non solo a chi lo ha richiesto, ma anche a Voi che leggete.

Come è stato già spiegato la frase usata dal titolo di alcuni giornali: "Gesù ha tradito Giuda": l'Angelus choc di Benedetto XVI - 27.8.2012

è un falso!

Questa frase non è mai stata pronunciata dal Santo Padre!

Basterebbe questo per mettere a tacere tutto, ma a quanto dimostrato dalla richiesta di aiuto, solo due settimane or sono un Parroco ha dimostrato di essere caduto lui nella trappola delle frasi ad effetto, e ci preoccupa davvero pensare a quanti, fra Clero e Laici, sono forse ancora convinti che il Papa abbia espresso quella frase!

Da qui la convinzione che forse era meglio dedicare un articolo non sul fatto in sé che è parte di quella propaganda modernista, quanto piuttosto sul testo del Pontefice a dimostrazione della sua perfetta dottrina nella Tradizione.

 

Angelus del 26.8.2012

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2012/documents/hf_ben-xvi_ang_20120826_it.html

il passo integrale originale:

"Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito. Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese. Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70). Preghiamo la Vergine Maria, che ci aiuti a credere in Gesù, come san Pietro, e ad essere sempre sinceri con Lui e con tutti".

 

****

Un giornale, commentando a caldo l'Angelus in questione, scriveva:

"Papa Benedetto XVI prova a risolvere il mistero del tradimento di Giuda nei confronti di Gesù. E lo fa con una tesi sorprendente: "Giuda voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani, ma Gesù aveva deluso queste aspettative. Così, sentendosi tradito da Gesù, Giuda decise che a sua volta lo avrebbe tradito". E' questo dunque il Ratzinger-pensiero..."

***

Onestamente leggendo non riscontriamo nella frase alcuna tesi "sorprendente".

Per i Media la "tesi sorprendente" risiederebbe nella motivazione politica attraverso la quale il Papa avrebbe attribuito il tradimento di Giuda nella sua appartenenza ad uno schieramento politico e partitico del suo tempo, dando così a questa immagine l'assolutismo e il motivo del suicidio.

In verità le cose non stanno così. Il Papa innanzi tutto ha fatto delle ipotesi ma nello spiegare le domande che pone non si dissocia affatto dal vero motivo perché Giuda tradì e si impiccò.

Basta infatti prendere la "Spiegazione del Catechismo  di San Pio X" di Padre Dragone, timbrato Soc. San Paolo, 7.3.1963 - Sac. G.Alberione, con Imprimatur e leggere in diverse pagine, specialmente pag.225 alla voce: perché il peccato grave si chiama mortale?

Nell'esempio di "peccato grave" leggiamo, dopo la citazione di Atti 1,15-19 dove si parla del suicidio di Giuda: "Giuda indubbiamente andò perduto, perché Gesù Cristo lo chiama "figlio della perdizione" (Gv.17,12).

Il Papa Benedetto XVI nell'Angelus dice: "...avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro".

Non c'è una "tesi sorprendente" nelle parole del Pontefice, semmai c'è una più chiara presa di posizione, laddove vi fosse ancora qualcuno nel dubbio, che Giuda agì con deliberato consenso, agì in modo disonesto e la sua colpa fu la falsità.

Dice infatti il Papa ancora nell'Angelus inquisito:

"Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70)".

Diverso fu quando Gesù ammonisce Pietro non solo a riguardo della profezia del rinnegamento, ma anche quando gli dice: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt.16,23), Gesù non gli dice " che è un diavolo", ma che in quel caso, avendoLo tentato per non recarsi a Gerusalemme e lasciarsi crocifiggere, Pietro stava ragionando come satana.

Vi è infatti poi la conferma di Gesù che prega per Pietro affidandogli il compito di "confermare gli altri" nella medesima fede che aveva prima professato, illuminato dalla Grazia (cfr Lc.22,31).

Come ben si legge siamo davanti alla conferma di ciò che i Padri hanno sempre pensato ed insegnato su Giuda.

Leggiamo alcuni brevi passi:

- Dal testo del Ricciotti, pag. 687:

"Avvenne tutto secondo il convenuto. Gesù stava ancora parlando con gli apostoli appena svegliati, quando Giuda entrò nel giardino, seguito a poca distanza dalle guardie; si avvicinò a Gesù e lo baciò, esclamando : « Io ti saluto, o Maestro! »".

Il tradimento era consumato. Il sudore della mortale agonia era ancora raggrumato sulla fronte del Signore.

Secondo il testo greco, Giuda avrebbe moltiplicato i baci sul volto di Gesù. La brama del tradimento lo divorava dentro, mentre fuori si moltiplicavano i segni dell'amore per ingannare chi lo stesse vedendo.

 

- San Giovanni Crisostomo dice: « Giuda, con quei baci prolungati, volle ingannare gli apostoli. Si staccò dalla ciurmaglia, si avanzò solo, quasi a farsi credere arrivato nel Getsemani a caso ».

- Sant'Ambrogio scrive: « Col segno dell'amore Giuda inflisse la ferita; col gesto della carità effuse il sangue; con lo strumento della pace colpì a morte! Il servo ha tradito il suo Signore; il discepolo, il suo maestro; l'eletto apostolo, il suo creatore » (In Le, libro X, n. 63.)

- " « Amico! » Bastava mutare quel bacio di tradimento in un sospiro di fiduciosa contrizione e Gesù avrebbe stretto fra le sue braccia quel figlio della morte e gli avrebbe ridato la vita. Ma quel sospiro di fiduciosa contrizione non fu emesso. Gesù non finse. Lo chiamò « amico ». Volle far capire a Giuda che da parte sua teneva aperto il cuore; che lo amava di vero amore. Ma quell'infelice, dopo tale segno di benignità e di mansuetudine, rimase insensibile e crudele più d'una belva.

Sant'Agostino dice: « Giuda! baci e insidii ti fingi amico e sei traditore! »" (Mons . Gorla, o.c, pp. 274-275).

 

E c'è anche un'altra frase del Pontefice che ci aiuta, piuttosto, a comprendere l'insegnamento dei Padri della Chiesa sul caso Giuda, dice:

" Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese..."

Quindi è Giuda che tradisce perché si sente tradito da Gesù circa le sue aspettative. Giuda non credeva che Gesù fosse vero Dio!

Egli "non credeva nella divinità di Gesù", ripetono sant'Ambrogio e sant'Agostino.

Se avesse creduto, avrebbe avuto coscienza che il Maestro divino gli leggeva nel cuore; avrebbe chiesto a Lui perdono. Non chiese perdono, perché era convinto che Gesù fosse un illuso. Questa mancanza di fede nel divin Maestro, lo indusse a venderlo al sommo sacerdote.

E cosa dice il Pontefice Benedetto XVI nell'Angelus a riguardo di ciò che pensava Giuda? che "Gesù aveva deluso queste attese".

Inoltre sono gli Evangelisti che presentano Giuda come ladro, come amministratore fraudolento della cassa comune.

Un giorno Gesù andò a Betania dalle sorelle di Lazzaro. Durante il convito, Maria entrò nella sala, recando un vaso d'alabastro contenente 327 grammi di nardo autentico di gran valore, valutato più di 320 lire in oro. Giunta al divano di Gesù, spezzò il collo del vaso ed effuse abbondantemente il profumo sul capo e sui piedi del Signore. Questa prodigalità sorprese Giuda, il quale protestò apertamente, affermando : « Perché questo sciupio d'unguento? Lo si poteva vendere per 300 denari, e dare il ricavato ai poveri!» ("). Ma alla protesta di Giuda, san Giovanni scrive: «Disse però questo, non perché gl'importava dei poveri, ma perche era ladro, e avendo egli la cassetta asportava le cose messevi dentro » ( cfr Gv. 12,6).

Dunque Giuda era ladro, e sottraeva il denaro della cassa comune. Ma, oltre che essere ladro, era incancrenito nell'avarizia (uno dei 7 vizi capitali) : « più di 300 denari » era una somma cospicua, quasi un anno intero di salario d'un operaio, e il ladro al vedersi sfumare questa bell'entrata scattò facendosi scudo dei poveri, tanto che Gesù dovette intervenire per frenare quella avidità e quella falsità, e la Sua bontà fece in modo di non umiliare pubblicamente Giuda ma affermando che in quell'ora Santa era giusto spendere per adorare il Corpo del Signore perché "i poveri li avrete sempre fra voi".

 

Vi è da dire che, come leggiamo nei Vangeli, Giuda "si pentì" di quanto aveva fatto.

Qui può scattare in molti il dubbio: ma se si è pentito allora si è salvato?

La Chiesa non ha il compito di condannare o la missione di mandare la gente all'Inferno, tuttavia ammonisce che l'Inferno esiste e ci si va a determinate condizioni.

Qualcuno usa maldestramente anche la Catechesi del Mercoledì  -18.10.2006 -dedicata a Giuda nella quale il Papa Benedetto XVI dice:

 ".. gli evangelisti insistono sulla qualità di apostolo, che a Giuda competeva a tutti gli effetti: egli è ripetutamente detto “uno dei Dodici” (Mt 26,14.47; Mc 14,10.20; Gv 6,71) o “del numero dei Dodici” (Lc 22,3).

Anzi, per due volte Gesù, rivolgendosi agli Apostoli e parlando proprio di lui, lo indica come “uno di voi” (Mt 26,21; Mc 14,18; Gv 6,70; 13,21). E Pietro dirà di Giuda che “era del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero” (At 1,17).

Si tratta dunque di una figura appartenente al gruppo di coloro che Gesù si era scelti come stretti compagni e collaboratori. Ciò suscita due domande nel tentativo di dare una spiegazione ai fatti accaduti.

La prima consiste nel chiederci come mai Gesù abbia scelto quest’uomo e gli abbia dato fiducia. Oltre tutto, infatti, benché Giuda fosse di fatto l’economo del gruppo (cfr Gv 12,6b; 13,29a), in realtà è qualificato anche come “ladro” (Gv 12,6a).

Il mistero della scelta rimane, tanto più che Gesù pronuncia un giudizio molto severo su di lui: “Guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!” (Mt 26,24).

Ancora di più si infittisce il mistero circa la sua sorte eterna, sapendo che Giuda “si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente»” (Mt 27,3-4).

Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27,5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto.

(..)

 Giovanni dice espressamente che “il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo” (Gv 13,2); analogamente scrive Luca: “Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3).

In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno. Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un mistero. Gesù lo ha trattato da amico (cfr Mt 26,50), però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana.  

In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte. L'unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù, assumendo il suo punto di vista.

Dobbiamo cercare, giorno per giorno, di fare piena comunione con Lui. Ricordiamoci che anche Pietro voleva opporsi a lui e a ciò che lo aspettava a Gerusalemme, ma ne ricevette un rimprovero fortissimo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,32-33)! Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito ed ha trovato perdono e grazia. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione e così è divenuto autodistruzione..."

***

Anche nel 2006 si scrisse che "il Papa aveva assolto Giuda" estrapolando la frase: "Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27,5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto",

ma è falsa anche questa interpretazione perché è sempre stato vero che non spetta neppure al Papa condannare Giuda "uno dei Dodici", all'Inferno. Il Papa può solo ammonire e ricordare, come è attraverso il Catechismo, che esistono delle gravi condizioni per le quali si va all'Inferno.

I Padri stessi non hanno mai detto che "Giuda è all'Inferno" ma hanno sempre detto che la sua posizione è quella del dannato. Se poi ci sia finito o meno, all'Inferno, questo spetta solo a Dio. La vicenda di Giuda ci insegna molte cose ed è ammonizione per noi per non imitarlo, quindi Giuda non è un santo e non è da imitare.

 

La eventuale condanna di Giuda non sta nel "tradimento" in sé del quale si è pentito, ma risiede in una situazione generale nella quale Giuda convive disperando (=suicidio) proprio di quel perdono perché non vedeva in Gesù il "Verbo-Dio Incarnato" ma il liberatore politico che lo aveva deluso. Giuda non si convertì, per questo si impiccò.

In Giuda vi erano due amori : uno per il danaro, l'altro verso la persona di Cristo stesso, certamente gli era affezionato, aveva assaporato che stare con il Cristo non mancava nulla e si stava bene.

Infatti senza quest'amore verso Gesù non si spiega la fine stessa del traditore.

Se Giuda avesse tradito Cristo unicamente mosso dall'interesse per la Sua divinità salvatrice, non si comprenderebbe perché il traditore « restituì il lucro, rinnegò tutto il suo tradimento, si abbandonò alla disperazione, si suicidò ».

Se Giuda non avesse sentito per Gesù un amore tanto grande quanto quello per il danaro, non avrebbe restituito il denaro né affermato che aveva "tradito un innocente".

Il punto dolente è che l'amore di Giuda per Gesù non era quell'amore generoso di Pietro il quale pur rinnegando Gesù, si pentì davvero e "pianse amaramente".

Pietro non aveva rinnegato il Maestro per scopi venali, o perché lo riteneva il liberatore dal giogo romano, ma perché "ebbe paura".

La situazione è ben diversa. Il cuore di Pietro soffre davvero per l'Uomo-Dio, Pietro è in quel momento confuso. Certo, Gesù lo aveva avvertito che lo avrebbe rinnegato, ma come poteva comprendere Pietro che il tutto sarebbe accaduto in una notte e in un modo così incomprensibile? La paura prese il sopravvento, ma quando incontrò lo sguardo di Cristo, comprese la profezia e "pianse amaramente" scappò ma non era disperato, scappò rinchiudendosi nel Cenacolo per attendere cosa fare, come rimediare. Pietro non aveva perduto la speranza! Si pentì e si convertì.

In Giuda invece non vi era nel suo amore per Gesù alcunché di sacro; un amore che — mentre lo spingeva al tradimento — lo legò ancora talmente a Gesù stesso che Giuda si pentì è vero, ma rimase nella disperazione e si uccise perché non credeva possibile rimediare alla sua posizione.

Ecco perché la peggiore iniquità di Giuda non consistette tanto nel vendere Gesù, quanto nel disperare del suo perdono.

Questo suicidio fu come un rifiuto alla mano tesa dal Cristo.

"Questo disperare del perdono dimostra che Giuda aveva per il Giusto da lui tradito un'altissima stima, la quale gli fece misurare l'abissale nefandezza del delitto commesso ; una stima però incompleta e quindi ingiuriosa, perché Giuda riteneva Gesù incapace di perdonare al traditore. Gesù fu ingiuriato da Giuda dal suo disperare il perdono : qui fu l'oltraggio sommo ricevuto da Gesù e l'iniquità somma commessa da Giuda" ( Ricciotti, o.c, pp. 646-648 ).

Ad essere più pignoli Giuda commise quel peccato contro lo Spirito Santo: disperare nella salvezza, che è imperdonabile non da parte di Dio ma del soggetto che non si perdona dopo il pentimento, dispera della salvezza e chiude la porta a Dio.

Leggiamo ancora cosa dicono i Padri della Chiesa:

- San Giovanni Crisostomo: « Più ingrato, più perfido, più ostinato di tutti fu Giuda. Atterrato con gli altri, rialzato con loro, non si ravvide, non si converte. Anzi, alla durezza d'animo, aggiunse l'empietà, l'ipocrisia, l'insulto! L'avarizia gli fece perdere totalmente la fede! » ( Omelia LXXXII, In Gv. )

- San Bernardo: « Misericordia, pietà, clemenza del mio Dio! Come in questo fatto manifesti la tua tenerezza! Come una madre amorosa, la quale, vedendo vicino a cadere il bambino, corre ad arrestarlo sull'orlo del precipizio, così Gesù, vedendo il suo discepolo sul punto di consumare la sua riprovazione e piombare nell'inferno, adoperò verso di lui, tutti i tratti della sua carità per riconquistarlo alla salute, alla grazia, alla vita! » (Sermone, De Passione.).

- Sant'Agostino: « O Giuda, che infamia è mai la tua! Usare il segno della pace, per rompere il sacramento della pace! Il segno dell'amore, per arrecare la morte! » (Sermone XV, De tempore. ).

- Sant'Ambrogio: « Giuda, come osi appressare le tue immonde labbra a quel volto, cui, con tanta riverenza, osarono appressarsi le labbra purissime di Maria? Come versi il fiele della perfidia su quella bocca divina, da cui discende la grazia e la vita? Come cambi, in segno di tradimento, l'espressione dell'amicizia, il sigillo della fedeltà » (In Salmo, XXXIX ).

- San Bernardo: « 0 Dio d'infinita tenerezza e bontà! Che degnazione la tua di avere, non solo chiamato amico il tuo traditore, ma ancora di avere applicato dolcemente la tua bocca divina — che non conobbe mai inganno — ad una bocca d'inferno, dalla quale non esce che malignità e perfidia!» (Sermone, De Passione).

- San Giovanni Crisostomo: « Gesù, dicendo al traditore : " Giuda, con un bacio tradisci il figlio dell'uomo? ", dimostra al traditore che, lungi dall'essere adirato con lui, lo compassiona, lo compiange, lo vuole salvo; poiché, chiamandolo per nome, dimostra a lui un segno di premura, di affezione, di amore » ( Cateti., In Le ).

- San Bernardo: « Gesù non dimostrò ripugnanza di lasciarsi avvicinare dal traditore; non si scostò da lui; non torse il viso; non allontanò la fronte. Anzi gli andò incontro; si piegò su di lui; lo abbracciò; ricevette il suo bacio » ( Sermone, De pass. Dom).

- San Massimo: « Giuda, non potendo liberarsi dal supplizio dì una vita rea di sì grande delitto, disperando di correggersi, non ebbe più forza di sopportarsi. Da reo, si fece giudice del suo delitto ed esecutore della sua condanna, poiché non poteva perire più degnamente un Giuda che per le mani di Giuda» ( Sermone II, De Passione ).

- San Leone Magno: « Giuda, come peccò nell'interesse della sua avarizia, così non si pentì che nell'interesse del suo orgoglio. Peccatore e penitente, Giuda fu sempre l'idolo di se stesso. La sua penitenza offese Dio più dello stesso suo peccato. Fu essa un peccato novello, ed il maggiore di tutti i peccati. Questa sua penitenza, invece di cancellare la sua colpa, l'aggravò e vi pose il sigillo » ( Sermone V, De Passione ).

 

Dobbiamo chiederci dunque: cosa insegna a noi il caso di Giuda?

A guardarci dall'ingratitudine e dall'avarizia, dal peccato contro lo Spirito Santo.

Le passioni umane conducono alla disperazione. Giuda, possiamo dire, fu il primo a dimostrarci l'autenticità delle parole di San Paolo:

1 Cor 11,27-30 “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.

È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti”.

L’autorevole Bibbia di Gerusalemme commenta quest’ultimo versetto con le seguenti parole: “Paolo interpreta un’epidemia come una punizione divina per la mancanza di carità che ha reso l’Eucaristia impossibile”.

Giuda si pentì, ma non si convertì, egli agì in quel modo perché non si convertì.

Pentirsi e convertirsi sono due atti diversi: ci si può pentire per un gesto compiuto, ma per salvarsi non basta, occorre la riparazione del gesto compiuto.

Pietro quando rinnegò Gesù si pentì e pianse amaramente convertendosi e aspettando cosa potesse fare per porre rimedio a quel gesto ed infatti morì martire in nome di Cristo; anche Saulo dopo il pentimento si convertì diventando un grande apostolo e morendo martire;

Giuda pur pentendosi non attese cosa dovesse fare, non si convertì a Cristo, attese piuttosto dai sacerdoti una parola di pietà dopo il pentimento e la restituzione dei 30 danari. Non ricevendo compassione da loro, corse disperato ad impiccarsi.

 

Così dice Sant'Agostino: "Giuda consegnò Cristo e fu condannato. Giuda consegnò e viene condannato: il Padre consegnò il Figlio e viene glorificato. Giuda, ripeto, consegnò il Maestro e viene condannato: il Figlio stesso si consegnò e viene lodato.  (..) Che fece dunque Giuda? Che fece quindi di buono? Da lui si fece derivare il bene, ma non lo fece da sé. E infatti Giuda non disse: Consegnerò Cristo perché sia salvo il genere umano. In Giuda fu l'avarizia a consegnare, in Dio la misericordia. A Giuda venne corrisposto solo quel che fece, non quello che Dio fece di lui" (Disc. 301).

 

 

****




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Paolo di Tarso e Maria di Nazaret
   

Si affronta in questo testo, un vero saggio, la dottrina dell’Apostolo per la mariologia.
  

È raro trovare l’accostamento di Paolo di Tarso a Maria di Nazaret, due figure bibliche senza evidente legame o necessario richiamo. Basti consultare il Dizionario di Paolo e delle sue lettere (G.F. Hawthorne, C.R. Martin e D. Reid, a cura di R. Penna, San Paolo 2000, pp. 1.886, € 61,97), per accorgersi che il nome di Maria è completamente ignorato, anche come donna che ha generato il Figlio di Dio (Gal 4,4), passo saltato perfino nella voce Lettera ai Galati.

A prima vista sembra che in realtà non ci sia niente di comune tra i due personaggi di rilievo nella Chiesa delle origini. Paolo è il missionario teologo, l’apostolo delle genti e il rappresentante di un cristianesimo libero dalla legge di Mosè e aperto all’ellenismo; Maria è una donna tenuta in grande considerazione come madre di Cristo, ma professante come Pietro e Giacomo un giudeo-cristianesimo fedele alle prescrizioni legali in seno alla comunità di Gerusalemme.

Inizio della Lettera ai Galati. Pagina miniata del sec. XIII, Biblioteca braidense, Milano.
Inizio della Lettera ai Galati. Pagina miniata del sec. XIII, Biblioteca braidense, Milano (
foto Archivio Storico San Paolo).

Eppure il legame tra Paolo e Maria esiste, dal momento che dobbiamo all’Apostolo il primo testo del Nuovo Testamento dove si parla di Cristo come «nato da donna» (Gal 4,4). Riflettendo sul piano della salvezza e in particolare sull’incarnazione, Paolo non può fare a meno di riferirsi a quella donna d’Israele che ha generato il Messia.

Il quadro normativo per l’annuncio di Maria nella Chiesa. Come è risaputo, i discorsi kerigmatici di Pietro (At 2,14-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-46) e di Paolo (At 13,16-30; 17,22-31), mirano a comunicare il contenuto essenziale della storia della salvezza: Cristo morto e risorto. Solo una volta si fa riferimento all’attività sanatrice ed esorcistica di Gesù dopo il battesimo di Giovanni (At 10,38) e solo una volta si menziona la discendenza davidica di Cristo: «Dalla discendenza di lui [Davide], secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore» (At 13,23).

In questa prima fase non si nomina mai Maria. La ragione di questo silenzio sulla Madre di Gesù è comprensibile: essa rientra nel più vasto silenzio circa l’intero arco della vicenda storica di Cristo (che sarà oggetto di considerazione accurata da parte degli evangelisti), perché il centro d’interesse degli apostoli è l’annuncio del mistero pasquale.

Fratelli Linnich, San Paolo (part., sec. XX), vetrata del Tempio di san Paolo, Alba (Cuneo).
Fratelli Linnich, San Paolo (part., sec. XX), vetrata del Tempio di san Paolo, Alba (Cuneo – foto E. Necade).

Paolo rompe il silenzio su Maria offrendo in Gal 4,4 la più antica testimonianza mariana del Nuovo Testamento, che risale al 49 o al massimo al 57 dopo Cristo, cioè una ventina d’anni dopo l’Ascensione.

Occasione della lettera ai Galati è l’infiltrazione nelle comunità della Galazia in Asia Minore (attuale Turchia) di alcuni cristiani giudaizzanti, che insegnavano la validità della legge giudaica per nulla abolita da Cristo. A questi Paolo oppone il suo Vangelo, ossia la salvezza mediante la fede in Cristo. Da autentico teologo, Paolo pone il dilemma: chi ci salva, Cristo o la legge? Se la salvezza viene dalla legge, allora «Cristo è morto invano» (Gal 2,21). Ma se Cristo è il salvatore, allora la legge perde la sua funzione e necessità, sicché le genti possono credere ed essere battezzate senza passare dall’obbedienza alle prescrizioni mosaiche. Con questa soluzione, che raccoglie l’accordo degli apostoli e comunità, il cristianesimo cessa di essere un semplice gruppo ebraico (pur mantenendone la fede monoteistica e la profonda spiritualità), e diviene una comunità universale.

In tale contesto polemico contro i giudaizzanti, Paolo introduce il testo di alto interesse cristologico in cui si fa menzione «tangenzialmente e in forma anonima» di Maria, la «donna» dalla quale nacque Gesù: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4).

Boccardino da Firenze, La Trinità, miniatura del sec. XVI, Basilica di san Pietro, Perugia.
Boccardino da Firenze, La Trinità, miniatura del sec. XVI, Basilica di san Pietro, Perugia (foto Lores Riva).

Nonostante la sua laconicità, tale testo è considerato di altissimo interesse mariano, quasi «una mariologia in germe», in quanto «nucleo germinale» aperto «alle successive acquisizioni del Nuovo Testamento».

Lo storico dei dogmi mariani Georg Söll giunge ad affermare: «Dal punto di vista dogmatico l’enunciato di Gal 4,4 è il testo mariologicamente più significativo del NT, anche se la sua importanza non fu pienamente avvertita da certi teologi di ieri e di oggi. Con Paolo ha inizio l’aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l’attestazione della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo significato».

L’importanza del testo paolino è data dal fatto che esso ha una struttura trinitaria ed insieme storico-salvifica.

Paolo ricorre chiaramente allo schema di invio. Il soggetto della frase è il Padre, che determina lapienezza del tempo, cioè il tempo propizio alla salvezza dopo il periodo di sudditanza e di maturazione (Gal 4,1-2), e decide l’invio di suo Figlio. Questi, che preesiste per poter essere inviato, viene nel tempo secondo due modalità e finalità intimamente connesse e contrapposte: nasce in condizione di fragilità (nato da donna) edi schiavitù (nato sotto la legge) in vista della liberazione dalla schiavitù (per riscattare coloro che erano sotto la legge) e del dono della figliolanza divina reso possibile dallo Spirito (perché ricevessimo l’adozione a figli, Gal 4,6).

San Paolo, miniatura del sec. XVI, Certosa di Pavia.
San Paolo, miniatura del sec. XVI, Certosa di Pavia (foto Tagliabue).

Maria è la donna che inserisce il Figlio di Dio nella storia in una condizione di abbassamento, ma ella è situata nella pienezza del tempo e si trova coinvolta nel disegno storico-salvifico della trasformazione degli uomini in figli di Dio.

Nei due versetti (Gal 4,4-6) sono presenti le persone della Trinità in un orizzonte storico-salvifico, sicché si può giustamente osservare che la donna da cui nasce Cristo è incomprensibile al di fuori della sua relazione con le tre persone divine e con la storia della salvezza.

Il «mistero» della donna in Gal 4,4ss è totalmente inserito in un disegno cristologico-trinitario-ecclesiale e posto a garanzia dell’effettiva libertà dei figli di Dio.

La donna, di cui non si menziona neppure il nome, è interamente al servizio dell’evento salvifico che impegna la Trinità intera ed è a vantaggio di tutti gli uomini.

Potremmo dire che Maria è coinvolta nel «complotto» di Dio, meglio nel suo misterioso e sorprendente «disegno», per la salvezza degli esseri umani: «[Maria] è colei che porta in sé Gesù Cristo; ma non vuole conservarlo per sé, perché infine è colei che lo porta al mondo: in questo senso partecipa – come la Chiesa – a quello che si potrebbe chiamare il "complotto" di Dio per salvare il mondo, e si può celebrarla come quella che ha introdotto segretamente tra gli uomini il Cristo, nel quale il regno di Dio è presente».

Paolo tra i Galati, miniatura del sec. XIII, Biblioteca marciana, Venezia.
Paolo tra i Galati, miniatura del sec. XIII, Biblioteca marciana, Venezia (foto S.a.i.e.).

Il genere paradossale per parlare della Madre di Cristo. Nello stesso breve passo di Gal 4,4 Paolo ricorre al genere paradossale, a lui caro (1Cor 1,21-31; 2Cor 5,21; 8,9; Rm 8,3-4), mettendo insieme realtà contrastanti (paradosso, dal greco pará dóxa = a lato dell’opinione): schiavitù-redenzione, fragilità-figliolanza divina. Esiste in realtà un rapporto antitetico tra la modalità con cui il Figlio di Dio si presenta al mondo e la finalità della stessa sua venuta.

In pratica Paolo applica all’invio del Verbo nella condizione umana la legge storico-salvifica dell’abbassamento-esaltazione che lega la prima alleanza al definitivo Testamento.

Il ribaltamento delle sorti è il messaggio del libro di Ester, dove questa è intronizzata e Vasti ripudiata, Mardocheo è esaltato e Amman ucciso. Soprattutto nel Servo di JHWH si realizza l’antitesiabbassamento-esaltazione: egli è umiliato con la persecuzione e la sofferenza, ma poi viene «esaltato e molto innalzato» (Is 50,6; 52,13).

Quando la comunità cristiana cerca un principio che renda comprensibile la vicenda di Gesù, lo trova nello schema del giusto sofferente ed esaltato. In questa linea si svolge il celebre inno cristologico pre-paolino di Fil 2,6-11, dove si passa dalla fase di umiliazione che raggiunge il climax nella morte di croce all’esaltazione di Gesù come Signore.

Il Bergognone, Maria e donne sotto la croce (1512), ex monastero benedettino di Brugora di Besana (Milano).
Il Bergognone, Maria e donne sotto la croce (1512), ex monastero benedettino
di Brugora di Besana (Milano – foto Censi).

Di fronte al testo di Paolo sorgono spontaneamente alcuni interrogativi: come può Cristo «sottomesso alla legge» liberare quanti attendono di esserne affrancati? E come può un «nato da donna» come tutti gli esseri umani conferire la dignità di figli di Dio?

Paolo non scioglie questi enigmi, ma lascia aperto il discorso circa il modo con cui Cristo viene al mondo (per es. verginalmente e nella potenza dello Spirito, come specificheranno i Vangeli dell’infanzia) o è sottoposto alla legge (cioè volontariamente, senza essere obbligato). Il discorso rimane aperto anche circa il tempo, quando si passerà dall’umiliazione all’esaltazione; tale passaggio avverrà sicuramente per Paolo nel mistero pasquale, ma nel passo di Gal 4,4 esso rimane implicito.

Maria è accomunata alla kenosi del Figlio, cioè alla sua incarnazione in stato di svuotamento e di debolezza, di cui lei diviene elemento indispensabile.

Quattro secoli più tardi Agostino riconoscerà in Maria la madre della «debolezza» di Cristo, «non della sua divinità», avendolo generato nella condizione umana. Del resto gli studi biblici e teologici nel Novecento contestualizzeranno la Vergine di Nazaret nella storia spirituale del suo popolo piccolo, disprezzato e calpestato dalle grandi potenze. Ella fa parte dei «poveri di JHWH», apice spirituale d’Israele, come donna in ascolto di Dio che si rivela, al quale fa il dono totale di sé.

Pur avendo generato il Signore dell’universo, ella conduce una vita senza privilegi terreni, in situazione di povertà e di assenza di qualsiasi potere e influsso. La sua suprema kenosi è raggiunta sul Calvario quando sperimenta la spada del dolore. Tuttavia il principio kenotico «sarebbe monco e incompleto qualora non venisse attribuita alla Madre di Gesù anche la sua necessaria conseguenza che è l’esaltazione».

Lkenosi di Cristo, cui partecipa Maria, non è che il primo pannello di un dittico che contempla anche la condizione glorificata di entrambi. Il theologumeno storico-salvifico dell’abbassamento-esaltazione che la Vergine applica alla sua vicenda nel Magnificat (Lc 1,47-48), può tradursi oggi con emarginazione-promozione, passività-inserimento attivo nella storia, vuoto di valori-pienezza di significato: Dio ha trasformato la sua insignificanza in momento di salvezza messianica. L’immagine kenotica di Maria controbilancia la tendenza glorificatrice di lei, che la privava della sua consistenza concreta di donna inserita nella storia dell’ebraismo, giungendo ad una certa disumanizzazione della sua figura.

Stefano De Fiores, smm
   

Invito all’approfondimento: F. Manzi, Tratti mariologici nel "Vangelo" di Paolo, in Theotokos, VIII (2000), pp. 649-689; A.M. Serra, Nato da donna, Servitium 1992, pp. 405, € 25,82.








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04/02/2014 10:36
 
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[SM=g1740758] Cosa significa "rinnegare se stessi"?
in questa omelia di 7 minuti, Don Reto di GloriaTV lo spiega benissimo... ascoltiamolo!!

gloria.tv/?media=563745





[SM=g1740717]


[SM=g1740733]



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  Un sacerdote risponde

Mi parli della grazia e della potenza di Dio che opera in noi

Quesito

caro padre Angelo,
sono Teo ..come va? non so se si ricorda di me.. prima scrivevo spesso a lei...
Volevo chiedere...che differenza c'è tra questi due termini presenti nella scrittura: charis (grazia) e dunamis (potenza), quali sono le funzioni che hanno questi due elementi nella vita del credente e che relazione c'è tra i due termini.
grazie di cuore
Dio la benedica
La ricordo sempre nelle mie preghiere


Risposta del sacerdote

Caro Teo,
1. la parola grazia nella Sacra Scrittura significa dono ed è usata secondo varie accezioni a seconda dei vari generi del dono elargito.
Il dono più alto che viene comunicato agli uomini è Dio stesso, Dio che si fa uomo, Gesù Cristo.
Per questo nella lettura che si legge nella Messa di mezzanotte di Natale san Paolo dice. “È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tit 2,11).

2. Ma il termine grazia indica anche un dono soprannaturale comunicato agli uomini e che si distingue da Dio stesso.
In questo senso Maria viene detta “piena di grazia”, piena della benevolenza e dei doni di Dio. 
Qui “grazia” indica un suo stato particolare di favore di cui gode nei confronti di Dio”.
È proprio questo stato o questa benevolenza di Dio che le permette di possedere nel proprio cuore la presenza personale di Dio nella massima maniera possibile a una creatura.

3. I teologi danno un nome preciso a questa benevolenza o grazia divina: è la “grazia santificante”. 
Questo termine nel Vangelo e nel Nuovo Testamento corrisponde alla “vita” che Gesù viene a comunicare, quella di cui parla quando dice: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24). 
Questa grazia viene chiamata anche “vita eterna”. Essa s’identifica con il possesso di Dio e della SS. Trinità nel proprio cuore, che avviene già di qua, secondo le parole di Gesù: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). 
Qui il verbo conoscere non significa solo conoscere, ma anche amare e possedere.
La Grazia, chiamata anche vita e vita eterna, talvolta viene espressa con il termine spirito: “le parole che vi ho dette sono spirito e vita” (Gv 6,63). Le parole di Gesù comunicano la grazia, la vita spirituale.

4. La potenza (dünamis) è un attributo di Dio ed è un sinonimo dell’onnipotenza divina. Per questo nell’Antico Testamento Dio viene presentato come il ”Dio degli eserciti”, Deus sabaoth.
Quest’espressione risuonava nell’antica Messa celebrata in latino, che aveva conservato la dizione ebraica.
La traduzione italiana mette “Dio dell’universo” e sparisce da quest’espressione l’onnipotenza divina.
La Bibbia di Gerusalemme dice che “la potenza è un equivalente di Jahwè” (nota a Mt 26,64).

5. Gesù manda i suoi discepoli perché attestino la sua sovrana onnipotenza: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (Mt 28,18).
Essi perciò hanno il compito di sottomettere al suo regno spirituale tutte le nazioni: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,10-20).

6. Come la grazia viene partecipata ai credenti, così anche la sua potenza.
La grazia stessa è quella potenza che li rende incrollabili sotto gli attacchi del loro avversario.
Scrive San Pietro: “Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, egli stesso, dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta. A lui la potenza nei secoli. Amen!” (1 Pt 5,5-11).
Per questo il discepolo del Signore, sottomesso alla potenza di Dio, non deve aver alcuna paura del demonio. 
Anzi, quando è rivestito di grazia è il demonio stesso che comincia ad aver paura e fugge. San Diacono dice: “Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi” (Gc 4,7).

7. Per mezzo della grazia risplende nel cristiano quella potenza di Gesù che faceva tremare i demoni e li metteva in fuga.
È questa la potenza del Signore degli eserciti che gli viene comunicata.
In forza di essa “mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire” (Sal 91,7).
In ordine ai mali che derivano direttamente dal demonio il cristiano che vive in grazia ha questa garanzia: “mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire” (Sal 91,7).
E ancora “non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda.
Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie.
Sulle mani essi ti porteranno, perché il tuo piede non inciampi nella pietra” (Sal 91,10-12).

8. Ecco dunque qualcosa dello stretto legame tra grazia e potenza.
Ma vi sarebbe da parlare anche della straordinaria potenza di cui godono coloro che vivono in grazia, dei doni dello Spirito Santo che in qualche modo fanno già rapire il cielo fin che siamo di qua e della virtù dei loro meriti e delle loro preghiere.

Ti ringrazio per le preghiere che sempre fai per me.
Ti auguro di crescere sempre più nella grazia e nella potenza dello Spirito Santo.
Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Faccio confusione nel sentire parlare di anima e di spirito

Quesito

Caro padre Angelo,
vorrei porle una domanda sulla differenza tra anima e spirito. Spesso vengono usati come sinonimi (erroneamente dice qualcuno..), altri invece sostengono che anima significhi "mente" e che quindi non sia eterna e che lo spirito sia il soffio divino ed eterno.... ma se le cose stanno così Cristo come avrebbe potuto dire: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, perchè non possono uccidere la vostra anima"? E perchè nel momento della morte è scritto che "Consegnò lo spirito"? L'individualità dell'uomo risiede nell'anima o nello spirito? Io credo che l'anima sia una realtà spirituale, è quella a cui facciamo riferimento quando cerchiamo di dare un senso alla nostra vita, dove il bene e il male diventano oggetto di scelta. Quindi mi sembra assurdo sentire che l'anima non sia eterna. Non a caso San Francesco parlava di "morte secunda" o "morte dell'anima", cioè l'anima priva di qualsiasi luce interiore, incapace di distinguere il bene dal male, ma non MORTA in senso letterale. Mi perdoni se non sono stata abbastanza chiara. La ringrazio per l'attenzione e spero che mi risponderà presto :)

Camilla


Risposta del sacerdote

Cara Camilla,
1. di per sé l’anima umana è spirituale, e come tale è incorruttibile e immortale. Può morire solo ciò che è composito, costituito di parti. La disgregazione delle parti in un vivente ne segna la morte. 
L’anima umana invece, essendo spirituale, non è costituita di materia e pertanto non ha parti e conseguentemente è incorruttibile e immortale.

2. Che l’anima umana sia spirituale si può provare con le sole risorse della ragione.
Sant’Agostino, all’età di 18 anni, pur non essendo ancora cristiano, dopo aver letto le opere di Platone e l’Ortensio di Cicerone, due grandi pensatori pagani, si convinse della spiritualità dell’anima umana.
A suo tempo, nel nostro sito, ne ho portato le argomentazioni.

3. Per noi dire anima spirituale e spirito umano è la stessa cosa.
I due termini sono sinonimi.
Per questo comunemente si dice che l’uomo è composto di anima e di corpo.
Oppure si dice che è composto di materia e di spirito, intendendo per materia il corpo, e per spirito l’anima.
L’individualità dell’uomo non consiste nel suo spirito, ma nell’unità di anima e corpo.

4. In San Paolo però anima e spirito non sono la stessa cosa.
In 1 Ts 5,23 egli scrive: “e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo” (1 Ts 5,23).
Per San Paolo lo “spirito” distinto dall’anima corrisponde a ciò che noi chiamiamo grazia.
La grazia è quello splendore soprannaturale che Dio infonde in noi quando ci genera come suoi figli e ci rende capaci di possedere dentro il nostro cuore la sua presenza personale, la presenza della SS. Trinità.
In questo senso lo spirito è così distinto dall’anima che ne può essere anche separato, come avviene in chi si trova in peccato mortale e pertanto perde la grazia.

5. Ancora: l’anima spirituale è una realtà di ordine naturale. Appartiene alla natura umana.
La grazia invece o, per usare il linguaggio di san Paolo, lo spirito è una realtà di ordine soprannaturale, è una partecipazione della vita divina fatta all’uomo.

6. L’anima spirituale e il corpo fanno l’uomo.
L’anima spirituale, il corpo e la grazia fanno il cristiano, il figlio di Dio.

7. Quando si legge che Gesù emise lo spirito, s’intende come primo significato che consegnò la sua anima al Padre, mentre lasciava il suo corpo alla terra.
Ma s’intende anche che morendo consegnò il suo spirito, la sua vita a noi.

Nella speranza di aver portato chiarezza, ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

L'anima umana non viene trasmessa dai genitori (traducianesimo), ma viene creata immediatamente da Dio (creazionismo)

Quesito

Caro padre Angelo, 
grazie per il contributo che offre con le sue risposte. Leggendo sant'Agostino mi sono imbattuto sul traducianismo, opposto al creazionismo, secondo il quale l'anima viene trasmessa di padre in figlio attraverso la generazione del corpo, spiegandone così l'ereditarietà del peccato originale. Non si può d'altronde ammettere che Dio crei un'anima dannata (stato in cui si trova tutta l'umanità da cui nessun membro può essere sottratto se non dalla misericordia e dalla grazia di Dio. Devo dire che ciò spiegherebbe molte mie perplessità. La mia domanda è dunque: bisogna credere alla visione che ci offre la dottrina del traducianismo, o quella offertaci dal creazionismo? Riflettendo, la prima offre importanti risposte, credo, anche nel campo della bioetica. 
La ringrazio per la pazienza e l'ascolto. 
Mi ricordi nelle sue preghiere. 
Eugenio


Risposta del sacerdote

Caro Eugenio,
1. a vantaggio dei nostri visitatori ricordo il significato di traducianesimo e creazionismo.
Il problema riguarda l’origine dell’anima.
Per la prima teoria l’anima trae origine dai genitori e viene trasmessa dai genitori al figlio.
Per la seconda ogni singola l’anima viene creata direttamente da Dio.

2. A Sant’Agostino il traducianesimo pareva più consono con la dottrina del peccato originale, anche se il creazionismo salvava meglio la spiritualità dell’anima.
Per San Tommaso e per il pensiero a lui successivo l’anima viene creata direttamente da Dio. Essendo l’anima di natura spirituale non può trarre origine dalla materia, ma solo da Dio mediante un suo atto creativo..

3. Ecco che cosa insegna San Tommaso: “(L’anima umana)  non può derivare da una materia preesistente né corporea, perché sarebbe allora di natura corporea, né spirituale, perché in tal caso le sostanze spirituali si trasmuterebbero le une nelle altre” (Somma teologica, I, 90, 2).
Pertanto “è necessario concludere che l’anima umana viene prodotta solo per creazione” (Ib.).

4. Anzi, è creata da Dio: “Alcuni pensarono che gli angeli, operando per delegazione divina, producono le anime umane. Ma questo è assolutamente impossibile e contrario alla fede. Infatti abbiamo visto che l'anima umana non può essere prodotta che per creazione.
Ora, Dio solo può creare.
Infatti è prerogativa del solo primo agente operare senza presupposto alcuno: invece la causa seconda presuppone sempre qualche cosa dovuta al primo agente…
Ma chi produce un effetto presupponendo qualche cosa compie una trasmutazione; mentre soltanto Dio può compiere una creazione. E poiché l'anima intellettiva non può derivare per trasmutazione da una qualsiasi materia, non potrà essere prodotta che immediatamente da Dio” (Somma teologica, I, 90, 3).

5. Aderire al creazionismo non significa affermare che l’anima sia stata creata in stato di dannazione.
Questo la Chiesa non l’ha mai insegnato e neanche ipotizzato.
Anzi, per le anime morte senza peccati gravi personali e senza la grazia conferita dal Battessimo la Chiesa ipotizzava il limbo, e cioè uno stato di felicità naturale.

6. Per la trasmissione di tare o handicap particolari non è necessario ricorrere al traducianismo. È sufficiente ricordare che alcune tare si trasmettono a livello genetico.

7. Desidero precisare infine che oggi al termine “creazionismo” si dà per estensione un significato più ampio e lo si oppone alla teoria dell’evoluzione.
Su questo punto il Magistero della Chiesa lascia libertà di pensiero purché si affermi che il mondo è stato creato da Dio e che, al momento della comparsa dell’uomo, la sua anima sia stata creata immediatamente da Dio.

Ti ricordo volentieri nelle mie preghiere come hai chiesto, e ti benedico.
Padre Angelo






Un sacerdote risponde

In che modo l’anima umana viene infettata dal peccato originale se esce dalle mani purissime di Dio

Quesito

Padre provo ad esprimere sinteticamente un quesito su cui da tempo mi interrogo.
Sappiamo di essere creature costituite di anima e corpo che sono secondo il CCC parte di un'unica natura, se ben ricordo! Tuttavia il corpo Dio lo dona indirettamente per mezzo dei nostri genitori mentre l'anima è creata direttamente da Dio. Ora penso che provenendo direttamente da Dio l'anima viene creata perfetta perchè scaturisce direttamente dal Perfettissimo. Allora il peccato originale riguarda esclusivamente il corpo per questo mortale e non l'anima che è immortale? Non mi convince ciò perchè anima e corpo sono parte di un'unica natura che è la persona umana! Si può ipotizzare un primo istante di immacolatezza di ogni persona e di un secondo istante di azione del peccato originale? Praticamente quello che ereticamente si sosteneva di Maria Santissima? 
La ringrazio, pace e bene


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. ho lasciato la tua mail come l’hai scritta, sebbene vi sia qualche imprecisione nella terminologia.
L’ho lasciata così perché il senso della tua domanda si capisce bene. 
In poche parole tu chiedi: in che modo l’anima umana viene infettata dal peccato originale se esce dalle mani purissime di Dio?

2. Il Catechismo della Chiesa Cattolica risponde: “la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno” (CCC 404).

3. Continua il Catechismo: “Sappiamo però dalla Rivelazione che Adamo aveva ricevuto la santità e la giustizia originali non soltanto per sé, ma per tutta la natura umana: cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato « peccato » in modo analogico: è un peccato « contratto » e non « commesso », uno stato e non un atto” (CCC 404).

4. I teologi si domandano in quale maniera l’anima rimanga contagiata.
Di certo Dio non la può creare “maculata” (macchiata).
Senti che cosa dice S. Agostino: “A questo proposito preferisco stare in ascolto che parlare per non avere la presunzione di insegnare ciò che non conosco” (Libentius disco quam dico, ne audeam docere quod nescio; Contra Julian., 4,17).

5. Come vedi, Sant’Agostino si poneva il tuo stesso problema e si domandava come potesse Dio creare un’anima macchiata dal peccato originale. Preferiva dunque rimanere in silenzio.
I teologi posteriori, seguaci del pensiero di San Tommaso, hanno pensato che l’anima venisse inquinata nel momento stesso della sua creazione, che è lo stesso momento in cui viene infusa nel corpo.
E poiché il corpo eredita la natura corrotta dei genitori, così l’anima, che di quel corpo è il principio vitale, si presenta come l’anima di un corpo umano ereditato da una natura corrotta.
Portavano quest’esempio: come un liquido si inquina quando viene messo in  un vaso inquinato, così avverrebbe anche per l’anima.
Con questa differenza però: che il liquido incontaminato preesiste al vaso, mentre l’anima viene creata nello stesso momento in cui viene infusa e diventa principio vitale di quel corpo.

6. Questa tesi non trova il parere concorde dei teologi contemporanei.
Alcuni di essi sono d’accordo nel ritenere che i difetti psicologici possano essere ereditati da una natura imperfetta dei genitori, ma non riescono a comprendere come questa natura contaminata dal peccato originale possa intaccare l’anima che è spirituale.
E dicono che l’anima, benché creata da Dio, si trova in stato di peccato perché viene comunicata a un figlio di Adamo che col suo peccato si è reso indegno dell’amicizia di Dio. 
Questa è la tesi di Domenico Grasso, gesuita. La si trova nel suo libro intitolato “Il messaggio di Cristo”, p. 135.
D. Grasso di fatto fa sua la tesi di due suoi confratelli Flick e Alszeghy.
Tuttavia questa spiegazione, a mio parere, illumina meno di quella dei teologi precedenti.

7. Ci tengo però a dire che queste sono spiegazioni dei teologi. E in quanto tali non sono dogma di fede.
È invece di fede ritenere quanto dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali” (CCC 404).

8. La tua spiegazione invece non convince perché presuppone che l’anima possa pre-esistere all’infusione del corpo.
Inoltre non è corretto equiparare la tua tesi con quella di chi diceva che la Madonna avrebbe ereditato il peccato originale, ma subito dopo per singolare privilegio  ne sia stata liberata.
Va detto anche, sempre per la precisione, che questa tesi non era ereticale perché il dogma dell’immacolata concezione non era stato ancora sancito.
Sarebbe ereticale se la si sostenesse oggi.

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo





Un sacerdote risponde

Il fatto che Adamo ed Eva abbiano peccato comporta che tutti noi abbiamo peccato e se siamo inclinati al male dov'è la nostra libertà?

Quesito

Salve padre Angelo,
Le ho già scritto un email circa una settimana fa.. Avrei un'altra domanda da porle:
Il fatto che Adamo ed Eva abbiano peccato questo comporta che tutti noi abbiamo peccato. Quindi noi nasciamo già peccatori. Però il fatto che nasciamo già peccatori e quindi che tendiamo al male questo non è direttamente colpa nostra, giusto? 
Se Dio ci ha creati liberi perché noi nasciamo già tendenti al male, come conseguenza del peccato di Adamo ed Eva?


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. l’affermazione centrale della tua email è la seguente: “Il fatto che Adamo ed Eva abbiano peccato comporta che tutti noi abbiamo peccato. Quindi noi nasciamo già peccatori”.
Chi legge queste parole potrebbe obiettare: perché comporta che tutti abbiamo peccato?
Eppure le parole che hai usato sono praticamente simili a quelle della Sacra Scrittura.
San Paolo infatti scrive: “Per la disobbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori” (Rm 5,19) e “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Rm 5,12).

2. L’obiezione di riduce a questoe: come posso aver peccato se ancora non esistevo?
A questo risponde in maniera molto precisa il Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale parte da un’affermazione di San Tommaso d’Aquino: tutti  siamo “come un unico corpo di un unico uomo” (Quaestiones disputatae de malo, 4, 1).
E conclude: “il peccato originale è chiamato «peccato» in modo analogico: è un peccato «contratto» e non «commesso»uno stato e non un atto” (CCC 404).

3. Pertanto è stato commesso da tutti non perché l’abbiano commesso tutti, ma perché ha intaccato tutti.
Ha intaccato tutti perché “Adamo aveva ricevuto la santità e la giustizia originali non soltanto per sé, ma per tutta la natura umana” (CCC 404).
Per questo, Adamo ed Eva peccando non hanno privato della santità e della giustizia originale non solo se stessi, ma anche i loro discendenti.
Il peccato originale ha intaccato la loro natura.
E di conseguenza ha intaccato la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta (Concilio di Trento, DS 1511-1512).

4. Il peccato originale è una macchia dell’anima e nello stesso tempo è privazione della santità originaria. Ed è anche come una ferita che comporta anche un’inclinazione al male.
Tuttavia col peccato originale non scompare l’inclinazione al bene.
Anzi, questa inclinazione rimane e possiamo dire che rimane più forte dell’inclinazione al male, perché è la tendenza della natura, è una tendenza insopprimibile.

5. San Tommaso a proposito della libertà dice che “non è portata al bene e al male alla stessa maniera: perché la tendenza al bene è assoluta e naturale; quella invece al male è un difetto, e contro l’ordine della natura” (Somma teologica, III, 34, 3, ad 1).
Questo è mostrato dal fatto che in genere le azioni compiute dagli uomini sono azioni buone: lavorano, mangiano, studiano, parlano col prossimo, organizzano…
Talvolta sono anche azioni cattive e cioè peccati.

6. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda questo quando afferma: “Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale.
Consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata «concupiscenza»).
Il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale” (CCC 405).

7. Venendo alla tua ultima domanda: l’inclinazione al male non è una colpa nostra, perché l’abbiamo ereditata.
Sì, è vero, ma non di rado questa inclinazione viene rafforzata dai peccati personali.
Dopo il peccato originale la libertà umana è indebolita. Ma a rimedio di questa debolezza Gesù Cristo ci dona la grazia, di cui il minimo grado è sufficiente per superare ogni tentazione al male.
In Cristo la libertà è restituita all’uomo nella sua integrità.

Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo





[Modificato da Caterina63 19/03/2015 17:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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31/05/2014 18:48
 
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«O Timoteo, custodisci il deposito»



Le Lettere pastorali di san Paolo mostrano che la custodia del depositum fidei è garantita dall’azione dello Spirito Santo, attraverso la grazia dell’imposizione delle mani e la grazia che risplende nelle opere buone. Eppure proprio queste Lettere, che costituiscono il fondamento della Chiesa-istituzione, «non isolano più la Chiesa dal mondo profano, al contrario ve la impiantano con un ottimismo e una sicurezza rimarchevoli». Riproponiamo alcune pagine del commentario di Ceslas Spicq alle Lettere pastorali


di Lorenzo Cappelletti

 
Mosaico del XIII secolo della Cattedrale di Monreale, Palermo; Anania battezza Paolo

Mosaico del XIII secolo della Cattedrale di Monreale, Palermo; Anania battezza Paolo

Da parecchi mesi l’espressione deposito della fede o il suo equivalente latino depositum fideicampeggia in titoli e articoli di 30Giorni. Ma ilcopyright non è di 30Giorni. «O Timoteo, custodisci il deposito» è la raccomandazione finale fatta da san Paolo nella prima Lettera indirizzata al suo discepolo prediletto. Ripetuta, poco prima di andare incontro al martirio, nella seconda Lettera. Prima di allora quell’espressione non era stata mai usata da san Paolo (e neanche dagli altri scrittori neotestamentari). Proprio nel momento in cui il suo sangue stava per essere sparso, san Paolo avvertiva che poteva disperdersi il tesoro che come un vaso debole eppure forte aveva custodito. Come avvertì quell’altro Paolo più vicino a noi quando scrisse ilCredo del popolo di Dio. La grande alternativa – è stato scritto di recente – per la vita di un uomo e di un popolo è, infatti, tra ideologia e tradizione. 
Forse non è appena un caso che le cosiddette Lettere pastorali (denominazione che insieme alle due Lettere a Timoteo ricomprende anche quella a Tito) siano venute di recente alla ribalta. Ad esse è stato dedicato il convegno dell’Associazione biblica italiana tenutosi lo scorso settembre a Termoli, la cittadina molisana che custodisce le reliquie di Timoteo nel suo Duomo incantevole. In attesa che vengano pubblicati gli atti di quel convegno ci facciamo accompagnare nella lettura di qualche brano di quelle Lettere dal grande esegeta domenicano Ceslas Spicq. È suo infatti il commento, apparso in terza edizione giusto cinquant’anni fa (Saint Paul. Les Épîtres pastorales, Éd. Gabalda, Paris 1947), che anche gli eminenti studiosi che si sono succeduti dopo di lui non possono fare a meno di tenere a modello. 

Il deposito 
«O Timoteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta gnosi, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede» (1Tm 6, 20). 

Può essere di aiuto anzitutto capire cosa sia l’istituto giuridico del deposito, al quale si ispira san Paolo. «A Roma “c’è deposito quando si mette una cosa al sicuro presso una persona che si impegna a custodirla e a renderla quando gliela si richiederà”. A differenza della cessione in modo fiduciario, dove c’è un vero trasferimento di proprietà, non c’è nel deposito che una cessione provvisoria di detenzione. Il depositario non possiede per sé stesso ma per il depositante; non è che un custode e conserva i beni a disposizione del tradens, che conserva i diritti legati alla proprietà. Peraltro, come il contratto di fiducia, il deposito si fa volentieri presso un amico che lo conserva gratuitamente. A lungo il deposito effettuato attraverso la semplice consegna (traditio), fu sprovvisto d’efficacia giuridica, essendo un atto senza forma» (p. 331). 
Colpito evidentemente dalle caratteristiche di questo istituto, che come contratto «era una novità [datava infatti solo dall’epoca del triumvirato di Ottaviano] e una novità assai sorprendente perché è uno dei primi contratti non solenni» (p. 329), san Paolo lo adotta proprio nel momento del massimo pericolo per la fede. «Fino a quel momento l’Apostolo aveva insistito soprattutto sulla fedeltà al suo ministero, sulla lealtà verso i suoi discepoli; ora è condotto dal pericolo delle nascenti eresie a considerare l’integrità della dottrina per sé stessa, della quale è stato stabilito “araldo, apostolo e maestro”. L’ha ricevuta con incarico di trasmetterla, non gli appartiene. Presentendo la sua prossima fine, Paolo percepisce più vivamente ancora la responsabilità che gli incombe di custodire intatto questo tesoro; fino al termine fissato egli deve preservare la parola di Dio (1Tm 4, 6) da ogni errore e corruzione. È, infatti, un deposito che Dio gli ha confidato ed è prossimo il giorno in cui il divino creditore gliene chiederà conto. Questo deposito Paolo l’ha ricevuto da Dio, e più precisamente da Cristo, sulla strada per Damasco. Visto che questo contratto reale non presupponeva, in origine, per il suo modo di formazione che una semplice rimessa del possesso dei beni, è dunque al momento di questo incontro iniziale che è nato fra il Signore e il suo apostolo questo accordo – l’accordo delle loro due volontà – generatore d’obbligazione fin dal momento della trasmissione dell’oggetto affidato. Il contenuto di questo deposito è il Vangelo. La legge non autorizzava, salvo stipulazioni contrarie, alcun uso dei beni affidati. Ora, l’Apostolo non si è mai considerato che come un amministratore, un dispensatore, dei misteri divini (1Cor 4, 1). A differenza dei maestri che insegnano una dottrina originale, frutto di loro speculazioni, egli non è che un delegato. Quel che predica non lo inventa, non lo trasforma, l’ha appreso e ricevuto e deve trasmettere intatto – come un deposito – questo tesoro che è la parola divina ovvero l’oggetto della fede [...]. Ha terminato la corsa, il momento della sua dipartita è arrivato (2Tm 4, 6-8); esorta Timoteo a vegliare sul deposito che gli trasmette; è suonata l’ora in cui sta per comparire davanti a Dio che giudicherà il suo fedele depositario» (pp. 332-333). 

Paolo consegna le lettere a Timoteo

Paolo consegna le lettere a Timoteo

L’imposizione delle mani 
Ma sarà sufficiente l’esortazione di Paolo perché Timoteo, giovane e timido per natura, possa conservare il deposito? 
«Con l’ordine di conservare il deposito, Paolo indica il mezzo di esservi fedele. Il compito non è facile. Molti hanno abbandonato la fede e l’Apostolo stesso sta per andarsene, ma lo Spirito Santo dimora nella Chiesa e illuminerà e fortificherà i suoi ministri (cfr. 2Tm 1, 7). San Paolo non ne dubita (cfr. 2Tm 1, 12). Questi due ultimi versetti fondano l’insegnamento cattolico relativo alla tradizione. Gli apostoli hanno ricevuto dal Signore la verità cristiana; loro stessi l’hanno trasmessa oralmente, specialmente ai loro collaboratori e ai loro successori nel ministero; ma questi ultimi hanno il dovere di conservarla in tutta la sua purezza e di non comunicarla a loro volta che a degli uomini provati e capaci di assicurare una nuova trasmissione (cfr. 2Tm 2, 2). Ora, questa conservazione e questa trasmissione non possono essere garantite a sufficienza dalle forze umane. È lo Spirito Santo che le preserva da ogni alterazione e da ogni deviazione e, secondo il versetto 7, si può precisare che questa azione dello Spirito Santo si esercita con una efficacia particolare nei membri della gerarchia ecclesiastica» (p. 320). In altre parole, Timoteo dovrà e potrà fare appello alla grazia dell’ordinazione ricevuta da Paolo stesso, che gli scrive: 
«6Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. 7Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza.8Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. 9Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità,10ma è stata rivelata solo ora con l’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo, 11del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e maestro. 
12È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto e son convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno. 13Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. 14Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi» (2Tm 1, 6-14). 

In questo come nell’altro passaggio (1Tm 4, 14) in cui rammenta a Timoteo l’imposizione delle mani, «san Paolo designa il dono divino così comunicato con la medesima parola. Tale parola non è impiegata nelle Lettere pastorali che in questi due testi sull’ordinazione. Come nelle lettere precedenti, essa designa una specie particolare di grazia, che mette in rilievo un aspetto della sua gratuità; è donata meno per il beneficio del soggetto che per il bene della comunità cristiana, “l’utilità comune” (1Cor 12, 7), per edificare la Chiesa (1Cor 14, 12)» (p. 325). Spicq cita in nota, a questo proposito, il padre Lemonnyer, autore della voce Carismi nel Supplément au Dictionnaire de la Bible: «Questo carisma, la cui ricezione ha fatto di Timoteo il personaggio ufficiale che è, è il carattere sacramentale dell’Ordine. Il sacramento dell’Ordine, generatore della gerarchia ecclesiastica, e il sacramento della Confermazione, con cui sono costituiti i milites Christi, sono essenzialmente dei sacramenti carismatici. La gerarchia sacra è fatta di autorità e di capacità ugualmente soprannaturali. Questa capacità è stata sempre identificata in primo luogo col carattere impresso dall’Ordine a tutti quelli che lo ricevono, in qualunque grado, e che a dire di san Tommaso è una potentia, quasi una facoltà soprannaturale, un carisma di rango più elevato che abilita i membri della gerarchia a tutte le funzioni del loro ufficio. Al quale eventualmente s’aggiunge la concessione extra-sacramentale di carismi complementari: apostoli, dottori, predicatori, pastori etc. Ben lungi dall’essere fondata sulla scomparsa dei carismi, la gerarchia da sempre è fondata su dei carismi» (p. 325 nota 1). 
«Bisogna sottolineare che il dono di Dio… in te…; Dio ci ha dato uno Spirito… (2Tm 1, 6. 7) non è senza legame con il deposito la cui conservazione si fa attraverso lo Spirito Santo che abita in noi (2Tm 1, 14). [...] Vuol dire che l’ordinazione assicura la perpetuità della dottrina ortodossa; questa è un legato santo, un “deposito”. La sua integrità in parte dipende senza dubbio dalla docilità e dalla fedeltà dei predicatori, non insegnare dottrine diverse(1Tm 1, 3); ma alla fin fine lo Spirito Santo ne è il primo custode e solo può preservare i ministri cristiani dall’errore. Si è dunque in diritto di identificare in qualche modo la grazia trasmessa con l’imposizione delle mani con l’azione immanente dello Spirito Santo che garantisce il deposito della fede da ogni pericolo d’alterazione. I pastori e i predicatori, avendo ricevuto il carisma dell’ordinazione, godono dell’assistenza dello Spirito Santo nella diffusione e nella conservazione della verità evengelica: «Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (1Tm 3, 15). Questo è il fondamento della dottrina cattolica sulla tradizione orale come norma della fede. Avendo ricevuto l’imposizione delle mani Timoteo ha la sicurezza di avere sempre la forza e l’attitudine soprannaturali per compiere degnamente il suo ufficio evangelico» (pp. 325-326). Spicq esplicita ulteriormente: «Non si tratta tanto di sforzi ascetici per acquisire un’energia umana, una forza di carattere, quanto della fedeltà alla grazia dell’ordinazione (2Tm 1, 6.7.8.12). Timoteo dovrà mettere in opera i poteri e la forza soprannaturali che ha ricevuto, esercitarli al meglio, a dispetto delle sofferenze e delle fatiche penose che comporta il suo ministero; ma per l’Apostolo con la grazia si può tutto!» (p. 340). 

Ecumenismo 
Le Lettere pastorali mostrano dunque che la custodia del deposito è garantita dal carattere sacramentale dell’istituzione ecclesiastica. Eppure proprio queste Lettere che costituiscono il fondamento della Chiesa-istituzione (pare un paradosso) «non isolano più la Chiesa dal mondo profano, al contrario ve la impiantano con un ottimismo e una sicurezza rimarchevoli. L’esperienza ha provato che ogni cristiano è chiamato a vivere in mezzo ai suoi vecchi compagni d’errore e di peccato. Lungi dal disprezzarli e dal combatterli, si mostrerà loro come un uomo trasformato dalla grazia» (p. CXCVIII). Nelle Lettere pastorali si esprime al massimo grado l’ecumenismo di Paolo. Come si mostra in particolare in 1Tm 2, 1-5: 

«1Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. 3Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. 5Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, 6che ha dato sé stesso in riscatto per tutti». 

Commenta Spicq, citando san Giovanni Crisostomo: «Bisogna rendere grazie a Dio anche dei beni che egli accorda agli altri, per esempio che faccia risplendere il suo sole sui cattivi e sui buoni, che faccia piovere sui giusti e sugli ingiusti. Vedi come l’Apostolo non solo con le suppliche ma con l’azione di grazie ci unisce e ci lega insieme» (p. 53). E prosegue: «Tutte queste preghiere non sono limitate a interessi personali, né a una cerchia ristretta di fedeli; hanno di mira il prossimo e avranno un’applicazione universale “per tutti gli uomini”. Questo universalismo è una caratteristica del culto “cattolico”. La preghiera ha la stessa estensione della carità; l’una e l’altra lo stesso universalismo della salvezza (cfr. 1Tm1, 15; Tt 2, 11). Non c’è nessuno, di qualsivoglia nazione o religione, per il quale la Chiesa non debba pregare, nessuno, nemmeno uno scomunicato di cui almeno l’esistenza non sia un motivo di rendere grazie a Dio» (p. 53). Commentando poi il versetto 3 («Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio»), Spicq aggiunge: «Questa intercessione che il popolo cristiano compie come un sacerdozio regale in favore di tutti gli uomini è una cosa a un tempo moralmente buona, eccellente in sé stessa, come un’opera eminente di carità, e bella e gradita al cospetto di Dio – hapax nel NT – può essere considerato come esplicativo di cioè “bello a vedersi”), perché è la migliore cooperazione che ci sia al piano divino di salvare gli uomini» (p. 57). 

L’abbraccio tra Pietro e Paolo

L’abbraccio tra Pietro e Paolo

Le opere belle cioè buone 
L’aggettivo “bello” è il vocabolo che più caratterizza le Pastorali. Delle 44 ricorrenze di esso nel corpus paolinum, ben 24 (più della metà) appartengono alle Pastorali. Tanto che Spicq si meraviglia di come proprio in età ormai avanzata «questa bellezza sembri essere diventata agli occhi di san Paolo una nota distintiva della vita cristiana, un’espressione della nuova fede; tutte le età, tutte le condizioni, ogni sesso, sono come rivestiti di bellezza» (p. 290). Ciò è tanto più notevole dal momento che «Aristotele ritiene che i vecchi non vivono più per il bello (cfr. Retorica II, 13, 1389b, 36); è un segno della forza di rinnovamento e di ringiovanimento della grazia nell’anima dell’Apostolo» (p. 290 nota 1). È «la prova estetica della speranza», scriveva Massimo Borghesi nel numero scorso di 30Giorni (n. 12, dicembre 1997, p. 84). Che si rivela, come abbiamo visto sopra, nella preghiera, come prima opera di carità, e nella carità in senso stretto, cioè in quelle buone opere cui proprio «le Lettere pastorali hanno donato il senso tecnico che la tradizione cristiana ha conservato [...], identificandole giustamente con le opere di misericordia» (pp. 294 e 282), scrive Spicq commentando la Lettera a Tito 3, 3-8: 

«3Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda. 4Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, 5egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, 6effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, 7perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna. 8Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista in queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini». 

Tito, che era di origine pagana, conosceva per esperienza il valore di queste parole. «Com’è possibile», si chiede Spicq nel commento a questo brano, «fare da un pagano un cristiano? È l’opera della sola grazia,gratis et gratiose. Il versetto Tt 3, 4 è parallelo a Tt 2, 11. Come i doveri reciproci dei cristiani erano fondati sull’iniziativa e la forza educatrice [Spicq più avanti parlerà, in contrasto con la pretesa pelagiana, di una «paideia della grazia» (p. 282)] della grazia di Dio in Cristo, così i doveri dei cristiani di fronte al mondo sono fondati sulla bontà e l’amore di Dio per gli uomini [...]. È l’amore di Dio per gli uomini la causa della conversione di pagani ciechi e peccatori a una vita santa. Questo amore s’è manifestato concretamente in un momento storico e sotto una duplice forma che contrasta con l’odio e la gelosia degli uomini gli uni per gli altri; mentre essi si detestavano, Dio li amava tutti teneramente e voleva loro bene. Anzitutto la benignità. Secondo l’etimologia, significa “quello di cui ci si può servire” e si impiega specialmente per gli alimenti di buona qualità [...]. La è dunque una delicata amabilità, ma implica anche liberalità» (p. 275). E poi la, cioè «una simpatia efficace; equivale al latino humanitas, che significa rispetto per l’uomo in quanto uomo [...]. Dunque un sinonimo di ma accentuando l’universalità di questo favore» (p. 276). 
Preghiera, benignità, rispetto per l’uomo in quanto uomo: cose belle, cioè buone, gradite al cospetto di Dio. 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Chi è lo Spirito Santo?

Quesito

Caro Padre Angelo,
una domanda forse inutile ma di cui desidero la risposta: cosa è lo Spirito Santo?
Io sono convinto che moltissimi fratelli e sorelle hanno bisogno di un approfondimento in merito. 
Pace. 
Alberto


Risposta del sacerdote

Caro Alberto,
1. più che domandare “cosa è lo Spirito Santo?” bisognerebbe dire: Chi è lo Spirito Santo?
 Lo Spirito Santo è l’amore di Dio. È la terza persona della SS. Trinità.
Come il Figlio è il pensiero di Dio, così lo Spirito Santo è l’amore di Dio.
Come il pensiero di Dio è grande quanto è grande Dio, così anche il suo amore.

2. Gesù Cristo ha parlato espressamente dello Spirito Santo e ripetutamente lo ha promesso: 
“Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi” (Gv 14,16-17); 
“Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me” (Gv 15,26);
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,12-14).

3. Gesù, sia morendo sulla croce sia dopo la sua risurrezione, ha donato alla Chiesa il suo Spirito.
Un uomo quando muore, per quanto grande sia stato il suo spirito e per quanto profonda rimanga la sua influenza, è condannato ad entrare nel passato. La sua azione gli può sopravvivere, ma non gli appartiene più. Egli non può più nulla su di essa e la lascia nelle mani degli uomini. 
Gesù, invece, quando muore e «rende il suo spirito» a Dio, lo trasmette nello stesso tempo alla Chiesa (Gv 19,30).

4. Finché Gesù viveva la sua vita mortale, il suo Spirito sembrava circoscritto nei limiti normali della sua individualità umana e del suo raggio di azione.
Ora che è esaltato alla destra del Padre, raduna l'umanità salvata: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv12, 32) ed effonde su di essa lo Spirito, secondo quanto aveva promesso: “Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato”  (Gv 7,39).

5. Si conosce meglio la natura dello Spirito Santo dalle sue opere.
Ne menziono soprattutto tre.
La prima, ha una capacità straordinaria di cambiare le persone. Lo vediamo in particolare da quanto ha operato sugli apostoli nel giorno di Pentecoste. Li ha letteralmente trasformati. Da timidi e ignoranti essi diventano coraggiosi e sapienti. Si mettono a predicare e a rendere testimonianza a Gesù Cristo. A chi dice loro di stare zitti, essi rispondono: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20).
La seconda, è quella di penetrare nelle realtà divine. San Paolo dice che “lo Spirito conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1 Cor 2,10). Noi abbiamo ricevuto questo Spirito che ci fa penetrare nelle profondità di Dio.
Questo perché “chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito” (1 Cor 6,17).
La terza, è quella di compiere azioni prodigiose, miracoli, guarigioni, liberazione dai demoni: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell'unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (1 Cor 12,4-11).

6. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù: fa ripetere gli atti di Gesù, fa annunziare la parola di Gesù, fa ridire la preghiera di Gesù, fa perpetuare nella frazione del pane il ringraziamento di Gesù; conserva tra i fratelli l'unione che raggruppava i discepoli attorno a Gesù.
Quando viveva con i discepoli gli era necessaria tutta la forza della sua personalità per conservarli uniti attorno a sé.
Ora che non lo vedono più i suoi discepoli seguono le sue orme spontaneamente: hanno ricevuto lo Spirito di Gesù.

7. Lo Spirito Santo è la forza che spinge la Chiesa nascente fino alle estremità della terra.
Scende direttamente sui pagani: “Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo  (At 10,44-45). 
Così si attua la profezia di Gioele: “Effonderò il mio Spirito su ogni carne” (cf. At 2,17).

8. È lo Spirito Santo che manda in missione, come avviene per Pietro: “Pietro stava ancora ripensando alla visione, quando lo Spirito gli disse: «Ecco, tre uomini ti cercano; àlzati, scendi e va' con loro senza esitare, perché sono io che li ho mandati»” (At 10,19-20).
Non solo, ma è ancora lo Spirito che accompagna e guida l'azione degli apostoli: “Attraversarono quindi la Frìgia e la regione della Galazia, poiché lo Spirito Santo aveva impedito loro di proclamare la Parola nella provincia di Asia. Giunti verso la Mìsia, cercavano di passare in Bitìnia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; così, lasciata da parte la Mìsia, scesero a Triade” (At 16.6-8).,

9. Che lo Spirito Santo sia una persona è attestato dalle parole di Gesù, che ne parla come di una Persona e nei suoi riguardi usa il pronome personale: “Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.” (Gv 14,2); “Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me” (Gv 15,26); “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13).

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore perché effonda abbondantemente su di te il suo Spirito e ti benedico.
Padre Angelo


Pubblicato 16.10.2014





 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/10/2014 23:07
 
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A volte un mio amico evangelico critica me e mia moglie perché il mercoledì e il venerdì di tutto l'anno non mangiamo carne


salve padre Angelo, 
premetto che sono un cattolico praticante, a volte mi scontro nel senso buono con un mio amico evangelico perché io e mia moglie il mercoledì e il venerdì di tutto l'anno non mangiamo carne. 
Mi riprende sempre e mi dice riferendosi al vangelo: "misericordia io voglio non sacrifici” (Mt12,7) 
Mi fa' capire meglio?
Grazie


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
certo non si trova scritto nella Bibbia che il venerdì non bisogna mangiare carne.
Tuttavia questa pratica è assimilabile a quella del digiuno che è ben attestato sia nella Sacra Scrittura sia nella vita delle prime comunità cristiane.
A cominciare da Gesù che ha digiunato per 40 giorni.
Ora che cosa è la vita cristiana se non un’imitazione della vita di Cristo?
Non mangiar carne il venerdì e il mercoledì è senza dubbio un pratica penitenziale.

2. Nel discorso della montagna Gesù non abolisce le pratiche penitenziali come il digiuno.
Biasima quello fatto per ostentazione, ma esorta a digiunare: “E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,16-18).

3. Siccome i discepoli di Gesù non digiunavano, “allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno” (Mt 9,14-15).

4. La chiesa primitiva digiuna. 
Negli Atti degli Apostoli si legge: “Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati». 
Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono” (At 13,2-3).
Ancora: “Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,23).  

5. Come non ricordare poi quanto dice il Signore a proposito di alcuni esorcismi: “questa specie di demoni non si scaccia se con la preghiera e il digiuno” (Mt 17,21 e Mc 9,29).
È vero che alcune versioni omettono questo versetto, ma tutte lo citano in nota, perché è riportato in quasi tutte le versioni e i codici.

6. Nell’Antico Testamento troviamo molte testimonianze di digiuno fatto personalmente o anche collettivamente.
Questo digiuno serviva per mettersi in stato di umiltà e implorare la remissione di una colpa (1 Re 21,27), oppure in atteggiamento di totale dipendenza e abbandono nei confronti del Signore.
A volte veniva fatto per espiare, altre volte per rinforzare la preghiera (2 Sam 12,16), a volte per ottenere la cessazione di una calamità (Giudt 4,9-13) oppure per aprirsi alla luce di Dio, come avvenne per Daniele (Dan 10,2).
Alle soglie del nuovo Testamento troviamo Anna che ha la grazia di vedere Gesù presentato al tempio. In quel momento “aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere” (Lc 2,37).

7. Quando Gesù dice: “Misericordia io voglio e non sacrificio” riprende un’affermazione del profeta Osea (6,6). 
I sacrifici di cui parla il profeta Osea e quelli di cui parla il Signore  non erano i piccoli digiuni o penitenza fatte dagli uomini, ma l’immolazione di pecore e di altri animali nel tempio.

8. Dovresti dire al tuo interlocutore evangelico di avere uno sguardo più ampio e di non fermarsi ad un versetto, distorcendone magari anche  il significato.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Pubblicato 06.11.2014


 Gesù ha detto che chi ripudia la propria moglie TRANNE IN CASO DI CONCUBINATO commette adulterio. E' scritto chiaro chiaro nei Vangeli. Mò, perchè la Chiesa non consente lo scioglimento del matrimonio solo in questi casi? E perchè nessuno fa mai riferimento a questo pezzettino quando si fa riferimento a quelle parole di Gesù? Grazie.

Risposta: la traduzione dice letteralmente "fornicazione- fornicationem-impudicizia" (Vangeli in greco, latino e italianoa fronte, della paoline), la nota tenendo a mente la traduzione greca e latina in sostanza dice: si precisa dunque "se non per impudicizia; all'infuori del caso di impudicizia" il verso fa riferimento ad un altro passo di Mt. cap.5, 31 "Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; 32 ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio."
La risposta dei discepoli mette a nudo la superbia dell'uomo nei confronti della donna, il cui ripudio era facile e quasi mai con un processo giusto, l'uomo poteva tradire la propria moglie, ma la donna se lo faceva veniva anche lapidata.
Gesù affronta un caso delicato e naturalmente mette in crisi i suoi interlocutori, ma le sue parole sono chiare, i giochi sono finiti e la donna posta al suo fianco non è un gioco e non può essere ripudiata a proprio piacimento. 
Interverrà San Paolo sulla vicenda più volte, qui in particolare in 1Cor.7,1; 2, 7-9
La Chiesa accoglie letteralmente le parole di Gesù in Matteo e le spiegazioni di San Paolo: l'uomo può anche ripudiare la donna in caso di fornicationem-impudicizia, ma non può sposarne un altra, perciò i discepoli dicono "se le cose stanno così, meglio non sposarsi", perchè Gesù ha inteso dire che il matrimonio è fino alla morte. - qui finisce la Nota - non dimentichiamo che una pezza la Chiesa ce la mise con il ricorso alla Sacra Rota, di più non può fare.


 Un sacerdote risponde

Nel Vangelo di Matteo 5,32 Gesù Cristo parla di concubinato


Quesito

Buongiorno Padre,
Le porgo una domanda che è spesso dibattuta in molti siti internet, ho provato a chiarirmi le idee, ma non ne vengo a capo.
Nel Vangelo di Matteo 5,32 Gesù Cristo parla di concubinato (tradotto anche in "fornicazione" o "unione illegittima").
Volevo capire bene questo versetto del Vangelo, sembra quasi che Gesù Cristo possa concedere un solo motivo per separarsi ad una coppia di sposi, il motivo sarebbe appunto solo in caso di unione illegittima da parte di uno dei coniugi con terze persone. Se fosse così, la Chiesa dovrebbe valutare caso per caso prima di considerare come "peccatore" i nostri fratelli separati e/o divorziati?
Confidando in una sua risposta, La ringrazio in anticipo e La saluto con affetto.
Francesco

  Risposta del sacerdote

Caro Francesco, 
1. Gesù non concede alcuna possibilità di rompere il vincolo agli sposi. Diversamente cadrebbe in contraddizione con se stesso.
La sua volontà è ben chiara da Mt 19,3-7: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «E' lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi»” 
e da Mc 10,9-12: “«L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio»”.

2. Rimane l’inciso di Mt 5,32: “ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”
e di Mt 19.9: “Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio”.

3. Ci si domanda giustamente a che cosa alluda il Signore inserendo quella clausola “eccetto il caso di concubinato”.
Questa parola concubinato nel testo greco è detta porneia.

4. È illuminante il commento prestigioso della Bibbia di Gerusalemme che fornisce tre interpretazioni.
La prima: “Data la forma assoluta dei testi paralleli (Mc 10,11s; Lc 16,18 e 1 Cor 7,10s), è poco verosimile che tutti e tre abbiano soppresso una clausola restrittiva di Gesù; è più probabile invece che uno degli ultimi redattori del primo Vangelo l'abbia aggiunta per rispondere a una problematica rabbinica (discussione tra Hillel e Shammai sui motivi che legittimano il divorzio), evocata già dal contesto (v. 3), e che poteva preoccupare l'ambiente giudeo-cristiano per il quale egli scriveva.
Si avrebbe dunque qui una decisione ecclesiastica diportata locale e temporanea, come fu quella del decreto di Gerusalemme riguardante la regione di Antiochia (At 15,23-29).
Il significato di porneia orienta la ricerca, nella stessa direzione.
Alcuni vogliono vedervi la fornicazione nel matrimonio, cioè l'adulterio, e trovano qui il permesso di divorziare in un caso simile; così le Chiese ortodosse e protestanti. Ma in questo senso ci si sarebbe aspettati un altro termine, moicheia”.

5. La seconda: sembra più verosimilmente che porneia indichi i matrimoni contratti tra ebrei e pagani, che erano proibiti secondo il Levitico. Ai tempi di Gesù era facile trovare una donna ebrea che aveva abbandonato il marito per mettersi insieme con un soldato romano, il cui patrimonio economico era più consistente.
La legge consentiva di ripudiare la moglie qualora si vedesse in lei qualcosa di brutto.
Ma ai tempi di Gesù la legge veniva interpretata anche a favore della moglie, qualora vedesse nel marito qualcosa di brutto. Questo qualcosa di brutto poteva consistere nel patrimonio esiguo del marito a confronto con quello del soldato romano diventato proselito, simpatizzante del giudaismo.
Ma tale unione era considerata illegittima, alla pari delle unioni incestuose e pertanto non dava origine ad un matrimonio, ma ad un concubinato. Porneia avrebbe qui il senso tecnico di zenüt o «prostituzione» degli scritti rabbinici.
Qui allora si troverebbe “l'ordine di rompere tali unioni irregolari che erano solo falsi matrimoni”.
Ques’interpretazione è la più comune.

6. La Bibbia di Gerusalemme accenna anche ad una terza interpretazione.
Essa “ritiene che la licenza accordata dalla clausola restrittiva non sia quella del divorzio, ma della«separazione» senza seconde nozze. Una tale istituzione era sconosciuta al giudaismo, ma le esigenze di Gesù hanno richiesto più di una soluzione nuova e questa è già chiaramente supposta da Paolo in 1 Cor 7,11”.

7. Trattandosi in ogni caso di unioni illegittime, non capisco la tua conclusione sebbene posta in termini interrogativi: “Se fosse così, la Chiesa dovrebbe valutare caso per caso prima di considerare come "peccatore" i nostri fratelli separati e/o divorziati?

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

Pubblicato 30.01.2011




Un sacerdote risponde

Una domanda sulla complementarietà dei sessi e l'altra se la conoscenza che i demoni avevano di Gesù fosse un dono soprannaturale

Caro Padre Angelo, 
approfitto di questa mail per inviarle gli auguri sinceri di un anno pieno di serenità e pace.
Volevo chiederle alcuni chiarimenti.
Premetto che il mio parroco, persona coltissima, ha molto rispetto per i domenicani in quanto li ritiene i custodi della verità e la tramandano senza tergiversare. Ora però nell'ascoltare le omelie del parroco, coinvolgentissime (infatti la chiesa è sempre piena), e tra le spiegazioni Sue, Padre Bellon, a volte avverto delle discordanze interpretative, cosicché mi trovo a dover discernere tra l'opinione personale della persona consacrata che spiega le letture attraverso la sua esperienza personale, dalla vera interpretazione, spiegazione o senso che il Signore ci ha messo.
Mi spiego meglio con un paio di esempi: il nostro parroco parla spesso della necessità di due coniugi di rimanere insieme, per il bene soprattutto dei figli che, dice lui, l'unica cosa che vogliono è vedere il papà e la mamma la sera andare a dormire insieme. 
Spesso dice che è normale in anni di convivenza aver voglia di buttar giù dalle scale il marito o la moglie insopportabili ecc ecc.
Ma se il nostro coniuge non fosse diverso da noi non ci sarebbe piaciuto e non ce ne saremmo innamorati, perchè ci innamoriamo del diverso, perchè il diverso ci completa. Innamorandoci di uno uguale a noi sarebbe una vita noiosa. Questo lo diceva per incoraggiare quelli che ad un certo punto si lamentano del coniuge, non lo sopportano più dicendo che è troppo diverso da loro. 
Ma Lei Padre Bellon dice anche giustamente che l'amicizia si fa tra simili o rende simili e che bisogna avere comunità di intenti e di volere.
Come discernere allora quando ci capita davanti una persona molto diversa da noi che magari non ha neanche fede, ma che in un certo senso ci attrae comunque? Forse sarà l'eterno istinto della crocerossina, o forse ci attrae perchè essendo l'altro così diverso ci fa sentire disprezzati da lui, e il nostro orgoglio non permette che ci disprezzino, così la voglia di essere accettati e rivalutati dall'altro, diverso da noi, ci fa illudere che sia amore o innamoramento, ma in realtà non lo è. E' solo orgoglio personale.
Ecco ci sarebbe da capire se è meglio cercare qualcuno simile a noi rischiando una relazione monotona o pacifica oppure dare possibilità anche alla ricerca di quelli diversi da noi perchè se non lo fossero saremmo incompleti, annoiati, verremmo meno magari al progetto di salvezza che Dio ha su queste pecore smarrite...chissà...
In secondo luogo ho letto oggi in questa risposta - "Ho sentito quanto alcuni demoni all'interno di esorcismi direbbero dei bambini abortiti e le chiedo un parere" - che Lei Padre spiega questa frase così: "Da notare che l’espressione “il santo di Dio sta a dire: “Io so chi tu sei: tu sei Dio”.
Ma io sapevo, o avevo inteso, spiegare questa lettura così: lo spirito impuro, alla visione di Gesù esclama che Lui è il Santo di Dio ma non dice che Egli è Dio poiché solo l'azione dello Spirito Santo permette all'uomo di riconoscere Dio, poiché è impossibile per uno spirito impuro essere sotto l'azione dello Spirito Santo costui non può riconoscere a Gesù la Sua qualità divina. 
Ad esempio: "Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
Forse c'è un pò di confusione in quello che ho immagazzinato nella mia testa.
Grazie mille per l'attenzione.
Antonella 


Cara Antonella, 
1. per il primo punto sono vere tutte e due le cose: l’amicizia deve trovare un sostrato comune, altrimenti ogni incontro sarebbe costellato di bisticci insopportabili.
Nello stesso tempo, soprattutto in quell’amicizia che si chiama matrimonio, anche a motivo della diversità dei sessi, ci sono sensibilità diverse che servono per aiutarsi a capire meglio i risvolti di tutti i problemi.
Queste diversità non sono o non dovrebbero essere motivo di bisticcio ma di complementarietà.

2. Si legge in un documento del magistero ecclesiastico: “I sessi “simili e dissimili nello stesso tempo; non identici, uguali però nella dignità della persona; sono pari per intendersi, diversi per completarsi a vicenda” (Orientamenti educativi sull’amore umano, 25).
Non solo i sessi sono fra loro complementari, ma anche le persone di cui essi sono caratteristica imprescindibile.
Dice Giovanni Paolo II: “La donna è il complemento dell’uomo, come l’uomo è il complemento della donna: donna e uomo sono tra loro complementari... non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma anche ontologico. E soltanto grazie alla dualità del maschile e del femminile che l’umano si realizza appieno” (19.6.1995).

3. Osserva J. Guitton, accademico di Francia: “Forse è una fortuna che il tipo umano in tutte le sue funzioni, dalle più basse alle più eccelse, si manifesti sotto due forme differenti, che si completano e si rispondono l’una all’altra. Si può aggiungere che la conoscenza dell’altro è un elemento necessario per la conoscenza di se stessi. Se Adamo fosse stato solo, poiché era intelligente e tormentato dal desiderio di sapere, si sarebbe innamorato della propria immagine... Ma Adamo poteva specchiarsi e conoscersi in Eva, cercando in lei la coscienza della propria forza; e certamente, guardando Eva, sentiva nascere in sé il sentimento del raro, dello squisito, del precario, di tutto ciò che si sintetizza nella parola ‘grazia’, e che è contrario e complementare alla forza. Lo stesso si può dire della donna, che prende coscienza di sé specchiandosi nell’uomo. È nell’altro che abbiamo la vita, perché nell’altro troviamo il rinnovamento e la complementarità. La punizione di Narciso è di vedersi, e addirittura di esistere, solo come apparenza” (L’amore umano, p. 167).

4. Vengo adesso al secondo punto: quando San Pietro ha proferito le parole che mi hai citato, aveva una fede soprannaturale, vero dono infuso da Dio.
Ma il Signore non si è fatto conoscere a quel demonio dandogli una conoscenza soprannaturale, come quella della fede, ma per quel tanto che bastava perché dagli effetti delle sue azioni capisse che era Dio.

5. Ti porto tre testimonianze.
La prima è di un  Commentario biblico che alle parole del Vangelo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!” (Mc 1,24) offre il seguente commento: “il Santo di Dio, cioè non un santo qualunque, come erano per esempio i profeti, ma il santo per eccellenza, il Messia, mandato a salvare il mondo (Gv 10,36)”.

6. Questo Commento si rifà a quanto disse San Giovanni Crisostomo: “Lo chiama poi santo non come
uno fra i tanti, poiché anche ogni profeta era santo, ma lo annunzia come l'unico: infatti con l'articolo che è posto in greco mostra che è uno solo; per il timore, poi, lo riconosce come il Signore di tutti” (In Matth,  hom. 13).

7. Sant’Agostino invece parla del tipo di conoscenza che il Signore gli ha concesso di avere: “Infatti si rese noto a loro quanto volle; e tanto volle quanto era necessario. Ma si fece conoscere non come agli Angeli santi, i quali godono della partecipazione della sua eternità secondo che è il Verbo di Dio, ma bisognava che si facesse conoscere a loro come per atterrirli, poiché stava per liberare dalla loro tirannica potestà i predestinati. Si fece dunque conoscere da parte dei demoni non in quanto è la vita eterna, ma per certi aspetti temporali della sua potenza, la quale può apparire ai sensi angelici anche degli spiriti maligni piuttosto che alla debolezza degli uomini” (De Civitate Dei 9,21).

Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Pubblicato 05.11.2014





[Modificato da Caterina63 06/11/2014 23:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/11/2014 19:20
 
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    Un sacerdote risponde


Secondo il padre Lagrange Giuda non ricevette il corpo del Signore, ma un boccone intinto nel sugo; poi si pentì, ma non al punto da domandare perdono


Carissimo Padre Angelo,
con la presente sono a sottoporle alcune riflessioni nonché dei dubbi, dopo aver letto ed ascoltato il Vangelo in questi giorni, riguardo la figura di Giuda Iscariota, ai quali le chiedo gentilmente ed umilmente di poter dare una risposta.

1) il primo riguarda l'Ultima Cena e cioè, perchè dopo il boccone che Gesù diede a Giuda, Satana entrò in lui? E perchè Gesù conoscendo e sapendo che l'avrebbe tradito gli diede ugualmente il pezzo di pane Simbolo (presumo) dell'Eucaristia? Faccio un esempio, non so se appropriato, per far capire meglio l'interrogativo. Es. Padre Pio che scrutava i cuori non dava la Comunione se vedeva che la persona che la stava ricevendo fosse in peccato....  E' chiaro che Padre Pio è un uomo mentre Gesù è Dio però perchè offre il pezzo di pane a una persona che aveva già deciso di tradirlo?

2) Si dice che per essere perdonati bisogna essere pentiti. Nel Vangelo è scritto che Giuda si pentì e poi si suicidò ora quel pentimento cade a vuoto? Ossia il pentimento per essere "valido" deve essere associato alla richiesta di perdono? Perchè lui dice "....ho tradito sangue innocente..." per cui (mi corregga se sbaglio) forse vede in Gesù una persona normale, ossia sangue innocente e non il Figlio di Dio? Quindi non crede che Gesù è Dio?

Ringraziandola anticipatamente le chiedo una benedizione e una preghiera particolare per me e la mia famiglia e le faccio i miei migliori auguri di Buona Pasqua.

Massimo


Risposta del sacerdote

Caro Massimo, 
1. sul primo punto il padre Lagrange, fondatore della Scuola biblica di Gerusalemme, dice che Gesù non comunicò Giuda, ma in quel boccone gli diede verdura intinta nell’intingolo.
Ecco che cosa scrive questo noto studioso, di cui è in corso il processo di beatificazione:

2.  “Rimessisi dall'emozione i discepoli avevano ripreso il pasto. Si era portato in tavola il piatto dei legumi con quello dell’intingolo, nel quale dovevano essere bagnati. C’è qui una coincidenza perfetta col rito pasquale, poiché tutti si servono nel medesimo piatto e Gesù offriva a Giuda un
boccone bagnato nell'intingolo. Si era quindi alla prima portata. Le prime allusioni fatte dal
Maestro al tradimento non erano state comprese, o almeno i discepoli non ne erano restati molto
commossi. Gesù era turbato nel profondo del cuore e rattristato dalla infedeltà di colui che, ammesso alla sua intimità, correva in quel modo alla propria rovina. Forse un ultimo avvertimento lo poteva arrestare, e, senza voler intralciare i disegni del Padre, essendo venuto per salvare gli uomini, volle realmente salvare anche Giuda, qualora la volontà di costui avesse acconsentito a darsi per vinta. Egli deve alla sua missione, deve sopratutto al suo amore corrisposto di
prevenire il traditore senza denunziarne il nome, e lasciargli così un'ultima ancora di pentimento e di salvezza. Non era però dignitoso per lui passare per ingenuo, e denunzia davanti a tutti più che il traditore il tradimento: «In verità vi dico che uno di voi mi tradirà, uno che mangia con me». i discepoli rattristati formularono la protesta sotto una forma
interrogativa: «Sono io forse quegli che tu hai designato?» e indicarono ancora come respingessero una simile idea; ma Gesù non rispose per non finire di denunziare il traditore.
Ma quando Giuda a sua volta, e forse anche uno dei primi, domandò: «Sarei io?» Gesù con voce bassissima gli rispose: «tu l'hai detto».
Nessuno l'intese e mentre i discepoli irrequieti si scambiavano a vicenda i loro commenti sopra il penoso incidente (Lc 22,23), Gesù procurò ancora di scuotere il traditore: «Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo ciò che è stato scritto a proposito di lui, ma guai a colui per cui il Figlio dell'uomo è tradito! Sarebbe stato meglio per lui che non fosse nato!».
(…)
Non può mettersi in dubbio che Gesù avesse occupato un posto press'a poco centrale di fronte allo spazio che nella disposizione delle tavole restava libero per il servizio. Egli aveva a destra il discepolo prediletto che gli stava coricato sul seno, vale a dire accanto, un po' avanti per rapporto alla tavola colla testa all’altezza del gomito sinistro del Maestro appoggiato sopra un cuscino. Giuda Iscariota gli era
anch'esso vicinissimo, tanto che poté essergli offerto un boccone bagnato nel condimento. Egli si trovava dal lato opposto e occupava il primo posto dell'altra serie di convitati. Appoggiato
anch'egli col gomito sinistro aveva i piedi rivolti nell'altro senso in modo da non essere nè sul
seno di Gesù, nè Gesù sul seno di lui e così da potersene andare senza molestare alcuno.
Quanto a Pietro nè era accanto a Gesù nè avrebbe potuto interrogarlo direttamente. Egli era accanto a Giovanni e in qualche maniera sul seno di costui. Degli altri discepoli non sappiamo nulla e sarebbe ozioso fare delle congetture.
Dopo la denunzia del tradimento le proteste degli apostoli, i propositi vivaci scambiatisi vicendevolmente, le parole minacciose contro il traditore che continuava a mantenersi impassibile, una grave atmosfera di sospetti pesava sopra i cuori
fedeli. Pietro, non rassegnato a questa incertezza, fece colla testa a Giovanni un cenno per attirarne l'attenzione su ciò che sta per dirgli a bassa voce. Pensando che il Maestro gli abbia fatto qualche confidenza o che sia giunto a penetrar qualche cosa del mistero, lo interroga ansiosamente: «Dimmi dunque chi è colui di cui parla». Giovanni, che non ne sapeva nulla e che era coricato colla testa contro il cuore di Gesù, osò scrutarne il secreto: Signore, chi è costui?». Sicuro di un sentimento d'affezione che vuol essere rischiarato per essergli più utile, Gesù risponde: «È per colui per il quale io intingerò questo boccone e al quale Io darò». Il banchetto era arrivato al momento in cui il padrone di casa e i suoi convitati mangiavano la lattuga bagnata nel condimento giacchè il boccone che presso i greci era di pane o di carne, può evidentemente dirsi di qualsiasi commestibile. L'ospite era onorato quando chi lo aveva invitato gli offriva con le estremità delle dita un pezzo qualunque di vivanda bagnata nel brodo, e quest'uso esiste tuttavia presso i beduini. Gesù, trovandosi vicino a Giuda, potè agevolmente mettergli in bocca un boccone inzuppato, ultimo segno di intima famigliarità; ma Giuda si ostinò e fu in seguito a questo indurimento che Satana si rese padrone della sua anima. Da questo momento Giuda ne seguirà le suggestioni fino alla fine.
Egli era incaricato di provvedere ai bisogni materiali della piccola comunità il che forse spiega il suo posto vicino al Maestro per essere più facilmente in grado di prenderne gli ordini e di eseguirli. Gesù, quasi non potesse più a questo momento sopportarne la presenza, essendo sul punto di effondere l'anima sua in quella di coloro che lo amavano, disse a Giuda: «Ciò di stai per fare, fallo al più presto». Valeva assai meglio finirla che continuar a fingere. Nessuno però si rese conto del senso vero di quelle parole, all'infuori di chi aveva ricevuto la confidenza, e di Pietro a cui dall'amico era stata già comunicata.
I più avvisati pensarono che Gesù avesse dato a voce bassa le sue istruzioni a Giuda, come economo della comunità, per comperare ciò di cui si aveva bisogno per prender parte alla festa ufficiale dell'indomani, o per fare in tale occasione qualche modesta elargizione ai poveri.
Era la notte, e il potere delle tenebre era scatenato. Secondo l'ordine da noi seguito è chiaro che Giuda non si comunicò, e tale è pure il sentimento di tutti i moderni.
Dopo questi preparativi, o piuttosto questi preliminari, si portava l’agnello pasquale e si serviva la seconda coppa. Se gli evangelisti sinottici non ne hanno parlato bisogna credere che la loro attenzione si sia portata sopra l'atto solenne che avrebbe poi reso inutile l'antico rito” (M.-J. Lagrange, L’evangelo di Gesù Cristo, pp. 496-499).

3. Sul secondo punto, è vero che Giuda si pentì, ma si pentì malamente perché non è andato a chiedere perdono al Signore, ma ai capi e ai sommi sacerdoti.
Ecco ancora quanto scrive il nostro padre Lagrange:

4. “La condanna del Maestro scosse profondamente l'anima d Giuda. Vi sono delle coscienze tenebrose che non comprendono la gravità di un delitto prima di averlo compiuto. Giuda non poteva ignorare l'intenzione dei capi di far morire Gesù e dovette accettare anticipatamente questa conseguenza del suo atto. Pure inorridì quando comprese essere inevitabile la morte di colui che era stato amato e sul punto di divenire un fatto compiuto. Il denaro del tradimento gli divenne troppo pesante e senz'altro riportò le trenta monete d'argento a quelli dei sacerdoti e degli anziani che avevano mercanteggiato con lui. Era vicino al pentimento tanto da riconoscere il proprio misfatto: «Ho peccato tradendo il sangue innocente». Una volta soddisfatto il proprio odio i Sinedriti, che non volevano più aver a fare col traditore, seccamente risposero: «Che ci importa? è affar tuo».
Quel denaro era stato troppo bene impiegato per riprenderlo dopo che Giuda aveva prestato l'opera per cui era stato pagato e quelle coscienze scrupolose non vollero privarlo del suo beneficio. Spinto da questa vergogna, Giuda, come se un resto d'onore si risvegliasse in lui di fronte a tanta ipocrisia, gettò le trenta monete d'argento nel tempio. Era dunque a costoro che egli aveva venduto il Maestro! Il suo rimorso non lo portò più in là: per ottenere pietà avrebbe dovuto domandare perdono, e Gesù gliel'avrebbe accordato riguardandolo come Pietro se il suo sguardo colpevole e supplicante si fosse incontrato con quello del Maestro; ma Giuda dubitò della misericordia di lui, si allontanò da Dio in preda a una feroce disperazione e andò a impiccarsi” (M.-J. Lagrange,L’evangelo di Gesù Cristo, pp. 538-539).

5. Certo Giuda non ha voluto chiedere perdono a Gesù.
Se non credeva più in lui come a Figlio di Dio, almeno come ad uomo innocente avrebbe dovuto farlo.
Ma non l’ha voluto fare.
Era accecato dal suo orgoglio.

Ti assicuro volentieri la mia preghiera e la mia benedizione e contraccambio gli auguro di una serena e Santa Pasqua.
Padre Angelo


Pubblicato 07.11.2014







Un sacerdote risponde

Il significato delle parole in cui si dice che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione

Quesito

Caro Padre Angelo, 
ho scoperto da pochissimo questa sua pagina in cui dispensa insegnamenti e consigli preziosi per cui voglio rivolgerle anche un mio quesito. 
Premetto che ho sempre avuto un sentimento di religiosità latente, nonostante che il Signore non abbia mai smesso di chiamarmi da lontano, che in sostanza mi ha portato a vivere una vita abbastanza sregolata soprattutto dal punto di vista del comportamento sessuale. 
Poi un bel giorno superati i cinquant'anni ho deciso di cambiare in maniera sostanziale la mia vita e, senza chiedere nulla in cambio ma solo decidendo di donare me stesso a Gesù, mi sono confessato e partecipo alle funzioni non solo della domenica ma anche di tutti i giorni nei momenti di possibilità. 
La mia vita ora è fatta di preghiera ma soprattutto di pensieri e comportamenti che ricalcano in ogni momento della giornata ogni insegnamento del Vangelo. 
Ci tengo a sottolineare che in brevissimo tempo dal momento del mio assenso a Gesù ho potuto sperimentare una pace interiore e la risoluzione di tanti problemi sicuramente per opera dello Spirito Santo. 
Data l'occasione e leggendo di persone molto preoccupate per la confessione io credo che nel momento in cui ci si pente per davvero dei peccati commessi, e si ha la VERA intenzione di non commetterli più pregando in ginocchio davanti al Signore, si venga perdonati. 
La confessione davanti al sacerdote è ovviamente determinante e imprescindibile ma se ci si scorda di qualche particolare non credo che a Dio interessi più di tanto. Egli sa già benissimo cosa abbiamo e non abbiamo fatto e quello che a Lui  importa è che si decida dal profondo del cuore e della fede di non commettere più i peccati che ci fanno vergognare. 
A poco servirebbe una confessione ricca di particolari se poi siamo poco convinti, o per nulla, nel non ripetere le stesse cose sbagliate e che ci allontanano da Dio. 
Ma la vera cosa che volevo chiederle è che leggendo nella Bibbia dei rapporti di matrimonio non consacrati, cioè considerati adulteri, le colpe ricadrebbero sui figli. Io sono figlio di una coppia non sposata in chiesa perchè a quel tempo andava di moda la filosofia comunista-anticlericale che faceva ritenere la religiosità cosa inutile e Dio un'invenzione a beneficio dei preti (più o meno).
Nonostante questo i miei genitori sono sempre stati esempio di onestà e di fedeltà e non posso certo dire che mi abbiano ostacolato nella fede o insegnato cose sbagliate. 
Le chiedo dunque ma davvero chi nasce da un rapporto non ufficializzato davanti a Dio porta dentro una colpa che comunque in definitiva non è sua?? 
Che dire dei figli nati da rapporti sbagliati, o per violenza, o qualsiasi altro caso??
In cuor mio mi sento creatura di Dio, con un grandissimo amore nei Suoi confronti, e non smetterò mai di lodarlo e di testimoniarlo nel mondo. Posso sentirmi ben accetto e a quello che ho letto ho dato un'interpretazione troppo letterale o sbagliata?? 
La ringrazio e la saluto fraternamente. 
Giovanni.


Risposta del sacerdote

Caro Giovanni, 
1. le osservazioni che hai fatto sulla confessione sono giuste.
L’elemento principale consiste nella contrizione, e cioè nel pentimento dei peccati e nella risoluzione di non più commetterli.
L’accusa è importante, è necessaria, è di diritto divino e pertanto la Chiesa non può dispensare dal farla. Tuttavia se uno dimentica un peccato, ma aveva la volontà di confessarlo, deve ritenersi assolto. 
Se poi gli torna in mente, lo accuserà nella successiva confessione. E nel frattempo, se non ha commesso altri peccati gravi, può fare la Santa Comunione.

2. La seconda domanda che mi hai posto trae la sua ispirazione da quello che si legge nel libro dell’Esodo nel momento in cui Dio sta per consegnare i dieci comandamenti a Mosè e ne chiede l’osservanza: “Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Es 20,5-6).

3. Il linguaggio del castigo e del premio è evidentemente allegorico.
La pena che colpisce i figli fino alla terza e alla quarta generazione sta a ricordare che come i figli sono il bene più prezioso per i genitori, i quali preferirebbero piuttosto soffrire loro stessi pur di risparmiarne i figli, così la trasgressione dei divini comandamenti priva l’uomo del bene più caro, che è il possesso di Dio dentro di sé per il tempo e per l’eternità.

4. Gli antichi tuttavia non intendevano queste parole solo in senso allegorico, ma anche materiale.
Qui allora vi si trovano altri significati.
Non va dimenticato che nell’Antico Testamento il ceppo famigliare o il clan avevano grande importanza.
In una società in cui non vi era minimamente il concetto di uno stato sociale che garantisse il minimo di beni a tutti i cittadini, l’appartenenza ad un clan o ad una famiglia era un elemento di difesa e di protezione.
Va ricordato anche che a quei tempi vigeva la pena del taglione: quella che si esprime nell’occhio per occhio e nel dente per  dente. 
Va ricordato anche che la pena di morte veniva data con molta facilità. La bestemmia e la trasgressione del riposo del sabato erano, ad esempio, causa di pena di morte. 
Questa pena di morte evidentemente cooperava all’impoverimento del clan o del nucleo famigliare e questo si sarebbe fatto sentire per diverso tempo. 
Ecco perché si parla di punizione fino alla terza e quarta generazione. Ma a dire il vero è un’auto punizione.
Pertanto il significato letterale delle parole della Sacra Scrittura va inteso secondo le condizioni di vita dell’Antico Testamento e non può essere applicato a noi.

5. Inoltre rimane sempre vero che talvolta si fanno pagare le conseguenze dei propri peccati anche i figli.
Questo è un dato testimoniato anche dalla scienza medica, che parla di  trasmissione di tare dovute al proprio comportamento. Si pensi ad esempio agli effetti dell’alcoolismo o dell’aids sui figli.

6. Noi oggi, in queste parole della Sacra Scrittura, possiamo vedervi anche una nascosta solidarietà che lega gli uomini nel bene e nel male, a seconda che vivano in grazia o siano privi della grazia.
È quella legge della solidarietà cui alludeva Giovanni Paolo II in Reconciliatio et poenitentia quando scriveva: “Riconoscere che in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri. È, questa, l’altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che “ogni anima che si eleva, eleva anche il mondo”.
A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero. In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana. Secondo questa prima accezione, a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale” (RP 16).

 7. Con tutto questo non dobbiamo dimenticare le parole successive proferite da Dio: “che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni”.
Il premio promesso (la misericordia e la benevolenza divina) si riversano sull’umanità in maniera più ampia (mille generazioni) che i castighi. 
Per i meriti di Abramo, Isacco e Giacobbe (e noi possiamo dire per i meriti di Cristo, della Beata Vergine e dei santi) Dio benefica l’umanità in maniera straordinaria, perché vuole che il bene compiuto in grazia vada a beneficio di tutti e per tutta l’eternità.

Ti ricordo al Signore nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


   


Un sacerdote risponde

Sono un appassionato cultore di storia dell'antica Roma, e, da cristiano, mi sono spesso chiesto dove riposino le anime dei Romani

Quesito

Caro Padre Angelo,
In primis ringrazio per la disponibilità a rispondere alle domande dei fedeli. 
Sono un appassionato cultore di storia dell'antica Roma, e, da cristiano, mi sono spesso chiesto dove riposino le anime dei Romani, dagli imperatori ai comuni legionari. So che essi credevano nei campi elisi e nell'Ade, ma agli occhi della teologia mi saprebbe aiutare a capire che fine hanno fatto le anime dei giusti e dei meno giusti di quel tempo. 
La ringrazio, 
Cordialmente


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. la tua domanda può essere applicata, oltre che ai romani, anche ai greci, a tutti gli antichi e a tutti quelli che ancor oggi muoiono senza aver conosciuto Gesù Cristo.
Per risolvere il problema dobbiamo partire dalla volontà di nostro Signore che “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4).
In virtù del sacrificio di Cristo che ha versato il suo sangue per la salvezza di tutti e non vuole che sia stato versato invano Dio mette a disposizione di tutti gli uomini i mezzi per potersi salvare.
Pertanto ci troviamo dinanzi ad una volontà salvifica che non è una volontà platonica, ma vera, efficace.

2. Ora i mezzi ordinari della salvezza sono costituiti dai sacramenti, i quali comunicano la grazia santificante.
La grazia santificante è una partecipazione della vita divina che mentre purifica dal peccato rende adatti alla comunione con Colui che è tre volte Santo.
Senza la grazia santificante non si può entrare in Dio e nel suo Regno.
La parabola di colui che era sprovvisto degli abiti nuziali è molto eloquente (Mt 22,12). È vero che quel tale era stato chiamato dai crocicchi delle strade. Ma a quei tempi chi invitava alle nozze, soprattutto se era una persona di alto rango, si preoccupava di fornire lui stesso le vesti, facendo passare dal guardaroba. 
Potrei dire che il guardaroba dove il Signore ci fa passare per presentarci senza macchia e risplendenti davanti a Lui è costituto dai sacramenti.

3. Tuttavia i teologi e la Chiesa hanno sempre insegnato che i sacramenti sono i mezzi ordinari per la salvezza. 
Dio, oltre i mezzi ordinari, possiede anche dei mezzi straordinari per salvare gli uomini. 
Per questo in teologia si afferma che “la grazia non è legata ai sacramenti” (gratia non alligatur sacramentis).
Dio la dona anche al di fuori dei sacramenti, A noi può dare un aumento di grazia mentre preghiamo o compiamo un’opera buona.
Perché non potrebbe farlo anche con chi non ha avuto la “fortuna” di essere battezzato?

4. Poiché Dio vuole salvi tutti gli uomini dobbiamo pensare che il Signore approfitti di ogni momento per bussare al cuore di ognuno perché accolga la sua grazia.
Lo farà molto probabilmente mentre ispira a compiere il bene e a fuggire il male e vi acconsente. Così pensava San Tommaso- 
Ora se si accoglie tale mozione santificante da parte di Dio vengono rimessi i peccati e viene donata la grazia, sebbene non lo si sappia.

5. Così allora si risolve molto facilmente il tuo problema.
Se gli antichi Romani sono morti in grazia di Dio si sono salvati, magari passando dal purgatorio secondo le proprie necessità.
Tuttavia, anche una volta purificati, non hanno potuto entrare in paradiso essendo questo ancora chiuso in seguito al peccato di Adamo. 
Il paradiso verrà riaperto solo con la risurrezione di Gesù Cristo, che è il primogenito dei risorti da morte.
Pertanto gli antichi Romani morti in grazia e ormai purificati hanno atteso nel Limbo, come vi attendevano i giusti di Israele.
L’esistenza del Limbo prima della venuta di Cristo è dogma di fede.
Mai poi, con la risurrezione di Cristo sono entrati in Paradiso.
San Gregorio Magno attesta di aver visto l’anima dell’imperatore Traiano in Paradiso.
Chi invece fra gli antichi Romani è morto col peccato mortale è andato all’inferno.

6. Gli antichi Romani credevano nell’Ade. Ma il Limbo è diverso dall’Ade, che era un luogo magari anche bello per le persone che si erano comportate virtuosamente.
Nel Limbo (cosiddetto dei Patriarchi) le anime potevano fruire della rivelazione di Dio e attendere la venuta di Cristo.
Questa rivelazione faceva sì che il Limbo fosse solo una condizione provvisoria e piena di speranza a differenza dell’Ade che secondo la concezione dei pagani era una condizione permanente e vissuta nell’ignoranza del vero Dio e della venuta del Redentore.

Ti ringrazio del quesito e della pazienza nell’attendere, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo



[Modificato da Caterina63 01/06/2015 11:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il dogma dell’Immacolata mi sembra cozzare con la verità per la quale tutti siamo stati redenti

Quesito

Caro Padre Angelo, 
la ringrazio moltissimo per le sue precedenti risposte che mi sono state molto d'aiuto. Ora vorrei porle una domanda sul dogma dell'Immacolata concezione, proclamato nel 1854 da Pio IX. Non sembra trovare molti riscontri nella Bibbia (anche se magari sono io che sbaglio..).
Perchè Romani 5:12 dice che tutti gli uomini (tranne Gesù) hanno ereditato il peccato originale? (Anche Ecclesiaste 7:20-29; Romani 3:23; 1 Pietro 2:22; 1 Giovanni 3:5!). E perchè, se Maria non ha ereditato il peccato originale, 40 giorni dopo la nascita di Gesù, va nel tempio di Gerusalemme a fare un'offerta per la purificazione? (Luca 2:22-24; Levitico 12:1-2). E perchè Maria disse "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, MIO SALVATORE", "salvatore" da cosa se non aveva il peccato originale, perchè si parla di salvezza?
Camilla


Risposta del sacerdote

Cara Camilla,
1. la questione che mi presenti è stata sollevata anche in passato.
Alcuni dicevano che la Madonna è stata concepita senza peccato originale e pertanto non sarebbe stata redenta da Cristo. 
Ma questo si oppone vistosamente a quanto afferma San Paolo nel passo che hai indicato: “Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato...” (Rm 5,12).

2. La soluzione teologica venne dal francescano Duns Scoto.
Egli diceva in parole povere: se uno soccorre una persona che ha avuto un incidente per strada perché è andata a cozzare contro un masso lo chiamiamo suo salvatore. 
E se uno vede arrivare una carrozza e va a rimuovere il masso dalla strada perché non si sfracelli andandole addosso lo chiamiamo ugualmente salvatore.
Ecco il Signore con la Madonna si è comportato nel secondo modo.
Il Signore, in virtù dei meriti della sua passione, l’ha pre redenta, o anche l’ha redenta in maniera singolare ed eccezionale perché doveva diventare madre di Colui che è tre volte Santo.

3. Se leggiamo la dichiarazione di Pio IX con la quale la Madonna viene proclamata immacolata fin dal primo istante della sua esistenza troviamo espressi tutti questi concetti: “Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la beatissima vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente ed in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale, è rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti i fedeli” (bolla Ineffabilis Deus, 8.12.1854,  DS 2803).

4. “In vista dei meriti di Gesù Cristo”: anche Maria sarebbe venuta all’esistenza con la colpa d’origine se non l’avessero preservata i meriti di Cristo redentore.
Questa preservazione dalla macchia originale è ciò che la Bolla chiama “modo eminente della Redenzione”.
“Se infatti consideriamo a fondo e diligentemente la cosa, è facile vedere come Cristo Signore abbia in verità redento la divina sua Madre in un modo più perfetto essendo ella stata da Dio preservata immune da qualsiasi macchia ereditaria di peccato, in previsione dei meriti di lui.
Perciò l’infinita dignità di Gesù Cristo e l’universalità della sua Redenzione non viene attenuata o diminuita da questo punto di dottrina, ma anzi accresciuta in sommo grado” (Pio XII, Fulgens corona).

5. In questa linea si esprime anche il Concilio Vaticano II: “Redenta in modo sublime in vista dei meriti del Figlio suo” (LG 53);  “La Santa Chiesa... in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della Redenzione” (SC 103).

6. Paolo VI, nel Credo del popolo di Dio, dichiara: “Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo, e che, a motivo di questa singolare elezione ella, in considerazione dei meriti di suo Figlioè stata redenta in modo più eminente, preservata da ogni macchia del peccato originale e colmata del dono della grazia più che tutte le altre creature”.

Come vedi, il dogma dell’Immacolata non cozza per nulla con la verità per la quale tutti siamo stati redenti.
Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo







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Era proprio necessario che Maria Santissima, una volta sposata, rimanesse vergine?

Quesito

Caro Padre Angelo, 
le chiedo: era proprio necessario che Maria Santissima, una volta sposata, rimanesse vergine?
Se nel matrimonio la sessualità è parte fondamentale, tanto che un rifiuto potrebbe essere motivo di annullamento, mi ponevo un pò questo quesito...
Se la Madonna non fosse rimasta vergine nel matrimonio, pur non commettendo peccato, sarebbe venuta meno alla Sua Santità?
La ringrazio,
Luca


Risposta del sacerdote

Caro Luca, 
1. per dare una risposta adeguata alla tua domanda è necessario sapere per quale motivo la Madonna scelse per se stessa la verginità.
Le motivazioni che si portano sono essenzialmente due.

2. La prima: poiché Maria era colma di una santità e di una capacità di amare superiore a quella di tutti gli abitanti del paradiso messi insieme (compresi i vergini) sentiva il desiderio di amare Dio più di se stessa.
Lo possedeva dentro il suo cuore mediante la grazia santificante e desiderava amarlo direttamente senza passare la mediazione pur mobilissima del matrimonio.
Se san Paolo consigliava la verginità “per stare uniti al Signore senza distrazione” (1 Cor 7,35) e aveva scelto per se stesso questo stato di vita, come non pensare che anche la Madonna non lo abbia fatto per motivi ancor più forti di quelli di san Paolo?
Tanto più che la Madonna doveva essere stata toccata dal desiderio manifestato da Dio di stringere con l’umanità e con ognuno di noi una specie di sposalizio: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2,21-22).

2. La seconda motivazione nasce dall’umiltà della Madonna.
Maria, in forza dei doni eccelsi dello Spirito Santo che ricolmavano la sua anima, aveva una conoscenza molto penetrante delle Scritture.
Aveva capito bene chi sarebbe stato il Messia atteso da tutti: “Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti” (Is 9,5-6).
Aveva capito bene che Colui che era stato predetto dai Profeti era Dio: “Dio potente, Padre per sempre”.
Pur avendo un concetto elevatissimo della maternità, perché sapeva che era voluta da Dio e che era finalizzata ad incrementare il popolo santo del Signore, tuttavia si sentiva indegna per una maternità come quella del Messia e si mise da parte. Scelse la verginità per umiltà.
A quest’umiltà farà riferimento Lei stessa nel Cantico del Magnificat quando dirà “Perché ha guardato all’umiltà della sua serva” (Lc 1,48).

3. Qualcuno aggiunge un terzo motivo: per affrettare la venuta del Messia la Madonna, che pregava per questa intenzione come tutti i giusti dell’Antico Testamento, sentì l’esigenza di rafforzare la sua preghiera unendovi il sacrificio della rinuncia della maternità, che teneva in altissima considerazione.
Con tutte le proprie forze desiderava e invocava la venuta del Redentore, proprio per l’ardentissimo amore che aveva per Dio e per l’umanità. Sentiva l’esigenza di invocarlo non solo con i sospiri dell’anima e le preghiera, ma donando al Signore qualcosa di molto grande.

4. Quando l’Angelo le reca l’annuncio che diventerà Madre, la Madonna farà riferimento al suo proposito verginale, che nel frattempo era stato condiviso pienamente anche da Giuseppe: “Come è possibile? Non conosco uomo” (Lc 1,14).
In un Commentario della Sacra Scrittura si legge: “Rassicurata intorno alla sua verginità, Maria con la più grande umiltà e la più profonda obbedienza si rimette alla volontà di Dio dicendo “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).

5. La verginità di Maria fu una scelta piena d’amore. Le parve che fosse perfettamente corrispondente ai disegni di Dio.
L’angelo, che parlò a Lei da parte di Dio, la rassicurò su questo, Anzi le fece comprendere che questa scelta verginale era necessaria perché Dio assumesse una natura umana.

6. Fatte tutte queste premesse, che senso avrebbe avuto rompere durante il matrimonio il proposito che aveva fatto con grande amore e per altro condiviso dal suo Sposo?
Maria non poteva venir meno al proposito espresso davanti a Dio. Era una questione di amore e di fedeltà.
Ed era un questione di fedeltà anche nei confronti di San Giuseppe, che amava la verginità nella medesima lunghezza d’onda con lui amava Lei, la sua castissima Sposa.

7. Vi è da aggiungere anche un’altra cosa: Maria si accorse che anche il suo parto fu verginale, senza alcun spargimento di sangue e senza alcun dolore.
Se vi fosse stato spargimento di sangue sarebbe rimasta contaminata, secondo la legge mosaica. Ora come poteva succedere che Colui che veniva nel mondo per purificare e santificare come suo primo atto rendesse impura e contaminata, sia pure solo sotto il profilo rituale, la sua santissima Madre?
La Madonna fu testimone di questo parto miracoloso, di cui si può scorgere qualche traccia in alcune versioni di Gv 1,13.

8. Sull’assenza di dolore è eloquente l’evangelista san Luca quando dice che la Madonna ha fatto tutto da sola, ha partorito il bambino, l’ha avvolto in fasce e lo depose in una mangiatoia (cf. Lc 2,7). 
Maria al momento del parto sembra nel pieno vigore di se stessa, contrariamente allo spossamento che provano tutte le donne di questo mondo dopo un simile evento.
E allora: se Dio l’aveva conservata vergine anche durante il parto per manifestare che era venuto per purificare e santificare, che senso avrebbe avuto perdere la verginità se non profanare un miracolo così portentoso e pieno di significato?

9. Infine, venendo alla tua ultima domanda, desidero ricordare che la sessualità, che nel matrimonio si esprime in maniera molto alta anche nel rapporto sessuale, tuttavia non si esaurisce in esso, né lo richiede se i due coniugi di comune accordo vi rinunciano.
Diversamente dovremmo dire che il matrimonio tra la Madonna e san Giuseppe che aveva come fondamento la comune volontà di rimanere vergini non era un vero matrimonio.
Il matrimonio è ordinato anche al mutuo aiuto e al perfezionamento dei coniugi che può essere realizzato di comune accordo anche con il proposito di verginità o di astensioni dai rapporti coniugali.
Pertanto il matrimonio della Madonna con San Giuseppe è stato un vero matrimonio, che ha portato i due sposi ad una castissima dedizione vicendevole e ad un amore reciproco del tutto puro, santo e sempre santificante.

Sono contento di risponderti in questo tempo natalizio che ci fa gustare meglio la verginità di Maria e della Santa Famiglia di Nazaret.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

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Quanta confusione e quanti errori su Gesù e sulla Madonna da parte di una nostra visitatrice

Quesito

Caro Padre Angelo,
sono una credente e vorrei porle qualche domanda sulla santa madre celeste.
Come mai il Figlio, ossia il Verbo del Padre, quello con cui tutto è stato creato viene chiamato figlio dalla Madonna, perchè dal suo ventre è nato?
Se leggo genesi, io noto che il Verbo del Padre, ossia la Parola vivente con la quale tutto è stato creato, compie la volontà del Padre, nella terra “produca la terra, animali ... ecc... secondo la propria specie”; nel cielo, nelle acque “brulichino le acque...ecc...”. 
Ma allora è pure figlio della madre terra, Dio del cielo e dell’acqua? 
Se nascendo da qualcuno, diventa automaticamente suo figlio, la Parola di Dio quante madri ha? 
Prima di nascere uomo, da donna, è nato, secondo la volontà del Padre, tutto ciò che si legge in genesi, tutto ciò che esiste.
Siamo sicuri che il Verbo del Padre ossia suo Figlio (come si pronuncia, quando ci si fa la croce) sia diventato Figlio di una Madonna?
Siamo sicuri che il Verbo del Padre ora sia il Verbo della madre?


Risposta del sacerdote

Carissima, 
1. ci sono diversi errori nelle tue affermazioni.
Gravemente erronea è soprattutto l’ultima.
Ma procediamo per gradi.

2. Di per sé la generazione umana passa attraverso le persone umane. 
Tu sei direttamente figlia dei tuoi genitori. Sono loro che ti hanno dato la carne, il dna, il nutrimento, l’educazione, l’affetto, le cure di cui hai avuto bisogno, ecc…

3. Solo indirettamente e in maniera metaforica sei figlia della madre terra.
Tutti deriviamo dalla terra.
Tutti nel nostro corpo siamo terra variamente e mirabilmente combinata.
Ma non siano stati generati dalla terra attraverso un atto libero, cosciente, responsabile espresso dalla terra stessa.
Né la terra si impegna responsabilmente e con amore nei nostri confronti.
Pertanto solo in maniera indiretta e metaforica diciamo che la terra è nostra madre.

4. E solo in questo senso possiamo dire che anche il Verbo, facendosi uomo e facendosi carne, ha voluto essere figlio della terra, perché dalla terra ha ricevuto il nutrimento e il sostegno.

5. La Madonna poi è Madre del Verbo non semplicemente perché l’ha partorito materialmente.
Nella generazione umana del Verbo è stata direttamente coinvolta dal Cielo, che prima ne ha chiesto l’assenso. 
Dopo che la Madonna ha risposto in maniera libera e cosciente “Eccomi, sono la serva del Signore”, allora il Verbo si è fatto carne.

6. Inoltre la Madonna è stata vera Madre di Gesù perché, oltre all’assenso libero e pieno d’amore al momento della generazione umana del Verbo, l’ha nutrito, l’ha educato, l’ha custodito, ecc…
Insomma ha fatto, e in maniera eccelsa, tutto quello che le mamme fanno nei confronti dei loro figli.
La Madonna si è sempre considerata Madre di Gesù.
Quando Gesù viene ritrovato al tempo, dice: “Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”.
Giustamente la Madonna, rivolgendosi a Gesù, chiama “padre” san Giuseppe. Perché sebbene San Giuseppe non sia stato padre sotto il profilo biologico, tuttavia lo è stato in tutti gli altri sensi.
Allora: se la Madonna considerava padre san Giuseppe, non considerava forse se stessa Madre?

7. Inoltre nel Vangelo di Giovanni la Madonna non viene mai menzionata col suo nome. Al punto che se avessimo solo il Vangelo di Giovanni noi non conosceremmo il nome della Madonna. Ma viene sempre e solo chiamata “la Madre”, la Madre di Gesù”….

8. Inoltre è Madre del Verbo, e cioè della Sapienza divina, non perché sia preesistente a Dio. La Madonna è una creatura.
Ma è Madre del Verbo in quanto il Verbo ha assunto una natura umana.
È Madre del Verbo secondo la sua natura umana, non secondo la sua natura divina.

9. Ma poiché Gesù, pur avendo due nature (l’umana e la divina), è una persona divina (è il Verbo, il Figlio Unigenito), la Madonna ha generato, ha partorito, ha fatto da mamma a una Persona divina che ha preso carne da lei.
Ma non ha fatto né poteva fare da mamma a questa Persona divina secondo la sua natura divina.
Perché di questa Persona divina la Madonna è creatura.

10. Per questo Dante nella Divina Commedia, rivolgendosi alla Madonna, la invoca così: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio” (Paradiso, XXXIII, 1).

11. Alla fine concludi: “Siamo sicuri che il Verbo del Padre ora sia il Verbo della madre?”
Dici: “Siamo sicuri”. Chi è sicuro di questo?
Chi l’ha detto questo?
La Chiesa senz’altro no.
Questo la Chiesa non lo ha mai detto né mai insegnato.
Per questo la tua domanda è erronea e del tutto fuori posto.

12. Se per Verbo intendiamo la Sapienza divina (il Vangelo di Giovanni lo chiama Logos) allora, sì, il Verbo è la Sapienza divina e increata di Dio.
Ma la sapienza della Madonna, per quanto alta e del tutto superiore alla sapienza di tutte le altre creature messe insieme, rimane sempre una sapienza creata.

Mi auguro di aver portato un po’ di chiarezza. 
Ti ringrazio comunque del quesito che permette a molti visitatori di chiarire e precisare le idee.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




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Alcuni versetti del Vangelo mi fanno sorgere dubbi sulla divinità di Cristo

Quesito

Buongiorno Padre!
Sono Gabriele di …. Mentre leggevo, se non sbaglio un passo di Giovanni, sono rimasto colpito dal punto in cui Gesù afferma che il Padre è più grande di Lui. Questo sembra implicare una diminutio della divinità di Gesù. Riflettendo anche sulle frasi di Gesù in cui afferma di essere stato mandato dal Padre mi sembra di poter cogliere il medesimo dubbio. Se Gesù è mandato dal Padre allora il Padre comanda Gesù e solo una creatura può ricevere ordini da un Dio. Il passo in cui Gesù rispondendo a Filippo afferma che chi ha visto Gesù ha visto pure il Padre perché Gesù è nel Padre e viceversa, non scioglie le mie perplessità in quanto si presta ad una interpretazione, secondo me, di questo genere: il Padre è presente in me ed Io in Lui in quanto siamo in una comunione d'amore ma non siamo la stessa divinità.
Questi dubbi stanno minando la mia fede da alcuni giorni e mi mandano in confusione. Sarà solo una coincidenza ma sono apparsi da quando ho iniziato a pregare le quindici orazioni di Santa Brigida da recitarsi per un anno di seguito senza interruzione.
Sembra quasi che quando "si inizia a fare le cose sul serio" per la propria salvezza l'inferno ci attacchi con tentazioni mirate a mandarci in confusione.
Le chiedo scusa se non ho usato un linguaggio appropriato ma ho scritto di getto questa missiva, ritagliandomi alcuni minuti nelle pause lavorative.

Grazie per l'attenzione che spero vorrà dedicare a questa mia richiesta.
Saluti
Gabriele


Risposta del sacerdote

Caro Gabriele,
1. San Giovanni dice quale sia lo scopo del Vangelo che ha scritto nei versetti 30 e 31 del capitolo 20: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo (cioè il Messia, n.d.r.), il Figlio di Dio (cioè Dio, n.d.r.), e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (abbiate cioè la vita di Dio in voi).
Il suo intendimento dunque è quello di mostrare la Messianicità e la divinità di Cristo.
Essere Messia non implicava ancora che si trattasse di un Messia Dio. 
Di per sé avrebbe potuto esserlo anche un uomo mandato da Dio.
Di fatto poi il Messia si è rivelato come Dio fatto carne.

2. Mi dici che sei rimasto sgomento nel leggere alcuni versetti. 
Ebbene questi versetti vanno capiti bene e nello stesso tempo bisogna inquadrarli all’interno del discorso generale fatto da san Giovanni.
Ora San Giovanni fin dal prologo del suo Vangelo mostra la divinità di Cristo: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1,1-3). 
E poi: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).
Per gloria s’intende la natura e lo splendore di Dio.
Qui, come puoi notare, San Giovanni dice di aver contemplato non lo splendore divino di cui può essere circonfuso un angelo o qualche uomo santo, ma la gloria dell’Unigenito Figlio di Dio, e cioè la natura divina della sapienza stessa di Dio, del Verbo, che si è fatta carne e che ha abitato tra noi.

3. San’Ireneo, che è della fine del secondo secolo, dice che san Giovanni scrisse il suo Vangelo espressamente per combattere gli errori di Cerinto, degliebioniti e dei nicolaiti che negavano la divinità di Cristo.

4. Fatte queste doverose premesse che danno il quadro generale del Vangelo di Giovanni, analizziamo adesso i versetti che ti hanno turbato.
Cominciamo dal primo: “Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me” (Gv 14,28). 
San Tommaso d’Aquino, nel suo Commento al vangelo di Giovanni, scrive: “Da queste parole Ario prese l'occasione per spropositare, dicendo che il Padre è superiore al Figlio.
Errore che viene confutato dalle parole stesse del Signore. Infatti la frase: «Il Padre è maggiore di me», è nello stesso contesto dell'altra: «Io vado al Padre». Ora, come il Figlio viene a noi secondo la natura umana (cfr.: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio... e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, Gv 1,1.14) così va al Padre secondo la medesima natura umana.
Perciò anche quando dice: «È maggiore di me», lo afferma non in quanto Figlio di Dio, ma in quanto Figlio dell'uomo, e sotto tale aspetto non solo egli è minore del Padre e dello Spirito Santo, ma persino degli angeli (cfr. Eb 2,9: “Quel Gesù che è stato fatto un poco inferiore agli angeli, noi lo vediamo, per via della morte patita, coronato di gloria e di onore”). Anzi, fu inferiore persino ad alcuni uomini, cioè ai genitori, ai quali in certe cose era sottoposto, come si legge in Lc 2,51. Egli quindi era inferiore al Padre secondo la sua umanità, ma era a lui eguale secondo la Divinità. Come dice Paolo (Fil 2, 6-7): «il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini»”.

5. L’essere mandato dal Padre non significa che Gesù sia inferiore al Padre.
Gesù sottolinea che le opere che compie le compie perché il Padre gliele ha comandate: nel senso che le opera in stretta unione col Padre, con la sua medesima potenza o virtù divina. 
Non dobbiamo dimenticare che i giudei accusavano Gesù di compiere le opere con la forza che gli veniva da Beelzebul, il capo dei demoni.
Gesù invece dice: “le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Gv 5,26).

6. Ugualmente per le parole che Gesù rivolge a Filippo e che ti riporto intero: “Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»?” (Gv 14,9).
Erano tre anni che Filippo stava con Gesù e ora gli domanda: “Mostraci il Padre e ci basta”. Gesù gli risponde: dopo tre anni che sei stato sempre con me, dopo che hai visto ciò che ho fatto e ciò che ho detto, avresti dovuto comprendere che io sono consostanziale al Padre!
Anche Filippo doveva concludere come aveva concluso l’apostolo ed evangelista  Giovanni: “e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).

Da tutto questo puoi comprendere che le domande che ti sei posto non minano la tua fede. Di fatto incitano a renderla più solida e più luminosa.
Per questo ti assicuro la mia preghiera e il ricordo nella Santa Messa che tra breve celebrerò.
Ti benedico. 
Padre Angelo





[Modificato da Caterina63 18/07/2015 19:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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24/07/2015 11:33
 
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Su alcuni passaggi dell'Antico Testamento e se sia possibile farsi carico davanti a Dio dei mali altrui

Quesito

Caro Padre Angelo,
la ringrazio per il bellissimo lavoro che sta facendo, Dio l'ha chiamata per un compito importante e utilissimo a chi vuole conoscere Dio! Volevo porle 2 domande: la prima riguarda a Ester dell'antico testamento, lei se non ricordo male fornica con il Re, come spiegare ciò? Poteva rifiutarsi di passare la notte con lui? Nell'antico testamento ci sono tante vicende di personaggi importante che hanno peccato di lussuria, incesti e rapporti vari andando palesemente contro la volontà di Dio, ma spesso non si leggono correzioni nel testo di questi gesti sbagliati. Come mai?
Infine volevo chiederle questo: io sono molto praticante, vado a messa spesso in settimana, mi confesso regolarmente, ricevo la comunione, e faccio il cammino del Rinnovamento nello Spirito Santo...
ora mi chiedo posso prendermi le colpe davanti a Dio di persone che solo lontane dal suo cuore o che conoscono Dio ma sbagliano lo stesso e prendono la comunione in peccato grave??
Per evitare sacrilegi vale chiedere al nostro Signore di non imputare a queste persone le loro colpe e chiedere perdono per loro??
Sarà una domanda stupida, ma il bello di essere cristiano è una crescita continua, a volte si arriva a cose più profonde ma non ci si arriva alle cose più semplici! 
Grazie mille la ricorderò in preghiera!
Un abbraccio


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. Il riferimento a Ester non è corretto.
Èster è una donna integerrima e nell’Antico Testamento è prefigurazione della Madonna che davanti a Dio può tutto e intercede a favore del suo popolo.

2. Ciò non toglie che nell’Antico Testamento si leggano tante cose che sono palesemente un insulto a Dio.
Soprattutto nel libro della Genesi, ma anche in tanti altri libri dell’Antico Testamento, Dio vuole farci vedere come l’allontanamento da Lui sia la causa di tanti accecamenti, per cui ci si riduce a confondere il male con il bene.
Questa lezione che Dio ci dà tramite l’Antico Testamento è quanto mai attuale anche oggi.

3. Nello stesso tempo, come ricorda Sant’Agostino, la Bibbia come il libro della pazienza di Dio.
Il Signore tollera tanti mali e tanti accecamenti e indurimenti di cuore.
Mi pare di poter dire che non solo la Bibbia sia il libro della pazienza di Dio, ma che anche la nostra vita, nella quale si esprime attualmente la storia della salvezza di Dio nei confronti di ciascuno di noi, possa essere definita come il libro della pazienza di Dio.
Ognuno di noi, in misura più o meno intensa, si ritrova descritto nei propri pensieri, nelle proprie tentazioni e nelle proprie azioni in tante pagine dell’Antico Testamento.

4. Mi chiedi poi se puoi caricarti davanti a Dio delle colpe di coloro che vivono lontani da lui.
Sì, lo puoi fare.
Anzi, se badiamo bene, è un’esigenza della vita cristiana.
Se i cristiani infatti attingono da Cristo la linfa ispiratrice dei loro pensieri e delle loro azioni, devono fare così.
Cristo infatti si è caricato delle nostre colpe, le ha espiate, per esse ha pregato e sofferto.

5. Per questo San Paolo dice: “Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6,2). 
San Tommaso commenta: “La legge di Cristo è la carità. (…).
Infatti Cristo stesso a motivo della carità ha portato i nostri peccati (Is 63,4);  “ha portato i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2,24).   
Così anche noi dobbiamo portare i pesi gli uni degli altri perché possiamo adempiere la legge di Cristo” (In Gal 6,2).

6. A questo proposito mi piace ricordare che il Santo Padre Domenico ogni sera si flagellava per tre volte: la prima in espiazione dei propri peccati, la seconda per la conversione dei peccatori, la terza per la purificazione delle anime del purgatorio.
Questo triplice atteggiamento dovrebbe essere tipico di ogni buon cristiano.
A questo ci invita anche Gesù nella preghiera del Pater.
Quando diciamo “Rimetti a noi i nostri debiti” non chiediamo solo il perdono dei nostri personali peccati, ma anche dei peccati degli altri.
San Tommaso, opportunamente ha osservato che il Signore, chiedendoci di pregare dicendo “Padre nostro” e non semplicemente “Padre mio”, ha voluto che tutto quello che chiediamo per noi, lo chiediamo contemporaneamente anche per ognuno del nostro prossimo, per tutti.

7. Tu, a somiglianza del Santo Padre Domenico, non ti vuoi limitare alla preghiera per la remissione dei peccati di tutti, ma vuoi anche espiarli, in unione con Cristo, con la tua stessa vita, con le tue opere, portandoli nel tuo corpo, come ha fatto Gesù Cristo.
Non mi rimane che ripeterti le parole di San Paolo: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1).
E anche: “Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).

Ti assicuro la mia preghiera per questa tua bella volontà, ti ricorderò nella Messa e ti benedico. 
Padre Angelo





Un sacerdote risponde

http://www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4260 

Perché la chiesa cattolica al momento della Comunione offre il Corpo ma non il Sangue di Cristo

Quesito

Caro Padre Angelo,
Il mio nome e' Immacolata, sono una infermiera emigrata per lavoro in Germania. Qui ho a che fare con una altissima percentuale di cristiani protestanti, che spesso sono molto più preparati di me sui temi biblici. Mi è stato posto un quesito: perché la chiesa cattolica al momento della Comunione, offre il Corpo ma non il Sangue di Cristo, ovvero la Comunione ma non il Vino. Ho trovato diverse risposte, ovvero che il Corpo contiene già il Sangue, oppure che il Sangue fosse solo per gli apostoli, ma sono risposte che non mi convincono. Saprebbe Lei aiutarmi?
Ringrazio in anticipo e le auguro intanto una buona domenica. 


Risposta del sacerdote

Cara Immacolata,
1. i motivi che hanno portato la Chiesa latina ad amministrare la Santa Comunione solo sotto la specie del pane sono molto più semplici di quanto tu non possa immaginare.
Si era creato anzitutto il problema di portare la Santa Comunione agli ammalati.
Portarla anche sotto la specie del vino esponeva a pericoli di versamento e pertanto di profanazione.

2. C’era poi il problema di dare la Santa Comunione ai bambini, per i quali si riteneva sconveniente darla anche sotto la specie del vino, circa il quale molti sono al momento riluttanti.

3. Per gli adulti il diacono passava il calice di bocca in bocca. E questo evidentemente poteva essere di poco gradimento a non poche persone.
In altri posti ci si serviva di una cannula. 
Altrove infine, come si fa ancora oggi nelle chiese orientali, si inzuppa la specie del pane nel calice e si somministra la Santa Comunione con un cucchiaino.
Infine in non pochi paesi vi era un’effettiva difficoltà a procurare il vino perché in alcune zone di questo mondo la vite non attecchisce.
Tutto questo portò a riservare solo al celebrante la facoltà di bere al calice.

3. Verso l'inizio del secolo XII andò gradualmente cessando in Occidente l'uso di comunicarsi sotto le due specie. 
Ai motivi sopra riportati se ne aggiunsero altri: la maggiore  consapevolezza che dove è presente il Corpo del Signore per reale concomitanza vi è anche il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità.
E anche il fatto che Gesù non disse “fate questo in memoria di me” solo la duplice consacrazione, ma dopo quella del pane: “«Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi»” (Lc 22,19-20).
Fu col concilio di Costanza del 1415 che si riservò solo ai sacerdoti di comunicarsi sotto le due specie.

4. Oggi però la Chiesa cattolica dà la possibilità di fare molto spesso la Comunione sotto le due specie, anche tutte le domeniche.
Si supera abbastanza facilmente il pericolo della caduta di gocce del Sangue di Cristo con l’intinzione della particola consacrata nel calice e porgendola poi sulla bocca dei fedeli.

5. Per i protestanti non sussistono i problemi dell’eventuale profanazione con la caduta di gocce.
Ai pastori protestanti manca la potestas ordinis. In altre parole manca ad essi la capacità di consacrare. 
Per loro si tratta solo di un simbolo, contrariamente alle evidenti parole del Signore il quale non ha detto “questo è un segno o un simbolo del mio corpo”, ma “questo è il Mio Corpo”.
Addirittura nel testo greco manca anche la copula “è” per esprimere con maggiore forza che si tratta del Corpo e del Sangue del Signore.

Ti auguro un buon soggiorno in terra tedesca, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Da chi sia stato preparato l'inferno e di che tipo sia la presenza di Dio nei dannati e nei demoni

Quesito

Carissimo Don Angelo,
sono nuovamente a scriverle per avere dei chiarimenti riguardanti verità di fede. Questa volta riguardo ad uno dei novissimi, ossia all'inferno.
Oggi stavo ascoltando Don Amorth a radio Maria, sacerdote che ho avuto la grazia di conoscere e che stimo moltissimo, e rispondendo ad un radio ascoltatore, lui ha detto che l'inferno non è stato creato da Dio, ma dai demoni, in quanto Dio ha creato tutte cose buone, per cui non poteva creare l'inferno.
Ora gli interrogativi che mi sono venuti sono due;
1) il primo riguarda proprio quello che ha detto padre Amorth, e cioè rifacendomi al vangelo di Mt 25,41 è detto......Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 
Ora si evince chiaramente che l'inferno è stato appunto preparato per i demoni e non per gli uomini, se questi rispondono alla grazia del Signore. Ma se è stato preparato significa che Qualcuno lo ha preparato.... e quindi che non se lo sono preparato i demoni stessi. 
2) come secondo punto le chiedo, essendo Dio onnipotente ed onnipresente, quindi presente dappertutto, come può esistere un luogo dove non c'è Dio come l'inferno, se appunto Dio è onnipresente?
La ringrazio anticipatamente per quanto vorrà rispondermi, e salutandola cordialmente le chiedo preghiere per me e la mia famiglia.
Massimo


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. l’espressione “l’inferno è stato preparato” va intesa nel medesimo modo i  cui si dice che uno si è preparato a soffrire determinati mali con il proprio comportamento.
Un proverbio popolare dice che “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.

2. Quanto ha detto padre Amorth dunque è esatto.
È anche la sentenza di Origene che viene poi riportata da San Tommaso quando commentano il passo evangelico riguardante il giudizio universale.
Ecco quanto dice Origene: “Bisogna poi considerare che ai santi fu detto  «Benedetti del Padre mio», 
ma ora ai dannati non viene detto: andate maledetti del Padre mio
infatti l'amministratore delle benedizioni è il Padre, 
ma della maledizione è attore chiunque nei riguardi di se stessose opera cose degne di maledizione” (Commento a Matteo, 25,41).

3. E San Tommaso: “Ma essi stessi (i dannati) hanno acquisito la morte (spirituale) per se stessi con le proprie mani, secondo quanto è detto in Is 31,7 ‘In quel giorno ognuno rigetterà i suoi idoli d'argento e i suoi idoli d'oro, lavoro delle vostre mani peccatrici’” (Commento in Matteo,25,41).

4. Per la seconda domanda: sì, Dio è presente anche all’inferno, ma non con la sua gloria.
S. Tommaso dice che Dio è presente in tutte le cose in tre maniere: 
per la sua potenza, perché tutte, spirituali e materiali, gli sono sottomesse;
per la sua presenza o infinita conoscenza per cui tutto gli è costantemente presente, compresi i segreti dei cuori; 
- e infine per la sua essenza, e cioè per la sua virtù creatrice e conservatrice, per mezzo della quale egli conserva ogni realtà nell’esistenza (Somma teologica, I, 8, 3). 
Dio è così unito ad ogni realtà che, se cessasse la sua azione conservatrice, ogni creatura subito tornerebbe nel nulla da cui è stata tratta.
Solo in questo modo Dio è presente anche nei demoni e nei dannati.

5. I teologi danno un unico nome a questa triplice presenza e la chiamano presenza di immensità per distinguerla da un’altra, nuova e di ordine soprannaturale, che si realizza nell’anima dei giusti e alla quale viene dato il nome diinabitazione.
La presenza di inabitazione è quella per la quale Dio si rende personalmente presente con una partecipazione della sua natura divina.
Nella vita presente questa partecipazione avviene mediante la grazia. In Paradiso invece si realizza mediante la gloria o visione beatifica.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo


[Modificato da Caterina63 07/08/2016 11:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/08/2016 11:54
 
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   Un sacerdote risponde


Le chiedo gentilmente di darmi riferimenti biblici dove si afferma chiaramente l'immortalità dell'anima umana


Quesito


Caro Padre Angelo,
non mi dilungo in premesse..
Desidero indagare personalmente su un argomento che ultimamente mi sta a cuore.
Se gentilmente mi indica i riferimenti Biblici dove sia chiaramente deducibile l'affermazione della Chiesa che: l'anima è immortale.
Personalmente non ne ho trovati.
Sono consapevole della mia ignoranza infinita.. quindi porti pazienza..
La ringrazio.
Filippo


Risposta del sacerdote

Caro Filippo,
1. per dimostrare l’immortalità dell’anima umana è sufficiente il lume della ragione.
Antichi filosofi, del calibro di Platone e di Cicerone, vissuti rispettivamente il quarto e il primo secolo avanti Cristo, l’avevano riconosciuto.
Sant’Agostino nelle sue Confessioni ricorda che all’età di 18 anni ebbe la fortuna di leggere le opere di Platone e l’Ortensio di Cicerone e si convinse razionalmente dell’immortalità dell’anima.
Nel nostro sito abbiamo avuto occasione di indicare i segni che manifestano l’immortalità dell’anima umana.

2. Tu però non chiedi questo, ma piuttosto se vi siano nelle Sacre Scritture delle affermazioni che indichino chiaramente questa verità.
Ebbene, sì ve ne sono e anche abbastanza numerose.

3. Partiamo dall’Antico Testamento.
Qui è necessario suddividere l’Antico Testamento in due periodi.
Nel primo periodo si riconosce la sopravvivenza dell’uomo oltre la tomba.
Evidentemente non si tratta della sopravvivenza del corpo, diventato ormai cadavere, ma della sopravvivenza dell’anima.
Tale sopravvivenza è intesa come un’ombra.
Senza distinzione, queste anime si radunano nello Sheol con quelle dei loro antenati. .
È una sopravvivenza amorfa, uguale per tutti. In questo periodo non è ancora presente il concetto di rimunerazione, di premio o di castigo.
Proprio perché si tratta di una sopravvivenza come di un’ombra, non c’è vera vita e per questo chi finisce nella fossa (Sheol) non loda il Signore.
In questo senso si trovano nei Salmi espressioni come questa: “Compi forse prodigi per i morti? O si alzano le ombre a darti lode?” (Sal 88,11).
E anche: “Non i morti lodano il Signore né quelli che scendono nel silenzio, ma noi benediciamo il Signore da ora e per sempre” (Sal 115,17-18).
Per quanto non si tratti di una vera vita, tuttavia si enuncia chiaramente che non tutto finisce con la morte del corpo.
In ogni caso, anche in questo periodo, non viene mai negata l’immortalità dell’anima.

4. In un secondo periodo, che coincide con gli ultimi secoli prima della venuta di Cristo (qualcuno dice dal periodo posteriore all’esilio in Babilonia) si parla chiaramente della sopravvivenza dell’anima ed è anche netto il concetto di diversa rimunerazione per i giusti e per gli empi.
Ecco un testo che si legge spesso nelle liturgie esequiali: “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace” (Sap 3,1-3).
Si tratta di una vita piena: “In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. 
Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro.
Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti.” (Sap 3,5-9).
“Ma gli empi riceveranno una pena conforme ai loro pensieri; non hanno avuto cura del giusto e si sono allontanati dal Signore” (Sap3,10). 
E ancora: “Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura.” (Sap 2,23).

 5. Nel Nuovo Testamento l’immortalità dell’anima è dichiarata apertamente da Nostro Signore quando dice: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l'anima e il corpo” (Mt 10,28).
Ugualmente il Signore parla di una vera vita anche oltre la tomba, ben diversa dalla sopravvivenza come di un’ombra come pensavano i sadducei: “Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi!».” (Mt 22,31-32).
Nel discorso delle beatitudini il Signore fa riferimento chiaro alla vita futura quando dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,3-8).

6. Anche nelle parabole del Signore emerge chiaramente il concetto dell’immortalità dell’anima.
Si pensi in particolare alla parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. Si legge: “Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.” (Lc 16,22-23).
Evidentemente il povero portato dagli angeli accanto ad Abramo vi è andato solo con la sua anima, perché il corpo era andato in corruzione. 
Analogamente la stessa cosa vale per il ricco epulone.

Tralascio i riferimenti che si possono trovare negli altri testi del Nuovo Testamento.
Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo


Un sacerdote risponde

Come dimostrare che la Bibbia sia ispirata da Dio

Quesito

Caro Padre Angelo,
le avevo già scritto altre volte e trovando molto precise le sue risposte (secondo più cristallina tradizione tomistica), volevo porle un altro quesito. 
Come dimostrare che la Bibbia sia ispirata da Dio. Se potessimo dimostrarlo infatti tante domande rivolteci da atei, agnostici, indifferenti o veri e propri detrattori verrebbero subito dimostrate insensate. Finora non ho trovato nulla che potesse dimostrarlo...lei mi pare abbia scritto: noi per fede crediamo. Ma dire "per fede" è cosa che non basta. C'è qualcos'altro? Lo chiedo anche perché sono insegnante e troppe volte gli allievi mi provocano...(non tutto è provocazione; in vero, sotto le spoglie di provocazione c'è anche voglia di risposte autentiche, ma il problema è che non sempre si è in grado di fornirle)
Grazie se vorrà illuminarmi
Tiziana


Risposta del sacerdote

Cara Tiziana,
1. l'ispirazione, essendo un fatto di ordine soprannaturale, non può essere attestata se non attraverso una rivelazione sensibile fatta da Dio stesso.

2. Ora la migliore attestazione, quella alla quale ha fatto riferimento Nostro Signore (che è la forma più alta di rivelazione) è quella che viene dalle opere da Lui compiute.
Accettata la divinità di Gesù, si accetta per logica anche tutta la Rivelazione perché l’Antico Testamento parla di lui, come egli stesso ha detto: “perché Mosè ha scritto di me” (Gv 5,46) e perché gli Apostoli parlano per incarico suo e con la sua assistenza.

3. Ebbene, Gesù ha detto: “Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Gv 5,36).
“Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre” (Gv 10,37-38).

4. Commenta san Tommaso: “Non ci può essere un indizio più convincente sulla natura di una cosa, che quello ricavato dalle sue operazioni.
Perciò si può conoscere con evidenza e credere su Cristo che egli è Dio, per il fatto che egli compie le opere di Dio. 
Perciò afferma: Dalle opere stesse vi faccio persuasi, «perché conosciate e crediate» quello che non potete vedere con i vostri occhi, cioè «che il Padre è in me, e io sono nel Padre»” (Commento in Gv 10,38).

5. Gesù torna sull’argomento delle opere in Gv 10,11-12: “Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. 
Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.” (Gv 14,11-12).

6. Ecco di nuovo il Commento di San Tommaso: “A questo punto il Signore spiega la sua risposta: primo, mediante le opere che ha compiuto lui stesso; secondo, mediante le opere che compirà servendosi dei discepoli (v. 12):
«In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio».

7. Continua San Tommaso: “Gesù inizia accennando alle opere compiute da lui stesso.
La fede che afferma la Divinità del Cristo poteva essere suffragata da due manifestazioni: dal suo insegnamento e dai suoi miracoli. Il Signore vi accennerà in seguito,
dicendo: «Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai fatto, non
avrebbero alcun peccato» (Gv 15,24); «Se non fossi venuto e non avessi parlato loro,
non avrebbero alcun peccato» (Gv 15,22). Di qui la confessione degli stessi avversari:
«Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo» (Gv 7,46). E il cieco guarito aveva
detto (Gv 9,32): «Da che mondo è mondo non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli
occhi a un cieco nato».
Con questi due mezzi il Signore manifestò la sua Divinità.
E, riferendosi al primo, egli
afferma: «Le parole che io vi dico», servendomi delle mie membra umane, «non le dico da me», ma in forza di colui che è in me, cioè del Padre. «Io dico al mondo le cose che ho udito dal Padre mio» (Gv 8,26). Perciò in me parla il Padre che è in me”.
“Riferendosi poi al secondo mezzo, il Signore afferma: «Il Padre che è in me compie lui le opere»; perché nessuno potrebbe compiere le opere che io faccio” (Commento in Gv 14,11).

8. Non ci sono però solo le opere compiute da Gesù che manifestano la sua divinità e la sua credibilità.
Vi sono anche le opere compiute dai suoi. Opere che sono state predette e promesse.
Scrive San Tommaso: “Dopo che il Signore ebbe spiegato quanto aveva detto, richiamandosi alle opere compiute da lui stesso, qui passa a chiarirlo e dimostrarlo con le opere che egli avrebbe compiuto servendosi dei discepoli.
Per prima cosa predice le opere dei discepoli; secondo, accenna al modo con cui le avrebbero compiute (14,13): «Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò».
Nello svolgere il primo tema indica prima di tutto le opere dei suoi discepoli; in secondo luogo indica il motivo di quanto ha affermato: «Perché io vado al Padre».
«In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio». Il che equivale a dire: Le opere che io faccio sono così grandi da costituire un argomento più che sufficiente a provare la mia Divinitàma se questo non vi basta, guardate alle opere che io compirò servendomi di altri.
Segno principalissimo di grande potenza si ha nel fatto che un uomo operi cose eccellenti non solo da se stesso, ma anche per mezzo di altri. Ecco perché il Signore afferma: «In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio». Parole queste che non solo mostrano la virtù della Divinità in Cristo, ma anche la potenza della fede e l'unione con Cristo dei suoi fedeli. Infatti, come il Figlio opera per il Padre presente in lui in unità di natura, così i fedeli operano per Cristo presente in essi mediante la fede (Ef 3,17: «Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede»).
Ebbene, le opere che Cristo ha compiuto e che i discepoli compiono per la virtù di Cristo, sono i miracoli. «Ora questi sono i segni che accompagneranno coloro che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno nuove lingue, prenderanno in mano i serpenti, ecc.» (Mc 16,17s.)” (Commento in Gv 14,12).

9. San Tommaso va avanti: “Ma ciò che più meraviglia è quel che segue: «e compirà cose anche più grandi di queste».
Questo per dire che il Signore mediante gli apostoli avrebbe compiuto miracoli più grandi e più numerosi di quelli che fece Gesù da se stesso. Infatti tra i miracoli di Cristo uno dei più grandi era il fatto che gli infermi venivano guariti dalla frangia delle sue vesti, come narra Matteo (9,20). Ma di Pietro si legge (cf. At 5,15) che gli infermi venivano guariti dalla sua ombra. Ora, guarire mediante l'ombra soltanto è cosa più grande che guarire con il lembo delle vesti” (Commento in Gv 14,12).

10. In conclusione: la prova migliore che attesta il fatto dell’ispirazione dei testi sacri è Gesù Cristo il quale dopo aver dato testimonianza con le parole e le opere ha aggiunto: “Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?” (Gv 8,46).
A questo ha voluto aggiungere anche i miracoli che fin dall’inizio hanno accompagnato la Chiesa e tuttora l’accompagnano.
Quei miracoli che sono prerogativa unica della Chiesa di Cristo che sussiste nella Chiesa cattolica.

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Se Dio è perfetto come mai il Concilio dice che nell'Antico Testamento vi sono cose imperfette e caduche?

Quesito

Gentile Padre Angelo,
Ti ringrazio per la grande disponibilità nel poter leggere alcuni dubbi che ho circa alcune tematiche sulla fede cattolica.
Sono stato battezzato, comunicato e cresimato, ho sempre frequentato la Chiesa e ho frequentato le scuole elementari delle Suore di san Vincenzo de Paoli.
Ho recentemente letto molti su i dubbi di cui parlavo e questo leggere mi ha fatto riflettere su alcune tematiche.
In particolare, i punti essenziali che seguiranno saranno i seguenti, in quest’ordine: a) l’esistenza di Dio e i suoi attributi, la presenza del male e la creazione del mondo; b) la Sacra Scrittura e il suo senso; c) la venuta di Cristo; d) il rapporto tra fede e ragione. (…).
Il terzo punto riguarda la Sacra Scrittura, la sua interpretazione e il suo senso. Ancora una volta, il Concilio Vaticano II asserisce: “I libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata alle Sacre Scritture”. (…).
Parimenti, però, la stessa Costituzione dogmatica sostiene che “i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti [...], hanno Dio per autore [...]”.
Ma se “la perfezione compete a Dio in sommo grado”  come può Egli, autore delle Scritture, scrivere le “cose imperfette e caduche” di cui sopra? 
(…).
Ti ringrazio per essere arrivato fino alla fine di questa lettera.
Qualora abbia piacere nel rispondermi, lascio di seguito il mio recapito:
Ti ringrazio ancora una volta per l’attenzione e ti invio i miei più cari saluti.
Andrea


Risposta del sacerdote

Caro Andrea,
mi soffermo solo sul terzo punto perché agli altri ho già risposto in vario modo in passato.

1. Per comprendere la portata della tua obiezione è necessario riferire l’intero paragrafo del testo del concilio: “L'economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1 Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1 Cor 10,11) l'avvento di Cristo redentore dell'universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l'uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduchedimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza” (DV 15).

2. Rivelandosi, Dio non poteva non tener conto delle capacità degli uomini e delle situazioni storiche e culturali nelle quali vivevano.
Per questo San Tommaso scrive: “Le cose divine si devono rivelare agli uomini secondo la loro capacità: altrimenti si offre soltanto un motivo d'inciampo, poiché disprezzerebbero ciò che non potrebbero capire.
Perciò era più utile che i divini misteri si insegnassero al popolo sotto il velo delle figure, in modo da poterli conoscere implicitamente, prestando onore a Dio mediante codeste figure” (Somma teologica, I-II, 101, 2 ad 1).

3. Ecco dunque quali sono le imperfezioni dell’Antico Testamento.
Non già che Dio abbia fatto cose imperfette perché si è rivelato in maniera perfetta.
E ha fatto questo proprio tenendo conto della capacità dell’uomo di comprendere.

4. Inoltre nell’Antico Testamento sono contenute norme caduche o temporanee.
Questo lo si nota in particolare a proposito delle leggi relative al culto. 
Si esse San Tommaso scrive: “Il mistero della redenzione umana ebbe compimento nella passione di Cristo; infatti il Signore allora gridò: "Tutto è compiuto". Ecco perché da allora dovevano cessare tutte le norme legali, essendo ormai in atto la verità di quanto preannunziavano. Di ciò si ebbe un segno nella passione di Cristo, quando il velo del tempio si squarciò” (Somma teologica, I-II, 103, 3, ad 2).

5. Ne troviamo un esempio lampante nella circoncisione, che significava la separazione del popolo eletto dagli altri popoli che a quei tempi non erano circoncisi.
Questo era un segno materiale di un’altra separazione, anzi di una consacrazione ben più importante, quella del Battesimo.
Di essa San Paolo dice: “Siete stati circoncisi con una circoncisione non fatta da mano d'uomo nella spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione del Signore nostro Gesù Cristo, sepolti con lui nel battesimo” (Col 2,11ss).

6. Ugualmente nell’Antico Testamento il sabato rimandava alla cessazione delle opere della creazione.
Ma con la risurrezione di Cristo, che è come la creazione di un mondo nuovo, ha perso questo suo primitivo.
Scrive San Tommaso: “Il sabato, che ricordava la prima creazione, è stato mutato nel giorno del Signore (o domenica), in cui si ricorda la nuova creazione, cominciata con la resurrezione di Cristo.
Così alle altre feste dell'antica legge succedono nuove solennità: poiché i benefici concessi al popolo ebreo indicavano i benefici a noi concessi per mezzo del Cristo.
Infatti alla festa di Pasqua succede la festa della Passione e della Resurrezione di Cristo.
Alla festa di Pentecoste, in cui fu promulgata l'antica legge, succede la festa di Pentecoste in cui fu data la legge dello spirito di vita. 
La festa delle Neomenie è sostituita dalle feste della Beata Vergine, in cui apparve la luce del sole, cioè di Cristo, per l'abbondanza della grazia.
Alla festa delle trombe succedono le feste degli Apostoli.
A quella dell'espiazione succedono le feste dei Martiri e dei Confessori. 
La festa dei Tabernacoli è sostituita da quella della Dedicazione della Chiesa.
Mentre la festa dell'Assemblea e della Colletta è soppiantata dalla festa degli Angeli (custodi); oppure da quella di Tutti i Santi (Ib., ad 4).

6. Lo stesso discorso vale anche per i precetti giuridici dati da Dio per la regolamentazione della vita del popolo. Si trattava di norme caduche, temporanee.
Ma la legge morale, che è scritta nel cuore dell’uomo ed espressa sostanzialmente nei dieci comandamenti non fa parte delle realtà imperfette e caduche. Essa vale eternamente.

Mi complimento per la passione per lo studio di san Tommaso che hai  mostrato nei punti che ho omesso. 
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo

GIUDA FU PERDONATO DA GESÙ? SI È DANNATO? COSA CI DICONO LE SACRE SCRITTURE E I SANTI

Giuda fu perdonato da Gesù? Si è dannato? Cosa ci dicono le Sacre Scritture e i santi

da Amici Domenicani, di padre Angelo Bellon OP

 

Quesito

Caro Padre Angelo,

è la seconda volta che le scrivo e questa volta vorrei porle una domanda di una certa importanza per tutti noi cristiani. Riguarda la figura di Giuda Iscariota.

1) Gesù nell'esclamare “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” ha rivolto la preghiera anche per il suo traditore?

2) Come ben sappiamo Giuda alle parole del Maestro “È con questo bacio che tu tradisci il Figlio dell'Uomo” e “Sarebbe stato meglio per quest'uomo che non fosse mai nato” e dopo aver saputo della condanna di Gesù decide di togliersi la vita: visto che il destino di Gesù era quello di sacrificarsi per la salvezza dell'umanità è possibile che Giuda fosse dannato fin dall'inizio? Cioè, Dio ha amato l'uomo a tal punto da lasciargli la libertà di scegliere tra il bene e il male; Giuda ha commesso questo peccato di sua libera volontà consegnando Gesù nelle mani dei peccatori (nella Bibbia infatti è scritto che “Satana entrò in lui”) ma essendosi pentito amaramente di quello che ha fatto è come se avesse provato a chiedere con tutto il suo cuore il perdono, Gesù l'avrà perdonato visto che era tutto scritto?

È un dubbio abbastanza forte, ma è una cosa a cui non so dare risposta. Io credo che Gesù nella sua infinità bontà e conoscendo il cuore di tutti lo abbia perdonato e magari, come è stato per Ponzio Pilato, Dio riserverà loro un giudizio particolare visto che hanno contribuito (nel male) all'azione salvifica di Gesù.

In attesa di una sua risposta, anticipatamente ringrazio e chiedo la sua benedizione.

Alessandro P.

Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,

1. Giuda non è stato dannato fin dal principio. Il Signore lo aveva chiamato ad un’altissima dignità. Si è perso, pur stando accanto al Signore, per la bramosia delle ricchezze.

Il Signore gli aveva dato fiducia e l’aveva incaricato di tenere la cassa. Ma Giuda vi rubava, come ricorda San Giovanni quando in riferimento a Giuda scrive: “Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro” (Gv 12,6).

2.
 Certo, Gesù ha dato il suo perdono anche a Giuda e ha pregato per lui. Potrei dire che Giuda ha sentito i richiami della grazia, ma è stato troppo orgoglioso per andarsi a umiliare davanti al Signore. Li ha sentiti, dicevo. Ma li ha intesi malamente.  Anziché andare dal Signore, è andato dai sommi sacerdoti che l’hanno lasciato al suo destino.


3. Il Vangelo non dice esplicitamente che Giuda sia andato all’inferno. Ma vi sono espressioni molto forti che lo lasciano intendere, come ad esempio quella che ha citato tu: “Sarebbe stato meglio per quest'uomo che non fosse mai nato”. Ma c’è anche un’altra allusione  alla perdizione e di Giuda: “Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte” (Gv 12,30). Non si tratta solo di un riferimento cronologico.

Nel cuore di Giuda erano scese le tenebre della notte. Erano scese quelle tenebre di cui parla il Signore quando dice di colui che aveva osato entrare nella sala senza veste nuziale: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti” (Mt 22,13). Le tenebre con pianto e stridore di denti sono un chiaro riferimento all’inferno.

4. Il Signore ha cercato di toccare il cuore di Giuda in tutte le maniere. Pensa quando nell’ultima cena Giovanni gli domanda chi sia il traditore. Il Signore gli risponde: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” (Gv 13,26). Dare il boccone da parte del capotavola era un segno di onore, come un nostro brindisi. Gesù tratta Giuda in quel momento davanti a tutti con un tratto preferenziale.

Ma Giuda manifesta nel suo comportamento tutti i segni dell’ostinazione nel peccato. Rimarrà in quella condizione fino all’estremo della sua vita, aggiungendovi un altro peccato molto grave: quello della disperazione della salvezza.

5. A questo proposito senti quello che dice S. Caterina da Siena, o meglio quello che S. Caterina da Siena si sentì dire dall’Eterno Padre: “Questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché il peccatore non ha voluto, spregiando la mia misericordia; perciò mi è più grave questo che tutti gli altri peccati che ha commessi. Unde la disperazione di Giuda mi spiacque più e fu più grave al mio Figliolo che non fu il tradimento che egli mi fece. Così sono condannati per questo falso giudizio d’aver posto maggiore il peccato loro che la misericordia mia; e perciò sono puniti con le dimonia e cruciati eternamente con loro” (s. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, c. 37).

6. Pertanto nel perdono di Gesù era incluso anche il perdono per il peccato di Giuda. Ma Giuda questo perdono non l’ha voluto. Giuda rimane colui che viene chiamato “il figlio della perdizione” (Gv 17,12).

7. Secondo la tradizione Ponzio Pilato si sarebbe convertito. La Chiesa copta lo annovera tra i santi. Ma se Ponzio Pilato si è salvato, come lo spero, non è perché tutto sommato “ha contribuito (nel male) all'azione salvifica di Gesù” come tu dici, ma perché si è lasciato raggiungere dalla grazia.

Sua moglie, Claudia Procula, è venerata come santa non solo dalla Chiesa copta, ma anche da quella ortodossa.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.

Padre Angelo 


[Modificato da Caterina63 30/11/2017 20:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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E’ vero che l’Apocalisse non parla di Anticristo e fine del mondo?




 


In realtà è un racconto positivo e gioioso...


La venuta dell’anti-Cristo sulla terra? La profezia sulla fine del mondo? Sembrerebbe paradossale…ma non c’è traccia di tutto questo nel libro dell’Apocalisse.


Vediamo di contestualizzare storicamente i messaggi che ci ha voluto trasmettere l’apostolo.


LE LETTERE GIOVANNEE


Intanto l’Anticristo - in quanto persona fisica - non è mai citato nei testi biblici, ma solo dall’autore delle Lettere Giovannee (tre versetti della Prima lettera di Giovanni, 2,18, 2,22 e 4,3 e un versetto della Seconda lettera di Giovanni, 7), e viene utilizzato al plurale, cioè Anticristi. Intende coloro che negano la venuta di Cristo nella carne. Eppure quando parliamo di questa figura, l’Anticristo, vengono in mente, ad esempio, l’affresco “Predica e morte dell’Anticristo”, realizzato intorno al 1499-1502 da Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto o immagini di mostri pronti a scatenare la fine del mondo. Ma ciò non corrisponderebbe a quello che dicono, invece, le Sacre Scritture.



L’UOMO DELLE INIQUITA’


Tuttavia gli interpreti dell’Apocalisse e della seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi (2,1-12)hanno affibbiato il collegamento tra questo nome e il nemico degli ultimi tempi, descritto da San Paolo in quella lettera, chiamato “uomo dell’iniquità”. Ecco in questo caso la figura c’è, ma non è chiamata Anticristo (il punto è che per il Vangelo, colui che opera iniquità è anche colui che di conseguenza si oppone al Cristo, da qui il termine "anti-Cristo")


IL DRAGO


Quanto all’Apocalisse, questo testo parla di una triade anti-divina che scimmiotteggia Dio in tutti i suoi aspetti, non di profezie sulla fine del mondo, né tanto meno, come dicevamo di Anticristi in arrivo sulla terra. Ciò non toglie che questa immagine e figura del drago richiama chiaramente ad una "battaglia finale" del Male contro il Bene ( descritta in tutta l'Apocalisse) che - dalla venuta del Messia - è palesemente contro Cristo e tutti i suoi discepoli, a cominciare dalle persecuzioni alla Chiesa.


La prima di queste tre figure dunque è il drago, chiaramente identificato dall’autore con Satana, poiché tra i titoli con cui etichetta il drago c’è anche Satana. Questi combatte tre battaglie nelle quali viene sconfitto da Dio.


Nella prima battaglia vuole divorare il figlio della “donna vestita di sole”. Così Giovanni presenta questa donna: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto» (Apocalisse 12,1-2). Subito dopo aver presentato la donna, Giovanni introduce l’enorme Drago rosso che cerca di divorare il figlio della donna che è appena nato. Il figlio viene portato in salvo presso il trono di Dio.


Nonostante la sconfitta, il drago ha un tempo in cui gli è permesso di scatenare altre battaglie, e va ad inseguire la madre del bambino, la “donna vestita di sole”, alla quale vengono date due ali d’aquila per volare e fuggire nel deserto, dove trova rifugio dall’assalto del drago.


Nella terza battaglia il drago affronta i discendenti della donna (che simboleggiano il popolo di Dio), ma questo scontro non è terminato (Apocalisse 12, 17-18). Alla fine del capitolo si legge che il drago si arrestò sulla spiaggia del mare. E’ in quel momento che emerge la seconda figura della triade anti-divina, incarnazione del potere politico spropositato, corrotto e corruttore che anche una tradizione patristica identifica essere l'Anticristo della battaglia finale.


MOSTRO DELLA TERRA


La seconda figura (Apocalisse 13,1) aveva dieci diademi (nell’antichità il diadema era simbolo imperiale, come la corona è simbolo regale di un sovrano). Questa bestia, che viene in aiuto al drago, simboleggia dunque un enorme potere politico. E’ come se avesse il controllo di dieci imperi. Satana, cacciato dal cielo sulla terra, si insinua così’ nel potere politico che può essere demoniaco, diabolico. E del resto è Gesù chiama il diavolo principe di questo mondo in Gv 12,31 e in Gv 14,30.


L’Apocalisse chiama questo essere, la bestia che viene dal mare. Tutto è ambientato nell’attuale Turchia: l’isola di Patmos in cui Giovanni dice di avere avuto visioni, fa parte dell’Anatolia (nome antico della Turchia), e la bestia proviene dal “mare nostrum”, il mar Mediterraneo.


«La bestia incarna l’enorme potere politico di Roma e dei romani – osserva Biguzzi – Non siamo però alla fine dei tempi, ma nel mezzo dei tempi...» Lo stesso sant'Agostino, nella sua Città di Dio,  parla esplicitamente di sei tempi - come a rimarcare quelli della creazione - contando i quali si arriva così ai tempi nostri quale "fine di questi tempi" in cui la Chiesa sarà perseguitata, i cristiani massacrati e dove l'Anticristo - il potere del demonio - sembrerà prevalere su tutto il mondo.


MOSTRO DEL MARE


E’ qui che emerge la terza figura, la bestia che viene dalla terra (Apocalisse 13,11). La terra in questione è la Turchia, l’antica Provincia romana d’Asia, dove era fortemente radicato il culto del sovrano: sin dai tempi di Alessandro Magno, si era sviluppata la divinizzazione del potere politico e dei suoi discendenti. Alcuni Autori cristiani associano questa figura con l'avvento dell'Islam il quale, invadendo il mondo, finirà per sottometterlo, contribuendo così al gioco del drago, del demonio.

Mentre Roma era prudente nel dare i titoli all’imperatore, costantemente sotto la pressione del Senato  in Oriente il culto era molto sviluppato: il sovrano era adorato, divinizzato. E questo uomo che era un fervente monoteista non sopportava la divinizzazione del potere di Roma.

Da qui emerge «un messaggio contro lo strapotere politico romano, e contro il culto dell’imperatore nell’Anatolia: il problema dell’Apocalisse infatti è quello dell’idolatria, il messaggio è chiaro: non si adora l’imperatore o un uomo, ma Dio!».

La bestia che viene dalla terra farà sempre propaganda religiosa a favore della bestia che viene dal mare: chi non l’adora viene ucciso, muore di fame. «E’ proprio questo l’emblema della pressione politica, economica, dei falsi profeti, è un’induzione ad adorare il potere dell’imperatore - ieri - e quello delle democrazie oggi con il concetto errato di "libertà" attraverso la quale si pretenderebbe una liberalizzazione dalle leggi naturali che sono leggi divine. Adorare così l'uomo con le sue idee e passioni e non Dio; adorare il potere umano e non quello divino».

BABILONIA E GERUSALEMME

Al termine della battaglia tra Dio e la triade anti-divina, chi si schiera da una parte dovrà partecipare al lamento funebre a tre riprese sulla città di Babilonia (Apocalisse 18 – 19). Questa città non è stata scelta a caso da Giovanni.

I cristiani delle sette Chiese vedevano Babilonia «tutta ammantata di bisso, di porpora e di scarlatto, adorna d’oro» (18,16), e vedevano affluire verso di essa «carichi d’oro, d’argento e di pietre preziose, di perle […]» (18,12-13). Vedevano la Babilonia che «regna su tutti i re della terra» (17,18), superpotenza militare ed economica che decideva della sorte dei popoli (18,23), di fronte alla quale, presi di ammirazione, si esclamava: «Quale città fu mai somigliante all’immensa città?» (18,18).

«Se da una parte c’è la città che rappresenta lo sfarzo, il male, la corruzione, i falsi profeti, i senza Dio, i poteri politici ed economici che, sconfitti, piangeranno la sua fine – spiega ancora Biguzzi – dall’altro lato c’è la città in cui si schiera il popolo di Dio: Gerusalemme. Una città nuova, bella e perfetta: verso di essa cammina la carovana delle genti che raggiungeranno l’approdo sicuro, e li’ adoreranno Dio nei secoli dei secoli. Il finale è positivo, gioioso! (Apocalisse 21 – 22). Ecco perché l’Apocalisse si può anche chiamare il libro delle due città».

LA “DISTORSIONE” DEL LIBRO

Ora, come si può notare  laddove vi sono riferimenti chiarissimi agli Anticristo, e a battaglie dolorose e perciò anche alla  fine del mondo, bisogna tenere a mente che il messaggio è tutt'altro che "apocalittico" è piuttosto UN MESSAGGIO DI SPERANZA PER COLORO CHE CREDONO E CHE CREDERANNO. Essendo un libro polemico e aggressivo, ricco di immagini forti, è stato utilizzato con effetti incredibili, adoperato spesso in senso negativo puntualmente per colpire un nemico. Lo stesso nome Apocalisse, (letteralmente dal greco “togliere il velo”), vuol dire piuttosto RIVELAZIONE. Il termine "apocalisse" in senso di apocalittico fu usato dalla setta MILLENARISTA condannata appunto dalla Chiesa.

«Se nei primi secoli cristiani l’Apocalisse ispirò l’acuta attesa della beatitudine che Dio avrebbe dato nel millennio, nel Medioevo essa mise nell’attesa della paurosa fine del mondo, anche se pur sempre proveniente da Dio. A deformarne il contenuto fu l’influente teologo Gioacchino da Fiore, nel secolo dodicesimo, che mise l’accento sulla battaglia, interna alla storia, tra forze del bene e forze del male, e i polemisti delle controversie fra cattolici e protestanti sulla battaglia fraterna inter-cristiana. Non a caso la Chiesa condannò duramente sia i Millenaristi, quanto le teorie di Gioacchino da Fiore, così come la dottrina protestante sul Sola Scriptura che accentuava le prediche con toni apocalittici».

Quindi «intendendo anche il settenario dei sigilli(Apocalisse 5) come settenario di flagelli, l’esegesi moderna e contemporanea ha mal interpretato quello che è in realtà un settenario di rivelazione (Ap 1,1) , in quanto Cristo Agnello apre un rotolo sigillato con sette sigilli e ne fa conoscere il contenuto».

Il risultato cui ha condotto la riflessione lunga due millenni è che il libro di Giovanni «oggi è volgarizzato, senza più prospettive trascendenti, in chiave di catastrofe finale, da cui si può tutt’al più cercare scampo». Ed ha spalancato la strada a una filmografia (e a una cultura) in cui l’Apocalisse si inscrive ormai solo in «un’antropologia disperata e tetra», contro la quale esorcizzare ogni paura. 

LA STORIA RILETTA DA GIOVANNI

Insomma nell’Apocalisse Giovanni ha voluto lanciare un messaggio molto diverso (e più raffinato) della fine del mondo. L’Apocalisse è una lettura della storia. Una lettura «“in spirito”, cioè nello spirito profetico, perché il mistero Dio lo rivela ai profeti (10,7).

“In spirito (en pneumati)” Giovanni dice di avere veduto lo stato spirituale delle sette Chiese nella cristofania di Patmos (1,10), e en pneumati dice di essere salito al cielo per guardare dalle altezze di Dio lo scontro tra Bene e Male che si consuma nella storia (4,2). E infine dice di avere intravisto i due possibili esiti verso cui la storia muove (17,3; 21,10): dal deserto, quale luogo di corruzione e di impurità, ha visto Babilonia, la Grande Prostituta, e il fumo del suo incendio salire all’orizzonte, mentre dal monte alto e sublime ha visto la Gerusalemme nuova e santa, la sposa dell’Agnello, dove non c’è bisogno di tempio, perché Dio in essa è tutto (qui è bene leggere e studiare la Città di Dio di sant'Agostino).

Vedendo la storia “in spirito”, Giovanni vedeva dunque la storia dall’alto, con gli occhi di Dio, proiettata non in una catastrofe ma nella vittoria del Bene sul Male, la vittoria di Cristo Re ed è dunque speranza e gioia dei Santi laddove, si conclude l'Apocalisse con le parole testuali: " Colui che attesta queste cose dice: "Sì, verrò presto!". Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen! " ».





Un sacerdote risponde

Se Satana è il principe di questo mondo, allora vuol dire che siamo sotto la sua dittatura?

Quesito

Caro padre,
vorrei sapere cosa significa quando Gesù chiama satana il principe di questo mondo e ancora quando Gesù è tentato nel deserto e il diavolo gli offre tutti i regni della terra  perchè sono suoi e li dà a chi vuole lui. Come può satana tentare Gesù visto che è DIO? Ma satana ha davvero tutti gli stati o regni di questo mondo ai suoi piedi? Noi tutti siamo sotto la dittatura del maligno? Se sì, come possiamo difenderci? La ringrazio per la sua infinita cortesia. Cordiali saluti, mi ricordi nelle sue preghiere.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. Gesù chiama il diavolo principe di questo mondo in Gv 12,31 e in Gv 14,30.
Ti riporto quanto scrive San Tommaso commentando queste affermazioni.
Sulla prima dice che “su di essa i manichei si fondano per affermare che il diavolo è creatore e signore di tutte le cose visibili.
Al che si risponde che il demonio è detto principe di questo mondo non per un dominio suo naturale, ma per una usurpazione; in quanto gli uomini mondani, disprezzando il vero Signore, si sottomettono a lui.
Di qui le parole di Paolo (2 Cor 4, 4): «Il dio di questo secolo ha accecato le menti degl'infedeli...». Egli quindi è principe di questo mondo in quanto domina sugli uomini mondani, come dice Agostino, i quali sono sparsi su tutta la terra. Infatti il termine mondo talora viene usato in senso cattivo per gli uomini che amano il mondo, come nella frase del Prologo (Gv 1,10): «Il mondo non lo riconobbe». Talora invece il termine è usato in senso buono per indicare i buoni, che vivono nel mondo ma la cui cittadinanza è nei cieli. Cosi, per es., in 2 Cor 5,19: «È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo».

2. In Gv 14,30 scrive: “Qui il diavolo viene chiamato principe di questo mondo non perché creatore, né per la sua potenza fisica o naturale, come dicono bestemmiando i manichei, ma a motivo delle colpe del mondo, ossia di coloro che amano il mondo: cosicché egli è denominato principe del mondo e del peccato. «La nostra battaglia non è contro creature fatte di carne e di sangue, ma contro i dominatori e i principi di questo mondo di tenebre» (Ef 6,12). Quindi egli non è principe delle creature, ma dei peccatori e delle tenebre, secondo le parole di Giobbe (4 25): «Egli è re su tutti i figli della superbia».

3. Sulle parole pronunciate da Satana quando tenta il Signore: “Tutte queste cose (i regni di questo mondo) io ti darò” ecco che cosa dice  San Girolamo: “Arrogante e superbo, parla con ostentazione: non può infatti dare tutti i regni, poiché sappiamo che molti uomini santi sono stati fatti re da Dio”.
Pertanto Satana si mostra menzognero anche col Signore.
San Giovanni Crisostomo dice che il diavolo non può dare le ricchezze a chi vuole, ma solo a quelli che vogliono riceverle da lui. Egli infatti dà le ricchezze acquisite con il furto o gli spergiuri…
Pertanto il diavolo può aiutare solo per mezzo del peccato. Ma questo aiuto è falso perché lo dà solo per portare alla perdizione eterna.
Infine Satana si è sbagliato tentando il Signore con quelle lusinghe perché Colui che è venuto a portare agli uomini il Regno dei cieli non ha bisogno dei regni della terra.

4. Satana ha tentato il Signore perché non era ancora certo della sua divinità. Gesù infatti aveva fatto il suo ingresso nel mondo con estrema umiltà.
Inoltre il Signore si è lasciato tentare per insegnarci come si superano le tentazioni: con l’aiuto della parola della sua parola e con la pronta reazione.

5. Noi non siamo sotto la dittatura di Satana. Sarebbe tragico se fosse così.
Siamo invece sotto il governo di Dio.
E se obbediamo a Lui e ci conserviamo in grazia, teniamo fuori Satana dalla nostra vita.
In questo caso Satana ci teme e fugge, come ci ha insegnato lo Spirito Santo per bocca di Giacomo: “Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi” (Gc 4,7).

Ti ricordo volentieri nelle mie preghiere e ti benedico.
Padre Angelo





[Modificato da Caterina63 30/10/2017 15:53]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/02/2018 18:32
 
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Un sacerdote risponde

Mi potrebbe spiegare il passo 1 Gv 5, 6-8 dove si dice che lo Spirito, l'acqua e il sangue sono concordi?

Quesito

Caro Padre Angelo,
Dio la benedica!
Mi potrebbe spiegare il passo 1 Gv 5, 6-8? Quando parla che lo Spirito, l'acqua e il sangue sono concordi. Si riferisce al battesimo?
Attendo sua gentile risposta.
Cordiali saluti e benedizioni.
Lorenzo


Risposta del sacerdote

Caro Lorenzo,
1. è utile anzitutto riportare il passo di san Giovanni: “E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? 
Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. 
Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: 
lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. 
Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio” (1 Gv 5-9).

2. San Giovanni vuole provare con una triplice testimonianza che Gesù Cristo è veramente Figlio di Dio.
Asserisce anzitutto che Gesù colui che è venuto a compiere la sua missione con l'acqua e con il sangue.

3. Due sono le principali interpretazioni di queste parole.
Secondo alcuni l'acqua alluderebbe al Battesimo di Gesù e il sangue alla sua morte in croce.
San Giovanni quindi direbbe che Gesù ha manifestato agli uomini la sua identità divina e la sua missione all’inizio della vita pubblica per mezzo dell'acqua, e cioè per mezzo del Battesimo ricevuto dal Battista quando si udì la voce del Padre che diceva: “Questi è il Figlio mio amato” (Mt 3,17 e Gv 1,32-34).
E l’ha manifestata anche al termine della sua vita quando versò il suo sangue sulla croce e quando il centurione dopo aver visto quanto era successo fu costretto a dire: “Veramente costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54).

4. Qui – secondo molti (Tertulliano, di Beda e altri) - vi sarebbe un’allusione all’eresia di Cerinto il quale separava l’umanità di Cristo dalla divinità e diceva che Gesù era semplicemente un uomo.
Questo Cerinto affermava che al momento del Battesimo all’uomo Gesù si unì la divinità (il Cristo).
Ma al momento della passione il Cristo (la divinità) avrebbe abbandonato Gesù, in modo che chi è morto sulla croce fu semplicemente un uomo e non Dio fatto uomo.
Ma questo nega la redenzione universale e di valore infinito compiuta da Cristo.
Qui allora San Giovanni vuole dire che la medesima persona, quella che è stata manifestata al Battesimo con l’acqua, è quella che ha versato il sangue sulla croce.

5. Altri invece con Sant'Agostino pensano che l'Apostolo alluda all'acqua e al sangue che uscirono dal costato di Gesù morto sulla croce (Gv 19,34).
Qui l’'acqua non sarebbe solo la materia del Battesimo ma anche il simbolo della grazia (Gv 4,10 e 7,38).
Il sangue poi, senza l'effusione del quale non vi è remissione (Eb 9,22), è il simbolo dell'espiazione dei peccati.
Gesù Cristo dunque è venuto a redimere gli uomini con il suo sangue e a purificarli col Battesimo.
Non è venuto solamente per mezzo dell'acqua, ma per mezzo dell'acqua e del sangue, perchè quel Cristo che ha istituito il Battesimo è lo stesso che è morto per noi.
Oppure: è venuto per mezzo dell'acqua e del sangue usciti dal suo costato per attestare la realtà della sua umana natura.

6. Senza negare ogni valore alla spiegazione di Sant'Agostino, la prima sembra tuttavia la più probabile e da preferirsi.

7. Lo Spirito Santo, assieme all'acqua e al sangue, attesta che Gesù Cristo è il Messia Figlio di Dio.
Lo Spirito ha reso questa testimonianza al Battesimo (Mt 3,16), nel giorno della risurrezione (“Ricevete lo Spirito Santo” Gv 20,22) e nel giorno di Pentecoste (At 2,33ss).
Questa testimonianza è resa dallo Spirito Santo che è la verità.

8. Per troncare ogni questione nei litigi gli Ebrei richiedevano due o tre testimoni.
San Giovanni si conforma a questa regola portando tre testimoni (lo Spirito, l’acqua e il sangue) che assieme confermano che Gesù è veramente il Messia, Figlio di Dio.

Con l’augurio che tu possa fruire sempre della grazia del Battesimo, della redenzione compiuta sulla croce e della santificazione operata dallo Spirito ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo




Un sacerdote risponde

Che cosa s'intende per senso religioso e in quale modo faccia parte della persona

Quesito

Buongiorno p. Angelo e buona festa della Presentazione,
mi domandavo: cos'è il senso religioso? Come fa parte della persona? La coinvolge in quanto anima, o in quanto anima-e-corpo? È una struttura fondamentale dell'uomo? Credo di sì ma non riesco a sostenere formalmente l'ipotesi.
Grazie! Assicuro preghiere per le sue intenzioni.
Stefano


Risposta del sacerdote

Caro Stefano,
1. il senso o sentimento religioso consiste in un’intuizione emotiva per la quale l’uomo avverte il senso della propria finitudine e nello stesso tempo della propria dipendenza da Uno nelle cui mani è la sua vita e l’esistenza dell’universo.
Il Concilio Vaticano II parla di una forza arcana che gli uomini di tutti i tempi avvertono all’interno e al di là del cosmo.
“Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso” (Nostra aetate, 2).

2. Il senso religioso è quel sentimento che di fronte alla creazione fa sbocciare un senso di ammirazione e di gratitudine per Colui che l’ha fatta e che la regge e gli fa sentire l’esigenza di manifestargli culto.
Questo sentimento viene espresso in maniera molto bella e compiuta in un Salmo: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi?, Sal 116,12).
Ed ecco la risposta che si fa azione e concreto rendimento di grazie: “Alzerò il calice della salvezza?e invocherò il nome del Signore” (Calicem salutaris accipiam et nomen Domini invocabo, Sal 116,13). 
Era il sentimento di Giuseppina Bakita, pagana, che bambina e di fronte alla bellezza e alla munificenza del creato diceva: “Ditemi chi l’ha fatto perché lo voglio ringraziare.

3. La religione non è però semplicemente un’intuizione emotiva.
Sebbene parta da questa, a sua volta è originata e si sviluppa con domande alle quali nessuno sfugge: qual è il senso della vita, qual è il senso della sofferenza e soprattutto della morte.
Qualcuno (Pascal) ha notato che l’uomo è l’unico animale che sa di morire e pensa alla morte.
Come ricorda il Concilio: “L'uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva.
Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona.
Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore” (Gaudium et spes, 18).
Sicché “in faccia alla morte l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine” (Ib.).

4. La religione nasce dunque da un atteggiamento interiore (dell’anima) che si esprime nel culto, e cioè nel dare riverenza a Dio.
Tale riverenza nei suoi atti di culto coinvolge direttamente l’anima. Ma gli atti si esprimono anche con il corpo mediante i vari riti e le cerimonie.
È ciò che vediamo nella domanda e nella risposta del salmista che poco sopra ho menzionato: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (anima); “Alzerò il calice della salvezza?e invocherò il nome del Signore” (corpo).

5. Chiedi poi se la religione sia una struttura fondamentale dell'uomo.
Se per struttura intendi uno degli elementi essenziali e costitutivi dell’uomo, la risposta è no.
L’uomo è strutturato in anima e corpo. Questi sono i due suoi elementi costitutivi e sostanziali.
Non si tratta dunque di una terza componente dell’uomo da mettere a fianco dell’anima e del corpo.

6. Essa nasce da un’attività dell’anima che si esprime sia nell’intuizione di dipendenza da Qualcuno nelle cui mani è la nostra vita sia nelle ulteriori domande che l’uomo si pone e che coinvolgono anche la volontà e la propria vita corporale.
L’atto religioso è una presa di posizione personale per cui l’uomo nella sua totalità in anima e corpo si mette davanti alla divinità.

7. Probabilmente con il termine struttura tu intendi qualcosa di fondamentale che si esprime prima o poi nella vita di ogni uomo.
Se è così, ti do ragione.

8. Ma se volessimo usare un linguaggio più preciso, piuttosto di dire che è elemento strutturale dell’uomo, si può affermare che è una proprietà o caratteristica dell’uomo.
Essa appare come elemento differenziante dagli animali, i quali non hanno attività religiosa, essendo carenti di razionalità e di libertà.
Ed è un fenomeno universale perché in tutti i tempi l’uomo si è manifestato religioso e anche perché tutti gli uomini sono in qualche modo religiosi o comunque si pongono il problema religioso.
Plutarco (46-127 d.C.), pensatore e storico greco, fece questa interessante affermazione: “Se tu andassi in giro per il mondo, potresti trovare città prive di mura, che ignorano la scrittura, non hanno re, non fanno uso di monete, non conoscono teatri e palestre; ma nessuno vide né vedrà mai una città senza templi e senza divinità” (Contro Colote, 31).

9. Questo fatto ha permesso di dire ad un noto etnologo e antropologo, J. L. A. de Quatrefages (1810-1892), che l’uomo è un animale religioso.
Quest’espressione si trova anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica: “Nel corso della loro storia, e fino ai giorni nostri, gli uomini in molteplici modi hanno espresso la loro ricerca di Dio attraverso le loro credenze ed i loro comportamenti religiosi (preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, ecc).
Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali forme d’espressione sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso” (CCC 28). 
Sicché “l’uomo è per natura e per vocazione un essere religioso” (CCC 44).
E il motivo viene subito esplicitato: “Poiché viene da Dio e va a Dio, l’uomo non vive una vita pienamente umana, se non vive liberamente il suo rapporto con Dio” (Ib.).

10. Senza religione, e cioè senza Dio, l’uomo è privato della luce su se stesso.
Giustamente il Concilio Vaticano II ha affermato che “la creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (GS 36). 
E ha aggiunto: “Anzi, l'oblio di Dio priva di luce (oscura) la creatura stessa” (Ib.).

11. Vorrei aggiungere infine che la risposta piena alla domanda religiosa si trova solo in Cristo.
E non può essere diversamente se Gesù è Dio fatto carne.
Per questo il Concilio Vaticano II ha affermato che “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo... Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22).

Ti ringrazio delle preghiere che mi hai assicurato, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo


Un sacerdote risponde

Se il battesimo con acqua di San Giovanni Battista sia iniziato con lui o se fosse un rito già in uso

Quesito

Sia lodato Gesù Cristo padre Angelo e a lei una preghiera.
Desideravo chiederle se il battesimo con acqua di San Giovanni Battista è iniziato con lui o se era un rito già in uso.
Io pensavo fosse iniziato con Giovanni, ma mi dicono che sono in errore.
Grazie di cuore


Risposta del sacerdote

Carissima, 
1. l'immagine dell'acqua purificatrice è frequente nei profeti e nei salmi.
Basti per tutte la citazione del Salmo 51 dove si invoca Dio con queste parole: “Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro” (Sal 51,4) e “Aspergimi con rami d'issòpo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve” (Sal 51,9).

2. Gli Israeliti hanno conosciuto da sempre le abluzioni religiose, come emerge ad esempio in Numeri: “Questa è la norma della legge che il Signore ha prescritto a Mosè: (…) quanto può sopportare il fuoco, lo farete passare per il fuoco e sarà reso puro, purché venga purificato anche con l'acqua della purificazione; quanto non può sopportare il fuoco, lo farete passare per l'acqua
Laverete anche le vostre vesti il settimo giorno e sarete puri; poi potrete entrare nell'accampamento»” (Num 31,21-24).
E come si evince anche dalla vicenda di Naaman il siro al quale Eliso dà questo comando: “Va', bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano e sarai purificato” (2 Re,5,10).

3. All’approssimarsi dell'era cristiana, coloro che passavano dal paganesimo alla religione giudaica, adulti o bambini, dovevano sottomettersi ad una cerimonia che comportava, tra l'altro, un bagno purificatore, una specie di battesimo.
La setta degli Esseni praticava un'usanza analoga.
Pertanto la pratica comandata da Giovanni non era del tutto ignota, anzi.

4. Ma il battesimo di Giovanni aveva una caratteristica nuova: era un battesimo di penitenza che preparava la venuta immediata del Messia: “proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (Mc 1,4).
Era tuttavia ancora un battesimo simbolico: esprimeva il pentimento per i peccati e di per sé non produceva quell’interna e sacramentale trasformazione propria del Battesimo istituito da Gesù Cristo.
Lo si deduce nel Nuovo Testamento dai molti accenni con cui si sottolinea che Giovanni battezzava con acqua, ma che Cristo avrebbe battezzato “in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11).

5. Gesù si è sottoposto al Battesimo di Giovanni.
Con questo però il Signore non confessò di essere un peccatore, ma significò apertamente la sua solidarietà con l'umanità peccatrice, che egli era venuto a redimere dai peccati.
Molto di più lo fece per ricevere quella testimonianza del Padre che lo indicava come il Figlio suo prediletto presente nel mondo.
Ecco il testo: “Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 
Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 
Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui.
Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento»” (Mt 3,13,17).

Con l’augurio di vivere in pienezza la vita nuova che hai ricevuto nel Battesimo di Gesù Cristo ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

La prima eucaristia attuata da Gesù è stata diversa da tutte le successive, sia da lui celebrate e da quelle celebrate dai suoi sacerdoti?

Quesito

Carissimo Padre Angelo
mentre ero a Messa l'altro giorno mi é venuta una domanda.
Nella S. Messa durante la consacrazione si fa il memoriale della passione e resurrezione di Gesù. Gesù ha istituito l'eucaristia prima che la sua passione fosse compiuta. Che significato ha avuto quindi la prima eucarestia?
Da lì poi ho cominciato a riflettere su tutte le altre successive volte che in cui Gesù ha comunicato i suoi discepoli, quando è apparso loro dopo la resurrezione. Possiamo dire che in questi casi Egli abbia celebrato il memoriale della sua passione e resurrezione?
In un certo senso la prima eucaristia è stata diversa da tutte le successive, sia quelle consacrate da Gesù che quelle consacrate dai suoi sacerdoti? 
Non intendo diversa nella sostanza, perché le credo tutte uguali, sono tutte il corpo e sangue di nostro Signore, ma nel significato.
Grazie infinite per il tempo che dedicherà nel rispondermi. Le assicuro un particolare ricordo davanti al tabernacolo.


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia Giovanni Paolo II scrive: “L'istituzione dell'Eucaristia anticipava sacramentalmente gli eventi che di lì a poco si sarebbero realizzati, a partire dall'agonia del Getsemani. Rivediamo Gesù che esce dal Cenacolo, scende con i discepoli per attraversare il torrente Cedron e giungere all'Orto degli Ulivi. … Il sangue, che aveva poco prima consegnato alla Chiesa come bevanda di salvezza nel Sacramento eucaristico, cominciava ad essere versato; la sua effusione si sarebbe poi compiuta sul Golgota, divenendo lo strumento della nostra redenzione” (EE 3).

2. “Anticipava” e rendeva presente il sacrificio di Cristo.
Ecco quanto dice ancora Giovanni Paolo II: “«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito» (1 Cor 11,23), istituì il Sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue. Le parole dell'apostolo Paolo ci riportano alla circostanza drammatica in cui nacque l'Eucaristia. Essa porta indelebilmente inscritto l'evento della passione e della morte del Signore.
Non ne è solo l'evocazione, ma la ri-presentazione sacramentale. 
È il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli.
Bene esprimono questa verità le parole con cui il popolo, nel rito latino, risponde alla proclamazione del «mistero della fede» fatta dal sacerdote: «Annunziamo la tua morte, Signore!»” (EE 11).

3. È da notare anche che nell’ultima cena quando Cristo ha istituito l’Eucaristia prima ha parlato e alla fine, dopo la cena, istituì il sacrificio.
Imbandì dunque due mense: quella della Parola e quella del sacrificio.

4. Nelle apparizioni pasquali si può dire con molti esegeti che Cristo abbia celebrato l’eucaristia nello spezzare il pane con i discepoli di Emmaus perché le parole usate dall’Evangelista “quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Lc 24,30) sono le stesse di quelle usate per l’istituzione dell’Eucaristia.
Anche qui, se si tratta dell’Eucaristia, troviamo il medesimo schema: prima la mensa della parola, poi quella pane (il sacrificio).

5. Poco più di un secolo dopo San Giustino descrive come veniva celebrata l’eucaristia.
“Nel giorno chiamato «del Sole» (la nostra attuale domenica, n.d.r.) ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne.
Si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il tempo consente.
Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi.
Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere sia per noi stessi… sia per tutti gli altri, dovunque si trovino, affinché, appresa la verità, meritiamo di essere nei fatti buoni cittadini e fedeli custodi dei precetti, e di conseguire la salvezza eterna.
Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio.
Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato.
Egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie (in greco: eucharistian) per essere stati fatti degni da lui di questi doni.
Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: «Amen».
Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua «eucaristizzati» e ne portano agli assenti” (Apologie, 65 e 67).
Anche qui dunque c’è il medesimo schema: prima la liturgia della parola, poi quella del pane o del sacrificio.

6. Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “Fin dal secondo secolo, abbiamo la testimonianza di san Giustino martire riguardo alle linee fondamentali dello svolgimento della celebrazione eucaristica.
Esse sono rimaste invariate fino ai nostri giorni in tutte le grandi famiglie liturgiche” (1345).

7. Il Concilio Vaticano II con la riforma liturgica ha voluto dare il giusto risalto alla liturgia della parola che precedentemente era prerogativa del celebrante e di chi poteva seguire la celebrazione col messalino.

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Cos'è la Chiesa Celeste e la Liturgia Celeste? Ci sono delle differenze?

Quesito

Salve Padre da molto seguo la sua rubrica e la trova interessante e molto dettagliata.
Le faccio i miei complimenti per questo.
Anch'io le sto scrivendo perché ho una domanda da porle.
Cos'è la Chiesa Celeste e la Liturgia Celeste?
Ci sono delle differenze?
Grazie in anticipo per la risposta.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. per Chiesa celeste s’intende la Chiesa che attualmente si trova in cielo. In passato veniva chiamata la “Chiesa trionfante”.
Veniva chiamata così rispetto alla condizione nostra di pellegrini sulla terra, della Chiesa di quaggiù che veniva chiamata “Chiesa militante”.
Si parlava anche di “Chiesa purgante” in riferimento alle anime del purgatorio.

2. Il Concilio non ha mai usato la dizione di Chiesa trionfante.
Nel titolo del Capitolo 7 della Lumen gentium si legge: “Indole escatologica della chiesa peregrinante e sua unione con la chiesa celeste”.

3. Poi dice di che cosa si tratta: “Fino a che dunque il Signore non verrà nella sua gloria, accompagnato da tutti i suoi angeli (cfr. Mt 25,31) e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose (cfr. 1 Cor 15,26-27), alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terraaltri, compiuta questa vita, si purificano ancoraaltri infine godono della gloria contemplando «chiaramente Dio uno e trino, qual è».
Tutti però, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità verso Dio e verso il prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria.
Tutti infatti quelli che sono di Cristo, avendo lo Spirito Santo, formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in lui (cfr. Ef 4,16).
L'unione quindi di quelli che sono ancora in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata; anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dallo scambio dei beni spirituali” (LG 49).

4. Per liturgia celeste s’intende il culto che viene elevato a Dio dagli abitanti del Paradiso.
Questo culto è costituito soprattutto dall’offerta del perenne sacrificio di Cristo che è sempre vivo per intercedere a nostro favore e dalle preghiere dei Santi.
Noi ci uniamo alla Chiesa celeste soprattutto nell’offerta del sacrificio di Cristo (l’Eucaristia).
Il Concilio dice che “la nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera mobilissima” (LG 50).
E dice anche che questa unione viene vissuta “specialmente nella sacra liturgia” nella quale “tutti, di ogni tribù e lingua, di ogni popolo e nazione, riscattati col sangue di Cristo e radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifichiamo Dio uno in tre Persone.
Perciò quando celebriamo il sacrificio eucaristico, ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste, comunicando con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre vergine Maria, del beato Giuseppe, dei beati apostoli e martiri e di tutti i santi” (LG 50).

5. È di grande utilità per noi sapere di essere uniti alla liturgia del Cielo perché “gli abitanti del cielo, a causa i della loro più intima unione con Cristo, rinsaldano tutta la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in terra e in molteplici maniere contribuiscono ad una più ampia edificazione” (LG 49).
Infatti “ammessi nella patria e presenti al Signore (cfr. 2 Cor 5,8), per mezzo di lui, con lui e in lui non cessano di intercedere per noi presso il Padre offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (cfr. 1 Tm 2,5), servendo al Signore in ogni cosa e dando compimento nella loro carne a ciò che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24).
La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine” (LG 49).

Augurandoti di essere anche tu un giorno cittadino definitivo della Chiesa celeste e di associarti al suo culto ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo



[Modificato da Caterina63 06/02/2018 18:39]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/02/2018 15:06
 
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Un sacerdote risponde

Secondo un nostro visitatore Gesù nascendo avrebbe rotto la verginità di Maria perché ha voluto nascere come tutti gli altri bambini di questo mondo

Quesito

Rev. Padre Angelo,
ho letto con particolare interesse la risposta da Lei data riguardo alla domanda di un lettore sulla verginità perpetua della Madonna.
E' categorico credere Maria sempre vergine perché non ha mai avuti rapporti carnali né prima né dopo il parto. Ciò comporta che la tesi delle gravidanze successive, proposta da Elvidio, è palesemente eretica.
Ma quando Lei cita S. Agostino, che parla della "porta che starà chiusa in eterno", intende forse dire che la Madonna, nonostante il parto, resta ancora intatta in senso anatomico?. Lei sostiene che nel parto, al passaggio del neonato e della placenta, non si è lacerato l'imene della madre precedentemente inviolato? Se è così, non Le sembra che la verginità sia banalmente associata all'integrità di un piccolo lembo di tessuto della donna, dalla funzione fisiologica non ben chiarita?
Gesù che è vero Dio, è anche vero uomo. Perciò nasce uscendo dall'utero e scende per la via naturale come tutti gli altri bambini, lasciando alla Madre, che non ha conosciuto uomo, lo stesso segno sull'apparato genitale femminile, come in tutte le altre mamme di questo mondo.
In attesa della Sua cortese risposta, Le porgo i mie ossequi e ringraziamenti.


Risposta del sacerdote

Caro Vincenzo,
1. anche tu, da vero credente, affermi la perenne verginità della Madonna.
Tuttavia se durante il parto avesse perso la verginità, anche quella fisica, perché chiamarla ancora “La sempre Vergine Maria”?
Non sarebbe più opportuno cambiare il linguaggio?
Non è una cosa logica usare una parola per darle poi per sempre un altro significato.

2. È chiaro che la verginità di Maria non si riduce solo all’aspetto fisico.
C’è dell’altro che non è sfuggito ai Santi Dottori della Chiesa.

3. Allora come avvenne il parto di Maria? 
Ecco che cosa scrive S. Alberto Magno, maestro di san Tommaso d’Aquino: “Maria è una stella perché come la stella emette il raggio, così la Vergine genera il Figlio con lo stesso splendore: né la stella viene menomata dall’emissione del raggio, né la madre dal generare il Figlio. Infatti è molto diverso il modo della generazione nell’ambito delle creature del cielo e nell’ambito delle creature di questa terra: gli esseri della terra nella generazione si corrompono, gli esseri del cielo invece no. Per quanti raggi si sprigionino da una stella, la stella non si corrompe né si sente diminuita nella sua luce. Così il Verbo del Padre, raggio ‘di eterna luce, candore e specchio senza macchia’ (cfr. Sap 7,26) della luminosità del Padre, diede fecondità alla Madre ma non le tolse la verginità, e perciò non diminuì ma accrebbe la luce della sua dignità. ‘Nulla è impossibile a Dio’ (Lc 1,37): Colui che camminò sulle onde del mare senza affondarvi, Colui che uscì dal sepolcro senza infrangere il sigillo della pietra - essa fu ribaltata, come dice il Vangelo (Mt 28,2), da un angelo e non dal Signore -, Colui che si presentò ai discepoli a porte chiuse, poté anche nascere da una Madre vergine senza violarle il pudore verginale. Per questo chiamiamo stella la Vergine Maria” (S. Alberto Magno, Trattato sulla natura del bene, cap. 142).

4. Ecco cosa dice San Tommaso: “Il dolore della partoriente è prodotto dal dilatarsi delle vie attraverso le quali deve uscire la prole.
Ma abbiamo spiegato che Cristo uscì dal grembo della madre senza che questo si aprisse, e quindi senza dilatazione delle vie.
Perciò nel suo parto non vi fu dolore di sorta, né corruzione alcuna, ma somma gioia, poiché ‘l’uomo Dio nasceva alla luce del mondo’, secondo le parole di Isaia 35,1: ‘La solitudine canterà come un giglio; canterà nella gioia e nel giubilo’” (Somma teologica, III, 35, 6).

5. Qualcuno ha voluto pensare che il quel momento Gesù Cristo abbia voluto fare quello che ha mostrato a Pietro, a Giacomo e a Giovanni sulla Santa Montagna quando il suo corpo si trasfigurò, mostrando la gloria che conservava nella parte superiore della sua anima e che poi fece ridondare perennemente anche nel suo corpo dopo la gloriosa risurrezione.
Il Vangelo certo non dice questo. Ma il linguaggio di sant’Alberto e di san Tommaso parlando di luce e di raggio permettono di comprendere quanto affermano alcuni mistici.
Maria in quel momento sarebbe stata contagiata della gloria di Nostro Signore e avrebbe partorito all’interno di un’estasi luminosa “senza alcun travaglio, senza corruzione alcuna e con somma gioia”.
Secondo me non è improbabile che sia avvenuto così.
Quello che Gesù fece con la sua risurrezione entrando a porte chiuse senza rompere i muri, così avrebbe fatto al momento della nascita, che non riempì la Madonna di dolore, ma di gioia portandole un segno e un raggio della gloria e della gioia della sua natura divina.

6. Su questa linea sembrerebbe muoversi ancora San Tommaso quando scrive: “Per mostrare la verità del suo corpo nacque da una donna.
Per mostrare la sua divinità nacque da una vergine.
Infatti come dice S. Ambrogio: "tale è il parto che si addice a Dio" (Veni redemptor gentium) (Somma teologica, III, 28, 2, ad 2).

7. E ancora: “Dobbiamo quindi affermare che tutti questi fatti sono stati compiuti dalla potenza divina miracolosamente
Di qui le parole di S. Agostino: "Dove interveniva la divinità, il corpo non si arrestava di fronte a porte sprangate. Poteva ben entrare, senza aprirle, colui che nacque lasciando inviolata la verginità di sua madre" (In Ioh., ev. tract.121).
E Dionigi scrive, che "Cristo compiva in modo sovrumano le cose umane: e lo dimostra il concepimento miracoloso da una vergine e la solidità delle mobili acque sotto il peso dei suoi piedi terrestri" (Epist.4) (Somma teologica, III, 28, 2, ad 3).

8. Infine scrivi: “non Le sembra che la verginità sia banalmente associata all'integrità di un piccolo lembo di tessuto della donna, dalla funzione fisiologica non ben chiarita?”
Potrei dire che dal momento che a te sfugge il significato di quella “funzione fisiologica non ben chiarita” non è vero che questa non ci sia! 
Il Creatore non ha fatto nulla di inutile e di non chiaro.

9. Inoltre prova a chiederlo alle ragazze che hanno cercato di arrivare vergini al matrimonio e sono contente di esservi giunte così.
Prova a chiederlo a Santa Maria Goretti!
Prova a chiederlo alle ragazze che l’hanno persa prima del matrimonio e che con la verginità hanno perso anche il ragazzo nel quale confidavano.
Quel “piccolo lembo”, come tu lo chiami, è un segno.
E come è ricco di significato!

Ti ringrazio del quesito che mi ha permesso di ricordare come i mistici spiegano la verginità nel parto della Madonna, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

   



Un sacerdote risponde

Che cosa significa l'espressione evangelica "Avresti dovuto consegnare il mio denaro ai banchieri"

Quesito

Caro padre Angelo,
mi chiamo Alfredo Maria e ho 29 anni. Da un po' di tempo a questa parte mi capita di soffermarmi con una certa frequenza e intensità sul racconto evangelico della parabola dei talenti, soprattutto nella versione di Matteo. Il senso della parabola mi è abbastanza chiaro: i doni del Signore non sono fatti per essere tenuti per sé ma devono essere di edificazione per il prossimo, affinché possano moltiplicarsi. 
Tuttavia c'è un punto che non riesco proprio a capire. Nell'ultima parte della parabola, quando il padrone rimprovera il servo negligente per aver nascosto il talento anziché farlo fruttare dice testualmente: "Avresti dovuto consegnare il mio denaro ai banchieri". Ciò che mi sto chiedendo spesso è cosa significherebbe per un cristiano "affidare il proprio talento ai banchieri". Chi/Cosa sono questi "banchieri" cui una persona che non sa come far fruttificare il proprio talento dovrebbe consegnare quest'ultimo. Chiedo delucidazioni a riguardo.
Grazie


Risposta del sacerdote

Caro Alfredo Maria,
1. il primo significato dell’espressione "Avresti dovuto consegnare il mio denaro ai banchieri" è questo: bisogna fare ogni cosa per fruttificare i talenti che il Signore ci ha dato.
Pertanto non indica nulla di particolare all’infuori di quello che fanno gli uomini con i loro denari. Come li consegnano alle banche dove possono fruttificare, così analogamente si deve fare con i doni che Dio ci ha dato.

2. Altri, dal momento che il testo greco dice “"Avresti dovuto consegnare il mio argento ai banchieri", collegandosi con quanto dice il Salmo 11,7 “Le parole del Signore sono pure, argento esaminato nel fuoco”, dicono: “il denaro e l’argento sono la predicazione del Vangelo e la parola divina, che doveva essere data ai banchieri, e cioè agli altri dottori o a tutti i credenti che possono raddoppiare il denaro e renderlo con gli interessi”.
Questa, ad esempio, è la sentenza di san Girolamo (Commento al Vangelo di Matteo, 1884).
Il che può essere interpretato così: dovevi cooperare con il tuo denaro alla diffusione del Vangelo, aiutando coloro che evangelizzano, istruiscono, predicano e diffondono il Vangelo.

3. Oppure anche: il tuo talento avrebbe comunque fruttificato se tu fossi vissuto in grazia.
Infatti tutto ciò che viene compiuto in grazia fruttifica e merita per la vita eterna.
Gesù ha detto: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 4-5). 
Mentre se non si è uniti a Cristo perché privi della grazia non si porta alcun frutto nel medesimo modo in cui un tralcio staccato dalla vite non può maturare nulla.
Qui il talento che Cristo ci ha dato indica la grazia santificante che i peccatori non fanno fruttificare, perché la mettono da parte e non se ne vogliono rivestire.

4. Diventa chiaro allora come mai questo servitore venga trattato severamente: “E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti»” (Mt 25,30).
Commenta San Gregorio Magno: “Chi dunque ha intelletto si preoccupi sommamente di non tacere; chi ha abbondanza di beni non sia pigro nella misericordia; chi ha esperienza di governo ne faccia partecipi gli altri; chi ha il compito di parlare interceda presso Dio per il prossimo. Infatti prende il nome di talento anche la minima cosa che uno ha ricevuto” (Commento al Vangelo di Matteo).

Con l’augurio che tu possa essere tra quelli che fanno fruttificare la parola (l’argento) che il Signore ti fa udire e che possa vivere sempre in grazia per fruttificare per la vita eterna, ti ricordo nella preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo


Un sacerdote risponde

Ecco che cosa intendeva San Paolo quando disse di consegnare un tale a Satana a motivo del suo peccato

Quesito

Caro Padre Angelo,
Volevo qualche spiegazione su quanto dice San Paolo ai Corinzi condannando l'immoralità compiuta da alcuni; e cioè quando dice: "questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore." (1 Cor 5,5). 
Che significa questo versetto? Che nonostante i peccati commessi con il corpo, un giorno potrà essere redento?
La ringrazio.
Davide


Risposta del sacerdote

Caro Davide,
1. ti rispondo riportando quanto ha scritto F. Prat, gesuita e grande biblista nella sua monumentale opera intitolata La teologia di san Paolo.
Quella del padre Prat è una parola autorevole a motivo della sua competenza.
Ecco quanto scrive:

2. “Erano avvenuti a Corinto due fatti scandalosi dei quali si era resa complice tutta la comunità, con la sua troppo tollerante indulgenza.
Venere, patrona di Corinto, vi era onorata con un culto in cui l’impudicizia dell'Afrodite greca si alleava con le turpitudini dell’Astarte orientale. Nel suo tempio mille hieroduli apertamente facevano traffico del proprio corpo, a suo profitto e onore: la prostituzione sacra era innalzata all'altezza di un sacerdozio. I costumi pubblici erano per conseguenza anch'essi di una deplorevole rilassatezza, e vivere alla corinzia era, anche per i pagani, un'ignominia. In quell'atmosfera avvelenata, alcuni cristiani avevano subito il contagio, e uno di essi viveva in concubinato con sua matrigna, certamente vedova o divorziata.
Si parla di fornicazione tra voi, e di tale fornicazione quale neppure tra i Gentili, talmente che uno ritenga la moglie del proprio padre. E voi siete gonfi: e non piuttosto avete pianto, affinché fosse tolto di mezzo a voi chi ha fatto tal cosa! (1 Cor 5,1-2).
Non si tratta di commercio passeggero, ma di una unione stabile, come quella di Erode Antipa con Erodiade, moglie del suo fratello Filippo. La legge romana, così larga in materia di matrimoni, proibiva tali unioni, e gli esempi che la storia profana ne poteva offrire, erano riprovati dal sentimento pubblico, d'accordo in questo con l'istinto naturale. Ora i fedeli di Corinto non sembravano commuoversene troppo: continuavano a frequentare il colpevole e lo ammettevano nelle loro assemblee. Forse si lasciavano illudere da questa falsa massima, che il battesimo fa del cristiano un essere nuovo, libero da tutti i suoi vincoli antecedenti ed esente da qualsiasi proibizione legale. Così agli occhi dei rabbini la conversione al giudaismo rompeva tutte le relazioni di parentela, e Maimonide insegna espressamente che è lecito al proselito sposare la sua matrigna.

L'indignazione di Paolo fu al colmo. Era sua pratica costante il sottoporre tutti gli scandalosi a una specie di scomunica la quale portava con sé la cessazione anche delle relazioni di convenienza e di civiltà. Egli aveva minacciato questa pena agli arruffoni e agli scioperati di Tessalonica, se non avessero obbedito ai suoi ordini; più tardi imporrà a Tito di evitare l'eretico ostinato, cioè il fautore di divisioni e di disordini. Nella lettera ai Corinzi, che andò perduta, ingiungeva loro espressamente di troncare ogni relazione con gli impudichi (cfr 2 Ts 3,14)). Qual è dunque ora il suo dolore nel vedere che tollerano l'infame! Presto! si allontani l'incestuoso, affinché non siano contaminati da lui. Si era, a quanto pare, verso la Pasqua, e veniva molto a proposito questa esortazione: Non sapete che un poco di lievito fa fermentare tutto l’impasto? Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una nuova pasta, come siete senza fermento; perché il nostro agnello pasquale Cristo è stato immolato. Solennizziamo dunque la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e della malvagità, ma con gli azzimi della purità e della verità... Togliete di mezzo a voi il cattivo (1 Cor 5,6-8). 

Queste ultime parole che contengono la sentenza definitiva di Paolo, sono un'allusione al Deuteronomio (17,7) il quale stabilisce la pena di morte per certi delitti. La scomunica, specie di morte simbolica, nel Vangelo sostituisce la morte reale dell'antica Legge. Egli aveva prima pensato a una pena assai più grave e più proporzionata all'enormità del delitto.

Io però assente corporalmente, ma presente in ispirito, ho già come presente giudicato che colui il quale ha attentato tal cosa - congregati voi e il mio spirito nel nome del Signor nostro Gesù Cristo - con la potestà del Signore nostro Gesù, sia dato questo tale nelle mani di Satana per morte della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo (1 Cor 5,3-5).

I canonisti, desiderosi di trovare qui un esempio di scomunica maggiore secondo le forme attualmente in uso nella Chiesa, si domandano come mai Paolo abbia potuto fulminarla e dare ordine ai Corinzi di fulminarla in nome suo, senza istruzione del processo, senza citazione nè interrogatorio. Ma sono tutte questioni superflue: Paolo non pronunzia la sentenza e non impone ai Corinzi di pronunziarla; egli esprime soltanto il suo parere su la pena dovuta all'incestuoso notorio; forse insinua il castigo rigoroso che egli è risoluto di infliggere, nel caso in cui i fedeli non facessero nulla da parte loro. Per quello che lo riguarda, egli crede giusto e conveniente di abbandonare il colpevole a Satana, ma non dice quali formalità si dovrebbero osservare se si dovesse venire a tale castigo.

Questo castigo terribile evidentemente supponeva la scomunica, cioè l'esclusione della Chiesa con la privazione delle grazie e degli aiuti di cui la comunione dei santi è il canale; ma comprendeva pure qualche cosa di più spaventevole. Gli Apostoli che avevano ricevuto dal Signore il potere d'incatenare i demoni, avevano pure il potere di scatenarli. Il delinquente colpito da questa condanna più grave che la scomunica, veniva abbandonato alla vendetta dell'eterno nemico degli uomini e diventava preda e zimbello di Satana. Ma, siccome tutte le pene inflitte dalla Chiesa sono medicinali, lo scopo finale era sempre la conversione e la salvezza del peccatore.
Almeno una volta nella sua vita, Paolo si servì di questo terribile potere: egli abbandonò a Satana Imeneo e Alessandro per insegnare loro a non più bestemmiare (1 Tm 1,20), o piuttosto perchè lo imparassero a loro spese quando fossero abbandonati, senza protezione e senza scampo, alla tirannia del demonio. Con l'incestuoso di Corinto egli è meno rigoroso; si accontenta dell'esclusione del colpevole e, se per un momento ha pensato ad un castigo più severo, lo ha fatto sempre per salvare l'anima del peccatore, affliggendo la sua carne” (F. Prat, La teologia di san Paolo, parte prima, pp. 92-95).

3. Lo stesso concetto emerge in un Commentario biblico:
Sia dato, ecc. Dare nelle mani di Satana, significa separare uno dalla comunione della Chiesa, ossia escluderlo dalla partecipazione di tutti quei beni di cui la Chiesa ha l'amministrazione. L'incestuoso scacciato così dal regno di Gesù Cristo verrà a cadere nuovamente sotto il dominio di Satana, per morte della carne, per essere cioè tormentato nel suo corpo da Satana, per mezzo di malattie e di altri dolori, in modo che nel suo cuore si sveglino buoni sentimenti.

Affinché lo spirito sia salvo. La pena, benché gravissima, è tuttavia medicinale, perchè destinata all'emendazione del reo, a reprimere la petulanza della sua carne, a indurlo a pentirsi del male fatto e a riconciliarsi con Dio, per essere salvo nel giorno del giudizio. Si osservi che l'Apostolo, dando l'incestuoso nelle mani di Satana, per morte della carne, non solo gli infligge la scomunica separandolo della Chiesa, ma lo consegna ancora a Satana affinché lo affligga e lo tormenti. Dicono infatti i Padri che gli Apostoli avevano non solo potestà di cacciare i demoni dagli ossessi, ma anche di consegnare i grandi colpevoli al demonio, perché venissero tormentati, e fossero così condotti a penitenza. Nella Scrittura infatti il demonio viene spesso rappresentato come la causa dei mali, che affliggono l'uomo nel corpo, nell'anima e nelle sue sostanze. Sono noti gli esempi di Giobbe (Gb 2,7-8), di Anania (Atti 5,1ss), di Elimas (At 13,8ss), e i vari fatti del Vangelo nei quali il demonio rende muti, sordi, furiosi, ecc., coloro dei quali si è impossessato”.

4. La Bibbia di Gerusalemme commenta: “Spesso a proposito di questo versetto si parla di «scomunica, ma la parola come tale è assente dalla Bibbia (non corrisponde esattamente ad «anàtema».
Pene di esclusione erano in uso nell’Antico testamento, nel giudaismo, a Qumran. Il Nuovo Testamento presenta diversi casi in cui però i motivi e i modi di eseguire la pena non sono uguali. Talvolta il colpevole era tenuto per qualche tempo in disparte dalla comunità (5,2.9-13; 2 Ts 3,6-l4; Tt 3,10; cfr l Gv 5,16-17; 2 Gv 10), talvolta era «consegnato» (qui; 1 Tm 1,20 a Satana, privato del sostegno dello Chiesa dei santi e, per ciò stesso, esposto al potere che Dio lasciò al suo avversario (2 Ts 2,4; cfr. Gb 1,6); anche in questi casi estremi si sperano il pentimento e la salvezza finale (qui; 2 Ts 3,15; ecc.).
Una tale disciplina suppone un certo potere della comunità sui suoi membri (cfr Mt 18,15-18).

5. Come si vede, anche nella Chiesa primitiva - che godeva della Divina Rivelazione - si usava misericordia.
Ma i metodi erano diversi dai nostri. Quello che a quei tempi era un caso isolato, oggi è un fatto purtroppo comune.
Indubbiamente la consegna a satana era terribile, ma salutare.
La salvezza dell’anima era l’obiettivo più urgente.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore ti benedico. 
Padre Angelo




[Modificato da Caterina63 26/02/2018 19:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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