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Il Papato in numeri, aneddoti e aforismi....

Ultimo Aggiornamento: 11/02/2018 09:07
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19/11/2011 23:21
 
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Duecentocinquanta anni fa, il 20 novembre 1761, nasceva Francesco Saverio Castiglioni, divenuto Pontefice con il nome di Pio VIII

Il Papa di Chateaubriand


 

Papa Pio VIII, al secolo Francesco Saverio Castiglioni, nacque a Cingoli nelle Marche duecentocinquant'anni fa, il 20 novembre 1761, e morì a Roma il 30 novembre 1830 dopo soli venti mesi di pontificato, il più breve del XIX secolo. Era infatti stato eletto il 31 marzo 1829. Un lasso di tempo ridotto, ma contrassegnato da tre eventi rilevanti per la storia dell'Europa cattolica: la definitiva caduta dei Borboni in Francia, la nascita del Belgio e l'abolizione della condanna del prestito a interesse - a tassi legali - distinguendolo in ciò dall'usura vera e propria. Ben presto indirizzato alla carriera ecclesiastica si era trasferito a Roma dove avrebbe risentito dell'influenza dei circoli antigiansenisti intransigenti della Curia. Nominato vescovo di Montalto Marche da Pio VII, Castiglioni manifestò forte opposizione a Napoleone al quale rifiutò di prestare giuramento dopo l'invasione degli stati pontifici. Fatto cardinale nel 1816 fu vescovo a Cesena e poi chiamato in Curia nel 1821. Nominato penitenziere maggiore, fu vescovo di Frascati e quindi prefetto della Congregazione dell'Indice. Pio VIII salì al Soglio di Pietro a sessantasette anni, ma era di salute malferma e di gracile complessione. La sua prima enciclica Traditi humilitati nostrae si inserì nella linea ecclesiologica tradizionale già definita da Leone XII. Favorevole sul piano politico all'equilibrio dinastico tipico della Restaurazione, sul piano morale e spirituale fu ostile al giansenismo mentre promosse la causa e l'opera di sant'Alfonso de' Liguori. Già considerato "papabile" nel conclave del 1823 che avrebbe visto l'elezione di Leone XII, il cardinale Castiglioni godeva dei favori austriaci e francesi nelle persone del principe di Metternich e, soprattutto, dell'ambasciatore di Francia François-René de Chateaubriand che accolse con gioia l'elezione del 31 marzo 1829, come rivelano una pagina dei suoi Mémoires d'outretombe e un articolo, uscito nella "Strenna dei Romanisti" del 1961, firmato dallo storico del diritto romano Pietro De Francisci (1883-1971), che pubblichiamo.

di PIETRO DE FRANCISCI

Il visconte di Chateaubriand giungeva a Roma il 9 ottobre 1828 quale ambasciatore di Francia presso la Santa Sede: ma era di umore nero. Non tanto per le fatiche del viaggio, per le cattive condizioni di salute di lui e della moglie, quanto per due ragioni molto più profonde.
La prima era l'amaro corruccio del suo sogno di poter ridiventare ministro per gli Affari Esteri, dopo la caduta, alla fine del 1827, del ministero Villèle, da lui sempre combattuto, e per aver dovuto piegarsi, ad evitare di essere messo completamente da parte, ad accettare l'ambasciata, in quel momento di scarsa importanza, assegnatagli per tenerlo lontano dal gioco politico in una specie di esilio.

La seconda era la lontananza dalla Récamier, che il sessantenne scrittore, legato da lei da una costante amicizia amorosa, aveva elevato al rango di sicura confidente e di preziosa collaboratrice. Lo dimostra il centinaio di lettere a lei dirette dal Chateaubriand durante gli otto mesi di quell'ultimo soggiorno romano, nelle quali, sfogando gioie e dolori, la fa partecipe dei propri successi e delle proprie insoddisfazioni, con una vivacità e immediatezza, che si attenuano o si perdono nelle pagine levigate dei suoi Mémoires d'Outre-Tombe, che egli rielaborò più volte, sapendoli destinati alla posterità.

Chi legge questa sua corrispondenza avverte però come, già pochi giorni dopo il suo arrivo, quella Roma, apparsagli, questa volta, fredda e ostile, lo avesse riconquistato. Soprattutto lo avevano riconciliato con la sua missione le cortesi accoglienze ricevute, presentando le sue credenziali, dal cardinale Bernetti, segretario di Stato, e l'affabile conversazione del Papa Leone XII "il più bel principe e il più venerabile sacerdote del mondo", che lo aveva sedotto con la sua nobiltà e la sua dolcezza ed anche con la chiara visione dei problemi politici.


Così, con lo spirito sollevato, lo vediamo, già alla fine del 1828, partecipare a feste e cerimonie; porgere omaggi a dame francesi e a belle signore romane; dedicare molti pomeriggi a lunghe escursioni nella campagna romana. Tuttavia, non appena gli giungeva notizia da Parigi di qualche crisi ministeriale, come quella nata in seguito alla salute precaria del ministro degli Esteri La Ferronnays, Chateaubriand sentiva rinascere le sue ambiziose speranze politiche: e, per tener desta la memoria di sé, si affrettava a inviare al Ministero relazioni accuratissime non solo su problemi italiani, ma anche su questioni internazionali preoccupanti, come quella in Oriente.
Ma, contrariamente alle sue aspettative, proprio per la situazione confusa conseguente alla crisi, le sue memorie non trovavano nessuna eco al Ministero e andavano a finire negli archivi.

Se ne addolorava e, per dimenticare il suo cruccio, si volgeva verso altri orizzonti. Cercava la compagnia di artisti francesi e italiani, fra cui il Tenerani, per il quale, anni prima, aveva posato la Récamier (...) ed ancora, lusingato dalle previsioni di Filippo Aurelio Visconti, commissario per i musei e le antichità di Roma, si assumeva le spese di uno scavo, presso la cosiddetta "tomba di Nerone", in un terreno dove affioravano molti ruderi. Ma anche questi diletti archeologici del diplomatico vennero bruscamente interrotti, il 10 febbraio 1829, dalla morte di Leone XII, che aveva ripetutamente dimostrato la sua benevolenza verso l'ambasciatore di Francia. Era stato un Papa moderato, e perciò inviso agli intransigenti, al quale peraltro molti riconoscevano il merito di aver abbellito la città, incoraggiato le lettere e, soprattutto, di aver sempre serbato misura ed equilibrio.

Fra questi era il Chateaubriand: il quale, superato il primo dolore, si rese conto che quell'avvenimento, cui sarebbe seguita l'elezione del nuovo Pontefice, veniva a porre l'ambasciatore a Roma in una posizione di primo piano: e che l'esito del conclave avrebbe potuto riaprirgli - era un chiodo fisso - le porte della politica, e cioè del ministero degli Esteri. Egli pensava che all'avvenire della Francia, dove le forze reazionarie minacciavano sempre di prevalere, molto importava che il futuro papa fosse un continuatore della politica di Leone XII, che non ripudiava le carte costituzionali e consentiva un moderato liberalismo, puttosto che uno "zelante" ostile ai regimi rappresentativi, come i cardinali della cosiddetta "fazione di Sardegna", o, addirittura, un cliente dell'Austria, che esercitava un notevole influsso sul Sacro Collegio.


Perciò il Chateaubriand si diede, corpo e anima, a un intenso lavorìo diplomatico che, con forme e tattiche diverse, svolgeva, da un lato, sui cardinali francesi, qui vont - scriveva alla Récamier - me tomber sur la tête, alcuni dei quali diffidavano di lui per le sue tendenze liberaleggianti.
Usava, allora, che, dopo la morte di un Pontefice e prima del conclave, ogni rappresentante diplomatico rivolgesse al Sacro Collegio due allocuzioni: una prima, di cortesia, che si risolveva in un elogio del Papa defunto, una seconda, ufficiale, in cui era lecito manifestare i propri voti e le proprie speranze sulla futura elezione.
In questo discorso Chateaubriand, pur protestando la sua devozione di cattolico verso il Sacro Collegio, non aveva fatto mistero dei suoi sentimenti e dei desideri della Francia, che aveva reso seducenti con la sua garbata e suadente eloquenza.

Quanto ai cardinali francesi, non esitò, perché la sua opera di persuasione fosse agevole e continua, a offrire a tutti, al loro arrivo, l'ospitalità dell'ambasciata. Ciò gli permise di metterli in guardi contro le manovre degli "zelanti" appoggiati dall'Austria e dai Gesuiti e quindi di convertirli lentamente alle sue tesi. Egli cominciò allora a nutrire buone speranze, e gli parve di felice augurio che la risposta alla sua seconda allocuzione fosse pronunciata dal cardinale Castiglioni (quale decano dell'ordine dei vescovi) quel prelato, del quale aveva patrocinato la nomina a Pontefice, quando Chateaubriand era ministro degli Esteri nel 1823.

Ma la sicurezza e l'efficacia dell'attività svolta cominciò a vacillare dopo il 14 marzo, quando i cardinali si chiusero in conclave. Il Chateaubriand, tormentato dal dubbio, ogni mattina (narrava all'amica) si alzava con la speranza di un Papa del quale egli auspicava e ogni sera la speranza cadeva.

Cercava di far tacere le sue inquietudini: ora passeggiando, malgrado il maltempo, sulla strada di Tivoli per pensare a Orazio; ora salendo a Sant'Onofrio per meditare sull'infelicità del Tasso; ora portandosi ai suoi scavi che gli rendevano soltanto qualche sarcofago vuoto o qualche rozza tomba (...) altra volta, arrampicandosi fino alla palla di San Pietro.

Questa descrizione si legge in una lettera del 31 marzo 1829. Ma, la stessa sera, ecco la fumata bianca e l'annuncio dell'elezione del cardinale Castiglioni, il Papa amico della Francia da lui auspicato, che assumeva il nome di Pio VIII.

Chateaubriand considerava tale esito come un suo trionfo personale.




(©L'Osservatore Romano 20 novembre 2011)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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