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Non ho capito un passo del Vangelo (chiarimenti e approfondimenti sulla Scrittura)

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2018 19:20
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09/07/2011 16:08
 
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[SM=g1740733]LA "NUOVA" MANNA.....

La Nuova Manna
Omelia per la XIX Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Del card. Joseph Ratzinger
Testi della Liturgia
Prima lettura: 1Re 19,4-8
Seconda lettura: Ef. 4,30-5,2
Vangelo: Gv. 6,41-51

La lettura che abbiamo ascoltato all’inizio, tratta dal primo libro dei Re, ci presenta uno dei momenti cruciali della storia di Israele. Nel regno settentrionale delle dieci tribù che si erano separate da Giuda, sotto il dominio di una regina pagana e di un re di lei succube, la fede nel Dio dei Padri, nell’unico Dio, si era quasi del tutto estinta. Elia, unico profeta superstite di questo Dio, si trovava di fronte a quattrocento profeti del culto della fecondità del dio Baal.

Fuoco dal cielo

In questa situazione, in cui la causa di Dio pare davvero senza prospettive, Elia invoca il fuoco dal cielo e la sua richiesta viene esaudita, così che i quattrocento profeti vengono passati a fil di spada. Ma ben presto Elia deve riconoscere che non è questo il modo in cui Dio vince; che la fede non può essere rafforzata da simili segni, mediante la violenza. Permane il potere della regina pagana, che trova una corrispondenza profonda nell’inclinazione del cuore umano al paganesimo, nel senso di estraneità nei confronti del Dio ignoto, nel radicamento nelle cose di questo mondo e nelle sue abitudini. Affinchè rinasca la fede deve succedere di più e di altro.
Elia deve fuggire davanti al potere del re. E così anche l’ultimo profeta del Signore scompare dal paese. Sembra che Dio abbia fallito, la sua storia pare alla fine. Ed Elia stesso si rassegna, ha perso. La sua grandezza va a pezzi, vuole morire, tutto ormai va in rovina, tutto è inutile.

La fiamma dell’Oreb

E in questo momento in cui egli perde la sua grandezza, in cui crede di non essere in grado di restaurare il regno di Dio, le vie di Dio conoscono un nuovo principio.
Ora, infatti, Dio stesso può, anzi deve agire. La fuga diventa una via di fede.
Elia deve tornare indietro, per quaranta giorni e quaranta notti, fino al punto dove la storia della fede è propriamente cominciata, fino al monte Oreb. Ora diventa chiaro che la vera sventura di quest’ora sta nel fatto che è spenta la fiamma dell’Oreb, la fiamma della conoscenza di Dio, della sua parola, della legge che ne scaturisce, del giusto ordine della vita, dell’adorazione di Dio. E anche se ora Israele vive nella sua terra, in realtà ha fatto ritorno in Egitto; è divenuto pagano, maturo per l’esilio, ha perso se stesso.
Perché la terra sia davvero terra, perché la promessa si compia, è necessario ciò che rende davvero possibile la convivenza autentica, ovvero la presenza della parola di Dio, l’ascolto di ciò che Lui dice, la vita a partire da Lui. Elia deve ritornare, deve ripercorrere, per così dire, la storia d’Israele – i quarant’anni vengono riassunti nei quaranta giorni e nelle quaranta notti – deve tornare a peregrinare, in rappresentanza di Israele.
Un simile ritorno, il ricupero della propria storia, deve ripetersi in continuazione.
Avviene nei quaranta giorni di Gesù trascorsi nel deserto. La Chiesa cerca di farlo ogni anno nei quaranta giorni della preparazione alla Pasqua: uscire nuovamente dal peso del paganesimo, che continua a spingerci lontano da Dio, tornare  sempre a rivolgerci a Lui. E all’inizio della celebrazione eucaristica, nella confessione dei peccati, cerchiamo anche noi di riprendere questo cammino, di uscire nuovamente, di tornare a incontrare sul monte di Dio la sua Parola e la sua presenza.

Il Dio < povero >

Elia giunge sull’Oreb, il monte di Dio; la rivelazione deve avvenire nuovamente ed essa lo introduce in una nuova fase. Ora infatti diventa evidente che colui che egli ha cercato nel fuoco, non è nella tempesta e nella violenza. Dio è nel leggero, silenzioso soffio dello Spirito Santo.
Diventa evidente che Dio è altro, è lieve, in confronto ai rumori di questo mondo. E così l’esperienza di Elia conduce direttamente nel Nuovo Testamento, al Vangelo, alla figura di Gesù, in cui si è compiuto quanto era scritto sul servo del Signore: Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta (Is.42, 2-3).
In lui appare in maniera definitiva il Dio che Elia aveva potuto intuire sell’Oreb, il Dio che non è rumoroso, che non può essere paragonato alle potenze di questo mondo; il Dio “povero”, il Dio che ha solo le umili armi dell’Amore e della Verità, che per questo pare sempre sconfitto, ma che, pure, è l’unica vera forza che salva questo mondo.
A questo punto credo ci si debba fermare a riflettere.
Anche noi sperimentiamo questa impotenza di Dio che sembra sempre essere lo sconfitto; e vorremo che fosse più forte, più evidente, più potente di fronte di fronte a tutti i fallimenti, i pericoli e le minacce di questo mondo. Dobbiamo apprendere di nuovo questo mistero dell’Oreb, che in Cristo è divenuto una figura concreta, imparare che solo nel silenzio, in ciò che è a malapena percettibile, avviene sempre ciò che è grande: l’uomo diventa immagine di Dio e il mondo torna a essere lo splendore della maestà di Dio.
Vogliamo pregare il Signore che ci dia la capacità di percepire la sua silenziosa presenza, che ci aiuti a non rimanere tanto assordati dal chiasso di questo mondo che i nostri sensi non si accorgono più di Lui…

La nuova manna

C’è ancora qualcosa che la storia di Elia ci rivela e che ci porta direttamente al vangelo di oggi. La ripetizione dei quarant’anni di Israele nel deserto implica anche la ripetizione della storia della manna, sia pure in forma molto semplice e dimessa. L’acqua non sgorga più dalla roccia, la manna non scende più dal cielo. Per Elia c’è solo un pezzo di pane e una brocca d’acqua con cui nutrirsi; quel cibo è per i quaranta giorni; la nuova manna in grande umiltà e semplicità
Così diventa evidente ciò che davvero conta nella manna: non che essa piova dal cielo, non quale sia la sua natura e forma, non quale tipo di grano si sviluppi sulla terra; ciò che è essenziale nella manna è detto piuttosto nella frase con cui essa è stata interpretata già nell’A.T. : Tu devi riconoscere che l’uomo non vive di solo pane, ma dalla parola che viene dalla bocca di Dio.
La manna doveva mostrare che l’uomo può vivere solo di Dio, deve imparar a vivere di Dio; solo allora vive davvero, solo allora possiede cioè la vita eterna, poiché Dio è eterno.
Chi vive di lui e con lui è nella vera vita, che va oltre la morte. Vivere di Dio significa non farsi da soli, non voler prendere il mondo nelle proprie mani; significa abbandonare il sogno dell’autarchia  e dell’autonomia, quasi che potessimo  farcela da soli; significa imparare a ricevere giorno per giorno la nostra vita dalle sue mani, senza paura e confidando pienamente in lui.

Dio è divenuto il nostro pane

Nel vangelo di oggi si fa molto concreta questa idea centrale intesa dalla manna e che ne spiega il vero significato: vivere non di se stessi, ma di Dio. Possiamo vivere di Dio perché Dio ora vive per noi. Possiamo vivere di Dio perché egli è divenuto uno di noi, perché egli stesso è diventato, per così dire, il nostro vero pane. Possiamo vivere di Dio perché egli si dà a noi, non solo come parola, ma come corpo offerto per noi, donato a noi, continuamente nel Sacramento.
Ciò che significa questo “vivere di Dio” è espresso con forza in due frasi del Vangelo, intimamente legate fra loro: Chi crede ha la vita eterna. Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo [Gv 6, 47 e 51]. Vivere di Dio significa anzitutto credere ed entrare così in rapporto con lui, entrare in intima armonia con lui. Ma da quando Dio si è fatto carne […] il credere stesso è divenuto qualcosa di corporeo» (p. 53) nella Chiesa, nei sacramenti, e soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, in cui Cristo si dona affinché viviamo in lui, diventando, come dice San Paolo nella seconda lettura (4, 30 – 5, 2), «imitatori di Dio», nelle piccole virtù in cui si concretizza l’amarsi gli uni gli altri - «come Cristo ci ha amati e ha dato sé stesso per noi come dono e sacrificio gradito a Dio» prosegue san Paolo -, cosa impossibile a realizzarsi se non ci si nutre della «vera manna» (p. 55), cioè di Cristo stesso.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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