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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Non ho capito un passo del Vangelo (chiarimenti e approfondimenti sulla Scrittura)

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2018 19:20
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Sesso: Femminile
13/02/2018 15:06
 
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Un sacerdote risponde

Secondo un nostro visitatore Gesù nascendo avrebbe rotto la verginità di Maria perché ha voluto nascere come tutti gli altri bambini di questo mondo

Quesito

Rev. Padre Angelo,
ho letto con particolare interesse la risposta da Lei data riguardo alla domanda di un lettore sulla verginità perpetua della Madonna.
E' categorico credere Maria sempre vergine perché non ha mai avuti rapporti carnali né prima né dopo il parto. Ciò comporta che la tesi delle gravidanze successive, proposta da Elvidio, è palesemente eretica.
Ma quando Lei cita S. Agostino, che parla della "porta che starà chiusa in eterno", intende forse dire che la Madonna, nonostante il parto, resta ancora intatta in senso anatomico?. Lei sostiene che nel parto, al passaggio del neonato e della placenta, non si è lacerato l'imene della madre precedentemente inviolato? Se è così, non Le sembra che la verginità sia banalmente associata all'integrità di un piccolo lembo di tessuto della donna, dalla funzione fisiologica non ben chiarita?
Gesù che è vero Dio, è anche vero uomo. Perciò nasce uscendo dall'utero e scende per la via naturale come tutti gli altri bambini, lasciando alla Madre, che non ha conosciuto uomo, lo stesso segno sull'apparato genitale femminile, come in tutte le altre mamme di questo mondo.
In attesa della Sua cortese risposta, Le porgo i mie ossequi e ringraziamenti.


Risposta del sacerdote

Caro Vincenzo,
1. anche tu, da vero credente, affermi la perenne verginità della Madonna.
Tuttavia se durante il parto avesse perso la verginità, anche quella fisica, perché chiamarla ancora “La sempre Vergine Maria”?
Non sarebbe più opportuno cambiare il linguaggio?
Non è una cosa logica usare una parola per darle poi per sempre un altro significato.

2. È chiaro che la verginità di Maria non si riduce solo all’aspetto fisico.
C’è dell’altro che non è sfuggito ai Santi Dottori della Chiesa.

3. Allora come avvenne il parto di Maria? 
Ecco che cosa scrive S. Alberto Magno, maestro di san Tommaso d’Aquino: “Maria è una stella perché come la stella emette il raggio, così la Vergine genera il Figlio con lo stesso splendore: né la stella viene menomata dall’emissione del raggio, né la madre dal generare il Figlio. Infatti è molto diverso il modo della generazione nell’ambito delle creature del cielo e nell’ambito delle creature di questa terra: gli esseri della terra nella generazione si corrompono, gli esseri del cielo invece no. Per quanti raggi si sprigionino da una stella, la stella non si corrompe né si sente diminuita nella sua luce. Così il Verbo del Padre, raggio ‘di eterna luce, candore e specchio senza macchia’ (cfr. Sap 7,26) della luminosità del Padre, diede fecondità alla Madre ma non le tolse la verginità, e perciò non diminuì ma accrebbe la luce della sua dignità. ‘Nulla è impossibile a Dio’ (Lc 1,37): Colui che camminò sulle onde del mare senza affondarvi, Colui che uscì dal sepolcro senza infrangere il sigillo della pietra - essa fu ribaltata, come dice il Vangelo (Mt 28,2), da un angelo e non dal Signore -, Colui che si presentò ai discepoli a porte chiuse, poté anche nascere da una Madre vergine senza violarle il pudore verginale. Per questo chiamiamo stella la Vergine Maria” (S. Alberto Magno, Trattato sulla natura del bene, cap. 142).

4. Ecco cosa dice San Tommaso: “Il dolore della partoriente è prodotto dal dilatarsi delle vie attraverso le quali deve uscire la prole.
Ma abbiamo spiegato che Cristo uscì dal grembo della madre senza che questo si aprisse, e quindi senza dilatazione delle vie.
Perciò nel suo parto non vi fu dolore di sorta, né corruzione alcuna, ma somma gioia, poiché ‘l’uomo Dio nasceva alla luce del mondo’, secondo le parole di Isaia 35,1: ‘La solitudine canterà come un giglio; canterà nella gioia e nel giubilo’” (Somma teologica, III, 35, 6).

5. Qualcuno ha voluto pensare che il quel momento Gesù Cristo abbia voluto fare quello che ha mostrato a Pietro, a Giacomo e a Giovanni sulla Santa Montagna quando il suo corpo si trasfigurò, mostrando la gloria che conservava nella parte superiore della sua anima e che poi fece ridondare perennemente anche nel suo corpo dopo la gloriosa risurrezione.
Il Vangelo certo non dice questo. Ma il linguaggio di sant’Alberto e di san Tommaso parlando di luce e di raggio permettono di comprendere quanto affermano alcuni mistici.
Maria in quel momento sarebbe stata contagiata della gloria di Nostro Signore e avrebbe partorito all’interno di un’estasi luminosa “senza alcun travaglio, senza corruzione alcuna e con somma gioia”.
Secondo me non è improbabile che sia avvenuto così.
Quello che Gesù fece con la sua risurrezione entrando a porte chiuse senza rompere i muri, così avrebbe fatto al momento della nascita, che non riempì la Madonna di dolore, ma di gioia portandole un segno e un raggio della gloria e della gioia della sua natura divina.

6. Su questa linea sembrerebbe muoversi ancora San Tommaso quando scrive: “Per mostrare la verità del suo corpo nacque da una donna.
Per mostrare la sua divinità nacque da una vergine.
Infatti come dice S. Ambrogio: "tale è il parto che si addice a Dio" (Veni redemptor gentium) (Somma teologica, III, 28, 2, ad 2).

7. E ancora: “Dobbiamo quindi affermare che tutti questi fatti sono stati compiuti dalla potenza divina miracolosamente
Di qui le parole di S. Agostino: "Dove interveniva la divinità, il corpo non si arrestava di fronte a porte sprangate. Poteva ben entrare, senza aprirle, colui che nacque lasciando inviolata la verginità di sua madre" (In Ioh., ev. tract.121).
E Dionigi scrive, che "Cristo compiva in modo sovrumano le cose umane: e lo dimostra il concepimento miracoloso da una vergine e la solidità delle mobili acque sotto il peso dei suoi piedi terrestri" (Epist.4) (Somma teologica, III, 28, 2, ad 3).

8. Infine scrivi: “non Le sembra che la verginità sia banalmente associata all'integrità di un piccolo lembo di tessuto della donna, dalla funzione fisiologica non ben chiarita?”
Potrei dire che dal momento che a te sfugge il significato di quella “funzione fisiologica non ben chiarita” non è vero che questa non ci sia! 
Il Creatore non ha fatto nulla di inutile e di non chiaro.

9. Inoltre prova a chiederlo alle ragazze che hanno cercato di arrivare vergini al matrimonio e sono contente di esservi giunte così.
Prova a chiederlo a Santa Maria Goretti!
Prova a chiederlo alle ragazze che l’hanno persa prima del matrimonio e che con la verginità hanno perso anche il ragazzo nel quale confidavano.
Quel “piccolo lembo”, come tu lo chiami, è un segno.
E come è ricco di significato!

Ti ringrazio del quesito che mi ha permesso di ricordare come i mistici spiegano la verginità nel parto della Madonna, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

   



Un sacerdote risponde

Che cosa significa l'espressione evangelica "Avresti dovuto consegnare il mio denaro ai banchieri"

Quesito

Caro padre Angelo,
mi chiamo Alfredo Maria e ho 29 anni. Da un po' di tempo a questa parte mi capita di soffermarmi con una certa frequenza e intensità sul racconto evangelico della parabola dei talenti, soprattutto nella versione di Matteo. Il senso della parabola mi è abbastanza chiaro: i doni del Signore non sono fatti per essere tenuti per sé ma devono essere di edificazione per il prossimo, affinché possano moltiplicarsi. 
Tuttavia c'è un punto che non riesco proprio a capire. Nell'ultima parte della parabola, quando il padrone rimprovera il servo negligente per aver nascosto il talento anziché farlo fruttare dice testualmente: "Avresti dovuto consegnare il mio denaro ai banchieri". Ciò che mi sto chiedendo spesso è cosa significherebbe per un cristiano "affidare il proprio talento ai banchieri". Chi/Cosa sono questi "banchieri" cui una persona che non sa come far fruttificare il proprio talento dovrebbe consegnare quest'ultimo. Chiedo delucidazioni a riguardo.
Grazie


Risposta del sacerdote

Caro Alfredo Maria,
1. il primo significato dell’espressione "Avresti dovuto consegnare il mio denaro ai banchieri" è questo: bisogna fare ogni cosa per fruttificare i talenti che il Signore ci ha dato.
Pertanto non indica nulla di particolare all’infuori di quello che fanno gli uomini con i loro denari. Come li consegnano alle banche dove possono fruttificare, così analogamente si deve fare con i doni che Dio ci ha dato.

2. Altri, dal momento che il testo greco dice “"Avresti dovuto consegnare il mio argento ai banchieri", collegandosi con quanto dice il Salmo 11,7 “Le parole del Signore sono pure, argento esaminato nel fuoco”, dicono: “il denaro e l’argento sono la predicazione del Vangelo e la parola divina, che doveva essere data ai banchieri, e cioè agli altri dottori o a tutti i credenti che possono raddoppiare il denaro e renderlo con gli interessi”.
Questa, ad esempio, è la sentenza di san Girolamo (Commento al Vangelo di Matteo, 1884).
Il che può essere interpretato così: dovevi cooperare con il tuo denaro alla diffusione del Vangelo, aiutando coloro che evangelizzano, istruiscono, predicano e diffondono il Vangelo.

3. Oppure anche: il tuo talento avrebbe comunque fruttificato se tu fossi vissuto in grazia.
Infatti tutto ciò che viene compiuto in grazia fruttifica e merita per la vita eterna.
Gesù ha detto: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 4-5). 
Mentre se non si è uniti a Cristo perché privi della grazia non si porta alcun frutto nel medesimo modo in cui un tralcio staccato dalla vite non può maturare nulla.
Qui il talento che Cristo ci ha dato indica la grazia santificante che i peccatori non fanno fruttificare, perché la mettono da parte e non se ne vogliono rivestire.

4. Diventa chiaro allora come mai questo servitore venga trattato severamente: “E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti»” (Mt 25,30).
Commenta San Gregorio Magno: “Chi dunque ha intelletto si preoccupi sommamente di non tacere; chi ha abbondanza di beni non sia pigro nella misericordia; chi ha esperienza di governo ne faccia partecipi gli altri; chi ha il compito di parlare interceda presso Dio per il prossimo. Infatti prende il nome di talento anche la minima cosa che uno ha ricevuto” (Commento al Vangelo di Matteo).

Con l’augurio che tu possa essere tra quelli che fanno fruttificare la parola (l’argento) che il Signore ti fa udire e che possa vivere sempre in grazia per fruttificare per la vita eterna, ti ricordo nella preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo


Un sacerdote risponde

Ecco che cosa intendeva San Paolo quando disse di consegnare un tale a Satana a motivo del suo peccato

Quesito

Caro Padre Angelo,
Volevo qualche spiegazione su quanto dice San Paolo ai Corinzi condannando l'immoralità compiuta da alcuni; e cioè quando dice: "questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore." (1 Cor 5,5). 
Che significa questo versetto? Che nonostante i peccati commessi con il corpo, un giorno potrà essere redento?
La ringrazio.
Davide


Risposta del sacerdote

Caro Davide,
1. ti rispondo riportando quanto ha scritto F. Prat, gesuita e grande biblista nella sua monumentale opera intitolata La teologia di san Paolo.
Quella del padre Prat è una parola autorevole a motivo della sua competenza.
Ecco quanto scrive:

2. “Erano avvenuti a Corinto due fatti scandalosi dei quali si era resa complice tutta la comunità, con la sua troppo tollerante indulgenza.
Venere, patrona di Corinto, vi era onorata con un culto in cui l’impudicizia dell'Afrodite greca si alleava con le turpitudini dell’Astarte orientale. Nel suo tempio mille hieroduli apertamente facevano traffico del proprio corpo, a suo profitto e onore: la prostituzione sacra era innalzata all'altezza di un sacerdozio. I costumi pubblici erano per conseguenza anch'essi di una deplorevole rilassatezza, e vivere alla corinzia era, anche per i pagani, un'ignominia. In quell'atmosfera avvelenata, alcuni cristiani avevano subito il contagio, e uno di essi viveva in concubinato con sua matrigna, certamente vedova o divorziata.
Si parla di fornicazione tra voi, e di tale fornicazione quale neppure tra i Gentili, talmente che uno ritenga la moglie del proprio padre. E voi siete gonfi: e non piuttosto avete pianto, affinché fosse tolto di mezzo a voi chi ha fatto tal cosa! (1 Cor 5,1-2).
Non si tratta di commercio passeggero, ma di una unione stabile, come quella di Erode Antipa con Erodiade, moglie del suo fratello Filippo. La legge romana, così larga in materia di matrimoni, proibiva tali unioni, e gli esempi che la storia profana ne poteva offrire, erano riprovati dal sentimento pubblico, d'accordo in questo con l'istinto naturale. Ora i fedeli di Corinto non sembravano commuoversene troppo: continuavano a frequentare il colpevole e lo ammettevano nelle loro assemblee. Forse si lasciavano illudere da questa falsa massima, che il battesimo fa del cristiano un essere nuovo, libero da tutti i suoi vincoli antecedenti ed esente da qualsiasi proibizione legale. Così agli occhi dei rabbini la conversione al giudaismo rompeva tutte le relazioni di parentela, e Maimonide insegna espressamente che è lecito al proselito sposare la sua matrigna.

L'indignazione di Paolo fu al colmo. Era sua pratica costante il sottoporre tutti gli scandalosi a una specie di scomunica la quale portava con sé la cessazione anche delle relazioni di convenienza e di civiltà. Egli aveva minacciato questa pena agli arruffoni e agli scioperati di Tessalonica, se non avessero obbedito ai suoi ordini; più tardi imporrà a Tito di evitare l'eretico ostinato, cioè il fautore di divisioni e di disordini. Nella lettera ai Corinzi, che andò perduta, ingiungeva loro espressamente di troncare ogni relazione con gli impudichi (cfr 2 Ts 3,14)). Qual è dunque ora il suo dolore nel vedere che tollerano l'infame! Presto! si allontani l'incestuoso, affinché non siano contaminati da lui. Si era, a quanto pare, verso la Pasqua, e veniva molto a proposito questa esortazione: Non sapete che un poco di lievito fa fermentare tutto l’impasto? Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una nuova pasta, come siete senza fermento; perché il nostro agnello pasquale Cristo è stato immolato. Solennizziamo dunque la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e della malvagità, ma con gli azzimi della purità e della verità... Togliete di mezzo a voi il cattivo (1 Cor 5,6-8). 

Queste ultime parole che contengono la sentenza definitiva di Paolo, sono un'allusione al Deuteronomio (17,7) il quale stabilisce la pena di morte per certi delitti. La scomunica, specie di morte simbolica, nel Vangelo sostituisce la morte reale dell'antica Legge. Egli aveva prima pensato a una pena assai più grave e più proporzionata all'enormità del delitto.

Io però assente corporalmente, ma presente in ispirito, ho già come presente giudicato che colui il quale ha attentato tal cosa - congregati voi e il mio spirito nel nome del Signor nostro Gesù Cristo - con la potestà del Signore nostro Gesù, sia dato questo tale nelle mani di Satana per morte della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo (1 Cor 5,3-5).

I canonisti, desiderosi di trovare qui un esempio di scomunica maggiore secondo le forme attualmente in uso nella Chiesa, si domandano come mai Paolo abbia potuto fulminarla e dare ordine ai Corinzi di fulminarla in nome suo, senza istruzione del processo, senza citazione nè interrogatorio. Ma sono tutte questioni superflue: Paolo non pronunzia la sentenza e non impone ai Corinzi di pronunziarla; egli esprime soltanto il suo parere su la pena dovuta all'incestuoso notorio; forse insinua il castigo rigoroso che egli è risoluto di infliggere, nel caso in cui i fedeli non facessero nulla da parte loro. Per quello che lo riguarda, egli crede giusto e conveniente di abbandonare il colpevole a Satana, ma non dice quali formalità si dovrebbero osservare se si dovesse venire a tale castigo.

Questo castigo terribile evidentemente supponeva la scomunica, cioè l'esclusione della Chiesa con la privazione delle grazie e degli aiuti di cui la comunione dei santi è il canale; ma comprendeva pure qualche cosa di più spaventevole. Gli Apostoli che avevano ricevuto dal Signore il potere d'incatenare i demoni, avevano pure il potere di scatenarli. Il delinquente colpito da questa condanna più grave che la scomunica, veniva abbandonato alla vendetta dell'eterno nemico degli uomini e diventava preda e zimbello di Satana. Ma, siccome tutte le pene inflitte dalla Chiesa sono medicinali, lo scopo finale era sempre la conversione e la salvezza del peccatore.
Almeno una volta nella sua vita, Paolo si servì di questo terribile potere: egli abbandonò a Satana Imeneo e Alessandro per insegnare loro a non più bestemmiare (1 Tm 1,20), o piuttosto perchè lo imparassero a loro spese quando fossero abbandonati, senza protezione e senza scampo, alla tirannia del demonio. Con l'incestuoso di Corinto egli è meno rigoroso; si accontenta dell'esclusione del colpevole e, se per un momento ha pensato ad un castigo più severo, lo ha fatto sempre per salvare l'anima del peccatore, affliggendo la sua carne” (F. Prat, La teologia di san Paolo, parte prima, pp. 92-95).

3. Lo stesso concetto emerge in un Commentario biblico:
Sia dato, ecc. Dare nelle mani di Satana, significa separare uno dalla comunione della Chiesa, ossia escluderlo dalla partecipazione di tutti quei beni di cui la Chiesa ha l'amministrazione. L'incestuoso scacciato così dal regno di Gesù Cristo verrà a cadere nuovamente sotto il dominio di Satana, per morte della carne, per essere cioè tormentato nel suo corpo da Satana, per mezzo di malattie e di altri dolori, in modo che nel suo cuore si sveglino buoni sentimenti.

Affinché lo spirito sia salvo. La pena, benché gravissima, è tuttavia medicinale, perchè destinata all'emendazione del reo, a reprimere la petulanza della sua carne, a indurlo a pentirsi del male fatto e a riconciliarsi con Dio, per essere salvo nel giorno del giudizio. Si osservi che l'Apostolo, dando l'incestuoso nelle mani di Satana, per morte della carne, non solo gli infligge la scomunica separandolo della Chiesa, ma lo consegna ancora a Satana affinché lo affligga e lo tormenti. Dicono infatti i Padri che gli Apostoli avevano non solo potestà di cacciare i demoni dagli ossessi, ma anche di consegnare i grandi colpevoli al demonio, perché venissero tormentati, e fossero così condotti a penitenza. Nella Scrittura infatti il demonio viene spesso rappresentato come la causa dei mali, che affliggono l'uomo nel corpo, nell'anima e nelle sue sostanze. Sono noti gli esempi di Giobbe (Gb 2,7-8), di Anania (Atti 5,1ss), di Elimas (At 13,8ss), e i vari fatti del Vangelo nei quali il demonio rende muti, sordi, furiosi, ecc., coloro dei quali si è impossessato”.

4. La Bibbia di Gerusalemme commenta: “Spesso a proposito di questo versetto si parla di «scomunica, ma la parola come tale è assente dalla Bibbia (non corrisponde esattamente ad «anàtema».
Pene di esclusione erano in uso nell’Antico testamento, nel giudaismo, a Qumran. Il Nuovo Testamento presenta diversi casi in cui però i motivi e i modi di eseguire la pena non sono uguali. Talvolta il colpevole era tenuto per qualche tempo in disparte dalla comunità (5,2.9-13; 2 Ts 3,6-l4; Tt 3,10; cfr l Gv 5,16-17; 2 Gv 10), talvolta era «consegnato» (qui; 1 Tm 1,20 a Satana, privato del sostegno dello Chiesa dei santi e, per ciò stesso, esposto al potere che Dio lasciò al suo avversario (2 Ts 2,4; cfr. Gb 1,6); anche in questi casi estremi si sperano il pentimento e la salvezza finale (qui; 2 Ts 3,15; ecc.).
Una tale disciplina suppone un certo potere della comunità sui suoi membri (cfr Mt 18,15-18).

5. Come si vede, anche nella Chiesa primitiva - che godeva della Divina Rivelazione - si usava misericordia.
Ma i metodi erano diversi dai nostri. Quello che a quei tempi era un caso isolato, oggi è un fatto purtroppo comune.
Indubbiamente la consegna a satana era terribile, ma salutare.
La salvezza dell’anima era l’obiettivo più urgente.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore ti benedico. 
Padre Angelo




[Modificato da Caterina63 26/02/2018 19:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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