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17-23 Marzo 2009 il Papa in Camerun e in Angola

Ultimo Aggiornamento: 01/04/2009 17:40
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03/03/2009 19:27
 
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Camerun e Angola
si preparano a ricevere il Papa


Si susseguono a Yaoundé e a Luanda, capitali rispettivamente del Camerun e dell'Angola, le iniziative in preparazione della visita del Papa. Come noto da tempo, infatti, Benedetto XVI si recherà, dal 17 al 20 marzo, a Yaoundé da dove poi raggiungerà Luanda per trattenersi con il popolo angolano sino al 23 dello stesso mese. In Camerun il Papa consegnerà ai vescovi africani il documento di lavoro della prossima assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi; a Luanda celebrerà la ricorrenza dell'inizio dell'evangelizzazione del Paese.

Sarà  la  prima  visita  di Benedetto XVI al grande continente dall'inizio del suo pontificato.

La prima parte del viaggio ha certamente un significato teologico-pastorale ed esprime innanzitutto la continuità della riflessione della Chiesa universale sul futuro della Chiesa in Africa. Fu proprio a Yaoundé infatti che Giovanni Paolo II consegnò con l'Ecclesia in Africa, nel 1995, il frutto del lavoro svolto durante la prima assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi, svoltosi l'anno prima. A Yaoundé dunque per riprendere il cammino.

L'arrivo nella capitale camerunense è previsto per il pomeriggio di martedì 17. Il Papa partirà da Roma alle 10 circa. All'aeroporto internazionale di Yaoundé si svolgerà la cerimonia di benvenuto. Il resto della giornata trascorrerà poi libera da impegni ufficiali.

Mercoledì mattina, dopo la visita di cortesia al presidente del Cameroun  al  Palais de l'Unité, Benedetto XVI incontrerà i vescovi del Camerun nella chiesa dedicata a Cristo Re in Tsinga a Yaoundé. Nel pomeriggio appuntamento per la celebrazione dei vespri nella basilica di Santa Maria Regina degli Apostoli. Vi parteciperanno vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi e rappresentanti delle altre confessioni cristiane del Camerun.

Giovedì 19 al mattino, nella sede della nunziatura apostolica, avverrà l'incontro con i rappresentanti della comunità musulmana. Successivamente il Papa raggiungerà lo stadio cittadino di Amadou Ahidjo dove presiederà la celebrazione della messa, nel corso della quale consegnerà l'Instrumentum laboris. Nel pomeriggio visiterà il centro cardinale Paul Emile Léger per incontrare il mondo della sofferenza. In serata, in nunziatura, si intratterrà con i membri del consiglio speciale per l'Africa del Sinodo.

Venerdì 20, dopo la cerimonia di congedo dal Camerun, partirà alla volta di Luanda dove giungerà intorno alle 13. Nell'aeroporto cittadino si svolgerà la cerimonia di benvenuto. Questa sarà la tappa nella quale forse è meglio identificabile il senso della riflessione proposta per il sinodo a proposito della riconciliazione, della pace e della giustizia anche come strategia pastorale.

L'Angola, che vive nello spirito della celebrazione del v centenario dell'evangelizzazione, è il Paese nel quale sono più evidenti proprio le contraddizioni determinate da oltre trent'anni di guerra civile e che richiedono un grande sforzo di riconciliazione.

Il progresso economico che il Paese sta vivendo reclama, con la pace, giustizia per ogni angolano. Appena giunto, nel primo pomeriggio il Papa renderà visita proprio al presidente angolano e si intratterrà con le autorità del Paese e con i membri del corpo diplomatico accreditato. In serata avverrà l'incontro con i vescovi di Angola e Saõ Tomé in nunziatura.
 
Sabato mattina, 21 marzo, il Papa celebrerà la messa nella basilica dedicata a San Paolo a Luanda. Attorno all'altare i vescovi del Paese con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i rappresentanti dei movimenti ecclesiali e i catechisti. Al termine della messa raggiungerà lo stadio cittadino per incontrare i giovani.

Domenica mattina il Papa celebrerà la messa sulla spianata di Cimagnola, a Luanda, con i presuli delle Conferenze episcopali delle regioni del sud dell'Africa (Imbisa), al termine della quale reciterà l'Angelus. Nel pomeriggio un altro momento molto atteso:  l'incontro, nella parrocchia di Sant'Antonio a Luanda, con i movimenti cattolici per la promozione della donna.

Lunedì mattina, 23 marzo, dopo aver celebrato la messa in privato nella nunziatura apostolica, il Papa raggiungerà l'aeroporto internazionale di Luanda dove avverrà la cerimonia di congedo dal Paese e dall'Africa. La partenza per Roma è prevista intorno alle 10.3o; l'arrivo all'aeroporto di Ciampino, alle 18.



(©L'Osservatore Romano - 4 marzo 2009)


Le auspica l'arcivescovo Monsengwo Pasinya in vista del sinodo per l'Africa

Soluzioni condivise
dei conflitti armati ed economici



di Giampaolo Mattei

Il 2009 è l'anno dell'Africa. Con l'ormai prossimo viaggio e il sinodo di ottobre il Papa intende porre all'attenzione del mondo speranze e contraddizioni del continente, mettendo sotto le luci dei riflettori i massacri e le gravissime situazioni di povertà.
Dunque pace, giustizia e riconciliazione per l'Africa. Ma subito. E che le soluzioni condivise dei conflitti armati e delle lotte per lo sfruttamento delle risorse minerarie non siano fuochi di paglia ma si fondino sul diritto internazionale. Il secondo sinodo africano - in Vaticano dal 4 al 25 ottobre - ha proprio il compito di dare una risposta a queste urgenti attese ecclesiali e politiche. Non nasconde di puntare alto l'arcivescovo congolese Laurent Monsengwo Pasinya, conosciuto in Africa come un uomo sempre in prima linea laddove pace e giustizia sembrano solo sogni. Fedele al significato del suo nome (Monsengwo vuol dire "nipote di un capo tribù") nel 1992 ha persino assunto pro tempore la responsabilità di presiedere la conferenza nazionale chiamata a guidare la Repubblica Democratica del Congo nel complicato passaggio politico. Arcivescovo di Kinshasa, è stato il primo africano a essere segretario speciale di un sinodo, quello recente sulla Parola di Dio.
Nell'intervista a "L'Osservatore Romano" l'arcivescovo affronta i temi cruciali dell'attualità africana, nell'analisi del primo sinodo del 1994 e nella prospettiva della prossima assemblea.

Perché un secondo sinodo africano?

Il primo sinodo ne esigeva un secondo per approfondire la questione della giustizia e della pace, già al centro dell'assemblea del 1994 come quarto punto fondamentale del programma di evangelizzazione. Lo si legge anche nell'esortazione apostolica Ecclesia in Africa:  giustizia e pace nelle relazioni interne di ogni Paese, tra le nazioni e nell'ambito della comunità internazionale. Nel quadro generale dell'Africa, purtroppo, ci sono tanti conflitti. Non solo armati ma anche di natura economica. Come abbiamo affermato nel primo sinodo, il conflitto comincia sempre laddove un diritto viene violato, dove non c'è giustizia. Ecco la questione scottante da affrontare nel secondo sinodo africano:  individuare insieme le strade che portano alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione.

Com'era la situazione nel 1994 e cosa è cambiato in questi anni?

Proprio alla vigilia di quel primo sinodo ci trovammo di fronte al genocidio in Rwanda che ha provocato, a catena, una serie di situazioni sconvolgenti nella regione dei Grandi Laghi. Nel 1994 i Paesi africani in guerra erano tredici. Non tutto, però, era nero:  proprio mentre si scatenava il genocidio in Rwanda una luce si accendeva in Sud Africa. Una nazione stava rinascendo con una nuova democrazia. Ma quanto bisogno di riconciliazione autentica in Congo, Rwanda, Burundi, Uganda e nello stesso Sud Africa con la commissione per la giustizia e la riconciliazione appositamente istituita da Pretoria in quegli anni! Davanti a conflitti che sembrano non finire mai c'è oggi ancor più bisogno di riconciliazione, di giustizia nel rispetto del diritto internazionale e nazionale.

Quale immagine di Africa è uscita dal primo sinodo?

La finalità dell'evangelizzazione e della missione in Africa è costruire la Chiesa-famiglia di Dio. Che significa? Far divenire le famiglie chiese domestiche e le società vere famiglie. Quest'obiettivo dell'evangelizzazione vuole un'Africa pacificata a tutti i livelli. È su questo punto che il Papa ci chiede ora una riflessione approfondita.

A che punto è questo progetto della Chiesa in Africa come famiglia di Dio?

Il sinodo è il posto giusto per una valutazione e per apportare correzioni. Puntiamo a una realtà di comunione dove tutti si sentano fratelli; dove non ci siano nemici e tutti si sentano riconciliati come Cristo ci chiede di fare. Il progetto di Chiesa-famiglia di Dio e quanto emerso nel primo sinodo ci hanno portato automaticamente all'urgenza di una seconda assemblea.

Qual è il quadro del secondo sinodo?

È un quadro complesso. C'è la minaccia di ripresa della cosiddetta "prima guerra mondiale africana", con tutto ciò che significa una tragedia di tale portata, come abbiamo visto in Rwanda. È un conflitto teoricamente terminato, ma che di fatto continua con evidenti strascichi. Ci sono le crisi in Darfur, in Uganda, in Ciad, nella Repubblica Centroafricana. Rispetto al 1994 le condizioni generali di guerra sono cambiate, ma non sono scomparse. E dove c'è guerra c'è urgente bisogno di riconciliazione, di pace, di giustizia. Non si tratta solo di mettere il silenziatore alle armi. Serve una pace della mente e del cuore.

Il sinodo cosa può fare in concreto?

Il sinodo viene a proposito perché ora è il momento giusto per affrontare di petto la questione della riconciliazione. Nel 1994 abbiamo dato vita a un'assemblea di speranza, di risurrezione per l'Africa. Sì, volevamo proprio dare speranza ai nostri popoli perché si rialzassero in piedi con la forza del Vangelo. Le guerre e le massicce violazioni dei diritti della persona esigono riconciliazione e perdono, nella giustizia e nella verità, per creare una pace duratura.

E se diamo uno sguardo al suo paese cosa vediamo?

La Chiesa cattolica nella Repubblica Democratica del Congo ha sempre affermato che bisogna affrontare i problemi di fondo. In genere si trattano solo i fenomeni più eclatanti, non si va mai alla radice. Ora, data la ricorrenza degli stessi problemi, oggi come ieri, c'è l'evidenza che o sono impostati male o non sono affrontati in modo da poterne cogliere e comprendere completamente le cause. Così la soluzione si allontana.

Il sinodo può aiutare a trovare soluzioni?

Sì, può mettere a fuoco le situazioni particolari chiamando le cose con il loro nome. La guerra nel mio paese è iniziata con un conflitto che ha trasferito da noi i problemi di due nazioni vicine, venute a combattersi in territorio congolese e giunte persino a mettere al potere qualcuno di loro gradimento. L'integrità territoriale, la sovranità della Repubblica Democratica del Congo sono state violate, calpestate. Ingiustizie simili finiscono per scatenare guerre. Ciò che sta avvenendo è conseguenza del mancato rispetto del diritto delle nazioni, delle frontiere internazionalmente riconosciute. Si è voluto usare il linguaggio della guerra, imbracciare le armi invece di ricorrere, come dovrebbe essere, al dialogo e ai canali della giustizia e del diritto. Con le armi in pugno si è creato un insieme di situazioni così complesse che, temo, continueranno a risvegliare un odio atavico fra le parti in causa, innescando violenze senza fine.

Qual è il ruolo della Chiesa?

La Chiesa, come famiglia di Dio, ha il dovere di intervenire a voce alta per dire alle parti che la carità cristiana è condizione irrinunciabile per intraprendere il cammino della riconciliazione. Non ci sono alternative, serve una riconciliazione vera, che avvenga nel rispetto della giustizia e del diritto e garantisca una pace duratura. Il sinodo, poi, potrà anche approfondire problemi di cui si parla poco.

Quali sono questi problemi?

Ci sono grandi questioni economiche. Le risorse naturali del mio paese potrebbero dar da mangiare al mondo intero! Ma se non si fa attenzione queste stesse risorse possono divenire un inferno per l'umanità. Nella Repubblica Democratica del Congo abbiamo vasti giacimenti di uranio e con l'uranio si può fare anche la bomba atomica. Se le ricchezze non vengono gestite saggiamente, con discernimento, si potrebbe giungere a una proliferazione delle bombe atomiche nel mondo. Potrebbero innescarsi guerre all'infinito. È decisivo che lo sfruttamento delle risorse naturali del paese avvenga secondo il diritto internazionale, le regole del commercio internazionale. E che nessuno venga più nel mio paese a scatenare guerre per procura. Solo il disordine consente di sfruttare le risorse senza regole e senza scrupoli.

Come si deve reagire?

Faccio un esempio di ciò che sta accadendo ora nel mio paese. È stato da poco trovato il petrolio nella zona di frontiera con l'Uganda. C'era già il business dell'oro, ora è stato trovato anche il coltan (la colombite-tantalite, minerale strategico per fare razzi e telefoni cellulari, richiestissimo dall'industria tecnologica) in una quantità enorme. Gli interessi economici in gioco spingono alcune persone a sfruttare queste risorse così ambite in modo sfrenato. Per loro il sistema più redditizio è mettere in piedi il traffico di armi e scatenare guerre che non sono tribali, come si usa dire, ma scaturiscono da interessi economici. Un fiume di denaro con scambio di armi per il coltan. Questo circolo vizioso prevede che ci sia violenza e impedisce una crescita equa, una giusta distribuzione delle ricchezze con un'attività conforme alle leggi dell'organizzazione mondiale del commercio.

La Repubblica Democratica del Congo conosce da troppo tempo giorni difficili.

Nel mio paese ci sono quattrocento tribù. Solo sette sono in guerra. Lo scontro è nella parte orientale. L'equilibrio per questo motivo è instabile, il governo è coinvolto nei problemi dell'est e dunque non ha la possibilità di occuparsi come dovrebbe di quanto avviene a ovest. Eppure tutto il paese viene descritto in fiamme.

Colpa dei mass media?

I mass media diffondono l'idea che Africa vuol dire tragedia. Non è così! I media hanno la grande responsabilità di informare in modo equilibrato, ma soprattutto rispettando la verità così che ci si possa rendere conto di quello che accade. Prerogativa dei media dovrebbe essere la presentazione obiettiva della realtà, per evitare di stravolgere completamente la verità sull'Africa.

Ma oggi l'Africa è conosciuta solo per le sue tragedie. Il sinodo può contribuire a cambiare questa mentalità?

L'Africa non è solo disordine! Ci sono conflitti, è vero, ma tante aree vivono in pace. Prendiamo l'Africa occidentale:  a parte il caso, un po' difficile ma che fa ben sperare, della Costa d'Avorio, è un'area in pace come tutta l'Africa nera. I problemi non mancano. Ma c'è una fondata speranza e il sinodo la alimenterà.
Si tratta, allora, di entrare nelle cronache non solo per le sue tragedie, ma anche in positivo. È un continente dimenticato dai mass media, dalla politica, dal potere economico. Non suscita più l'interesse di un tempo. Nel periodo coloniale interessava per le materie prime, poi è arrivato il tempo delle strategie con la guerra fredda e la decolonizzazione. Ora la crisi economica finisce per marginalizzare e indebolire ancor di più l'Africa.

Quali sono i rapporti con la religione tradizionale africana e con l'islam?

I valori della religione tradizionale non sono da rigettare a cuor leggero perché costituiscono l'identità del mondo religioso africano. Vanno, piuttosto, osservati alla luce del Vangelo, per esaminare cosa respingere e cosa invece mantenere, in un discorso di inculturazione non ancora giunto a compimento. È vero, ci sono persone che al mattino vanno a messa e la sera dallo stregone. Ma qualcosa del genere avviene anche in occidente, con la diffusione di pratiche e credenze nient'affatto cristiane. Riguardo l'islam, i rapporti sono più complessi, non sempre felici e rassicuranti.



(©L'Osservatore Romano - 4 marzo 2009)
[Modificato da Caterina63 03/03/2009 19:29]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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