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I MIRACOLI EUCARISTICI

Ultimo Aggiornamento: 03/12/2019 00:26
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La preghiera di Riparazione nel Miracolo di Avignone



L’amore ripara, nel duplice senso di reintegrare quello che si era corrotto e di proteggere qualcosa da quello che ancora potrebbe sopraggiungere. L’Eucaristia che è il sacramento dell’Amore per eccellenza è anche il mezzo più efficace per riparare ai danni prodotti dal peccato nella nostra umanità.

Ad Avignone, bella città francese collocata sulle rive del Rodano, un miracolo eucaristico ci aiuta ad approfondire questo concetto della riparazione.

Per comprendere il miracolo, avvenuto nel 1433, bisogna risalire a qualche secolo prima. Nel sud della Francia, nei primi decenni del 1200 andava grandemente diffondendosi l’eresia degli Albigesi.
Questa eresia iniziata nella città di Albi - da cui prese il nome - e condannata fin dal secolo XI, contestava i sacramenti in particolare quello del matrimonio e dell’Eucaristia.

Il Re di Francia, Luigi XIII, padre di San Luigi IX (noto anche come san Ludovico e festeggiato il 25 agosto), consapevole di quanto l’eresia stesse minando la fede nella Presenza di Reale di Gesù dei suoi sudditi, volle edificare ad Avignone un tempio in onore alla Santa Croce e istituire una festa, la festa dell’Esaltazione della Croce, per controbattere l’eresia.

Nel 1226, il 14 settembre, si festeggiò per la prima volta la suddetta festa e il Sovrano, vestendo un abito frusto di color grigio, stretto da una corda e con una candela in mano, diede inizio a una processione eucaristica di riparazione che, attraversando tutta la città, si fermò poi nella Cappella di Santa Croce, dove la preghiera di adorazione continuò ininterrotta giorno e notte.

Nacquero così i Penitenti grigi, guardiani laici del Santissimo Sacramento che adottarono la regola francescana per lo zelo con cui quest’Ordine (accanto a quello Domenicano) si oppose all’eresia.

Questa Confraternita, che perdurò nel suo servizio di lode e di riparazione al Santissimo Sacramento anche durante gli anni della Rivoluzione francese, è una delle poche a sussistere ancora oggi.

Il fiume Rodano, sulle cui rive sorge la Cappella dei Penitenti grigi, secondo un’antica tradizione straripava ogni cento anni.

Nell’autunno del 1433 piogge torrenziali ingrossarono pericolosamente le acque del fiume fino a che nella notte tra il 29 e il 30 novembre si ruppero gli argini e il fiume sommerse la città di Avignone. I Penitenti grigi, preoccupati per la sorte del Santissimo, dovettero ricorrere a una barca per recarsi alla Cappella di Santa Croce. Giunti che furono videro con sgomento che le acque avevano ormai coperto a metà la porta di entrata. Lo sgomento lasciò il posto allo stupore quando, entrando nel tempio, si trovarono depositati sull’asciutto e videro che le acque, compatte come pareti a destra e a sinistra della navata, lasciavano completamente libero il passaggio fino all’altare dell’Esposizione.

Lo spettacolo che contemplarono Armand e Jehan de PouziIhac-Faure, capi della Confraternita e i loro dieci fratelli fu in realtà straordinario: le acque giunte a quattro piedi di altezza (quasi un metro e mezzo) avevano bagnato le custodie degli abiti della Confraternita, ma degradavano “inclinate come un tetto” verso i banchi, tanto che al centro della cappella non vi era assolutamente acqua, ma tutto era asciutto compreso ciò che si trovava davanti all’altare e cioè: libri, pergamene, indumenti, tovaglie e reliquiari.

I dodici Penitenti corsero a chiamare alcuni dotti frati francescani che subito avviarono un’indagine per il riconoscimento ufficiale del Miracolo. Il Santissimo, portato in salvo in una Chiesa Francescana scampata dall’inondazione,venne onorato con preghiere e canti preceduti dalla lettura del passo dell’Esodo 14 al versetto 21, in cui si narra il passaggio del Mar Rosso.

Ancora oggi, nel giorno anniversario dell’evento soprannaturale i Penitenti a piedi nudi, in ginocchio e con una corda al collo in segno di riparazione, percorrono la navata della cappella miracolosamente preservata dalle acque.

La valenza simbolica del Miracolo non necessita di molte spiegazioni. Dodici fedeli, adoratori del Santissimo Sacramento, assistettero al rinnovarsi del miracolo dell’Esodo, radice ebraica della Pasqua cristiana. Questi dodici sono il segno di quell’umanità che grazie alla Fede della Presenza di Dio nella sua storia e nella sua Vita, riesce a passare incolume dentro alle devastazioni del peccato che certe filosofie e certi costumi favoriscono grandemente.

Il Rodano, un fiume bellissimo che rende ancora più incantevole la città di Avignone scelta quale residenza da Papi e Re, si trasforma per le calamità naturali in minaccia. Molto spesso anche le molte cose che oggi minacciano l’uomo e lo corrompono partono da realtà di per sé belle e positive. Allo stesso modo può essere descritta l’eresia: una verità impazzita che degenera in errore. La luce dell’Amore, la luce della Presenza divina porta l’Uomo a vedere i giusti contorni della realtà e a discernere il vero bene da un bene solo apparente.

Perché questo avvenga occorre però l’umiltà della fede, quella fede che si inginocchia consapevole che nessuno può salvarsi da solo ma che la verità e la bellezza sono pur sempre doni che vengono dall’alto.

La preghiera di riparazione iniziata da Luigi VIII ebbe in se la forza espressiva del segno: un re che nella sua potenza s’inginocchia umilmente per chiedere aiuto dall’Alto, al Re dei Re, consapevole di combattere una lotta che non si consumava contro le forze della carne e del sangue.

Questa preghiera non ha solo riparato i danni dell’eresia, ma ha protetto il popolo e la città dalle calamità naturali. Anzi l’inondazione è diventata segno di quell’inondazione peggiore - la mancanza di fede nell’Eucaristia e nei valori della Famiglia - che stava devastando la regione e che si risolse grazie alla perseverante preghiera di riparazione e di lode dei Penitenti grigi.


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La presenza permanente nel miracolo di Patierno (Na)



Sono almeno due i miracoli Eucaristici che ci possono aiutare a rafforzare la fede nela Presenza Permanente del Signore Gesù nella Santissima Eucaristia, anche fuori dalla celebrazione. Uno è il famoso miracolo di Siena occorso nel 1730, quando il 14 agosto approfittando dell’assenza dei frati, impegnati a celebrare i Primi Vespri dell’Assunta nella Basilica della città, alcuni ladri saccheggiarono la chiesa di San Francesco rubando anche la pisside che conteneva 351 ostie. Le particole, ritrovate tre giorni dopo, il 17 agosto 1730, permangono ancora intatte ai giorni nostri. Giovanni Paolo II in occasione della sua visita al Santuario Eucaristico di Siena il 14 agosto 1980 esclamò: E’ la Presenza!


L’altro miracolo, sul quale vogliamo fissare la nostra attenzione, è meno conosciuto e si verificò in quel di Napoli nel 1772.


Il miracolo, come vedremo, ebbe vasta eco e, dal momento che Caterina Sordini e il padre Lorenzo all’epoca avevano continui contatti con il Regno e la città di Napoli, ci è lecito supporre che il racconto del fatto prodigioso dovette giungere anche in casa Sordini. Se così fu i genitori, grandemente animati da pietà eucaristica, non mancarono di narrarlo ai loro figli ad edificazione e progresso della loro giovane fede.

Il 27 gennaio 1772 alcuni ladri entrarono furtivi nella chiesa di San Pietro Apostolo nel Borgo di Patierno: asportarono arredi e oggetti sacri, fra cui anche la pisside contenente diverse ostie consacrate. La mattina seguente, accortosi del furto, il Parroco mobilitò diversi parrocchiani per gettarsi alla ricerca delle particole trafugate. Tutto risultò vano. Trascorse quasi un mese, fino a che, il 18 febbraio del medesimo 1772, un giovane diciottenne, Giuseppe Orefice, passando di buon mattino accanto al campo del Duca di Grottelle, vide qualcosa brillare nel buio.

Non appena rincasato riferì la visione delle misteriose luci al padre che, un po’ incredulo, non diede al racconto importanza alcuna. Il giorno seguente - il 19 febbraio 1772 - si trovarono però di nuovo a passare presso il campo del Duca: con Giuseppe c’era il padre e il fratello minore.

Giunti sul luogo della visione tutti e tre videro distintamente stelle misteriose brillare nell’oscurità proprio in prossimità del terreno. Giuseppe allora, corse ad informare il parroco il quale raggiunto il luogo indicato in compagnia del fratello sacerdote, rinvenne sotto le zolle umide un buon numero di ostie integre e perfettamente conservate. Altri sacerdoti vollero perlustrare il campo e vennero così rinvenute anche le altre particole mancanti.


Le ostie furono collocate, mediante una solenne processione, nella Chiesa di San Pietro Apostolo dove sono ancor oggi conservate e venerate.
La notizia del fatto prodigioso si diffuse rapidamente attirando l’attenzione del Vescovo di allora, il grande Sant’Alfonso Maria del Liguori, il quale certificò la veridicità del miracolo dopo una rigorosa inchiesta.

Non possiamo fare a meno di rimarcare la singolare coincidenza che lega questo fatto alla vita di Caterina Sordini. Infatti in uno stesso 19 febbraio, diciassette anni più tardi, ella - ormai giovane novizia tra le francescane di Ischia di Castro col nome di sr. M. Maddalena dell’Incarnazione - vide al posto della parete del refettorio un’ostia luminosa e udì il Signore indicarle la fondazione di un Istituto di Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento.

Il vero lume dell’Eucaristia avrebbe strappato l’uomo dalle oscurità che stavano per avvolgere il mondo a motivo delle idee anticristiane seminate dalla rivoluzione francese.


Anche nel Miracolo di Patierno la Presenza di Cristo nell’Eucaristia brilla come stella nell’oscurità. Il prodigioso evento possiede un grande insegnamento per noi, sul piano simbolico.


La radice stessa della fede della chiesa, l’Eucaristia, viene abusivamente sottratta alla comunità dei fedeli, la parrocchia: non sarà proprio questa l’opera di scristianizzazione della società? Un progressivo rubare dai cuori la certezza della fede nella Presenza permanente del Signore nelle vicende umane?

Le ostie vengono sepolte in un campo, ma la Presenza di cui sono veicolo, …sacramento, non può restare nascosta e brilla nella notte. Sembra la parabola della storia degli ultimi secoli: nonostante il tentativo di sotterrare tra le zolle del dubbio sistematico la fede della Chiesa (e in particolare la fede nell’Eucaristia), essa è emersa più fulgida di prima anche grazie alla testimonianza di alcuni profeti.


Penso qui non solo a Madre Maria Maddalena dell’Incarnazione, a cui il Signore stesso indicò che il Lume dell’Eucaristia avrebbe salvato il mondo dal relativismo assoluto, ma anche a personalità più vicine a noi come il nostro grande papa Giovanni Paolo II. Egli nella sua ultima lettera Apostolica Mane nobiscum Domine chiama l’Eucaristia Mistero di Luce e, tra le molte altre cose degne di nota, scrive: proprio attraverso il mistero del suo totale nascondimento, Cristo si fa mistero di luce, grazie al quale il credente è introdotto nelle profondità della vita divina.

Suggestivo rileggere queste parole alla luce del Miracolo Eucaristico di Patierno! Paradossalmente proprio il nostro secolo che faticosamente risorge dalla sfida dell’ateismo e dell’indifferenza religiosa è chiamato a penetrare le profondità del Mistero.

Protagonisti del miracolo di Patierno sono poi due capisaldi della società umana e cristiana: la famiglia e il sacerdozio. È una famiglia che “avvista” Gesù - anzi, considerate le precedenti infruttuose ricerche del parroco, potremmo più giustamente dire che è Gesù a manifestarsi a una famiglia -, ma sono i sacerdoti che in seguito lo riconoscono e lo trovano.


Questo insegna come Gesù permanga nel sacramento per tutti, come egli voglia rimanere con i suoi tutti i giorni fino alla fine del mondo, ma tra questi “suoi” ha scelto qualcuno che lo rappresenti in modo particolare, che sia intermediario fra il popolo di questa sua Presenza Perpetua e Salvifica: il sacerdote.





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La Presenza Reale nel miracolo eucaristico di Caravaca


Tra i miracoli Eucaristici che rivelano la Presenza viva del Signore Gesù nell'Ostia santa (i miracoli di Scala, Salerno nell'anno 1730 e di Saint-André de la Réunion in Francia, nel 1905) ce n'è uno del tutto singolare che dimostra con grande efficacia il legame tra Eucaristia - martirio e missione, si tratta del Miracolo Eucaristico occorso a Caravaca in Spagna nel 1232.

In quell'epoca la maggior parte della Spagna era invasa dai Mori e nella regione di Murcia regnava Abu Zeyt, un principe moderato, che si proclamò indipendente dalle altre autorità musulmane. Uno zelante sacerdote don Gines Perez Chinino partì alla volta della regione Murcia per riportare alla vera fede i cattivi cristiani e convertire i Mori.

La sua predicazione ebbe una tale eco che presto fu preso e imprigionato. Dopo alcuni mesi il Principe Abu in persona visitò le carceri del suo castello e, in parte mosso a compassione per il pessimo stato in cui versavano i detenuti, in parte per utilità decise di impiegare ciascuno nella mansione che essi svolgevano prima di essere fatti prigionieri.

Li interrogò così uno ad uno, quando giunse al cospetto di don Gines si sentì rispondere che egli era il più avvantaggiato di tutti avendo un potere maggiore dello stesso Re. Incuriosito il sovrano prese a fare domande e scoprì che il sacerdote si riferiva a quella che i cristiani chiamano Messa durante la quale pane e vino diventano, per le parole del sacerdote, il corpo e il sangue del Signore.

Il Principe moro non volle credere e invitò il sacerdote a celebrare una S. Messa al suo cospetto. Don Gines gli disse che erano necessarie molte cose: paramenti, altare, offerte, ecc. Abu permise che tutte fossero procurate, cosicché don Gines principiò a celebrare, con trepidazione, la santa Messa. D'un tratto si fermò e guardandosi attorno non poteva continuare, il Principe gli chiese se per caso non mancasse qualcosa, rispose il sacerdote che sì, mancava la croce.

Al che il sovrano additando verso il cielo disse: è forse quella? Una croce ortodossa, infatti, scendeva dal cielo trasportata per mano di angeli. Gli angeli fecero intendere che la croce era stata tolta dal collo di San Roberto patriarca di Gerusalemme e che essa era fatta con il medesimo legno della croce che accolse il sacrificio del Redentore.


Una grande commozione scese su quella singolare assemblea e don Gines proseguì la celebrazione Eucaristica, all'elevazione dell'ostia un nuovo prodigio si compì: tanto il Re moro che gli altri partecipanti videro dentro al Pane Eucaristico un bimbo di bellissime fattezze, il Cristo benedetto. Sopraffatto dalla commozione Abu Zeyl chiese di essere battezzato e si fece chiamare col nome di Vincenzo, la moglie Ayla mutò il suo nome in Elena e i due figli presero il nome di Ferdinando e Alfonso, anche i componenti della corte seguirono il sovrano nella conversione.

Oggi, a testimonianza di quel miracolo, resta la doppia croce il cui legno, intatto, sfida l'usura del tempo.

La singolarità di questo miracolo risiede nel fatto che in tutti i suoi elementi è una vera catechesi sulla Messa e in particolare sul Mistero della Presenza che la Messa realizza. Anzitutto don Gines viene imprigionato a causa della Parola annunciata: rimando alla liturgia della Parola, ma anche segno della disponibilità a morire come Cristo e per Cristo che è l'atteggiamento fondamentale del credente che si accosta all'altare. Inoltre vi è la professione di fede: egli si dichiara apertamente sacerdote di Cristo.


Nelle domande del Sultano circa la Messa e nelle risposte di don Gines con la relativa raccolta di tutti gli oggetti necessari per la divina liturgia, vi è una sorta di omelia, di insegnamento catechetico per introdurre il Moro nelle verità della Fede.


Nell'apparizione della santa Croce e del Bimbo vi è racchiuso l'intero Mistero pasquale: dal Sacrificio della Croce all'incarnazione. Il Moro viene condotto a comprendere che quel Bimbo splendido - segno di bellezza e di rinascita - visto nell'Ostia è lo stesso Cristo che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato - contemplato poc'anzi nel crocifisso.


Il Sacrificio di Cristo, la sua beata Risurrezione e la sua conseguente Presenza Reale nel Sacramento è Mistero offerto a tutti: a "convertire" questo musulmano e i suoi familiari interviene infatti, la totalità della Chiesa. Nella croce apparsa c'è il segno dell'ortodossia, nella menzione di Gerusalemme, è presente la matrice da cui è nato il cristianesimo - il giudaismo - nel sacerdote celebrante c'è la Chiesa cattolica.


Significativo è inoltre il fatto che non si poteva dar seguito alla Messa perché mancava il crocifisso, vale a dire che la Messa è tale solo allorché realizza il mistero pasquale, che è attualizzazione del sacrificio di Cristo.
Mancava la croce e gli angeli procurarono una croce degli ortodossi, scismatici secondo la mentalità corrente di quel secolo, scismatici - forse - ma fratelli e partecipi del mistero di Cristo. Gli angeli portando un oggetto di quella Chiesa sottolinearono così che solo la Chiesa una, la Chiesa unita può essere missionaria ed evangelizzare, realizzando nel mondo quella Presenza Reale che il Signore stesso ha promesso: Che siano una cosa sola come tu Padre sei in me ed io in te.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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