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Non ho capito un passo del Vangelo (chiarimenti e approfondimenti sulla Scrittura)

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2018 19:20
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07/08/2016 11:54
 
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   Un sacerdote risponde


Le chiedo gentilmente di darmi riferimenti biblici dove si afferma chiaramente l'immortalità dell'anima umana


Quesito


Caro Padre Angelo,
non mi dilungo in premesse..
Desidero indagare personalmente su un argomento che ultimamente mi sta a cuore.
Se gentilmente mi indica i riferimenti Biblici dove sia chiaramente deducibile l'affermazione della Chiesa che: l'anima è immortale.
Personalmente non ne ho trovati.
Sono consapevole della mia ignoranza infinita.. quindi porti pazienza..
La ringrazio.
Filippo


Risposta del sacerdote

Caro Filippo,
1. per dimostrare l’immortalità dell’anima umana è sufficiente il lume della ragione.
Antichi filosofi, del calibro di Platone e di Cicerone, vissuti rispettivamente il quarto e il primo secolo avanti Cristo, l’avevano riconosciuto.
Sant’Agostino nelle sue Confessioni ricorda che all’età di 18 anni ebbe la fortuna di leggere le opere di Platone e l’Ortensio di Cicerone e si convinse razionalmente dell’immortalità dell’anima.
Nel nostro sito abbiamo avuto occasione di indicare i segni che manifestano l’immortalità dell’anima umana.

2. Tu però non chiedi questo, ma piuttosto se vi siano nelle Sacre Scritture delle affermazioni che indichino chiaramente questa verità.
Ebbene, sì ve ne sono e anche abbastanza numerose.

3. Partiamo dall’Antico Testamento.
Qui è necessario suddividere l’Antico Testamento in due periodi.
Nel primo periodo si riconosce la sopravvivenza dell’uomo oltre la tomba.
Evidentemente non si tratta della sopravvivenza del corpo, diventato ormai cadavere, ma della sopravvivenza dell’anima.
Tale sopravvivenza è intesa come un’ombra.
Senza distinzione, queste anime si radunano nello Sheol con quelle dei loro antenati. .
È una sopravvivenza amorfa, uguale per tutti. In questo periodo non è ancora presente il concetto di rimunerazione, di premio o di castigo.
Proprio perché si tratta di una sopravvivenza come di un’ombra, non c’è vera vita e per questo chi finisce nella fossa (Sheol) non loda il Signore.
In questo senso si trovano nei Salmi espressioni come questa: “Compi forse prodigi per i morti? O si alzano le ombre a darti lode?” (Sal 88,11).
E anche: “Non i morti lodano il Signore né quelli che scendono nel silenzio, ma noi benediciamo il Signore da ora e per sempre” (Sal 115,17-18).
Per quanto non si tratti di una vera vita, tuttavia si enuncia chiaramente che non tutto finisce con la morte del corpo.
In ogni caso, anche in questo periodo, non viene mai negata l’immortalità dell’anima.

4. In un secondo periodo, che coincide con gli ultimi secoli prima della venuta di Cristo (qualcuno dice dal periodo posteriore all’esilio in Babilonia) si parla chiaramente della sopravvivenza dell’anima ed è anche netto il concetto di diversa rimunerazione per i giusti e per gli empi.
Ecco un testo che si legge spesso nelle liturgie esequiali: “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace” (Sap 3,1-3).
Si tratta di una vita piena: “In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. 
Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro.
Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti.” (Sap 3,5-9).
“Ma gli empi riceveranno una pena conforme ai loro pensieri; non hanno avuto cura del giusto e si sono allontanati dal Signore” (Sap3,10). 
E ancora: “Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura.” (Sap 2,23).

 5. Nel Nuovo Testamento l’immortalità dell’anima è dichiarata apertamente da Nostro Signore quando dice: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l'anima e il corpo” (Mt 10,28).
Ugualmente il Signore parla di una vera vita anche oltre la tomba, ben diversa dalla sopravvivenza come di un’ombra come pensavano i sadducei: “Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi!».” (Mt 22,31-32).
Nel discorso delle beatitudini il Signore fa riferimento chiaro alla vita futura quando dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,3-8).

6. Anche nelle parabole del Signore emerge chiaramente il concetto dell’immortalità dell’anima.
Si pensi in particolare alla parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. Si legge: “Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.” (Lc 16,22-23).
Evidentemente il povero portato dagli angeli accanto ad Abramo vi è andato solo con la sua anima, perché il corpo era andato in corruzione. 
Analogamente la stessa cosa vale per il ricco epulone.

Tralascio i riferimenti che si possono trovare negli altri testi del Nuovo Testamento.
Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo


Un sacerdote risponde

Come dimostrare che la Bibbia sia ispirata da Dio

Quesito

Caro Padre Angelo,
le avevo già scritto altre volte e trovando molto precise le sue risposte (secondo più cristallina tradizione tomistica), volevo porle un altro quesito. 
Come dimostrare che la Bibbia sia ispirata da Dio. Se potessimo dimostrarlo infatti tante domande rivolteci da atei, agnostici, indifferenti o veri e propri detrattori verrebbero subito dimostrate insensate. Finora non ho trovato nulla che potesse dimostrarlo...lei mi pare abbia scritto: noi per fede crediamo. Ma dire "per fede" è cosa che non basta. C'è qualcos'altro? Lo chiedo anche perché sono insegnante e troppe volte gli allievi mi provocano...(non tutto è provocazione; in vero, sotto le spoglie di provocazione c'è anche voglia di risposte autentiche, ma il problema è che non sempre si è in grado di fornirle)
Grazie se vorrà illuminarmi
Tiziana


Risposta del sacerdote

Cara Tiziana,
1. l'ispirazione, essendo un fatto di ordine soprannaturale, non può essere attestata se non attraverso una rivelazione sensibile fatta da Dio stesso.

2. Ora la migliore attestazione, quella alla quale ha fatto riferimento Nostro Signore (che è la forma più alta di rivelazione) è quella che viene dalle opere da Lui compiute.
Accettata la divinità di Gesù, si accetta per logica anche tutta la Rivelazione perché l’Antico Testamento parla di lui, come egli stesso ha detto: “perché Mosè ha scritto di me” (Gv 5,46) e perché gli Apostoli parlano per incarico suo e con la sua assistenza.

3. Ebbene, Gesù ha detto: “Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Gv 5,36).
“Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre” (Gv 10,37-38).

4. Commenta san Tommaso: “Non ci può essere un indizio più convincente sulla natura di una cosa, che quello ricavato dalle sue operazioni.
Perciò si può conoscere con evidenza e credere su Cristo che egli è Dio, per il fatto che egli compie le opere di Dio. 
Perciò afferma: Dalle opere stesse vi faccio persuasi, «perché conosciate e crediate» quello che non potete vedere con i vostri occhi, cioè «che il Padre è in me, e io sono nel Padre»” (Commento in Gv 10,38).

5. Gesù torna sull’argomento delle opere in Gv 10,11-12: “Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. 
Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.” (Gv 14,11-12).

6. Ecco di nuovo il Commento di San Tommaso: “A questo punto il Signore spiega la sua risposta: primo, mediante le opere che ha compiuto lui stesso; secondo, mediante le opere che compirà servendosi dei discepoli (v. 12):
«In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio».

7. Continua San Tommaso: “Gesù inizia accennando alle opere compiute da lui stesso.
La fede che afferma la Divinità del Cristo poteva essere suffragata da due manifestazioni: dal suo insegnamento e dai suoi miracoli. Il Signore vi accennerà in seguito,
dicendo: «Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai fatto, non
avrebbero alcun peccato» (Gv 15,24); «Se non fossi venuto e non avessi parlato loro,
non avrebbero alcun peccato» (Gv 15,22). Di qui la confessione degli stessi avversari:
«Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo» (Gv 7,46). E il cieco guarito aveva
detto (Gv 9,32): «Da che mondo è mondo non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli
occhi a un cieco nato».
Con questi due mezzi il Signore manifestò la sua Divinità.
E, riferendosi al primo, egli
afferma: «Le parole che io vi dico», servendomi delle mie membra umane, «non le dico da me», ma in forza di colui che è in me, cioè del Padre. «Io dico al mondo le cose che ho udito dal Padre mio» (Gv 8,26). Perciò in me parla il Padre che è in me”.
“Riferendosi poi al secondo mezzo, il Signore afferma: «Il Padre che è in me compie lui le opere»; perché nessuno potrebbe compiere le opere che io faccio” (Commento in Gv 14,11).

8. Non ci sono però solo le opere compiute da Gesù che manifestano la sua divinità e la sua credibilità.
Vi sono anche le opere compiute dai suoi. Opere che sono state predette e promesse.
Scrive San Tommaso: “Dopo che il Signore ebbe spiegato quanto aveva detto, richiamandosi alle opere compiute da lui stesso, qui passa a chiarirlo e dimostrarlo con le opere che egli avrebbe compiuto servendosi dei discepoli.
Per prima cosa predice le opere dei discepoli; secondo, accenna al modo con cui le avrebbero compiute (14,13): «Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò».
Nello svolgere il primo tema indica prima di tutto le opere dei suoi discepoli; in secondo luogo indica il motivo di quanto ha affermato: «Perché io vado al Padre».
«In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio». Il che equivale a dire: Le opere che io faccio sono così grandi da costituire un argomento più che sufficiente a provare la mia Divinitàma se questo non vi basta, guardate alle opere che io compirò servendomi di altri.
Segno principalissimo di grande potenza si ha nel fatto che un uomo operi cose eccellenti non solo da se stesso, ma anche per mezzo di altri. Ecco perché il Signore afferma: «In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio». Parole queste che non solo mostrano la virtù della Divinità in Cristo, ma anche la potenza della fede e l'unione con Cristo dei suoi fedeli. Infatti, come il Figlio opera per il Padre presente in lui in unità di natura, così i fedeli operano per Cristo presente in essi mediante la fede (Ef 3,17: «Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede»).
Ebbene, le opere che Cristo ha compiuto e che i discepoli compiono per la virtù di Cristo, sono i miracoli. «Ora questi sono i segni che accompagneranno coloro che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno nuove lingue, prenderanno in mano i serpenti, ecc.» (Mc 16,17s.)” (Commento in Gv 14,12).

9. San Tommaso va avanti: “Ma ciò che più meraviglia è quel che segue: «e compirà cose anche più grandi di queste».
Questo per dire che il Signore mediante gli apostoli avrebbe compiuto miracoli più grandi e più numerosi di quelli che fece Gesù da se stesso. Infatti tra i miracoli di Cristo uno dei più grandi era il fatto che gli infermi venivano guariti dalla frangia delle sue vesti, come narra Matteo (9,20). Ma di Pietro si legge (cf. At 5,15) che gli infermi venivano guariti dalla sua ombra. Ora, guarire mediante l'ombra soltanto è cosa più grande che guarire con il lembo delle vesti” (Commento in Gv 14,12).

10. In conclusione: la prova migliore che attesta il fatto dell’ispirazione dei testi sacri è Gesù Cristo il quale dopo aver dato testimonianza con le parole e le opere ha aggiunto: “Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?” (Gv 8,46).
A questo ha voluto aggiungere anche i miracoli che fin dall’inizio hanno accompagnato la Chiesa e tuttora l’accompagnano.
Quei miracoli che sono prerogativa unica della Chiesa di Cristo che sussiste nella Chiesa cattolica.

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo



Un sacerdote risponde

Se Dio è perfetto come mai il Concilio dice che nell'Antico Testamento vi sono cose imperfette e caduche?

Quesito

Gentile Padre Angelo,
Ti ringrazio per la grande disponibilità nel poter leggere alcuni dubbi che ho circa alcune tematiche sulla fede cattolica.
Sono stato battezzato, comunicato e cresimato, ho sempre frequentato la Chiesa e ho frequentato le scuole elementari delle Suore di san Vincenzo de Paoli.
Ho recentemente letto molti su i dubbi di cui parlavo e questo leggere mi ha fatto riflettere su alcune tematiche.
In particolare, i punti essenziali che seguiranno saranno i seguenti, in quest’ordine: a) l’esistenza di Dio e i suoi attributi, la presenza del male e la creazione del mondo; b) la Sacra Scrittura e il suo senso; c) la venuta di Cristo; d) il rapporto tra fede e ragione. (…).
Il terzo punto riguarda la Sacra Scrittura, la sua interpretazione e il suo senso. Ancora una volta, il Concilio Vaticano II asserisce: “I libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata alle Sacre Scritture”. (…).
Parimenti, però, la stessa Costituzione dogmatica sostiene che “i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti [...], hanno Dio per autore [...]”.
Ma se “la perfezione compete a Dio in sommo grado”  come può Egli, autore delle Scritture, scrivere le “cose imperfette e caduche” di cui sopra? 
(…).
Ti ringrazio per essere arrivato fino alla fine di questa lettera.
Qualora abbia piacere nel rispondermi, lascio di seguito il mio recapito:
Ti ringrazio ancora una volta per l’attenzione e ti invio i miei più cari saluti.
Andrea


Risposta del sacerdote

Caro Andrea,
mi soffermo solo sul terzo punto perché agli altri ho già risposto in vario modo in passato.

1. Per comprendere la portata della tua obiezione è necessario riferire l’intero paragrafo del testo del concilio: “L'economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1 Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1 Cor 10,11) l'avvento di Cristo redentore dell'universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l'uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduchedimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza” (DV 15).

2. Rivelandosi, Dio non poteva non tener conto delle capacità degli uomini e delle situazioni storiche e culturali nelle quali vivevano.
Per questo San Tommaso scrive: “Le cose divine si devono rivelare agli uomini secondo la loro capacità: altrimenti si offre soltanto un motivo d'inciampo, poiché disprezzerebbero ciò che non potrebbero capire.
Perciò era più utile che i divini misteri si insegnassero al popolo sotto il velo delle figure, in modo da poterli conoscere implicitamente, prestando onore a Dio mediante codeste figure” (Somma teologica, I-II, 101, 2 ad 1).

3. Ecco dunque quali sono le imperfezioni dell’Antico Testamento.
Non già che Dio abbia fatto cose imperfette perché si è rivelato in maniera perfetta.
E ha fatto questo proprio tenendo conto della capacità dell’uomo di comprendere.

4. Inoltre nell’Antico Testamento sono contenute norme caduche o temporanee.
Questo lo si nota in particolare a proposito delle leggi relative al culto. 
Si esse San Tommaso scrive: “Il mistero della redenzione umana ebbe compimento nella passione di Cristo; infatti il Signore allora gridò: "Tutto è compiuto". Ecco perché da allora dovevano cessare tutte le norme legali, essendo ormai in atto la verità di quanto preannunziavano. Di ciò si ebbe un segno nella passione di Cristo, quando il velo del tempio si squarciò” (Somma teologica, I-II, 103, 3, ad 2).

5. Ne troviamo un esempio lampante nella circoncisione, che significava la separazione del popolo eletto dagli altri popoli che a quei tempi non erano circoncisi.
Questo era un segno materiale di un’altra separazione, anzi di una consacrazione ben più importante, quella del Battesimo.
Di essa San Paolo dice: “Siete stati circoncisi con una circoncisione non fatta da mano d'uomo nella spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione del Signore nostro Gesù Cristo, sepolti con lui nel battesimo” (Col 2,11ss).

6. Ugualmente nell’Antico Testamento il sabato rimandava alla cessazione delle opere della creazione.
Ma con la risurrezione di Cristo, che è come la creazione di un mondo nuovo, ha perso questo suo primitivo.
Scrive San Tommaso: “Il sabato, che ricordava la prima creazione, è stato mutato nel giorno del Signore (o domenica), in cui si ricorda la nuova creazione, cominciata con la resurrezione di Cristo.
Così alle altre feste dell'antica legge succedono nuove solennità: poiché i benefici concessi al popolo ebreo indicavano i benefici a noi concessi per mezzo del Cristo.
Infatti alla festa di Pasqua succede la festa della Passione e della Resurrezione di Cristo.
Alla festa di Pentecoste, in cui fu promulgata l'antica legge, succede la festa di Pentecoste in cui fu data la legge dello spirito di vita. 
La festa delle Neomenie è sostituita dalle feste della Beata Vergine, in cui apparve la luce del sole, cioè di Cristo, per l'abbondanza della grazia.
Alla festa delle trombe succedono le feste degli Apostoli.
A quella dell'espiazione succedono le feste dei Martiri e dei Confessori. 
La festa dei Tabernacoli è sostituita da quella della Dedicazione della Chiesa.
Mentre la festa dell'Assemblea e della Colletta è soppiantata dalla festa degli Angeli (custodi); oppure da quella di Tutti i Santi (Ib., ad 4).

6. Lo stesso discorso vale anche per i precetti giuridici dati da Dio per la regolamentazione della vita del popolo. Si trattava di norme caduche, temporanee.
Ma la legge morale, che è scritta nel cuore dell’uomo ed espressa sostanzialmente nei dieci comandamenti non fa parte delle realtà imperfette e caduche. Essa vale eternamente.

Mi complimento per la passione per lo studio di san Tommaso che hai  mostrato nei punti che ho omesso. 
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo

GIUDA FU PERDONATO DA GESÙ? SI È DANNATO? COSA CI DICONO LE SACRE SCRITTURE E I SANTI

Giuda fu perdonato da Gesù? Si è dannato? Cosa ci dicono le Sacre Scritture e i santi

da Amici Domenicani, di padre Angelo Bellon OP

 

Quesito

Caro Padre Angelo,

è la seconda volta che le scrivo e questa volta vorrei porle una domanda di una certa importanza per tutti noi cristiani. Riguarda la figura di Giuda Iscariota.

1) Gesù nell'esclamare “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” ha rivolto la preghiera anche per il suo traditore?

2) Come ben sappiamo Giuda alle parole del Maestro “È con questo bacio che tu tradisci il Figlio dell'Uomo” e “Sarebbe stato meglio per quest'uomo che non fosse mai nato” e dopo aver saputo della condanna di Gesù decide di togliersi la vita: visto che il destino di Gesù era quello di sacrificarsi per la salvezza dell'umanità è possibile che Giuda fosse dannato fin dall'inizio? Cioè, Dio ha amato l'uomo a tal punto da lasciargli la libertà di scegliere tra il bene e il male; Giuda ha commesso questo peccato di sua libera volontà consegnando Gesù nelle mani dei peccatori (nella Bibbia infatti è scritto che “Satana entrò in lui”) ma essendosi pentito amaramente di quello che ha fatto è come se avesse provato a chiedere con tutto il suo cuore il perdono, Gesù l'avrà perdonato visto che era tutto scritto?

È un dubbio abbastanza forte, ma è una cosa a cui non so dare risposta. Io credo che Gesù nella sua infinità bontà e conoscendo il cuore di tutti lo abbia perdonato e magari, come è stato per Ponzio Pilato, Dio riserverà loro un giudizio particolare visto che hanno contribuito (nel male) all'azione salvifica di Gesù.

In attesa di una sua risposta, anticipatamente ringrazio e chiedo la sua benedizione.

Alessandro P.

Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,

1. Giuda non è stato dannato fin dal principio. Il Signore lo aveva chiamato ad un’altissima dignità. Si è perso, pur stando accanto al Signore, per la bramosia delle ricchezze.

Il Signore gli aveva dato fiducia e l’aveva incaricato di tenere la cassa. Ma Giuda vi rubava, come ricorda San Giovanni quando in riferimento a Giuda scrive: “Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro” (Gv 12,6).

2.
 Certo, Gesù ha dato il suo perdono anche a Giuda e ha pregato per lui. Potrei dire che Giuda ha sentito i richiami della grazia, ma è stato troppo orgoglioso per andarsi a umiliare davanti al Signore. Li ha sentiti, dicevo. Ma li ha intesi malamente.  Anziché andare dal Signore, è andato dai sommi sacerdoti che l’hanno lasciato al suo destino.


3. Il Vangelo non dice esplicitamente che Giuda sia andato all’inferno. Ma vi sono espressioni molto forti che lo lasciano intendere, come ad esempio quella che ha citato tu: “Sarebbe stato meglio per quest'uomo che non fosse mai nato”. Ma c’è anche un’altra allusione  alla perdizione e di Giuda: “Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte” (Gv 12,30). Non si tratta solo di un riferimento cronologico.

Nel cuore di Giuda erano scese le tenebre della notte. Erano scese quelle tenebre di cui parla il Signore quando dice di colui che aveva osato entrare nella sala senza veste nuziale: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti” (Mt 22,13). Le tenebre con pianto e stridore di denti sono un chiaro riferimento all’inferno.

4. Il Signore ha cercato di toccare il cuore di Giuda in tutte le maniere. Pensa quando nell’ultima cena Giovanni gli domanda chi sia il traditore. Il Signore gli risponde: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” (Gv 13,26). Dare il boccone da parte del capotavola era un segno di onore, come un nostro brindisi. Gesù tratta Giuda in quel momento davanti a tutti con un tratto preferenziale.

Ma Giuda manifesta nel suo comportamento tutti i segni dell’ostinazione nel peccato. Rimarrà in quella condizione fino all’estremo della sua vita, aggiungendovi un altro peccato molto grave: quello della disperazione della salvezza.

5. A questo proposito senti quello che dice S. Caterina da Siena, o meglio quello che S. Caterina da Siena si sentì dire dall’Eterno Padre: “Questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché il peccatore non ha voluto, spregiando la mia misericordia; perciò mi è più grave questo che tutti gli altri peccati che ha commessi. Unde la disperazione di Giuda mi spiacque più e fu più grave al mio Figliolo che non fu il tradimento che egli mi fece. Così sono condannati per questo falso giudizio d’aver posto maggiore il peccato loro che la misericordia mia; e perciò sono puniti con le dimonia e cruciati eternamente con loro” (s. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, c. 37).

6. Pertanto nel perdono di Gesù era incluso anche il perdono per il peccato di Giuda. Ma Giuda questo perdono non l’ha voluto. Giuda rimane colui che viene chiamato “il figlio della perdizione” (Gv 17,12).

7. Secondo la tradizione Ponzio Pilato si sarebbe convertito. La Chiesa copta lo annovera tra i santi. Ma se Ponzio Pilato si è salvato, come lo spero, non è perché tutto sommato “ha contribuito (nel male) all'azione salvifica di Gesù” come tu dici, ma perché si è lasciato raggiungere dalla grazia.

Sua moglie, Claudia Procula, è venerata come santa non solo dalla Chiesa copta, ma anche da quella ortodossa.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.

Padre Angelo 


[Modificato da Caterina63 30/11/2017 20:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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