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Paolo VI a favore dell'eutanasia? NO è falso, leggete qui la verità

Ultimo Aggiornamento: 06/03/2009 00:40
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 Occhi al cielo Ecco poi come nascono certe leggende... Occhi al cielo

Un grazie a Sandro Magister: CLICCATE QUI



Paolo VI pro eutanasia? La strana metamorfosi di una citazione di successo

Da Stefano Rodotà a Ignazio Marino a Enzo Bianchi c’è una citazione papale che è ripetuta come un mantra. Ricavata – dicono – da una lettera di Paolo VI del 1970.

La citazione è la seguente:

Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita”.

Enzo Bianchi, il fondatore e priore del monastero di Bose, ha coronato con questa citazione un suo articolo sul caso di Eluana Englaro su “La Stampa” del 15 febbraio 2009, attribuendola a Paolo VI in una lettera ai medici cattolici. [SM=g1740729]

Dopo di lui ha rilanciato la citazione il senatore Ignazio Marino su “l’Unità”.

Ma, prima di entrambi, il più tenace nel metterla in campo più volte è stato Stefano Rodotà, a cominciare da un articolo su “la Repubblica” del 12 dicembre 2006 dedicato al caso di Piergiorgio Welby, nel quale asseriva trattarsi di “quel che nel 1970 Paolo VI scriveva al cardinale Villot, responsabile dei medici cattolici”.

In realtà, le cose non stanno propriamente così.

Quelle parole Paolo VI non le ha mai scritte nè pronunciate. Sono invece dell’allora segretario di stato, il cardinale Jean Villot, in una lettera con la sua firma del 3 ottobre 1970, indirizzata al segretario generale della federazione internazionale delle associazioni mediche cattoliche, riunite a Washington per un congresso internazionale su “La protezione della vita”.

Il testo originale della lettera firmata da Villot, in francese, apparve su “L’Osservatore Romano” del 12-13 ottobre 1970 con il titolo: “Lettre pontificale au Congrès de la FIAMC”.

“La Civiltà Cattolica” pubblicò poco dopo parte della lettera in traduzione italiana presentandola come la “lettera che il cardinale segretario di stato, a nome del Santo Padre, ha inviato il 3 ottobre 1970 al segretario generale della FIAMC”. E in questo stesso modo essa fu ripresa in un documento del pontificio consiglio “Cor Unum” del 1981.

Il primo a cambiarne l’attribuzione fu, nel 1985, nel volume “Eutanasia. L’illusione della buona morte”, l’allora semplice sacerdote e teologo moralista Dionigi Tettamanzi, oggi cardinale e arcivescovo di Milano, presentando il testo come un “intervento di Paolo VI, in una lettera inviata tramite il card. Villot al segretario generale della FIAMC”. Occhi al cielo

L’anno dopo, 1986, monsignor Elio Sgreccia fece lo stesso. Nel volume “Bioetica”, introdusse la citazione come “un’ulteriore precisazione introdotta da Paolo VI con la lettera del cardinale Villot del 3 ottobre 1970 al segretario generale della FIAMC a proposito della riprovazione di quello che sarà definito l’accanimento terapeutico”.

Il seguito della metamorfosi l’hanno prodotto i fautori dell’eutanasia. E siamo ai giorni nostri. Invece che contro il solo accanimento terapeutico – al quale il magistero della Chiesa è risolutamente contrario – quelle parole sono ora giocate a sostegno della libera interruzione delle cure mediche e, peggio, della morte per fame e per sete, come per Eluana.

O anche sono giocate contro il magistero della Chiesa attuale, contrapponendo un papa buono e comprensivo, Paolo VI, al cattivo e insensibile Benedetto XVI.[SM=g1740729]


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Sempre dal blog Settimo Cielo di Sandro Magister:

Legge sul fine vita. Il papa ha già votato così[SM=g1740733]

Qual è la posizione ufficiale della Chiesa circa il nutrire e il dissetare una persona in stato vegetativo?

Nell’agosto del 2007 la congregazione per la dottrina della fede, con l’approvazione dichiarata di Benedetto XVI, ha fornito in proposito due risposte precise. Ad altrettante domande inoltrate a Roma dai vescovi degli Stati Uniti.

Le domande erano nate in seguito alla discussione che aveva accompagnato nel 2005 la vicenda di Terri Schiavo, vicenda molto simile a quella di Eluana Englaro.

Ecco qui di seguito, testuale, il doppio responso dato dalla massima autorità della Chiesa cattolica:

*

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

RISPOSTE A QUESITI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE STATUNITENSE CIRCA L’ALIMENTAZIONE E L’IDRATAZIONE ARTIFICIALI


Primo quesito: È moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per vie naturali oppure artificiali) al paziente in “stato vegetativo”, a meno che questi alimenti non possano essere assimilati dal corpo del paziente oppure non gli possano essere somministrati senza causare un rilevante disagio fisico?

Risposta: Sì. La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all’inanizione e alla disidratazione.

Secondo quesito: Se il nutrimento e l’idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in “stato vegetativo permanente”, possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza?

Risposta: No. Un paziente in “stato vegetativo permanente” è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Risposte, decise nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 1° agosto 2007.

William Cardinale Levada
Prefetto

Angelo Amato, S.D.B., Arcivescovo tit. di Sila
Segretario[SM=g1740722] [SM=g1740721]


[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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