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Il Primato petrino nei testi dei Padri della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 14/03/2013 23:01
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20/01/2013 23:50
 
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[SM=g1740758] Un sacerdote risponde

Volevo chiedere se il Papa sia proprio una figura necessaria

Quesito

Salve Padre Angelo,
volevo chiedere se il Papa sia proprio una figura necessaria: solo Matteo, infatti, riporta la frase: "Tu sei Pietro...".
Dal momento che il fine dell'evangelista è quello di narrarci la Parola di Dio, mentre il come ce la trasmette fa parte della sua cultura, della sua teologia, dell'orientamento spirituale che lui ha verso le persone alle quali si rivolge, se Gesù avesse voluto mettere a capo della Chiesa Pietro, tale intenzione non sarebbe narrata anche dagli altri evangelisti (anche con parole diverse)?
In più, mi sembra che in nessun passo del NT si dica che Pietro abbia esercitato nella chiesa primitiva una funzione di comando.
Anche ammettendo che l'autorità di Pietro gli sia stata conferita da Gesù, perché ritenere che la stessa sia trasmissibile al Vescovo di Roma? Lo stesso papa S. Gregorio Magno identifica tre "sedi Pietrine": Roma, Alessandria ed Antiochia, pari nell'essere la cattedra storica dell'Apostolo e tiene a sottolineare che quella di Roma non ha niente di più eminente delle altre due (la Chiesa di Roma poi è stata fondata da Paolo).
Grazie,
Andrea


Risposta del sacerdote

Caro Andrea,
1. è fuori di dubbio che Pietro ha una posizione preminente all’interno degli apostoli e della Chiesa primitiva. È sempre menzionato per primo ed è sempre lui che prende l’iniziativa, come ad esempio con la predicazione nel giorno di Pentecoste e la pesca dopo la risurrezione del Signore.
Anche san Paolo, una volta convertito, volle andare a confrontarsi con Pietro (Gal 1,18). Anzi lo chiama “Cefa”, che significa “capo”, riconoscendogli pertanto un ruolo particolare.

2. Anche gli altri vangeli, e non solo quello di Matteo, sottolineano il ruolo particolare di Pietro.
San Luca ha un testo molto importante: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli»” (Lc 22,31-32).
Qui il Signore ci ricorda che la fede nostra è retta quando è conforme a quella di Pietro. Sicché la sua fede (e cioè il suo magistero) è la regola della nostra fede.
Indirettamente viene ricordata l’infallibilità del magistero del Papa.

3. Anche San Giovanni ha un riferimento ben preciso sul primato di Pietro: “Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle»” (Gv 21,15-17).
Per agnelli e pecore sono intesi fedeli e vescovi.

3. Oltre ai Vangeli abbiamo la testimonianza della Tradizione della prima comunità cristiana.
Come saprai, non la sacra Scrittura da sola, ma la sacra Scrittura e la sacra Tradizione costituiscono l’unico deposito della Divina Rivelazione.
La Scrittura va intesa come è sempre stata intesa, e questo ci viene garantito dalla Tradizione.
La Tradizione è l’anello che congiunge la nostra fede alla fede degli apostoli. È quell’anello per cui io posso dire: la mia fede è la stessa degli apostoli, di quelli che sono stati con Gesù e che hanno sentito con le loro orecchie il suo insegnamento.

4. Ebbene, proprio la Tradizione ci ricorda vero gli anni 90, mentre a Efeso è ancora vivo san Giovanni, a Corinto scoppiano dei disordini tra i fedeli.
Anziché appellarsi a San Giovanni che sta ad Efeso, nell’altra sponda del Mar Egeo, i cristiani di Corinto vanno direttamente dal terzo successore di Pietro che è Papa Clemente. E questi interviene con la sua autorevolezza.

5. È vero che San Pietro prima di essere a Roma è stato ad Antiochia.
Ma il vescovo che è succeduto a Pietro quando se ne è andato da Antiochia non ha desautorato san Pietro, né ha preso gli stessi poteri di Pietro. È stato considerato come uno dei tanti vescovi.
Pietro ha continuato da Roma ad esercitare intatto il suo ruolo.
Quando muore in questa città, è stato riconosciuto al suo successore la trasmissione del potere delle Chiavi del Regno dei cieli.

6. Circa la successione di san Pietro, ecco che cosa il Card. Giuseppe Siri ha scritto nel suo trattato di ecclesiologia: “Degli apostoli quello che certamente sopravvisse per molto tempo a Pietro è Giovanni. Egli è dunque senza dubbio un testimone della successione. Nel suo Vangelo riporta il testo di conferma del primato (Gv 21,15), nonché la profezia sul martirio di Pietro (Gv 21,18). Dovette sapere dell'avverarsi di questa profezia e non poté disinteressarsi della questione successoria.
Per noi diventa estremamente interessante sapere che cosa ne pensasse lui, antico ed intimo amico di Cristo. Noi ci incontriamo con lui nella sua scuola cristiana di Efeso, la quale può essere intervistata attraverso due suoi esponenti di massimo rilievo al primo e al secondo secolo.
Il primo è Policarpo, contemporaneo, discepolo e successore di Giovanni stesso nella scuola. Di lui sappiamo che al tempo della prima controversia pasquale, pur essendo centenario, se ne venne faticosamente dall'Asia a Roma per impetrare dal vescovo di Roma, come da superiore suo e di tutti i vescovi in causa, una maggiore larghezza. Questa visita per l'autorità della persona e per il grande riconoscimento che importava fece impressione. Ireneo ne parla ancora quarant'anni più tardi, scrivendo al Papa Vittore” (G. Siri, La Chiesa, pp.186-187).

7. “Il secondo testimone autorevole è lo stesso Ireneo, che per quanto vescovo di Lione nelle Gallie, è asiatico e discepolo di Policarpo. Conosce quindi il pensiero vivo nella scuola dell'apostolo, oltre che la prassi dell'Oriente e dell'Occidente. Ireneo nell'Adversus haereses tratta del modo sicuro di conoscere la vera tradizione apostolica. Indica il criterio nella ininterrotta serie dei vescovi successori degli apostoli. Afferma di poter dimostrare questa successione citando i cataloghi episcopali delle diverse Chiese, ma si limita ad uno, al catalogo della Chiesa romana. Questo, perchè sa che basta la sola Chiesa romana a dimostrare e garantire la verità della Chiesa cattolica.
Diverse sono le ragioni.
Anzitutto la Chiesa romana è «la più grande e la più antica» ed ha una «principalità o primato tale che tutte le altre comunità da ogni parte debbono accordarsi e sottostare ad essa; in secondo luogo perchè la successione dei suoi vescovi rimonta a Pietro (Adversus haereses III,3,2).
L'atteggiamento umile e leale di Policarpo vale ben più di una dichiarazione teorica nel mostrare che cosa lui, uomo apostolico, sapeva dei vescovo di Roma. Da lui e da Ireneo apprendiamo il pensiero della scuola giovannea, ossia dell'ambiente apostolico: là si sapeva benissimo e lealmente si insegnava a chi mai il Capo avesse lasciata la sua successione.
Si tenga ben presente che tutti i documenti della letteratura cristiana primitiva indicano un rapporto strettissimo tra le varie Chiese, sicché non si potrebbe mai ammettere che una questione di carattere universale e fondamentale, riscuotesse attenzione solo in una parte, ottenendo dall'altra indifferenza ed avversione.
Per questo l'atteggiamento della scuola giovannea ha da solo una forza dirimente.


Una più che giusta curiosità spinge a cercare in proposito l'opinione della più antica comunità etnico-cristiana, quella di Antiochia. Era stata sede di Pietro e centro di irradiazione di tutta la attività apostolica. Qui ci si fa innanzi lo stesso vescovo Ignazio, quasi contemporaneo del Cristo e compagno nonché successore di Pietro. Mentre è trascinato prigioniero alla volta di Roma, egli scrive, tra le altre, una lettera commovente alla Chiesa dell'eterna città, allo scopo sopra tutto di dissuadere gli influenti cristiani di quella dal tentativo di salvarlo, ossia di risparmiargli il desiderato martirio. È insomma un contatto con la Chiesa romana.
Interessa conoscere l'animo e l'atteggiamento, nonché il giudizio con cui materia l'uno e l'altro nei suoi riguardi con la comunità deli 'Urbe e la sua gerarchia. Il confronto delle formalità (intestazione, apostrofe, complimenti) fra questa lettera e le altre indirizzate alle chiese dell'Asia (Tralles, Magnesia, ecc.) è quanto mai significativo perché, mentre per quelle Ignazio sente la fraternità, per questa s'esprime come chi sente venerabondo una superiorità ed una maestà. Ecco per esempio l'iscrizione della lettera ai Magnesii: «Ignazio o anche Teoforo alla (chiesa) di Magnesia presso il Meandro, benedetta nella grazia di Dio Padre in Cristo Gesù salvatore nostro, nel quale saluto la (stessa) Chiesa, augurando in Dio Padre e in Gesù Cristo sovrabbondante salvezza».
Ecco ora l'iscrizione della lettera, appunto, ai Romani: «Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa che ha conseguito misericordia nella magnificenza del Padre altissimo e del suo unigenito Gesù Cristo; alla chiesa prediletta ed illuminata dalla sua volontà che elegge tutte le cose che sono, secondo la carità di Gesù Cristo Dio nostro; la quale (chiesa) inoltre tiene la presidenza nel luogo della regione dei Romani, degna di Dio, degna di onore, degna d'esser predicata beata, degna di lode, degna di esaudimento degnamente casta e posta o presiedere l'universale accolta della carità (la Chiesa), che porta la legge del Cristo, che è insignita del nome paterno, che io saluto nel nome di Gesù Cristo, figlio del Padre... ».


Non c'è dubbio: la Chiesa romana è, per quest'uomo, superiore alle altre Chiese; il motivo di questa superiorità non è l'essere capitale dell'impero (che neppure nomina), non sono particolari virtù dei Romani (delle quali pure non parla), ma una magnificenza divina che in essa più si riflette, un nome divino di cui è insignita; è insomma, un dono, una dotazione speciale, una prerogativa che il vecchio vescovo apostolico sa venire da Dio.

Quale dunque la prerogativa di superiorità che lo spinge ad un linguaggio facilmente ampolloso se non rispondesse ad una motivazione adeguata? Eccola: la Chiesa romana tiene la presidenza, il regimen della universale accolta della carità, cioè della Chiesa cattolica” (G. Siri, La Chiesa, pp.187-189).

Adesso hai un pò di documentazione per poter renderti ragione della solidità della fede cattolica.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


Pubblicato 28.05.2011




[SM=g1740771]



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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