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Il Segretario personale del Papa, Benedetto XVI , mons. Georg nominato Vescovo

Ultimo Aggiornamento: 05/04/2013 13:54
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27/01/2009 00:09
 
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Arturo Mari (il fotografo dei Papi): quella volta in cui Benedetto XVI si tolse l'anello e suono' per me...


«Io, a mezzo metro dai miei Papi ho fotografo la loro anima»

Maria Pia Forte

Arturo Mari da cinquantun anni reporter ufficiale del Vaticano «Da Pio XII a Benedetto XVI, volevo dar voce a questi uomini di fede»
«Eravamo in montagna e il Papa era in vacanza, ma un pomeriggio gli ho detto
: “Santità, i papi non vanno mai in ferie, e qui c'è Arturo che fa il despota e vorrebbe scattarle qualche fotografia da dare alla gente”. Così l'ho ripreso mentre faceva le cose di tutti i giorni, passeggiava, lavorava alla sua scrivania, recitava il rosario. Poi ho buttato là: “Naturalmente ogni tanto lei suona il piano...”. Lui ha sorriso, si è tolto l'anello e si è messo a suonare per me».
Così Arturo Mari mi racconta come sono nate le foto che ritraggono papa Benedetto XVI seduto al pianoforte e che hanno fatto il giro del mondo, al pari di migliaia di altre da lui scattate.



Arturo Mari


Foto come quella di papa Giovanni Paolo II che abbraccia un piccolo campesino messicano slanciatoglisi incontro superando ogni sbarramento – «Riuscii a fissare quei due volti vicini, quelle due paia di occhi sorridenti», dice con orgoglio – o quella di Paolo VI sulle rive del Lago Tiberiade in Terrasanta, o di Giovanni XXIII nel carcere romano di Regina Coeli...
Sono cinquantun anni che Arturo Mari è al servizio del Papa col suo obiettivo, anzi dei sei Papi succedutisi dal 1956 ad oggi. Classe 1939, questo signore dal volto massiccio è ufficialmente già in pensione, ma in realtà ha continuato finora a venire ogni giorno negli uffici del servizio fotografico dell'Osservatore Romano dove ci riceve. Nessuno qui vuole che se ne vada, ed egli stesso non si risolve a dare un taglio netto a un'attività che gli ha riempito tutta la vita: mezzo secolo senza mai un giorno di ferie né di malattia. «Adesso, però, lascio veramente – assicura – anche per parlare un po' di più con mia moglie, che ho sempre sacrificato...».
Mari è un uomo sorridente e alla mano, di poche e concrete parole, un genuino «romano de Roma», anzi un «borghiciano», ossia di Borgo, di quel poco che rimane del medievale quartiere capitolino raggomitolato a ridosso del Vaticano e sventrato per far posto a via della Conciliazione: lì è nato, all'ombra del Passetto, e lì abita tuttora. «Ho percorso mezzo mondo al seguito dei papi – racconta – ma in realtà non mi sono mai mosso da Borgo». Chissà se è stata l'assidua frequentazione dei pontefici ad avergli regalato questo sguardo dolce e pensoso, un po' malinconico, come proiettato oltre le forme visibili, e queste sue maniere pacate, quasi affettuose verso l'interlocutore. «La vita mi ha dato tutto – riconosce –: una bella famiglia e un lavoro appassionante a contatto con persone eccezionali». Una vita che, di Papa in Papa, ha subito una profonda evoluzione, di pari passo con quella della Chiesa.

Com'è possibile ricoprire per cinquantun anni un delicato incarico come il suo? Vuol dire cominciare da ragazzo...

«Sono stato una sorta di enfant prodige. Mio padre era un fotografo amatoriale e per evitare che io passassi il tempo in strada, mi piazzava nel laboratorio fotografico di una scuola a piazza Risorgimento. A 6 anni sapevo già tutto della fotografia. Mio padre, come già mio nonno, lavorava al Vaticano, e quando avevo 16 anni il direttore dell'Osservatore Romano, il conte Giuseppe Dalla Torre, fu colpito da alcune mie fotografie e volle conoscermi. Venni qui alle undici di mattina del 9 marzo 1956 e non ne sono più uscito. Fui assunto come fotocronista e assegnato a seguire il Papa».

Che allora era Pio XII. Che ricordi ne ha?

«Lo rivedo, quell'uomo alto e ieratico, un giorno in cui, entrando nella Basilica di San Pietro, spalancò le braccia, come nella fotografia che lo riprende nel quartiere San Lorenzo bombardato dagli Alleati: un gesto ampio, protettivo... Era un Papa che veniva dalla guerra. Altri tempi. Non usciva quasi mai dal Vaticano, e quando nel '57 andò a inaugurare il nuovo centro della Radio Vaticana a Santa Maria di Galeria, alle porte di Roma, sembrò che andasse dall'altra parte del mondo».

Dall'altra parte del pianeta lei ci sarebbe andato veramente con Paolo VI...

«Già. Con lui nel 1970 volammo fino in Asia Orientale e in Australia. E nel '64 eravamo stati a Gerusalemme, primo viaggio in aereo di un Papa. Atterrammo ad Amman, in Giordania. Che emozione. Era un uomo timido e schivo, e la gente l'ha capito poco, invece ha fatto tanto».

E, dato che stiamo passando in rassegna i suoi sei Papi, come ricorda il suo predecessore Giovanni XXIII?

«Era un Papa diverso dagli altri, capace di darti una pacca affettuosa sulla spalla. Ma dietro la sua bonarietà di modi era severo, intransigente sulle questioni di fondo. Con lui si cominciò a uscire di più dal Vaticano: inaugurò le visite alle parrocchie, andò all'Ospedale del Bambin Gesù, a Regina Coeli, si spinse fino ad Assisi e Loreto».

Dopo Paolo VI venne il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I.

«Sì. Gli feci alcune fotografie nei Giardini Vaticani, e una di esse, che lo ritrae di spalle mentre s'incammina in un viale, sembra quasi un malinconico presagio della sua fine imminente».

Qual è il pontefice che ha lasciato una più marcata impronta in lei?

«Senza dubbio. Giovanni Paolo II. Ho passato ventisette anni della mia vita e carriera proprio accanto a lui, in giro per il mondo. E quando per ventisette anni stai sempre a mezzo metro da una persona, diventi per forza partecipe della sua anima. Quello che ho vissuto al suo fianco non lo dimenticherò mai. Mi ricordo quella volta in cui, nel reparto oncologico del Bambin Gesù, una signora gli porse un bambino di pochi mesi, urlandogli disperata: “Salvalo, salvalo”. Il Papa lo prese fra le sue braccia, lo strinse, poi lo restituì alla madre, e questa sorrise. Sono scene che ti s'incidono dentro. E poi gli incontri con i lebbrosi, con gli abitanti delle baraccopoli, il contatto con tanta gente. Anche gli ultimi momenti di Papa Wojtyla li ho sempre negli occhi. Sei ore prima che morisse, il suo segretario mi chiamò. Fu un trauma rivederlo steso in quel letto, pieno di tubi. Aveva la testa girata, ma quando don Stanislaw gli disse “Arturo è qui”, si voltò verso di me e sorridendo mi sussurrò: “Arturo, grazie”. Nel suo sguardo c'era qualcosa di speciale, come se già vedesse qualcos'altro. Si stava preparando per un altro incontro».

Cosa ci può raccontare di Benedetto XVI? Com'è?

«Pieno di delicatezza e sensibilità. Appena eletto, quando mi ha visto mi ha fatto una carezza su una mano, come per rassicurarmi. È un lavoratore accanito: malgrado i suoi ottant'anni, non si riposa mai, a parte qualche passeggiata in giardino o il tempo di recitare il rosario. Il suo tavolo è sempre sommerso dalle carte. Nessuno sa quanto lavorino i pontefici: altro che vita da Papa! Tutti i problemi vanno a finire sulla loro scrivania. Stando vicino ai papi, ci si rende conto che sono uomini come tutti: uomini di fede. E soffro, quando vengono attaccati».

È per questo che le sue foto «parlano» alla gente, sanno cogliere sempre uno sguardo, un gesto, un momento particolare, per cui sembra di essere stati anche noi vicini al Papa?

«Per ottenere questo risultato, bisogna instaurare un'intesa con la persona fotografata, bisogna lavorare col cuore. Se non avessi lavorato così, a forza di riprendere cerimonie che si ripetono sempre uguali, avrei fatto solo una “zuppa”».

Il suo unico figlio, che si chiama Rugel Juan Carlos perché sua moglie è spagnola, è stato ordinato sacerdote nello scorso aprile da papa Ratzinger. È contento di questa sua scelta?

«Ne sono orgoglioso».

© Copyright L'Eco di Bergamo, 26 luglio 2007


Di seguito vengono riportati due interventi del cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, in occasione degli 80 anni di Benedetto XVI che ci aiutano a conoscere meglio la personalita' del nostro Papa.
Raffaella


INTERVENTO DEL CARD. TARCISIO BERTONE IN OCCASIONE DELL'80° GENETLIACO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Ho la gioia e l'onore di presentare a Sua Santità i più fervidi voti augurali per il Suo 80° genetliaco e per il secondo anniversario della Sua elezione alla Sede di Pietro. Lo faccio anzitutto a nome mio personale, ma anche a nome dei collaboratori della Segreteria di Stato che si stringono con affetto, in questa singolare ricorrenza, a Colui che la Provvidenza divina ha scelto per condurre la Barca di Pietro attraverso le onde non di rado agitate dell'oceano di questo nostro mondo. Mi rivolgo a Lui, a Benedetto XVI, dalle colonne di questo Suo Quotidiano, che dal 1861 informa ogni giorno sull'attività del Successore di Pietro e rende noti all'opinione pubblica mondiale i Suoi insegnamenti.

Iddio ha voluto che le due felici ricorrenze - il genetliaco e l'anniversario della Sua elezione alla Cattedra di Pietro - si succedessero nel brevissimo volgere di soli tre giorni, in questo periodo dell'anno nel quale la Chiesa è in festa per la Santa Pasqua, così che esse vengano particolarmente irradiate dalla luce di Cristo risorto.

Ottanta anni di vita! Dal cuore di tutti i cattolici sale il rendimento di grazie a Dio, che nel 1927 chiamò all'esistenza l'amato nostro Pontefice; il pensiero va naturalmente ai Suoi genitori e ai Suoi familiari, che dal Cielo si uniscono alla nostra festa di famiglia. Lo sguardo si allarga ed abbraccia l'intero arco degli otto decenni trascorsi. Quanti incontri, quante persone conosciute, quanto lavoro svolto in ottanta anni! Questo felice traguardo, se ai nostri giorni non è più eccezionale, fa pur sempre pensare ad un lungo cammino e ad una speciale benevolenza del Signore per chi vi giunge, tanto più se, come in questo caso, in buona salute. Come non rallegrarsi e non riconoscere che tutto proviene dalla bontà del Celeste Datore di ogni bene? E che dire delle molteplici doti umane e spirituali che rendono sempre più apprezzato il Suo ministero a servizio della Chiesa?

Per chi ha avuto e ha la fortuna di star accanto a Benedetto XVI - e a me è dato questo singolare privilegio - il Suo esempio e i Suoi insegnamenti costituiscono una costante lezione di vita. Conservo il ricordo di tanti significativi momenti vissuti lavorando al Suo fianco alla Congregazione per la Dottrina della Fede, rivelatori dell'attrazione che ha sempre esercitato verso adulti e giovani; questi ultimi in maniera particolare. Mi è capitato spesso, lungo la giornata di lavoro, di accompagnarlo mentre attraversava Piazza San Pietro per raggiungere la sua abitazione in Piazza della Città Leonina. Molte persone si accostavano a lui per salutarlo, per baciargli l'anello e chiedere una benedizione. Acconsentiva sempre con tanta dolcezza. Ricordo un episodio: una sera tardi, a notte ormai inoltrata, un gruppo di una quarantina di giovani tedeschi si accorse che colui che stava attraversando Piazza San Pietro era il Cardinale Ratzinger. Lo circondarono con grande affetto e gli proposero di fare un canto in suo onore. Nel silenzio della piazza si levò un bel canto polifonico a voci miste. Vidi che dalla finestra illuminata dello studio papale si spostò lievemente la tenda e apparve discreta e timidamente curiosa la figura bianca del Papa che scrutava la piazza. Esclamai: "Il Papa ci sta ascoltando!". Fu uno dei tanti momenti in cui si manifestò quella speciale sintonia fra Giovanni Paolo II e il Cardinale Ratzinger. Sintonia, richiamata da quel canto, di amore e di benevolenza verso i giovani, dei quali si sperimenta tutt'ora la continuità.

In Lui doni di natura e di grazia si intrecciano e sono avvalorati dall'umiltà e dalla semplicità che così squisitamente distinguono il Suo tratto personale. Ne deriva una riconosciuta autorevolezza, grazie all'acuta genialità del ricercatore e teologo, coraggioso e intrepido nel difendere la verità del Vangelo, unita alla consapevolezza di essere un "umile servitore nella vigna del Signore", sempre pronto all'ascolto e al dialogo, testimone incessante della gioia e profeta di Dio che è Amore.

In questi due anni di pontificato, i tratti della Sua personalità, prima noti solo ai Suoi amici, vanno sempre più conquistando la simpatia di vicini e lontani, adulti e giovani, attenti ad ascoltarlo, colpiti dalla chiarezza e dall'incisività dei Suoi discorsi. Basti considerare gli Angelus domenicali e le Udienze generali del mercoledì sempre molto affollate, e il Suo soffermarsi, al termine, nel salutare le persone che possono avvicinarlo: si intrattiene con ciascuno prendendo il tempo necessario, senza fretta, come fosse amico da sempre.

Tanti giovani mi hanno testimoniato che a casa scaricano da internet i suoi discorsi, li rileggono e li meditano per farne esperienza di vita. Come quel giovane dirigente di banca che è venuto a parlarmi e mi ha detto: "Sono impressionato dagli appelli di Benedetto XVI. Non posso lasciarlo solo. Ho deciso di rinunciare alla promozione in banca e di entrare in Seminario". Non ho potuto che congratularmi e benedire il suo nuovo cammino.

A chi Gli ha chiesto il perché della sua prima enciclica dedicata alla carità: Deus caritas est, ha così risposto: "Volevo manifestare l'umanità della fede". C'è infatti nel Suo pontificato l'idea di una religione lieta, sentita per l'aldiquà e per l'aldilà, vissuta con i sensi e con la ragione; prospettiva credibile se a guidare l'intero servizio ecclesiale è l'inno della carità dell'apostolo Paolo. L'azione pratica è insufficiente se in essa non si rende presente l'amore per l'uomo. Questa Sua sicura indicazione di rotta, suscitata dallo Spirito che soffia dove vuole, interessa non solo le nostre storie personali, ma anche la vita della Chiesa e perfino la regolazione della società civile. A Ratzinger, studioso e teologo, è sempre piaciuta la Pentecoste che, a differenza della Torre di Babele, simbolo biblico di una globalizzazione tecnica priva di anima che porta alla disperazione umana, inaugura una globalizzazione capace di far parlare le persone senza negare la loro singolarità di storia e di cultura.

Come Suo Segretario di Stato, posso testimoniare come Egli porta avanti il peso che Iddio ha posto sulle Sue spalle, un peso che va oltre le forze umane: il mandato cioè di reggere il gregge di Cristo come Pastore della Chiesa universale, grazie al Suo saldo radicamento in Cristo, sostenuto da una intensa vita di preghiera e di unione personale con Dio.

A due anni di distanza, ripenso al solenne inizio del Suo pontificato. Sento risuonare nella Piazza San Pietro l'acclamare della folla alle Litanie dei Santi: "Tu illum adiva!". Continua, o Dio, ad assistere il Successore di San Pietro! Unita e Concorde la Chiesa intera si stringe quest'oggi al Suo amato e venerato Padre nella fede come la prima Comunità faceva nei momenti importanti con l'apostolo Pietro, ed invocando l'intercessione materna della Vergine Santa, supplica il Signore affinché conservet Eum, vivificet Eum et beatum faciat Eum in terra.

Oggi, con rinnovato entusiasmo intendiamo manifestare, ancora una volta, il desiderio e l'impegno di ascoltarLa attentamente, di servirLa docilmente, di accompagnarLa fedelmente.

Auguri, beatissimo Padre!

(L'Osservatore Romano del 16 aprile 2007)

[Modificato da Caterina63 27/01/2009 01:13]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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